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13 luglio
2011 - 11 Tamuz 5771 |
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Adolfo
Locci
rabbino capo
di Padova
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Moshè pare
ricordare al Signore che è giunto il momento di nominare un suo
successore. Ma la preoccupazione del grande profeta, alla fine del suo
mandato, non era quella della “dimenticanza” del Signore, ma che non si
riuscisse a trovare una persona che potesse avere le sue stesso qualità
per essere la guida del popolo ebraico. Per questo molte volte la Torà
sottolinea aa figura di Yehoshua davanti ad El’azar. I tempi cambiano e
siccome non ci sarà più nessuno come Moshè, in Israele nessuno potrà
ricoprire le due cariche istituzionali, quella politica e quella
religiosa. Un bel monito che la Torà consegna alle generazioni future
e, in effetti, la storia testimonia che quando queste due cariche sono
state concentrate in un unica persona, sono capitate grandi tragedie...
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Davide
Assael,
ricercatore
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Un tema costante degli ultimi
anni (ed in Italia mai come quest’ultimo) è la crisi dello statuto
della contrattazione, percepita, dall’ambito lavorativo a quello
politico, come un freno al processo decisionale. Certo è che se
l’ebraismo si colloca all’origine dell’Occidente, la cosa non può che
destare qualche perplessità, dal momento che la cultura ebraica ha tra
le proprie immagini fondative grandi momenti di contrattazione, a
cominciare dal dialogo fra D-o e Abramo sulle sorti di Sodoma. Oltre ad
essere l’esperienza religiosa che ha introdotto il dialogo (sihà) con
l’Autorità nella pratica della preghiera. Questo, ci dicono i Maestri,
il senso profondo del “lamà” (perché) che accompagna la tradizione, da
Giobbe fino al Gesù crocifisso. Ma non ci avevano spiegato che la
globalizzazione fosse un’estensione del modello occidentale al resto
del pianeta? Forse, è una delle tante favolette che ci siamo raccontati
a fini consolatori. Le cose paiono ben più complesse.
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Qui Roma
- Il Rav Toaff e i ragazzi di Shyrat ha Yam |
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“Dove eri in tempo di
guerra?” “Ero partigiano” “Come si fa a diventare Rav?” “Bisogna
studiare molto e sentirlo nel cuore” ha risposto il rav Elio Toaff a
uno dei circa cento ragazzi che in questi giorni stanno
frequentando il centro estivo organizzato dal Tempio della
Comunità Ebraica di Roma a Ostia, Shyrat ha Yam.
Il Rav Toaff si è recato a Ostia a sorpresa forse curioso
della novità, i primi giorni di apertura del centro estivo a far visita
ai bambini, c’è stata molta emozione nel momento della berahà
che l'anziano e carismatico Rav ha dato a
tutti i presenti, bambini, ragazzi, madrihim e operatori, prima di
andar via.
E’ il secondo anno che Shyrat ha Yam organizza il centro estivo al
termine delle scuole attualmente vi partecipano in media 75
bambini al giorno che raggiungono Shirat ha Yam autonomamente o con i
pulman, che passano in varie zone di Roma.
Il centro estivo realizzato grazie ai finanziamenti dell'Otto per mille
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, della Deputazione Ebraica
di Assistenza, delle offerte dei Templi (Tempio Maggiore, Spagnolo, e
ashkenazita) e al lavoro di molti volontari che hanno contribuito,
mediante offerte e con il proprio tempo, alla buona riuscita
dell’iniziativa.
Ogni giovedì per il pranzo è previsto il barbeque a cui
partecipano anche 20 anziani del gruppo ghimel della Deputazione
Ebraica e della Casa di Riposo. Gli anziani e i bambini dopo il pranzo
trascorrono del tempo assieme e i bambini regalano agli
anziani disegni, bottiglie colorate, spille, oggetti fatti da loro. Il tempo di fare qualche
foto e si riparte....
