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21 giugno 2011 - 19 Sivan 5771
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l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
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Roberto Della Rocca
Roberto
Della Rocca,
rabbino

Sono varie e molteplici le interpretazioni che cercano di capire in profondità le remore che 10 dei 12 esploratori hanno avuto nei confronti dell’insediamento nella Terra promessa. Ad accentuare lo stupore del loro rifiuto è il fatto che gli esploratori non erano persone qualunque; erano i rappresentanti del popolo. Per Rashì erano Tzaddikìm Qualcuno spiega che avrebbero avuto riserve di tipo etico-politico: che diritto abbiamo noi su questa terra? Questa terra è già abitata! Anteponendo così una questione morale e un presunto diritto storico a un disegno divino. I non simpatizzanti degli esploratori sostengono invece che non avrebbero voluto perdere il loro “status” di notabili. In Israele sarebbero stati considerati alla stregua di tutti gli altri, semplici ebrei comuni. Altri ancora, invece, giustificano il clamoroso rifiuto attribuendo agli esploratori valutazioni del tipo: “Chi ce lo fa fare di andare in Israele! Ci alimentiamo con la manna che viene tutti i giorni direttamente dal Cielo, possiamo occuparci di Torah e del suo studio senza lavorare! Viviamo perennemente sotto la nuvola protettiva dell’Eterno! Perché dovremmo rinunciare a tutto ciò per iniziare una vita dura e piena di incognite?". Ancora oggi, a distanza di secoli, le riserve e le divergenze ideologiche che caratterizzano i nostri diversi modi di porci rispetto alla questione di Eretz Israel non sono forse riconducibili a queste interpretazioni?
Dario
 Calimani,
 anglista


Dario Calimani
 

“A volte si ha voglia di una pausa dall’ebraismo”. (Howard Jacobson, L’enigma di Finkler) 
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davar
Italia Ebraica - Beppe Segre (Anavim) presidente a Torino
Si completa la mappa dei nuovi governi comunitari
Italia EbraicaSettimane di cambi al vertice, di nuovi impegni e nuove sfide per l'ebraismo italiano. Il mese di giugno ha infatti rappresentato uno snodo fondamentale per cinque delle 21 realtà ebraiche italiane con quattro di esse chiamate a rinnovare i rispettivi consigli comunitari (in ordine di tempo Livorno, Torino, Padova e Pisa) e con una - Trieste - che ha registrato un cambio di timone certificato in sede consiliare (Alessandro Salonichio presidente al posto di Andrea Mariani) a seguito della nomina del consigliere UCEI Mariani all’assessorato alla Cultura del Comune di Trieste da parte del nuovo sindaco Roberto Cosolini. Sono tutte situazioni, alcune molto fluide, altre in fase di stallo in attesa della definizione delle varie attribuzioni consiliari, sulle quali troverete alcuni approfondimenti nelle pagine di Italia Ebraica, fascicolo dedicato alle 19 Comunità medie e piccole dell'ebraismo italiano contenuto nel numero di Pagine Ebraiche attualmente in distribuzione.
La novità più importante delle ultime ore arriva da Torino dove, nel corso della prima riunione di Consiglio, è stata definita la figura del presidente e la composizione della nuova Giunta. A presiedere l’ente è stato nominato Beppe Segre della formazione Anavim con i compagni di lista Emanuel Segre Amar e David Sorani alla vicepresidenza. In Giunta anche Andrea Levi (Anavim) e Edoardo Segre (Comunitattiva). La consultazione elettorale svoltasi a Torino il 12 giugno aveva decretato la vittoria della formazione Anavim nei confronti di Comunitattiva con otto consiglieri a cinque per la nuova forza di maggioranza. Anavim ha portato in Consiglio Beppe Segre, Emanuel Segre Amar, David Sorani, Andrea Levi, Giacomo Emilio Ottolenghi, Giulio Tedeschi, Franca Mortara Nizza e Marco Morello. Comunitattiva sarà invece rappresentata da Edoardo Segre, Ernesto Ovazza, Sarah Kaminski, Lidia Krieger e Alda Guastalla.
Beppe SegreQueste le prime dichiarazioni a caldo rilasciate a "l'Unione informa" dal presidente Beppe Segre: “Sono molte le sfide che il nuovo Consiglio sarà chiamato ad affrontare nel corso del suo mandato. Dalla soluzione di alcuni gravi problemi finanziari e demografici all’individuazione, assieme al rav Birnbaum, del maestro che dovrà guidare la Comunità in futuro. La responsabilità che il Consiglio eletto va ad assumersi è enorme. Si rendono quindi necessarie la collaborazione e l’intelligenza di tutti gli iscritti per ragionare assieme sulle strategie da intraprendere così da superare le difficoltà e lavorare al bene comune. Sono ottimista perché la Comunità ebraica di Torino è una realtà vivace, propositiva e ricca di cultura con molte persone coinvolte nel volontariato e nell’associazionismo”.
“Riunire e ricucire le varie componenti della Comunità non deve essere uno slogan ma l’impegno di tutti. Il Consiglio si muoverà in questa direzione per sdrammatizzare e chiudere le tensioni aperte. Dobbiamo lavorare uniti e coesi nel rispetto dei vari punti di vista democraticamente espressi. Il fine ultimo deve essere la Comunità”.
Primo importante appuntamento ufficiale assunto dal nuovo direttivo, prosecuzione di un impegno già avviato dal precedente Consiglio, sarà la manifestazione organizzata in collaborazione da Comunità ebraica e Comune per la notte del 25 giugno quando le luci della Mole Antonelliana si spegneranno per chiedere la liberazione di Gilad Shalit nel giorno del quinto anniversario del suo rapimento.
Guardando al resto dell’Italia ebraica la situazione aggiornata a questa mattina vede Livorno con gli equilibri del nuovo direttivo non ancora chiaramente definiti. Lo scenario emerso dagli scrutini ha sancito la vittoria nei consensi del presidente uscente Samuel Zarrough, alle spalle del quale si è posizionato un terzetto molto ravvicinato composto da Vittorio Mosseri, Gianfranco Giachetti e da Gadi Polacco. Chiamati infine a completare la squadra di governo Silvia Ottolenghi Bedarida e David Novelli. Le Comunità ebraiche di Padova e Pisa sono andate al voto domenica scorsa. Come anticipato ieri su queste pagine Padova ha attribuito il maggior numero di preferenze al presidente uscente Davide Romanin Jacur che molto negli scorsi mesi ha lavorato al collegamento tra le piccole comunità dell’ebraismo italiano. Sono stati inoltre eletti Gianni Parenzo e Gina Cavalieri. Anche nella realtà ebraica pisana il più votato è risultato il leader dell’ultimo quadriennio: il commerciante in pensione Guido Cava, a cui è stata affidata oggi la presidenza. In Consiglio assieme a lui siederanno i vicepresidenti Anna Gottfried e Joseph Sananes.

