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14 luglio 2011 - 12 Tamuz 5771
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Riccardo Di Segni
Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma


Il tema rilevante delle letture di Torà di questa settimana è quello dello zelo religioso. Pinchas, nipote di Aharon, giovane sacerdote non in carica, prende una lancia e ammazza un principe d'Israele insieme alla sua amante, principessa midianita. Un delitto micidiale davanti a uno sfregio micidiale. Lo fa mentre Mosè e il Gran sacerdote, padre di Pinchas, assistono impotenti e piangenti alla scena dello sfregio. Pinchas viene premiato, ma perché Moshè non è intervenuto di persona? In altri tempi, in condizioni di emergenza, non era stato tenero. Una risposta possibile, suggerita dal Meshekh Chokhmà, è che lo zelo religioso è utile ma non tutti possono permetterselo. Tanto più quando lo zelo serve a consolidare un potere che altrimenti traballa.
Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme


Sergio Della Pergola
La scultrice e poetessa Luciana Matalon - un cognome illustre - ha annunciato ieri su una pagina intera del Corriere della sera la somparsa dell'amato gatto Sky. Nell'esprimere partecipazione per la dipartita del magico felino, ci domandiamo se non sia possibile ipotizzare un'offerta a una qualche onlus che con una targa imperitura possa adeguatamente eternarne la memoria.
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davar
Nuove domande al passato per capire chi siamo davvero
matilde passaNuove domande al passato per capire chi siamo davvero  La storia delle donne non ha una storia lunga, almeno se per storia delle donne intendiamo quell’approccio del tutto nuovo nato e nutrito dal femminismo. Ma quali frutti ha portato, che prospettive ha oggi di cambiare davvero il sentire comune e il modo di fare storia? Ne parliamo con Anna Rossi Doria, tra le fondatrici della Società italiana delle storiche, che di recente ha pubblicato Dare forma al silenzio. Scritti di storia politica delle donne (Viella, 2007, 350 pagg.) e Sul ricordo della Shoah (Zamorani, 2010, 123 pagg.).
Cosa si intende quando si parla di storia delle donne?
Ci riferiamo ai nuovi studi storici che nascono negli anni Settanta negli Stati Uniti dall’incrocio tra il femminismo e la nuova storia sociale e si diffondono poi in tutto il mondo occidentale, e non solo. In precedenza le donne erano state assenti non certo dalla storia, ma dalla storiografia, specie da quando questa era stata codificata come scienza nel corso dell’Ottocento. La nuova storia delle donne nasce dal bisogno di esprimere una soggettività femminile ponendo nuove domande al passato nella chiave dell’esistenza di due sessi anziché di uno solo che si presenta come universale (l’ambivalenza della parola “uomo”, che può indicare sia il genere umano che il maschio). Ma, attenzione, lo scopo non è quello di aggiungere la storia delle donne alla storia generale che le ignora, bensì di partire dalla prima per mettere in discussione le categorie interpretative e le periodizzazioni della seconda. Lo proponeva in un articolo programmatico del 1976 la grande storica americana Natalie Zemon Davies, e l’anno seguente un’altra storica americana, Joan Kelly, pubblicava un articolo intitolato Le donne hanno avuto un Rinascimento?
Storia delle donne, storia di genere. Che differenza c’è tra queste due definizioni?
Il termine “gender” ha una storia singolare: intraducibile in italiano (forse si sarebbe dovuto dire “differenza sessuale”) perché rimanda a una distinzione grammaticale che non esiste in inglese, dove era stato introdotto dalle antropologhe per indicare una costruzione culturale in contrapposizione al termine “sex”, inteso come mero dato biologico. L’espressione “storia di genere” voleva indicare lo studio delle relazioni tra uomini e donne e non solo di queste ultime, ed ebbe grande successo dopo la pubblicazione nel 1987 di un celebre articolo di Joan Scott, Il genere: un’utile categoria di analisi storica, che non intendeva però contrapporla all’espressione “storia delle donne”, con il suo ineliminabile significato politico. Invece in ambiente accademico “storia di genere” ha finito paradossalmente con il sostituire “storia delle donne”, che evocava lo spettro di un legame con il femminismo. A evitare equivoci, penso sia opportuno usare l’espressione “storia delle donne e di genere”.
