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30 maggio
2011 - 26 Iyar 5771 |
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Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma
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"Dite ai vostri fratelli:
siete il mio popolo". Sono le parole del profeta Hoshea (2:3) che
abbiamo letto questo Shabbat. Non basta essere fratelli, sembra dire il
profeta, bisogna essere anche popolo, in ebraico 'am, vicino a 'im, che
significa "con", l'essere insieme. Le discussioni degli ultimi giorni,
di cui è stata data ampia documentazione nel dossier in fondo questa
pagina, mostrano come neppure sia chiaro e condiviso il concetto di
fratellanza: chi è "mio fratello"? Ma anche se si accettasse il
concetto di fratellanza, le sue implicazioni sarebbero tutte da
verificare, perché la fratellanza biblica comprende una buona dose di
conflittualità. Hoshea aggiungeva un'ulteriore considerazione, non solo
il passaggio dalla fratellanza al popolo, ma anche l'idea del "mio
popolo", nel senso di popolo scelto e sempre caro al Signore, malgrado
tutte le turbolenze del suo comportamento. In questa prospettiva le
discussioni di questi giorni ci hanno riportato molto indietro, ma
bisogna avere in mente una prospettiva molto più avanti.
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Anna
Foa,
storica
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Non è certo strano che
l'arresto di Mladic, il boia di Srebrenica, ci riporti
immagini e confronti con la Shoah. Parliamo di un vero
e proprio atto di genocidio, non di una violenza per
quanto immane e terribile. Parliano del Male, quindi. Ma di
che Male? Come ci appare questo generale che si credeva
onnipotente e pensava di poter a suo piacere dispensare la
vita e la morte? Mladic ha lasciato, ce lo racconta
Rumiz su Repubblica di ieri, una
precisa contabilità del prezzo delle armi e del
numero dei missili e delle granate ordinate. Quattromila
pagine di appunti, note di riunioni e incontri,
di operazioni militari, aree conquistate. Il
numero preciso dei morti e dei feriti. Tutto là,
una fonte preziosissima per il processo, in
taccuini scritti in un cirillico infantile, tutto
annotato minuziosamente. Appunti da ragioniere pignolo.
Vi ricorda qualcosa? Nel suo commento nello stesso
numero di Repubblica, Adriano Sofri ci parla, senza
nominarla, di "banalità del male", come ha fatto
Hannah Arendt a proposito di Eichmann. Mentre su queste
pagine, Bidussa sottolineava ieri
l'indifferenza degli
spettatori, la nostra. Come settant'anni fa. Il confronto
stavolta si impone, perché i genocidi, pur nella
loro diversità, hanno una sostanziale natura
comune, che appare allo sguardo con evidenza. Come con
il genocidio armeno, come con quello del
Ruanda, possiamo con Srebrenica mettere a confronto
le nostre analisi, condividere le nostre
emozioni. E, per cominciare, rallegrarci dell'arresto di
un boia, e della giustizia che lo
attende.
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Qui
Torino - Guido Fubini, maestro di laicità
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Come scrive Anna Segre
su l'Unione informa di venerdì 27 maggio, per ricordare Guido Fubini
rendendo giustizia alla sua poliedrica personalità, occorrerebbero tre,
quattro, dieci convegni. Ieri ha avuto luogo il primo: la Comunità
ebraica di Torino ha infatti dedicato una giornata di studi al
giurista, scrittore, antifascista resistente scomparso nel 2010. I
lavori hanno visto alternarsi al tavolo degli oratori Franco Segre,
Anselmo Calò, Dario Tedeschi, Stefania Dazzetti, Marco Brunazzi, David
Meghnagi, Antonio Caputo, Gastone Cottino, Tullio Levi, Alberto
Cavaglion, Stefano Levi Della Torre e Gustavo Zagrebelsky. Studiosi,
amici e compagni che hanno voluto ricordare una figura di riferimento
per gli ebrei italiani e per la società tutta. Una figura emblematica
per impegno nei tavoli della politica, della giurisprudenza e
dell'ebraismo in ricordo della quale è stato recentemente bandito un
concorso a premio annuale destinato a tesi di dottorato inedite e
dedicate ad alcuni temi che furono al centro dell'interesse di Fubini.
