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27 giugno 2011 - 25 Sivan 5771
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Riccardo Di Segni Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma

In questi ultimi giorni abbiamo rischiato una crisi di cui francamente non sentivamo alcun bisogno. Alcuni passaggi di un discorso dell'ambasciatore d'Israele presso la Santa Sede, in occasione della consegna della medaglia del Giusto alla memoria di un sacerdote cattolico, hanno proposto un'interpretazione molto apologetica del ruolo del Vaticano il 16 ottobre del 1943. Lo stesso ambasciatore si è poi affrettato - ammirevolmente - a ridimensionare la portata delle sue affermazioni (che ha definito personali e premature) ma subito qualcuno ne ha fatto buon uso e non è improbabile che la cosa verrà ripresa e sfruttata in seguito. La crisi che si è delineata è tra Stato d'Israele e Comunità della Diaspora, perché la Diaspora talvolta rischia di rimanere sola mentre difende certi valori e certe memorie. La crisi sembra rientrata, lo Stato d'Israele non c'entra, ma il messaggio deve essere chiaro, con tutta la solidarietà  e la fratellanza indiscussa: esistono anche per noi valori irrinunciabili.  
Anna
Foa,
 storica

   
Anna Foa
Allora, sembra che mi debba proprio scusare con i miei lettori: la notizia del cane condannato alla lapidazione da una corte rabbinica di Meah Shearim era una bufala. Almeno, il rabbinato ha decisamente smentito e il Ma'ariv, che aveva riportato la notizia, l'ha smentita (dietro la minaccia di un processo per diffamazione, bisogna aggiungere). A riportare per primo la notizia della lapidazione era stato lo Yediot Ahronot, seguito da un sito haredi in ebraico, il BHadrei Haredim, che l'aveva ripresa. Solo successivamente, l'avevano ripresa il Ma'ariv e i media occidentali. Per essere un falso, era ben confezionato, tanto che lo Yediot pubblicava anche un'intervista, evidentemente anch'essa inventata di sana pianta con il vicerabbino della corte incriminata, dove si confermava la notizia. La bufala, una volta tanto, non era confezionata dai soliti siti antisemiti, ma dai giornali israeliani e insieme da un sito haredi. Che dire? solo che ci scusiamo per averla presa per vera e che ci rallegriamo molto che il cane sia vivo e ancor più che a Meah Shearim non si condannino i cani alla lapidazione. Almeno questo!.  

