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  15 luglio 2011 - 13 Tamuz 5771
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Alfonso Arbib Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano


La fine della parashà della scorsa settimana e l'inizio di quella di Pinechàs ruotano intorno all'episodio di Bàal Peòr. A questo episodio c'è anche un riferimento alla fine della Torà, quando si parla della sepoltura di Moshè, si dice che è sepolto davanti a Bet Peòr e Rashì spiega che Moshè è sepolto lì per difendere il popolo ebraico dalla colpa di Peòr. Perché si insiste tanto su questo episodio? perché questa forma di idolatria è ritenuta così pericolosa che Moshè deve difendere il popolo ebraico anche dopo la morte? L'idolatria al Bàal Peòr consisteva nella perdita di ogni intimità, di ogni freno inibitorio. Questa forma di idolatria è, da una parte, la negazione di uno degli elementi fondamentali dell'ebraismo, il senso del limite, il pudore ma d'altra parte può risultare molto affascinante perché dà l'idea della libertà assoluta.
Sonia
Brunetti
Luzzati,
pedagogista



Sonia Brunetti Luzzati
L’eccellenza come obiettivo dell’istruzione è una delle questioni discusse nel recente forum dei direttori delle scuole ebraiche italiane, riunitosi a Roma nei giorni scorsi e organizzato dal DEC. Il tema, non nuovo al confronto all’interno del nostro piccolo  sistema, è  recentemente oggetto di  approfondite analisi anche  nel mondo della scuola in generale. Le scuole comunitarie così diverse per storia, demografia identitaria, risorse economiche e via discorrendo, possono avere come fattore comune l’eccellenza? Istintivamente la risposta di molti è: perché no? Nulla da eccepire, tranne il fatto che resta da chiarire la sottesa definizione della strategia per raggiungere quell’obiettivo: o si accudiscono “i migliori” o si innalza lo standard medio in maniera da abbassare la varianza. Il parere dei molti che si occupano a vario titolo di istruzione ed educazione ebraica sarebbe un contributo prezioso. La difficoltà della scelta infatti non è vincolata solo all’abbondanza o alla penuria delle risorse economiche ma abita la complessa armonizzazione di due modelli comunque difficilmente compatibili.
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davar
Israele faccia attenzione, rischia di alienarsi
anche i suoi amici
Abraham Foxman, presidente dell'Anti Defamation League, non è certo annoverabile tra i componenti "liberal" della comunità ebraica americana, e di solito non commenta la legislazione israeliana, eppure non ha esitato a sconfessare il premier di Gerusalemme, Benjamin Netanyahu, che aveva appena affermato che la legge antiboicottaggio "non guasta minimamente l'immagine di Israele". Foxman pensa invece che sia proprio questo il risultato della legge, approvata dalla Knesset, che punisce con sanzioni penali chi in Israele chiami al boicottaggio delle merci prodotte negli insediamenti, e sostiene che "rende un cattivo servizio alla società israeliana; spero che la Corte suprema la riveda in tempi rapidi". Anche Morton Klein, presidente della Organizzazione sionista d'America (Zoa), in sintonia con la destra israeliana, si è schierato contro la legge, preoccupato dalle ricadute d'immagine su Israele: "Nessuno più di me è infastidito dalle campagne di boicottaggio, ma da qui a trasformarle in azioni illegali ce ne corre". A definitiva smentita della strana convinzione di Netanyahu, Catherine Ashton, capo della diplomazia europea, ha dichiarato: "L'Ue, in nome dei valori fondamentali della libertà di espressione e di parola che custodisce e condivide con Israele, è preoccupata per l'effetto che tale normativa può avere sulla libertà dei cittadini e delle organizzazioni israeliane di esprimere opinioni politiche non violente". Il governo Netanyahu conferma una mancanza di sensibilità nei confronti di quella stessa opinione pubblica internazionale che guarda a Israele con simpatia e, non per la prima volta, assume una posizione oltranzista, che isola Israele. Questo proprio nel momento in cui Israele, invece, avrebbe bisogno del massimo della pressione dell'opinione pubblica sui governi dei paesi democratici per contrastare una mossa della Anp che indebolirà Israele sul piano diplomatico. E' quasi certo infatti che la prossima Assemblea dell'Onu accetterà a maggioranza di due terzi la proposta - avanzata dalla Lega araba, notizia di ieri - di trasformare la membership della Palestina da Autorità nazionale a stato. E' una mossa intelligente che vale soltanto in sede Onu, che non comporta la proclamazione unilaterale dello stato di Palestina (che viola gli accordi di Oslo) e che pone Israele in una posizione di debolezza nella trattativa con i palestinesi, proprio sul tema dei confini del 1967 (che verrebbero così "congelati" dall'Onu), modificati dagli insediamenti. Tutti gli sforzi di Israele dovrebbero dunque essere tesi a contrastarla, soprattutto convincendo il blocco dei paesi democratici a votare contro, al fianco degli Stati Uniti decisi a porre il veto (ma è in discussione che la risoluzione vada ratificata dal Consiglio). Il veto parrebbe comunque debole a fronte del voto favorevole dei due terzi dell'Assemblea: ecco perché è politicamente necessaria una spaccatura in sede Onu tra i paesi democratici e gli altri, con il rafforzamento del "blocco filo Israele" nel mondo. Noncurante dell'isolamento internazionale e convinto dell'autosufficienza di Israele, Netanyahu ha invece deciso di favorire le ragioni di politica interna (il 52 per cento degli israeliani è favorevole) rispetto a una visione di medio-lungo periodo. E' indubbio il ruolo odioso delle campagne di boicottaggio dei prodotti degli insediamenti, ma è altrettanto indubbio che la difesa della legittimità degli insediamenti (ma solo di quelli indispensabili alla sicurezza) impone che vengano messe in campo le armi della politica e del convincimento, anche dell'opinione pubblica democratica internazionale, non norme che colpiscono col carcere un reato d'opinione.