“Guido
aveva una visione pattizia dei rapporti sociali – spiega lo storico
Marco Brunazzi nel suo intervento riguardo all’impegno politico di
Fubini – ma non era una fredda concezione contrattualistica. Secondo
lui il patto era la migliore soluzione per tutelare i nostri diritti. A
questa concezione, affiancava l’amore per la giustizia .Questa, in
estrema sintesi, la sua biografia politica”.
Il tema del patto
ricorre anche nell'intervento del presidente del Gruppo di Studi
ebraici Franco Segre, incentrato sul binomio ebraismo-laicità,elemento
chiave della riflessione di Fubini: “Il rapporto fra uomo e Dio è un
antagonismo contrattuale, è una lotta continua suggellata da un
accordo”.
La lotta quotidiana di Guido Fubini era a favore della
parità di diritti: dall’Intesa allo Statuto dell’UCEI alla tutela dei
diritti delle minoranze e della libertà religiosa. “Guido è stato uno
dei primi a invocare un nuovo accordo fra Stato e le istituzioni
ebraiche italiane – spiega l’avvocato Dario Tedeschi, intervenendo sul
ruolo del giurista torinese nell’Intesa del 1989 fra governo e Unione –
si batté per l’autonomia negoziale dell’UCEI e considerò l’Intesa come
un accordo in cui agli ebrei si riconosceva il diritto di essere uguali
ma anche di essere se stessi”.
“Ispirandosi a Ruffini, era un
sostenitore del diritto alla diseguaglianza – afferma la studiosa
Stefania Dazzetti – e credeva nel principio “a ciascuno il suo” e non
“a ciascuno lo stesso”. Non amava la passività e premeva perché
l’ebraismo italiano si impegnasse per la piena attuazione dell’articolo
8 della Costituzione (sull’uguaglianza religiosa) e perché si
autoregolamentasse. Voleva una comunità aperta e plurale”.
Un uomo
attento ai problemi istituzionali, alle questioni normative, non privo
di una spiccata sensibilità culturale. Ne fu un esempio la sua guida
alla Rassegna mensile d’Israel. “Guido scrisse nel suo primo editoriale
sulla Rassegna – ricorda il consigliere UCEI Anselmo Calò – che la
scommessa della rivista, la sua scommessa, era di dimostrare che era
possibile produrre cultura ebraica. Fubini salvò la Rassegna e vi diede
un nuovo impulso, trattando argomenti nuovi come il rapporto fra
ebraismo e Mediterraneo raccontando l’universo sefardita”. Anche David
Meghnagi ricorda l'esperienza di Fubini alla Rassegna, il suo tentativo
– riuscito – di “favorire un dibattito aperto e privo di ambiguità”.
Alberto
Cavaglion sceglie di parlare del Fubini scrittore, “esponente di una
lunga tradizione di giuristi nella storia della letteratura italiana”.
La sua penna ironica e raffinata veicolava il suo messaggio, raccontava
un ebraismo laico e impegnato. “Fu tra i primi a dare una lettura
antifascista del seder di Pesach, a sottolinearne il potenziale
libertario, e questo ben prima delle leggi razziste del 1938”.
L'ironia, di cui Fubini fu preclaro maestro, “è – secondo Stefano Levi
Della Torre – categoria etica e conoscitiva, essenzialmente
antifondamentalista: l'attitudine eminentemente laica con cui Guido
approcciava qualsivoglia questione”. La laicità, cifra dell'impegno e
dell'esistenza di Fubini, è tema del dialogo socratico con cui Levi
Della Torre e Gustavo Zagrebelsky chiudono la giornata. Il primo
ricorda “il rapporto intelligente di Guido con la tradizione,
rispettoso ma non supino, profondamente responsabile”. Il secondo
illustra la dialettica diritti individuali-diritti collettivi, oggetto
di attenti studi da parte di Guido Fubini.