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davar
Pio XII - L'ambasciatore Lewy chiarisce il suo pensiero
PIO XIIAmpio spazio oggi sui principali quotidiani israeliani a proposito delle dichiarazioni rilasciate da Mordechay Lewy, ambasciatore di Israele presso la Santa Sede che al termine della scorsa settimana, in occasione della cerimonia di attribuzione del titolo di Giusto tra le Nazioni a Don Piccinini, riferendosi alle persecuzioni antiebraiche in Italia e al coinvolgimento della Chiesa nelle operazioni di salvataggio degli stessi ebrei, aveva affermato che Pio XII e la Santa Sede “hanno prestato aiuto agli ebrei ogni volta che hanno potuto”. Parole decise, seguite da altre affermazioni concilianti verso l'operato del papa durante il nazifascismo, che hanno suscitato reazioni molto forti da parte di associazioni ebraiche che da tempo si battono contro interpretazioni storiche assolutorie su Pio XII e i suoi “silenzi”. Un tema delicatissimo per tutto l'ebraismo italiano che stato sollevato anche in occasione della recente visita di Benedetto XVI alla sinagoga di Roma. Dopo giorni di polemiche, riprese con ampio spazio dai media israeliani, l'ambasciatore Lewy ha deciso di chiarire il suo pensiero, dichiarando quanto segue: “Considerato che il fatto di cui ho parlato è ancora oggetto della ricerca storica attuale e di quella futura, il mio personale giudizio storico sulla vicenda era prematuro''. Ma il rischio di strumentalizzazioni, specie alla luce del percorso di beatificazione di Pacelli più volte paventato dalla Chiesa, resta lo stesso molto forte come ha sottolineato tra gli altri il direttore del Simon Wiesenthal Center di Gerusalemme Efraim Zuroff sul Jerusalem Post: “Il suo intervento è stato inopportuno e storicamente sbagliato” ha commentato Zuroff. Polemiche sono arrivate anche da rappresentanze di vittime della furia nazifascista. “I sopravvissuti alla Shoah sono delusi e turbati da commenti storicamente insostenibili dell'ambasciatore Lewy. Per qualsiasi ambasciatore fare tali commenti è moralmente sbagliato'' si legge in comunicato diffuso dal vicepresidente dell'Associazione dei sopravvissuti alla Shoah e dei loro discendenti Elan Steinberg. Che a farlo sia stato poi un rappresentante diplomatico dello Stato d'Israele è ritenuto da Steinberg “un fatto particolarmente dannoso”. Tra i passaggi ritenuti più controversi nel discorso di Lewy, pubblicato dall'Osservatore Romano sabato 25 giugno, quello in cui si dice che a partire dal rastrellamento del ghetto di Roma del 16 ottobre del 1943 e nei giorni successivi “monasteri e orfanotrofi, tenuti da ordini religiosi, hanno aperto le porte agli ebrei e abbiamo motivo di pensare che ciò avvenisse sotto la supervisione dei più alti vertici del Vaticano che erano quindi informati di questi gesti”. Una versione che striderebbe con la convinzione diffusa che si sia invece trattato di atti di straordinario eroismo non sollecitati dall'alto, ma piuttosto frutto del convincimento dei singoli uomini e donne di Chiesa. “Ciò che fecero numerosi religiosi cattolici aprendo le porte ai fuggiaschi ebrei lo fecero di loro spontanea volontà senza nessuna imboccata. Non ci sarebbe stato il tempo necessario e l’ordine non venne” commenta l'ambasciatore Sergio Minerbi, considerato uno dei massimi esperti nei rapporti fra Israele e Vaticano, nell'editoriale che questo notiziario quotidiano pubblica qui di seguito.