Carlo Panella, Il Foglio, 15 luglio 2011


Bersani chiama in causa l'Europa così la sinistra
rivede il Medioriente 
Il recente viaggio di Pierluigi Bersani mostra un'evoluzione profonda della sinistra italiana nei riguardi della questione mediorientale. Si tratta di un tema assai evocativo per la base, storicamente più sensibile alle ragioni dei palestinesi, sebbene nel corso degli anni leader come Piero Fassino, Walter Veltroni e Nicola Zingaretti abbiano espresso posizioni equilibrate. Il primo elemento di novità è che il conflitto israelo-palestinese, drammatico e urgente, non è più sufficiente a spiegare le tensioni mediorientali e mediterranee; le «primavere» degli ultimi mesi descrivono scenari diversi, problematici e al tempo stesso positivi, in cui le giovani generazioni mirano a ottenere diritti e libertà. I regimi provano a resistere al cambiamento in maniera brutale, primi fra tutti Iran e Siria, e tutto ciò non riguarda né gli israeliani né i palestinesi. Bersani ha ribadito la necessità di ritornare ai negoziati. Nel riconoscere legittima l'aspirazione palestinese a uno Stato indipendente, il segretario Pd ha sottolineato la necessità che Israele possa vivere in pace e sicurezza (ricevendo rassicurazioni sulla composizione del governo da parte di Abu Mazen). Senza affrontare i termini di un possibile accordo, occorre chiarire che anche gli israeliani hanno fretta: sanno bene che nel giro di pochi anni gli ebrei rischiano di non essere più la maggioranza della popolazione, negando in questo modo l'essenza stessa del sionismo. Come afferma Sergio Della Pergola, stimatissimo demografo, in futuro Israele non potrà essere contemporaneamente ebraico, grande e democratico. Dovrà rinunciare a uno tra questi aggettivi, auspicabilmente il secondo. Infine, in un'epoca di egoismi, divisioni e scarsa propensione alla visione futura, Bersani ha rimesso al centro l'Europa, che spesso in questi anni si è più volentieri schierata tout court con i palestinesi, rinunciando a esercitare una funzione di supporto e mediazione tra le parti. Non è certo un lavoro semplice, ma chi se non l'Europa ha da guadagnare da un Mediterraneo pacificato?