Spetta al collega e
amico di Fubini Gastone Cottino tirare le somme della giornata: “Oggi
abbiamo recuperato una fetta di memoria e riflettuto sulle ragioni del
nostro essere cittadini e democratici. Permettetemi di concludere con
un sogno, una fantasia che condividevo con Guido: ascoltare presto un
concerto dell'orchestra israelopalestinese diretta da Daniel Barenboim”.
Manuel
Disegni e Daniel Reichel
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G8: Il
Canada di Stephen Harper vicino a Gerusalemme
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“Il
Canada è un vero amico di Israele e comprende che le frontiere del ’67
sono incompatibili con le nostre esigenze di sicurezza”. Questo le
parole di elogio usate nelle scorse ore dal ministro degli Esteri di
Israele Avigdor Lieberman nei confronti del premier canadese Stephen
Harper. Alla base dell’apprezzamento di Lieberman il fondamentale
intervento di Harper al vertice G8 da poco conclusosi a Deauville.
Grazie al leader anglosassone è stato infatti evitato qualsiasi
riferimento esplicito ai confini del 1967 quale soluzione del conflitto
israelo-palestinese nell’appello di pacificazione redatto dai grandi
della politica internazionale durante il recente vertice in terra
francese. Harper stesso, prima della sua partenza da Ottawa per i
lavori del G8, aveva dichiarato che il Canada non avrebbe aderito a
richieste che palesassero questo riferimento anche se si fosse trovato
nella condizione di essere l'unico ad opporsi a tale formulazione.
Lieberman e Harper si sono incontrati e hanno condiviso una visione
politica di grande affinità sul Medio Oriente. In particolare sulle
insidie che si presentano oggi all’orizzonte di Israele con l’avvenuta
riconciliazione tra Hamas e Fatah. Il ministro israeliano ha poi
invitato Harper a Gerusalemme per un incontro diplomatico ufficiale tra
le rappresentanze dei due paesi.
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Qui Roma
- I nuovi scenari del Medio Oriente
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Il recente accordo di
riconciliazione tra Fatah e Hamas, la dichiarazione unilaterale dello
Stato palestinese, la minaccia di una terza intifada all’orizzonte.
Quali scenari e quali sfide per il Medio Oriente alla luce degli ultimi
sviluppi nel complesso processo di pace israelo-palestinese? A parlarne
questa mattina nella Sala delle Colonne della Camera dei Deputati
autorevoli ospiti in rappresentanza del mondo delle istituzioni,
dell’attivismo politico e della cultura con il coordinamento del
vicepresidente della Commissione Affari Esteri e Comunitari della
Camera Fiamma Nirenstein. Alla tavola rotonda, emblematicamente
intitolata Medio Oriente nuovi scenari, sono intervenuti i senatori
Luigi Compagna e Umberto Ranieri, il segretario generale del World
Jewish Congress Dan Diker e il direttore del Palestinian Human Rights
Monitor Group Bassam Eid. Tra i tanti applausi speciali proprio per
quest’ultimo, attivista da sempre impegnato nella tutela dei diritti
umani e nella promozione di una Palestina pluralistica e democratica.
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La frontiera di
Israele
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All’indomani dell’uscita
dall’Egitto le tribù di Israele si dividono la terra promessa, ad
esclusione della tribù di Levi che viene sostentata dalle altre e abita
solo in alcune città chiamate città-rifugio. Il che vuol dire non solo
che la terra promessa non può essere totalmente divisa. Di più: quando
il popolo ebraico si insedia, preserva in sé, attraverso i leviti, la
condizione dello straniero, mantiene quel principio di estraneità che
impronta tutte le sue strutture politiche, economiche, religiose. Ai
leviti spetta infatti la responsabilità dell’Arca dell’Alleanza e
dunque della «tenda della radunanza» in cui dimora la Shekhinà, quella
Presenza che non può mai essere presente e, rinviando a una Assenza,
impedisce il radicamento e ingiunge ogni volta il congedo.
