se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai  click qui

 7 luglio 2011 - 5 Tamuz 5771
linea
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
alef/tav
linea
Riccardo Di Segni
Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma


Il tema dell'isolamento di Israele è una costante della storia, che riappare in forme diverse in ogni momento. Negli ultimi tempi, soprattutto nella forma dell'isolamento politico dello Stato d'Israele. Ma è un concetto che affonda le radici nella storia biblica, dall'episodio della lotta di Yaaqov con l'angelo, in cui "Yaaqov rimase solo (levadò)" (Bereshit 32:25) alla "benedizione" di Bil'am che leggeremo questo Shabat: "ecco il popolo risederà isolato (levadad)" (Bemidbar 23:9). La domanda è: è una benedizione o il suo contrario? E' un vantaggio per Israele essere isolato? E' cosa di cui bisogna compiacersi, è un conforto, un dato di fatto o qualcosa contro cui lottare? Non c'è una risposta sola a questa domanda, ma prima di rispondere bisogna stare attenti a non fare confusione tra separazione (che è uno dei significati della qedushà) e isolamento.
Davide
Assael,
ricercatore


Davide Assael
Ma lo sport non doveva unire perché portatore di un messaggio universale capace di superare le specificità nazionali? Leggo, con piacere, che la nazionale di calcio palestinese si sta preparando per giocare la sfida con l’Afghanistan, considerata come la più importante della propria storia, anche perché valida per la qualificazione ai Mondiali che si disputeranno in Brasile nel 2014. Speravo di leggere nelle parole di giocatori e allenatori toni che si sottraessero al clima di conflitto permanente; del resto, se all’inizio delle Olimpiadi pechinesi si sono viste un’atleta russa ed una georgiana abbracciarsi sul podio perché lo stesso non può avvenire per israeliani e palestinesi? Speravo, invece si sono udite solo parole di rivendicazione nazionalistica. C’è, forse, una rabbia che non concede lo spazio per alcun riconoscimento di uguaglianza, e che non ammette che la propria condizione sia posta sullo stesso piano di quella dell’Altro. Forse, è la rabbia di Esaù da cui scappa Yaakov. Noi ebrei la conosciamo bene perché è da allora che ci perseguita… È, però, vero, che il nostro patriarca è riuscito a trovare le parole per disinnescarla. C’è da meditare anche su questo…
torna su ˄
davar
Maccabi Games - La fiamma dei giochi accende Vienna 
Sono da poco passate le dieci quando la torcia dei Giochi Europei del Maccabi fa il suo ingresso nella piazza del Municipio di Vienna. Migliaia le persone che assistono alla cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi dell’ebraismo europeo per una serata di emozioni impossibile da dimenticare. Nell’entusiasmo travolgente degli oltre 2mila atleti iscritti, la serata si declina nel segno del ricorso storico e della gioia della rinascita in una città che vide partorire il grande sogno sionista di Herzl e allo stesso tempo germogliare l’ideologia nazista. Proprio davanti al Rathaus, luogo un tempo simbolo di aberrazione politica e oggi scenario del rinnovato orgoglio ebraico austriaco ed europeo. Alla presenza delle massime autorità austriache tra cui il presidente della Repubblica Heinz Fisher, cui spetta l’onore di aprire i Giochi, il borgomastro di Vienna Michael Haupl e dello speaker della Knesset, Reuven Rivlin, sfilano gli sportivi delle 37 delegazioni. In testa Israele, poi a seguire si va in ordine alfabetico fino alla chiusura con i padroni di casa dell’Austria. Tra le compagini più rumorose e colorate il contingente azzurro, una settantina di atleti provenienti prevalentemente da Roma ma anche da altre realtà ebraiche italiane che già nel backstage della sfilata si era distinto per entusiasmo e folklore. “Facciamogli vedere chi siamo” grida uno dei ragazzi del Futsal. Neanche il tempo di un sospiro e parte il po-po-po-po-po-po-po di calcistica memoria, al quale si uniscono gli inglesi con i tamburi e il nutritissimo contingente tedesco. Il tutto in un crescendo di emozioni tra musica e parole che accompagna il pubblico fino alla mezzanotte.
Calato il sipario sulla magnifica serata al Rathaus viennese, oggi è nuovamente tempo di gare con l’esordio tra gli altri, per quanto riguarda l’Italia, del team di golf e delle ragazze del beach volley.
Parallelamente all’aspetto agonistico è proposto agli juniores anche un ricco calendario di iniziative didattiche coordinato da tre team leader tra cui la vicepresidente UCEI Claudia De Benedetti. Molti i giovanissimi che si fermano all’Israel Center posto all’ingresso dei campi sportivi del centro Hakoah. Le iniziative, un mix di educazione e divertimento, si intensificheranno gradualmente con l’avvicinarsi dello shabbat mentre per lunedì prossimo è in programma un denso tour della Vienna ebraica tra passato, presente e futuro.