La storia delle donne ha conosciuto una fioritura straordinaria negli ultimi anni. È riuscita a modificare davvero l’approccio agli studi storici tradizionali?
Non ancora. In tutti i paesi la fioritura degli studi è stata davvero straordinaria per quantità e qualità,ma malgrado ciò la storia delle donne e di genere è rimasta in qualche modo separata, una sorta di settore sempre più riconosciuto sul piano scientifico, ma rimasto comunque a parte rispetto alla storia generale.
Le storiche italiane hanno avuto un ruolo molto importante in quest’ambito. Da cosa nasce la specificità italiana?
Innanzi tutto questi studi nel nostro paese cominciano prima dell’ondata del neofemminismo. Già nel 1963 escono due libri, Alle origini del movimento femminile italiano di Franca Pieroni Bortolotti e Le origini del movimento cattolico femminile di Paola Gajotti, che danno l’avvio a una storia politica delle donne in età contemporanea, che invece in seguito resterà minoritaria: la storia delle donne in Italia infatti si è sviluppata negli ultimi trent’anni soprattutto come storia sociale, culturale e religiosa di età moderna. Un’altra ragione della specificità italiana, legata al peculiare carattere di massa che aveva avuto il femminismo degli anni Settanta, è la nascita, precoce rispetto a quel che avvenne in altri paesi europei, di riviste e associazioni di storia delle donne: nel 1975 appare Dwf (Donna Woman Femme), rivista di women’s studies che pubblica i primi articoli di storia delle donne, e nel 1981 viene fondata Memoria, che, con il sottotitolo Rivista di storia delle donne, pubblicherà fino al 1993 una ricca serie di numeri monografici. La stessa cosa farà Genesis, nata nel 2002 e tuttora viva, la rivista della Società Italiana delle storiche che a sua volta era stata fondata nel 1989. Si noti la scelta di questo nome, anziché quello di Società delle storiche delle donne, che aveva lo scopo di indicare un’impostazione degli studi non settoriale e separata, che infatti è stata seguita nelle varie attività della Società, dai congressi (se ne sono svolti cinque dal 1995 al 2010) alle sessioni della Scuola estiva che si svolge ogni anno, spaziando, su temi molteplici, dalla storia antica alla storia contemporanea.
Se dovesse individuare alcuni elementi nuovi che la storia delle donne ha introdotto quali segnalerebbe?
Fra i molti possibili, ne indicherei schematicamente tre, fecondi sul piano della storia generale: il ripensamento della distinzione tra sfera pubblica e sfera privata, indicandone confini molto più mobili di quelli tradizionali, e della connessa separazione tra storia politica e storia sociale (furono importanti in questa direzione l’articolo Cultures et pouvoirs des femmes di un gruppo di storiche francesi, apparso sulle Annales, e il convegno bolognese Ragnatele di rapporti. Patronage e reti di relazione nella storia delle donne, entrambi del 1986); la messa a fuoco, nella storia dei movimenti politici delle donne dell’Ottocento e del Novecento, del nesso e non dell’alternativa tra il principio del riconoscimento delle differenze e quello dei diritti di uguaglianza; l’arricchimento della visione complessiva dei fenomeni attraverso l’esame dei diversi modi in cui essi furono vissuti da uomini e da donne. Persino in un campo massimamente difficile come quello della storia della Shoah l’analisi della specificità femminile ha portato nuovi elementi di conoscenza generale, come mostra ad esempio il libro pubblicato nel 1998 (e tradotto in italiano nel 2001), Donne nell’Olocausto, a cura di Dalia Ofer e Lenore J. Weitzman (Le Lettere, 418 pagg.). 