Il popolo ebraico non è il prodotto della terra, del territorio.
Altrimenti finirebbe per sacralizzare la terra, per instaurare un
rapporto idolatrico in vista di un radicamento, una fusione, una
identificazione. La terra promessa per l’ebreo non è «sacra», ma è
«santa». Il suo rapporto è retto da una esteriorità, da una estraneità,
da una separazione. La terra è santificata, perché il popolo ebraico se
ne separa. La abita in modo diverso dal consueto, normale abitare degli
altri popoli; risiede come uno straniero, un ospite. E mettendo in
questione il proprio e la proprietà, chiede una volta per tutte diritto
di cittadinanza per l’estraneità. È questa, per la Torà, la condizione
per la permanenza nella Terra promessa.
Israele rimane nella mondializzazione un resto inassimilabile che
irrita la sovrana autocoscienza delle nazioni stabilmente insediate
nella terra. Nella sua estraneità Israele resta a testimoniare la
necessità di un oltre della storia, la fedeltà alla sua attesa
messianica, l’impellenza del ritorno a Sion.
Ben più di ogni altro confine, è questo il bordo che Israele deve
preservare. La Terra «di Colui che è Santo» appare più che mai una
frontiera lungo la quale, grazie a Israele, può dischiudersi l’avvenire
di un nuovo ordine del mondo. È questa responsabilità della sua
elezione che attende Israele sull’ultima trincea della terra data per
promessa.
Donatella
Di Cesare, filosofa
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Dibattito aperto |
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A proposito delle polemiche e
degli episodi avvenuti nell’ambito della
Comunità ebraica di Roma, sono molti i contributi pervenuti in
redazione. Esponenti ebraici italiani, opinion leader o
semplici lettori di cui vi proproniamo una rassegna ampia nella sezione
dossier del Portale dell’ebraismo italiano, che ospita tra gli altri
gli
interventi di Giorgio Gomel, Gheula Canarutto Nemni, Tobia Zevi,
Francesco Lucrezi, Il Tizio della Sera, Donatella Di Cesare, Ugo Volli,
Sergio Della Pergola, Anna Foa, Renzo Gattegna, Mino Di Porto, Gad
Lerner, Victor Magiar, Fiamma Nirenstein, Riccardo Pacifici,
Paolo Brogi, Francesca Nurnberg, Daniel Funaro, Sandro Natan Di Castro,
I ragazzi di Havi’u et Hayom, Moni Ovadia, Giorgio Israel, Sharon Nizza, Gadi Luzzatto
Voghera, Roberto Jarach, Fabio Della Pergola, Gavriel Segre e Giuseppe
Damascelli.
clicca qui per leggere il dossier
sul Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it
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notizie
flash |
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rassegna
stampa |
Roma
si candida alle Olimpiadi 2020
con il supporto di Israele
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Leggi la rassegna |
Roma si candida a ospitare
le Olimpiadi del 2020 e al fine di progettare al meglio la propria
candidatura si avvale di un collaboratore d'eccezione: Israele. Tra i
vari motivi che hanno spinto il sindaco della Capitale Gianni Alemanno
a far visita in questi giorni a Tel Aviv - visita organizzata grazie
alla fondamentale intermediazione del consigliere Ucei Vittorio
Pavoncello - c'era infatti l'obiettivo di raccogliere esperienze utili
prima di inviare in via ufficiale la documentazione al Comitato
Olimpico. Alemanno si è incontrato a lungo con i responsabili mondiali
del Maccabi ricordando la straordinaria esperienza delle Maccabiadi
svoltesi a Roma nel 2007. “Le Maccabiadi sono il terzo evento sportivo
al mondo. Questo confronto è stato un'occasione per qualificare Roma
come città internazionale dello sport, premessa essenziale per la
nostra candidatura olimpica”, ha affermato il primo cittadino di Roma.
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è il giornale dell'ebraismo
italiano |
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Dafdaf
è il giornale ebraico per bambini |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
che fossero interessati a offrire un
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