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Le
signore (più e meno note) che hanno fatto epoca |
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Leggere la storia nel nome
delle donne riserva sorprese a non finire. Lo sapevate ad esempio che a
gettare le basi del sistema sanitario d’Israele fu un pugno di giovani
e coraggiose dottoresse venute dall’Europa? O che la nostra coscienza
morale ha ricevuto un apporto fondamentale da quattro signore
d’eccezione quali Hanna Arendt, Etty Hillesum, Edith Stein e Simone
Weil che si dedicarono alla riflessione sul male? E avevate mai
riflettuto sul fatto che il tradizionale ruolo affidato dall’ebraismo
alle donne quali custodi della tradizione in famiglia nei secoli ha
sempre avuto un contrappeso nelle donne dedite agli studi (spesso con
grandi successi)? E che dire di una certa vena anticonformista e
intellettuale che percorre gli animi femminili a partire addirittura da
fine Settecento con l’esperienza straordinaria di Rahel Varnhagen? A
queste e a molte altre donne che hanno fatto epoca è dedicato il
dossier di questo mese su Pagine Ebraiche, che dall’Italia spazia
all’Europa spingendosi in Israele e negli Stati Uniti per raccontare al
tempo stesso alcune vite di signore d’eccezione e il senso di fare
storia a partire da un’ottica di genere. Da una chiave di lettura,
cioè, che non si limita a registrare date o battaglie ma entra nel vivo
delle relazioni umane per esplorare quelle tra gli uomini e le donne.
Ad accompagnarci in questo viaggio sono i pensieri di storiche e
storici che riflettono sul significato, oggi, di una storia di genere e
sul suo sviluppo nello specifico campo del mondo ebraico. E lungo il
percorso non si può fare a meno di soffermarsi su alcune grandi figure
di donne: dalla rivoluzionaria Anna Kuliscioff a Sara Nathan, che fu
tra le principali sostenitrici di Mazzini; da Ada Sereni a donne quali
Liana Millu che per prime in Italia si assunsero il doloroso compito di
testimoniare la Shoah. Sono storie che schiudono mondi insospettati
come le belle immagini d’epoca tratte da un’importante pubblicazione
del Cdec dedicata all’universo femminile del nostro Paese.
(Nell’immagine, quattro donne in posa sulla scalinata di casa Bassani a
Castelluccio, in provincia di Ferrara, nel 1909).
Pagine Ebraiche, luglio 2011
La
ricerca del femminile
La storia delle donna ebree, e
particolarmente quella delle donne ebree in Italia, è ancora un terreno
quasi completamente buio, in cui solo alcune porzioni sono illuminate
da fari deboli e di portata limitata. Se questo dipenda dalla scarsa
attenzione della storiografia, da una sostanziale carenza di fonti, o
da una debolezza dell’oggetto stesso di ricerca, è ancora un problema
aperto. Per quanto riguarda la storiografia, la maggior parte degli
studi che possediamo riguardano il periodo rinascimentale, e questo per
un problema più generale, cioè il fatto che una storia di genere, cioè
attenta a considerare le differenze di genere, o se preferite una
storia delle donne, cioè attenta a sottolineare le specificità
femminili nella storia, è comunque un genere storiografico che
necessita di crescere sul terreno della storia sociale e non di quella
politica o strettamente culturale, e la maggior parte degli studi di
storia sociale, nel campo ebraico e soprattutto in quello dell’ebraismo
italiano, riguardano il periodo medioevale e rinascimentale. Per quanto
riguarda le fonti, tranne casi rarissimi, come quelli delle letterate o
come le voci femminili che hanno lasciato una traccia diretta nelle
fonti processuali o inquisitoriali, si tratta di fonti rigorosamente
maschili sia che si tratti di fonti interne comunitarie, di responsa
rabbinici, o di fonti esterne, notarili o normative che siano. La voce
delle donne emerge al massimo attraverso la mediazione maschile. Ed
anche nel caso di testi famosi, come il Diario di Anna Del Monte, una
ragazza romana sequestrata per dodici giorni nella Casa dei Catecumeni
nel Settecento, forte è il sospetto che si tratti in realtà di una
rielaborazione da parte dei membri maschili della famiglia, in questo
caso il fratello. Siamo allora di fronte ad un oggetto storico
scarsamente significativo, o ancor più radicalmente di fronte ad una
storia, quella degli ebrei, in cui il criterio del genere sia
scarsamente produttivo? Non credo che sia così anche se, evidentemente,
ci sono dei momenti e dei contesti in cui la domanda ha più senso che
in altri. Così, dei terreni assai significativi, anche se poco
esplorati, per un approccio di genere, sono quello dell’emancipazione e
in genere quello dell’incontro con la modernità (come si rapportano
alla tradizione, nel loro incontro con la modernità, uomini e donne?),
quello delle conversioni (si convertivano più uomini che donne o
viceversa?), quello del lavoro e dell’autonomia sociale, quello del
rapporto con la cultura religiosa e il misticismo. Ancora assai
controverso, anche se il problema è stato ormai posto e continuerà
certamente ad esserlo, è il tema della differenza rispetto alla Shoah,
o ancora alla memoria e alla scrittura della Shoah. Più frequentato è
naturalmente il terreno delle figure che escono fuori dalla norma,
delle donne eccezionali (tanto per non fare che un esempio, donna
Grazia Nassi), delle scrittrici (pensiamo a Deborah Ascarelli, a Sara
Copio Sullam), delle donne che fra Otto e Novecento hanno avuto accesso
alla politica (da Anna Kuliscioff ad Ada Sereni, dalle rivoluzionarie
ebree russe ad Hannah Senesh), in un’ottica non tanto di storia di
genere ma di storia delle donne, di ricerca del femminile nella storia.