Matilde Passa, Pagine Ebraiche, luglio 2011

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pilpul
La parità delle stanchezze
Il Tizio della SeraIl Tizio fuoriesce dalla scatola che lo ha sigillato per tutto il giorno come un parallelepipedo che gravasse invisibile ma umidamente tangibile intorno a lui, mentre il corpo diveniva una tubazione di liquidi all’inizio freschi, poi freddi e da ultimo esplicitamente ghiacci. Adesso che sono le sette della sera, si alza un refrigerante sospiro dell'aria, un colpo di fortuna dovuto al biliardo delle correnti. Deliziato, il Tizio scoppia a ridere nell’appartamento deserto. La tenda della finestra di cucina si solleva e ricade morbida. Neanche fosse Sam Spade alla scrivania dell’ufficio di detective, il Tizio della Sera alza le gambe e invece di piazzarle sulla scrivania, appoggia i piedi sul davanzale che dà su via del Rombo. C’è una cosa che ristagna nella sua mente da ieri sera, quando ha visto il dvd di un film israeliano di qualche anno fa e si sente sollevato come prima per quel colpo di corrente - perché? Il film si chiama “Camminando sull’acqua”, e se uno non può andare al mare, il titolo è una consolazione, per questo aveva deciso di guardarlo. Dunque. Un giovane e solitario agente del Mossad, in grave crisi esistenziale dopo il suicidio della moglie, un uomo che non può piangere dato che gli occhi non sono in grado di lacrimare per una certa malattia, quest’uomo riceve l‘ordine di controllare due ragazzi tedeschi in un kibbuz. Una sorella e un fratello. Il fratello è andato a trovare la sorella che da tempo risiede in Israele, controllata dai servizi segreti israeliani perché è la nipote di un vecchio nazista, ricercato dalla fine della guerra. Giunto al kibbuz, il fratello vorrebbe convincere la sorella ad andare a Berlino per il compleanno del padre, con il quale c’è una tensione perenne. Motivo mai emerso ufficialmente, il passato nazista del nonno, le cui stragi in un’intera regione della Germania sono state loro tenute nascoste, anche se la ragazza le ha ugualmente scoperte. Lo spigoloso agente del Mossad spia le conversazioni dei fratelli e riceve il compito di eliminare il vecchio che a quanto pare è ancora vivo. Tra l‘agente israeliano e il ragazzo tedesco, delicato e gay, nasce un’amicizia che non è di ordine sessuale, ma non per questo è meno inedita essendo in questo caso l'imbarazzo dovuto al fatto di essere tedeschi ed ebrei; e quando l’uomo del Mossad arriva in Germania e si reca in casa dei due fratelli con il compito di eliminare il vecchio nazista, non ce la fa ad eseguire l'ordine - la solita iniezione letale. Alle sue spalle, il nipote del nazista vede l'amico ritrarsi e decide di agire. In una calma irreale, va al capezzale del nonno e chiude la bombola dell’ossigeno - lo spenge come se spengesse una pendenza soffocante, e la vita di milioni di persone potesse riprendere la corsa interrotta con un solo gesto lieve che non assomiglia alla morte ma alla conclusione di una vertenza. Il film si libra un’inspiegabile parità di angosce fra i due giovani, eredi della Shoah per opposti motivi. Morto il nazista, dalla stanza è scomparso il nazismo: ora i due uomini si riconoscono, e forse anche i due popoli. Deve essere questo che porta alla pace, pensa il Tizio, la parità delle stanchezze. E allora, quando è che saremo stanchi?