Qui Roma - "Costruiamo assieme il Museo della Shoah"
pubblicoGrandi emozioni ieri sera al Palazzo della Cultura nel cuore del Ghetto di Roma per la serata Un volto alla nostra Memoria - Costruiamo insieme il Museo della Shoah. Serata nella quale, sotto il coordinamento del direttore scientifico Marcello Pezzetti, la Fondazione del Museo della Shoah che avrà presto sede nella Capitale ha chiamato a raccolta gli ebrei capitolini per rilanciare il progetto di un museo della Memoria da arricchire nei contenuti grazie all’aiuto delle singole famiglie romane, spesso depositarie di uno straordinario patrimonio documentale in grado di raccontare gli orrori delle persecuzioni e della Shoah in modo drammaticamente efficace. Alla presenza di alcuni sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti, seduti in prima fila e visibilmente emozionati, Pezzetti ha presentato i giovani componenti del suo staff e illustrato, attraverso la proiezione di immagini, video, testimonianze e interviste realizzate assieme ad alcuni testimoni di quegli anni, la filosofia e l’idea di museo al quale sta lavorando. Un museo che, ha sottolineato, “sarà possibile realizzare anche e soprattutto grazie al vostro contributo”. Centinaia le persone affluite al Palazzo della Cultura ieri sera per raccogliere il suo invito e quello del presidente del Museo della Shoah Leone Paserman a collaborare. “Un volto alla nostra Memoria” recita lo slogan dell’iniziativa. Molti in queste settimane contribuiranno a darlo.

Qui Parigi - JCall di fronte al nuovo Medio Oriente
logo JcallCome sta cambiando il Medio Oriente in seguito alle rivolte che hanno scosso in questa primavera un mondo arabo che sembrava immobile? Israele può mantenere lo status quo mentre tutto il resto intorno sta cambiando? Quali opportunità si aprono? Quale situazione si prospetta nel caso di una dichiarazione di indipendenza palestinese? E quale può essere in questo contesto il ruolo di un’Europa che ancora sta faticando ad esistere politicamente? Queste, e molte altre domande, sono state poste e discusse domenica 19 giugno a Parigi nel primo incontro europeo di JCall. Qualche centinaio i presenti, francesi, tedeschi, belgi, olandesi, svizzeri; una decina gli italiani, con netta prevalenza di torinesi.
Sono già 7932 in tutta Europa, di cui 367 in Italia, i firmatari dell’”Appello alla ragione”, basato sul principio della convivenza in pace e in sicurezza di due popoli in due stati. JCall non è, però, una semplice raccolta di firme, ma nasce con l’intento di creare un’organizzazione ampia, capace di agire politicamente, di stabilire contatti tra le diverse realtà europee che finora avevano operato quasi sempre ciascuna per conto proprio. “Un movimento che si ponga al di sopra delle differenze di parte e di ideologia e che abbia come ambizione la sopravvivenza di Israele in quanto stato ebraico e democratico, sopravvivenza strettamente legata alla creazione di uno stato palestinese sovrano e autosufficiente”.
Nel corso della mattinata i presenti si sono divisi tra tre tavole rotonde: “Il conflitto israelo-palestinese nel tempo nelle rivolte arabe”, “Come reagire alla delegittimazione di Israele”, “La società civile israeliana di fronte all’occupazione” (quest’ultima moderata da David Calef, coordinatore di JCall Italia). Nel pomeriggio, la tavola rotonda sulla posizione dell’Europa di fronte al conflitto, con la partecipazione di Elie Barnavi, storico ed ex ambasciatore israeliano in Francia, del parlamentare laburista inglese ed ex ministro per gli affari europei Denis Mac Shine, del socialista francese Jean Marie Le Guen e di Gad Lerner, che ha sottolineato come le rivolte arabe, che trasmettono il senso di un cambiamento possibile in un contesto che pareva immutabile, possano essere viste come un’opportunità.
Tra dubbi, provocazioni, testimonianze da Israele, spunti di riflessione che inducono in alcuni casi all’ottimismo e in altri al pessimismo, l’incontro di JCall ha offerto comunque la preziosa opportunità di un confronto tra ebrei provenienti da più parti d’Europa, diversi tra loro per storie e sensibilità ma uniti nel principio “Per Israele, per la pace”.