Adam Smulevich

Qui Milano - Jarach: "Nella Comunità ebraica di Milano
un costante impegno alla valorizzazione di Israele"
JarachCaro Ambasciatore Gideon Meir,
desidero ringraziarla a nome della Comunità Ebraica di Milano per la scelta della nostra città come sede della manifestazione “UNEXPECTED ISRAEL”: è stato per noi ebrei milanesei, da sempre legati indissolubilmente alle sorti dello Stato di Israele, motivo di grande orgoglio vedere i totem adornati dalle bandiere bianco azzurre col maghen david svettare in Piazza Duomo. Come è stato di grande soddisfazione vedere le magnifiche immagini fotografiche in Via Dante, la Mostra sui Kibbuzim all’Urban Center e gli spettacoli teatrali di grande rilievo al Nuovo È stata una sequela di eventi che resteranno nei nostri cuori e nel ricordo di tutti noi. I frutti più signififcativi sono certo che verranno dalle centinaia di incontri bilaterali tra aziende e centri di ricerca svoltisi a Palazzo Mezzanotte, preceduti da una introduzione con la presenza dei vertici delle strutture locali, Regione Lombardia, Provincia e Comune di Milano e del rappresentante del Ministero per le attività produttive. Mi è però spiaciuto molto che Lei non abbia ritenuto di menzionare, neppure una volta, nei suoi interventi, la Comunità Ebraica locale e l’importanza che essa riveste nel tessuto sociale della città e del territorio. È un peccato che in una occasione di tale livello, non sia stato dato atto del contributo fondamentale che gli ebrei italiani, non solo milanesi, danno quotidianamente ai rapporti tra Israele ed il nostro paese. È certamente anche dall’apprezzamento che ci viene mostrato nella vita quotidiana, dal livello delle nostre istituzioni, dalle attività sociali e culturali, che nasce una stima ed un riconoscimento della realtà ebraica locale che poi apre cuori e menti alla valorizzazione di Israele e dei traguardi da esso raggiunti. Continueremo a tenere alta la nostra immagine non per presunzione, ma perché siamo convinti della sua importanza nei rapporti del nostro paese con Israele e per la continuità di un sostegno dell’Italia alla causa della pace nella sicurezza, che tutti noi auspichiamo e per la quale ci battiamo in ogni contesto. La ringrazio quindi per l’iniziativa e per la sua presenza, ma la prego di non sottovalutare ciò che gli ebrei milanesi possono fare in futuro.

Roberto Jarach Presidente della Comunità ebraica di Milano

(Bollettino della Comunità ebraica di Milano - luglio 2011)

torna su ˄
pilpul
Tutta la vita sulla Terra
Il Tizio della SeraIl Tizio legge le cronache culturali: quello scrittorone israeliano con gli  occhiali, quello che ha scritto Divorzio tardivo, che è un libro tanto bello, dai, che insegna all'università di Haifa,  con la faccia ashkenazita e il mento  a punta.
Ecco, quello lì ha scritto un nuovo romanzo che è ispirato a sua  madre, lei era ebrea del Marocco. Vedi, pensa il Tizio, ti fa vedere che le differenze arricchiscono. Yehoshua, si chiama, Abraham Yehoshua, ed è tutto allegro a ricordarselo. Quando il Tizio legge di uno scrittore israeliano, diventa allegro. Da Israele arrivano solo notizie di bombe, foto di soldati e fanno parlare solo i politici - che ne sappiamo qui cosa pensa quello che vende le ciambelline in King George a Gerusalemme e grida beghele beghele. E va bene. E così Yehoshua ha la mamma sefardita, pensa il Tizio.
Il Tizio la madre l'aveva sefardita ma di Imperia e i problemi non ci sono mai stati perché era di Imperia, ma unicamente perché era ebrea. Certo, ridacchia il Tizio che si tiene compagnia  scherzando, se il mondo si accorgesse che i nonni di quelli di Imperia, di Crotone, Modena, Frosinone, Gubbio hanno avuto problemi perché i loro nonni erano ebrei, mentre quelli di  Imperia, Crotone, Modena, Frosinone e  Gubbio che non erano ebrei,  loro hanno avuto problemi quando stavano a Bruxelles unicamente perché erano italiani, che era l'unica cosa abbondante che avevano. E se il mondo si accorgesse che quelli di Bruxelles hanno avuto problemi che ne so, a Copenaghen, perché non erano di lì, alla  fine ci scommetto quello che vuoi che nel mondo si accorgerebbero di essere tutti dello stesso posto che non per  nulla è la Terra. Quanto tempo ci vorrà, si domanda il Tizio, per capire che siamo tutti di qui? Per esempio, su Facebook c'è un sacco di tizi che si sentono sempre a posto dato che gli altri sono tutti terroristi e loro no, gli altri sono tutti ignoranti e loro no, gli altri  sono tutti bugiardi e loro no, e mai perché gli altri sono tutti modesti e loro no. Scusa, si chiede dialetticamente il Tizio, che con sé medesimo organizza continuamente dibattiti, ma se adesso arriva uno di Marte e posteggia il disco sopra una Nota di Facebook, secondo te si mette a sgallettare perché lui in quanto  alieno, geograficamente è del nord? - Il trucco dialettico degli alieni che usa per discutere con sé stesso, funziona  benissimo e il Tizio ci casca sempre. Dopo  pensa al lavoro di quello scrittore israeliano che ogni mattina si sveglia, prende un piccolo pezzo di libertà e lo mette dentro al mondo, come se lo impastasse, e poi arrivano un sacco di bambini adulti e prendono a calci la libertà. Ma quanta pazienza gli ci vorrà a Yehoshua? Onestamente come lavoro è meglio  l'alieno. Arrivi, fai il cervellone e riparti. Mica ti devi fermare tutta la vita sulla Terra e di lavoro farti prendere a  calci.  