Il Tizio della Sera

La rinascita di Trani
francesco lucreziChiunque abbia avuto la fortuna di conoscere di persona Avraham Zecchillo (al quale Francesco Lotoro dedica un sentito ricordo sul numero di luglio di Pagine Ebraiche) ha avuto modo di apprezzarne la profonda umanità, lo spirito visionario, la inusuale forza del suo triplice attaccamento al popolo ebraico, alla terra d’Israele, alla terra di Puglia. Fra i protagonisti della miracolosa rinascita, dopo mezzo millennio, della presenza ebraica a Trani, vedeva in tale reinsediamento il compimento di un destino storico, l’adempimento di un inderogabile dovere nei confronti delle generazioni passate, presenti e future degli ebrei di Puglia. Anche Trani, come ‘Erez Israel, doveva avere la sua ‘aliyah’, non certo in competizione con quella verso Israele, ma come suo completamento. Anche a Trani doveva esserci, come c’era stato in passato, un pezzo d’Israele. E il Maghen David, che fa bella mostra di sé tra le bianche pietre della minuscola, splendida sinagoga di Schola Nova, rappresenta l’esaudimento del suo sogno.
In questo progetto di rinascita, naturalmente, Zecchillo non è stato solo. Piace ricordare, in tempi in cui non sempre le pubbliche istituzioni brillano per sensibilità ed efficienza, la grande vicinanza costantemente dimostrata dal Comune di Trani (in particolare, negli ultimi anni, dall’Assessore alla Cultura, Andrea Lovato, studioso di prestigio internazionale, grande benemerito del volontariato cattolico, da sempre legato da profondo amore verso la cultura e l’identità ebraica) e il costante impegno profuso da Rav Scialom Bahbout. Divenuto, da circa un anno, Rabbino della Comunità di Napoli e dell’Italia meridionale, Bahbout sta dando – con la sua cultura, la sua energia, la sua forza comunicativa, la sua particolare semplicità e disponibilità umana - uno straordinario contributo non solo allo sviluppo dell’ebraismo nel Mezzogiorno d’Italia, ma anche alla promozione dell’immagine ebraica tra i gentili. Riuscendo a coniugare – cosa non sempre facile – la difesa dei valori religiosi e tradizionali con una grande apertura verso l’esterno, e presentando l’ebraismo – in molteplici conferenze, discussioni, incontri pubblici, articoli a stampa, trasmissioni televisive ecc. - in modo dinamico e moderno, con semplicità di linguaggio e grande cordialità umana, Rav Bahbout riesce, giorno dopo giorno, a fare apparire l’ebraismo, sempre più, e a un numero sempre crescente di persone, come una realtà non solo degna di rispetto, ma anche meritevole di attenzione, conoscenza, studio. E’ anche grazie a lui se, a Napoli come a Trani, tante persone guardano a tale realtà con serenità e simpatia, come a una cosa vicina, familiare.
Una sensazione di normalità, di consuetudine, che mi è sembrato di percepire qualche giorno fa, quando, avendo accompagnato il Rav alla stazione ferroviaria di Napoli, insieme a Ottavio Di Grazia (altro grande benemerito degli studi ebraici nel Mezzogiorno), e avendo perso il treno, abbiamo trascorso un’oretta a passeggiare negli ampi spazi della stazione. A un certo punto Bahbout si è appartato per qualche minuto, per recitare la preghiera della sera. Vedere un signore con la kippah dondolarsi davanti a una biglietteria automatica, in una zona non fra le più affidabili sul piano della sicurezza, e con un’alta percentuale di islamici, nonché di vagabondi e mendicanti, avrebbe potuto legittimamente suscitare almeno un filo di apprensione. Ma i gesti semplici, tranquilli e spontanei di Bahbout andavano in tutt’altra direzione: quella, appunto, della normalità, della consuetudine, della familiarità.

Francesco Lucrezi, storico

Il significato dei simboli religiosi
gadi polaccoCon una lettera al Presidente della Camera Fini, la Lega Nord ha chiesto l'esposizione del crocifisso in Aula. Spiega un deputato leghista che la Corte Europea ha stabilito che l'esposizione del crocifisso non costituisce violazione alla libertà religiosa. Una buona ed accorta lettura della famosa, ma poco conosciuta,"sentenza Lautsi" sarebbe consigliabile in quanto oltrepassa decisamente l'ovvia constatazione che la visione del crocifisso, alla pari di altri simboli religiosi, non lede la libertà religiosa e non offende. Il cittadino. Appare quindi ancora una volta meramente strumentale, a scopo propagandistico, l'uso del più significativo simbolo della cristianità e non si può che essere solidali con i credenti che in quel simbolo vedono legittimamente assai di più di una rappresentazione da utilizzare per qualche riga di menzione sui media.
Meglio sarebbe, partendo dalla Laicità che la nostra Costituzione sancisce, che i nostri parlamentari si occupassero nel caso del come garantire l'armonia in una società costituita da vari credenti e non credenti, invece di "brandire" un simbolo religioso svilendone il significato.

Gadi Polacco, Consigliere della Comunità ebraica di Livorno

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Tensione al confine fra Israele e Gaza   Leggi la rassegna

La tensione è di nuovo alta al confine tra Israele e Gaza, dall’inizio del mese secondo un portavoce militare dello stato ebraico, decine di razzi e bombe mortaio hanno colpito la zona. Gli aerei militari israeliani hanno centrato due tunnel, usati secondo i palestinesi, per il passaggio di merci di vario tipo nella Striscia di Gaza. Per Israele i tunnel servono a passare ai palestinesi armi per compiere attentati terroristici.
 
 
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