Tobia Zevi, Corriere della Sera, 15 luglio 2011

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pilpul
Il doppio sguardo
Anna SegreMercoledì sera guardando la televisione mi sono imbattuta per caso nel documentario Gli amici del Kandy Bar di Daniel Sivan, che segue il servizio militare di quattro ragazzi israeliani dall’arruolamento al termine della leva. Per quanto posso giudicare mi è sembrato ben fatto, ma confesso di aver passato almeno metà del tempo a chiedermi: cosa vuole dimostrare? Dove vuole andare a parare? Che idee politiche avrà il regista? Credo che il pregio del documentario, invece, stia proprio nell’assenza di una tesi precostituita e nella capacità di rappresentare l’esercito israeliano così com’è, senza demonizzazione ma anche senza propaganda. Durante l’altra metà del tempo mi sono domandata perché RAI3 avesse deciso di trasmetterlo, e anche in questo caso mi sono chiesta più volte cosa volessero dimostrare. Infine, per tutto il tempo ho provato a immaginare quale effetto avrebbe potuto avere il documentario su uno spettatore italiano che non conosce la realtà israeliana: proverà antipatia per uno stato che sottrae ai giovani tre anni della loro vita? Proverà simpatia verso i quattro protagonisti? Capirà che i famigerati soldati israeliani sono ragazzi come tutti gli altri, che nel tempo libero vanno a divertirsi come tutti i diciottenni? Imparerà a comprendere le ragioni di Israele? O si fiderà di più dei propri pregiudizi e giudicherà il documentario poco obiettivo? Credo che questo doppio sguardo accompagni spesso noi ebrei della diaspora quando si tratta di Israele: leggiamo un libro, guardiamo un film e contemporaneamente ci chiediamo che effetto potrebbero avere quel libro o quel film su chi non conosce la realtà israeliana come la conosciamo noi. Qualunque sia l’effetto (e in questo caso è davvero difficile immaginarlo) credo comunque che un’informazione più diffusa sulla realtà israeliana, nei suoi pregi e nei suoi difetti, debba essere considerata un fatto positivo.

Anna Segre, insegnante

McCarthy in Israele, 60 anni dopo  
giorgio gomelCosì la Knesset con un voto maggioritario di circa 10 deputati, malgrado l'opposizione di Kadima, della sinistra e di una parte ragionevole del Likud e le assenze volute di Netanyahu e Barak, ha approvato lo scorso 11 luglio una legge che definisce "criminale" ogni azione ritenuta come boicottaggio di Israele o degli insediamenti. D'ora in poi nessuna differenza legale fra gli insediamenti e lo stato di Israele, cosicchè  eventuali appelli a boicottare prodotti degli insediamenti saranno ritenuti uguali ad azioni rivolte malevolmente contro Israele.   
Illustri giuristi israeliani (vedi Haaretz, 14 luglio) protestano contro la legge in quanto anticostituzionale e la ritengono una violazione grave della libertà d'espressione. Ne sarà inficiato in futuro il dibattito pubblico per quanto riguarda il futuro degli insediamenti nei territori. Essi ritengono inoltre che la Corte suprema, già investita della questione da petizioni avanzate da diverse organizzazioni per la difesa dei diritti umani in Israele, dovrà rendere nulla la legge. Insieme ad altre leggi approvate negli ultimi mesi dalla Knesset (dal giuramento di fedeltà per immigrati, al divieto di celebrare la Nakba, al permesso concesso a comunità di residenti di distinguere fra abitanti ebrei e non) quest'ultima testimonia dell'ondata di Mccartismo che inquina pericolosamente il tessuto democratico del paese. JCALL in un comunicato (www.jcall.eu) condanna la legge che "malgrado la nostra opposizione ai movimenti che sostengono le attività di "boicottaggio, disinvestimento e sanzioni" (BDS) contro Israele, appare in totale contrasto con i principi fondamentali di  libertà d'espressione in una democrazia. Contrariamente agli obiettivi annunciati dai  promotori, secondo i quali si tratterebbe di proteggere Israele, noi pensiamo che una legge del genere darà utili munizioni a coloro che mettono in questione il carattere democratico dello Stato di Israele e incitano alla sua delegittimazione. Auspichiamo che la Corte Suprema di Israele, a cui si sono già appellate diverse organizzazioni israeliane per la difesa  dei diritti umani, renderà nulla questa  legge.  

Giorgio Gomel

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Lanci di razzi su Israele
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In seguito a ripetuti lanci di razzi palestinesi verso il territorio israeliano, la scorsa notte l'aviazione militare di Israele ha condotto una serie di raid nella Striscia di Gaza. Secondo l'agenzia di stampa palestinese Maan, sono state colpite due basi militari di Hamas nel sud della Striscia. La notizia non è stata confermata da Israele.

Errata Corrige
Il Pilpul pubblicato lo scorso mercoledì ("Legge ebraica, legge comune") è stato per una svista erroneamente attribuito a Francesco Lucrezi. L'autore del testo era invece Davide Assel. Ce ne scusiamo con i diretti interessati e con i lettori.
 

Nella perdurante latitanza di notizie di immediata rilevanza per la nostra rassegna stampa partiamo da un articolo, a firma di Filippo Di Giacomo, comparso su l’Unità di ieri e dedicato alla nascita, avvenuta nei giorni scorsi, del cinquantaquattresimo Stato africano, nonché centonovantatreesimo sul pianeta, il Sud Sudan. ...»

Claudio Vercelli








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