Pio XII e la Storia
Sergio MinerbiL’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede ha espresso nei giorni scorsi a Roma un parere su Pio XII che mi sembra sprovvisto di fondamenti storici. Egli ha affermato che dal 16 ottobre 1943 monasteri e orfanotrofi hanno aperto le porte agli ebrei, e questo è indubbiamente vero. Ma ha aggiunto: “Abbiamo motivo di pensare che ciò avvenisse sotto la supervisione degli alti vertici del Vaticano”. Per quanto mi consta non esiste nessun documento che provi che gli alti vertici del Vaticano abbiano suggerito o ordinato ai monasteri di accogliere ebrei prima del 16 ottobre 1943. Ciò che fecero numerosi religiosi cattolici aprendo le porte ai fuggiaschi ebrei, lo fecero di loro spontanea volontà senza nessuna imboccata. Non ci sarebbe stato il tempo necessario e l’ordine non venne.
Lewy afferma “che quello partito il 18 ottobre 1943 fu l’unico convoglio” che i nazisti organizzarono verso Auschwitz. Così 1024 ebrei furono inviati al campo di sterminio e ne tornarono 15. Ma non fu l’unica retata, poiché dopo quella data furono arrestati e deportati un migliaio di ebrei, più di quelli catturati la prima volta.
Lewy non è nuovo a questo genere di affermazioni poiché già nel 2003 andò a Boston negli Stati Uniti per concedere un’intervista a Michael Paulson, del Boston Globee affermò: “È sbagliato dire che Pio XII non salvò ebrei”.
In pubblico Pio XII non pronunciò mai la parola ebrei né durante la guerra né dopo. Si era sostenuto da parte cattolica che egli non fosse al corrente delle persecuzioni naziste contro gli ebrei. Ma fu provato che questo non era vero. Egli ricevette per esempio nel giugno 1940 il funzionario Vincenzo Soro, già addetto all’ambasciata italiana a Varsavia, che gli raccontò di aver visto una decina di ebrei uccisi con un colpo alla nuca, sulla neve in un giardino di Varsavia. Il cappellano Scavizzi, che accompagnava i treni-ospedale verso il fronte russo incontrò personalmente Pio XII nel 1941-42 e gli scrisse quattro lettere con dettagli precisi sull’uccisione di due milioni di ebrei in Ucraina. All’inizio del 1943 il vescovo di Berlino, von Preysing, scrisse a Pio XII per invocare il suo intervento e salvare gli ebrei, ma invano. A Roma dopo l’8 settembre 1943, la preoccupazione maggiore del Segretario di Stato Maglione fu quella di salvare Roma dai comunisti. Di questo parlò Pio XII con il rappresentante britannico Osborne, e con il rappresentante americano Tittman nell’ottobre 1943. In Ungheria Pio XII inviò un messaggio a Horty il 25 giugno 1944, ma ormai era troppo tardi.
Il portavoce del ministero degli Esteri israeliano, Igael Palmor, ha detto: “La posizione prevalente da noi e nel mondo ebraico è che Pio XII mantenne il silenzio quando invece avrebbe dovuto alzare la voce”. Lewy è stato poi costretto a smentire se stesso affermando che le sue parole “ Facevano parte di uno sfondo storico più vasto, ma tenendo conto del fatto che questo sfondo storico è tuttora oggetto di ricerche, era troppo presto per formulare una posizione storica personale”. No, signor Ambasciatore, lei non può esprimere alcuna posizione storica personale, ma solo quella sostenuta dal suo governo.

Sergio Minerbi 

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pilpul
Stay human?
Donatella Di CesareSi appresta a salpare una nuova «flottiglia». La precede e la prepara uno slogan superficialmente condivisibile, ma a ben guardare ignobile, torvo, minaccioso: «stay human»! Restare umani è uno slogan che ha cominciato a circolare nelle ultime settimane e che compendia un rifiuto, una smentita, una negazione di Israele. Perciò ha quasi un amaro sapore negazionista.
Lo Stato di Israele costituisce per la maggior parte degli ebrei del mondo la chiave di volta della loro sicurezza, il rifugio in caso di nuovi pericoli, il recupero di una dignità che agli occhi degli altri e ai propri non avevano più. Ma rappresenta anche il riscatto dell’umanità, dopo essere passati per la degradazione assoluta dell’umano, dopo aver subito la conditio inhumana dell’anti-mondo. Chi avrebbe mai potuto prepararli a subire, dopo il ritorno dall’anti-mondo al mondo, già di per sé al limite del possibile, il marchio dell’illegittimità, la sottrazione dell’umano che passa subdolamente nelle parole di chi si spaccia per attivista dei diritti umani?
L’umanità dell’altro uomo è il patrimonio del pensiero ebraico, il lascito per una politica, un’etica, un’economia per il tempo globale. Ma chi cancella previamente l’umanità altrui è già dalla parte della violenza e della sopraffazione, prima ancora di salpare.

Donatella Di Cesare, filosofa

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notizie flash   rassegna stampa
Israele, esercito: Orna Barbivai,
prima donna generale al comando
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Orna BarbivaiPer la prima volta, nella storia dell'esercito israeliano, una donna generale è stata nominata al vertice di un dipartimento dello Stato maggiore. Ha 49 anni e si chiama Orna Barbivai. Il suo grado è appena al di sotto di quello di maggiore generale, che però spetta solo al capo di Stato maggiore. Il generale Barbivai guiderà il Direttorato delle risorse umane, un ruolo delicatissimo, da cui dipende la gestione di tutto il personale militare e la programmazione dei contingenti futuri delle armi. 
 
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