Anna Segre
 

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pilpul
La lingua della Giustizia
Tobia ZeviIntervenendo all’inaugurazione a Bergamo della Scuola superiore della Magistratura, Umberto Bossi ha dichiarato testualmente: «Io mi sento più sicuro se vado a farmi giudicare da un magistrato che capisce il mio dialetto». L’aspetto più preoccupante è forse che questa frase, pronunciata da un ministro, sia passata sostanzialmente inosservata, travolta dalle polemiche politiche.
Questo concetto è radicalmente sbagliato per vari motivi. Sul piano politico, perché tende a marcare la divisione geografica del paese; sul piano culturale, perché sostiene che le specificità locali vadano contrapposte e non integrate; sul piano economico, perché i paesi che crescono riescono a inserire non solo i cittadini di altre regioni, ma persino immigrati da altri paesi (non oso immaginare come si sentirebbe Bossi con un magistrato nato, che so?, in Senegal…); sul piano linguistico, perché non ha senso parlare di dialetti di ambiti territoriali ampi (la Padania): le parlate italiane variano da paese a paese, da contrada a contrada, e il dialetto non va sterilmente contrapposto alla lingua nazionale.
C’è una frase bellissima che mi è venuta in mente leggendo questa dichiarazione: «L’uomo che trova dolce la sua patria non è che un tenero principiante; colui per il quale ogni terra è come la propria è già un uomo forte; ma solo è perfetto colui che si sente straniero in ogni luogo» (Ugo da San Vittore).
In ogni caso, mi convinco sempre di più che il linguaggio pubblico non sia solamente un termometro di civiltà, ma proprio il cuore del problema. Per questa ragione va salutata con soddisfazione la nuova edizione aggiornata -  in libreria da qualche giorno - di «Lti - La lingua del Terzo Reich» (Giuntina) del filologo Victor Klemperer: un libro straordinario che riassume la notazioni linguistiche dello studioso ebreo nel corso dei dodici anni di nazismo. Approfondire il peggiore stupro linguistico della storia ci salverà?

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas 


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notizie flash   rassegna stampa
Perplessità in Israele
sull'energia offshore
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Israele. “Basare il mercato energetico del futuro sui giacimenti israeliani offshore scoperti di recente creerebbe un problema di sicurezza”, questo l'allarme lanciato da una decina di esperti in materia di sicurezza nazionale. Gli analisti, in gran parte ex funzionari governativi o ex militari, hanno indirizzato una lettera di critica al governo di Benjamin Netanyhau: «Noi, riservisti e funzionari di difesa, siamo molto preoccupati dai recenti dibattiti sulla natura del mercato energetico israeliano del futuro». Utilizzare quasi solo un tipo di carburante, aggiungono gli esperti, «è una decisione pericolosa, sia per la sicurezza nazionale che per il potere di deterrenza dello Stato ebraico. Se una piattaforma petrolifera o le sue infrastrutture - ovvero, centinaia di chilometri di gasdotti sottomarini vulnerabili - fossero compromesse da un attacco, il Paese sarebbe paralizzato».
 

Mancano oggi (si può dire per fortuna? - notizie vere e proprie su Israele e il mondo ebraico italiano. Vale la pena dunque di leggere qualche analisi. Per esempio quella di Daniel Schwammenthal sul Wall Street Journal, riguardo al “pasticcio” che gli europei rischiano di combinare appoggiando la rivendicazione di sovranità senza trattative dell’Autorità Palestinese all’Onu a settembre, rischiando di provocare con ciò un’esplosione di violenza e il blocco definitivo delle trattative. Sempre sul Wall Street Journal, molto brillante e giusto un’opinione di Warren Kozak in cui si chiede che cosa sarebbe accaduto “se gli ebrei avessero seguito la strada palestinese”, facendo i rifugiati per generazioni e chiedendo un diritto del ritorno in Polonia e Germania invece di rimboccarsi le maniche e costruire uno stato con un’economia fiorente...»
Ugo Volli

























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