Il Tizio della Sera

Il Rettore e il Patriarca 
dario calimaniIl patriarca di Venezia, Angelo Scola, è stato nominato di recente arcivescovo di Milano. Alcuni giorni fa, nel bollettino di Ca’ Foscari, il Rettore dell’Università di Venezia, professor Carlo Carraro, salutava questa nomina esprimendo il “dispiacere per l’Università veneziana“ che perde con lui “un punto di riferimento culturale con il quale in questi anni abbiamo condiviso la stessa visione rispetto all’importanza della formazione per il futuro dei nostri giovani e della nostra società. Si tratta di convinzioni profonde che sicuramente troveranno sempre una salda àncora nel Patriarcato e nei progetti condivisi con Sua Eminenza Angelo Scola”. La dichiarazione ha destato un certo scalpore, ma non ha avuto, a parere di chi scrive, l’eco e la reazione che meritava. Certamente il Rettore Carraro si riferiva a progetti comuni avviati dall’Università e dal Patriarcato, ma le parole lasciano sempre il loro segno e, quando sono sincere, come non si dubita siano state quelle del Rettore, segnalano una situazione. C’è chi ha cominciato a preoccuparsi per l’autonomia della cultura universitaria, in un paese come il nostro in cui i condizionamenti della politica sulla cultura (oltre che sull’informazione) appaiono oramai come una incontrovertibile realtà quotidiana che, purtroppo, non scandalizza più nessuno. Le parole forti e convinte del Rettore di Ca’ Foscari destano a ragione qualche turbamento, per una realtà come quella universitaria in cui la cultura dovrebbe nascere dal dibattito che si sviluppa all’interno dell’istituzione piuttosto che da ispirazioni, visioni e ideologie esterne. Laici, non credenti e appartenenti a minoranze religiose pensavano di doversi preoccupare soltanto per le leggi sul finanziamento della scuola privata, per l’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica, per il crocifisso imposto nelle scuole e nelle aule dei tribunali. Ora sappiamo che una certa dose di apprensione va riservata anche alla necessità di vigilare sulla garanzia di laicità di qualche nostra università.

Dario Calimani

torna su ˄
notizieflash   rassegna stampa
Si chiama Aleph il primo figlio
di Natalie Portman 
  Leggi la rassegna

Si chiamerà Aleph il primo figlio dell'attrice di  origine israeliana, Natalie Portman e del coreografo Benjamin Millepied. Il piccolo è venuto alla luce il 14 giugno in Israele esattamente come la madre, che ha scelto questo nome per rendere omaggio al suo paese d’origine. Aleph, è la prima lettera dell’alfabeto ebraico, ma ha anche un significato profondo nella Cabbalà.
La stessa Natalie Portman affermò in passato di avere intenzione di crescere i propri figli secondo la religione ebraica.

 
 
torna su ˄
linee
Pagine Ebraiche 
è il giornale dell'ebraismo italiano
ucei
linee
Dafdaf
Dafdaf
  è il giornale ebraico per bambini
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it  Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI - Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.