Credo che l’interesse vero di uno studio in chiave storica della donna
ebrea sia comunque quello attento alle donne in generale, e non solo a
quelle che hanno lasciato maggior traccia di sé. Ed anche in questo
caso, l’interesse maggiore non è tanto quello di illuminare con un faro
particolarmente potente i casi più noti, ma quello di usarli per
allargare l’attenzione alla storia di tutti, ai rapporti nel mondo
ebraico fra ebrei ed ebree, alle voci che hanno lasciato parlare gli
uomini, lì nella società ebraica minoritaria come nel mondo esterno,
nella società maggioritaria.
Anna Foa,
Pagine Ebraiche, luglio 2011
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Legge ebraica, legge
comune
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I recenti attacchi alla halakhà
in atto nel mondo occidentale (dalle questioni relative alla kashrut,
fino al tema della circoncisione discusso sia negli Stati Uniti che in
Europa) fanno riflettere sui rapporti fra ebraismo, cristianesimo e
democrazia, dove gli ultimi due (questa è almeno la tesi sostenuta, e
forse fondata, autorevolmente da Nietzsche e ripresa a suo modo da
Weber) si collocano su una linea di continuità che dà vita ad una forma
di universalismo che sacrifica sull’altare di un’astratta uguaglianza
le tradizioni e le identità dei singoli gruppi formanti il corpo
sociale. Ma non si era fatto un gran baccano per inserire nel preambolo
della Costituzione europea il riferimento alle radici giudaico –
cristiane? E per cosa starebbe quel “giudaico”? Mai fidarsi di chi usa
l’ebraismo a meri scopi strumentali…
Francesco
Lucrezi, storico
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notizieflash |
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rassegna
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Israele -
Scoperta pietra di confine con scritta 'Shabbat' in ebraico
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Un’antica iscrizione su pietra della parola “Shabbat” (sabato) è stata
scoperta vicino al lago di Tiberiade: si tratta della prima e finora
unica scoperta di un “confine dello Shabbat” (eruv) in ebraico.
L’incisione, che si trova nella comunità di Timrat, in Bassa Galilea,
sembra risalire al periodo romano o bizantino. «E' un legame bello e
affascinante, sia emotivo che archeologico, tra il nostro mondo moderno
e l'antichità - ha spiegato Mordechai Aviam capo dell’Istituto per
l’Archeologia della Galilea del Kinneret College. - Sicuramente per
quelli di noi che sono religiosamente osservanti, ma anche per quelli
tra noi che sono laici e che si godono una passeggiata il sabato, è
bello sapere che camminiamo in posti dove la storia ebraica era ben
viva duemila anni fa».
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Grande attenzione deve essere
oggi rivolta alle parole che leggiamo su Rinascita a firma di Maurizio
Barozzi; l’argomento (la vicenda di Strauss Kahn) è sicuramente datata,
e si poteva pensare che tutto fosse stato già scritto nei giorni
scorsi. Eppure Barozzi, in un pessimo italiano, che già per questo non
fa onore alla testata, oltre a parlare della solita “lobby”, inizia
definendo DSK non solo “askenazita”, ma anche “circonciso”, per
arrivare a contrapporre gli “eletti” ai “goym”. Il lettore che leggerà
fino in fondo questo articolo troverà le ragioni di tanto astio
“antisemita”..»
Emanuel Segre Amar
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è il giornale dell'ebraismo
italiano |
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Dafdaf
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