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  22 luglio 2011 - 20 Tamuz 5771
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l'Unione informa
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alef/tav
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Alfonso Arbib Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano


Nell'inizio della parashà di Mattòt, Moshè riceve l'ordine di combattere contro i Midianiti che avevano tentato di distruggere il popolo ebraico inducendolo all'idolatria, al Bàal Peòr. Moshè ubbidisce all'ordine divino ma non partecipa in prima persona alla guerra incaricando Pinechàs ed Elazàr di condurre la guerra. Il midràsh spiega la mancata partecipazione di Moshè in questo modo. Moshè, in fuga dal faraone, era stato accolto a Midiàn e ritiene quindi di aver un debito di gratitudine nei confronti dei Midianiti e decide di non combatterli direttamente. Il midràsh sottolinea l'importanza della hakkaràt hattòv, il riconoscimento del bene, anche verso chi poi ha del male come i Midianiti. Secondo Ramban il riconoscimento del bene è il fine di tutte le mitzvòt della Torà. Sembra un'idea semplice, in realtà è di difficile applicazione. La gratitudine non è affatto naturale, riconoscere che qualcun altro ha fatto del bene è difficile e significa riconoscere che abbiamo bisogno degli altri, che non siamo completamente autosufficienti. I Chakhamìm dicono che chi non riconosce il bene ricevuto dal prossimo, non riconosce neanche il bene ricevuto da Dio.
Sonia
Brunetti
Luzzati,
pedagogista



Sonia Brunetti Luzzati
Maimonide medico, rabbino e studioso è stato classificato in un recente rapporto Unesco come un musulmano di nome Moussa Ben Maimoun. Così il Rambam è stato convertito all'Islam da uno storico revisionista. Dai luoghi, alla cultura, agli individui, nell'esprimere il livore contro Israele e l'ebraismo da parte dell'accreditata organizzazione internazionale, l'importante è cancellare le origini.

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davar
Gattegna: "Alta vigilanza contro l'odio e il pregiudizio"
Renzo GattegnaNel merito della pubblicazione dell'ampia lista di proscrizione di professori, professionisti e commercianti ebrei apparsa sul web nelle scorse ore il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha dichiarato:
Il razzismo, l’odio e il pregiudizio sono veleni che una volta messi in circolazione risultano difficili da eliminare. Questa realtà ci obbliga a tenere alta la vigilanza per prevenire che la diffusione avvenga e per far sì che l’intossicazione non produca i suoi nefasti effetti.
Non ci stupisce più la insopportabile ripetitività con la quale vengono periodicamente riproposti gli stessi argomenti, le stesse falsità storiche, le stesse menzogne che tanti lutti e tante tragedie hanno prodotto durante il secolo scorso. Quell’immane tragedia che è stata la Shoah ha colpito soprattutto gli ebrei come vittime ma ha portato al degrado civile e morale i regimi nazista e fascista e alla rovina le rispettive nazioni. Nell’Europa di oggi non c’è più spazio per simili ideologie e ci auguriamo che anche nel caso della pubblicazione della lista di professori, professionisti e commercianti ebrei o presunti tali, come già in passato le forze dell’ordine e la magistratura sappiano individuare i responsabili e accertare le violazioni delle leggi in vigore a tutela dell’uguaglianza, della libertà e della democrazia.

Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane


Redazione aperta - Giornalismo e valori con rav Carucci
rav CarucciIl vero giornalismo combatte l’inerzia” questo il messaggio di rav Benedetto Carucci emerso durante l’incontro con la Redazione aperta nella sua terza edizione ambientata nella scuola ebraica di Trieste. Così il rabbino e direttore della scuola media e liceo della Comunità ebraica di Roma, approfondisce il tema del ruolo del giornalista, anticipato da una lezione sul rapporto padre e figlio del giorno precedente.
L’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, la Comunità e le istituzioni devono sostenere una propria visione, l’idea fondante, l’obiettivo ultimo. È dunque necessario che l’apparato politico e religioso indichi una via, pur rischiando che si affermi principio di esclusività, senza coinvolgere l’intera collettività. Così la comunità cresce ogni singolo individuo che ne fa parte, adempiendo alla funzione di padre nei confronti del figlio, trasmettendo le idee più concrete come l’immagine della Torah data da Moshe ed eredità della casa di Giacobbe, ma anche quelle più astratte e spirituali come il primo verso dello Shemah. Il giornalismo no. È un cappello contenente le visioni, idee, inclinazioni, istanze più disparate. È strumento di proposta e riflessione che rompe l’equilibrio circostante e rende quegli stessi principi di cui la comunità si fa portatrice, oggetto di continue discussioni. Grazie al mezzo giornalistico è possibile affrontare i temi più disparati, mostrando più facce delle Comunità italiane, spesso note esclusivamente perché associate al conflitto mediorientale o alla Shoah. Il giornalista è pertanto colui che scatena una reazione, coinvolge gli animi e lo fa, in questo caso, trasmettendo in modo trasversale i valori ebraici. Non c’è spazio per slogan, supposizioni e sillogismi, ma solo per opinioni fondate e concrete, voci gradevoli o non, capaci di generare una qualunque forma di risposta, scacciando l’apatia e l’inerzia. Così parole molto forti, colpiscono i membri della Redazione aperta, generando in loro una riflessione, non solo sul ruolo del giornalista, ma anche sulla funzione che questo deve assumere nei confronti delle Comunità ebraiche. Del resto quegli stessi studenti che con attenzione ascoltano il discorso del rabbino, sono anch’essi lettori e membri di una delle Comunità ebraiche italiane. Anche loro sono cresciuti quindi con quegli insegnamenti e tradizioni, ma al tempo stesso ricercano ogni giorno nella lettura di un giornale elementi nuovi che possano incuriosire e far apprendere qualcosa di nuovo. Pertanto loro stessi dimostrano come il giornalismo sia il mezzo migliore per ampliare la propria visione, aderendo o confutando opinioni diverse dalle proprie. Eppure, sostiene Guido Vitale, direttore del Dipartimento informazione e cultura dell’UCEI, “La preferenza di un giornale da parte di un lettore dipende dalla fiducia che si ha della redazione”. Dunque, il materiale cartaceo è più di un calderone straripante di notizie di ogni genere, ma deve essere un prodotto ben preparato e dosato che rappresenta la volontà di un lettore, di affidarsi alle scelte e alla coscienza di una redazione. Il giornalismo non è quindi solo carta stampata, ma vera azione.

Micol Debash

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pilpul
Accettiamo le opinioni diverse
Anna SegreCredo che Pagine ebraiche e l’Unione informa siano uno strumento straordinario di confronto tra gli ebrei italiani; il loro valore inestimabile sta proprio nella grande diversità delle posizioni di chi scrive: altrimenti, come avveniva fino a un paio di anni fa, ciascuno continuerebbe a utilizzare solo le proprie testate, i propri siti e le proprie newsletter, più o meno riservati a chi la pensa nello stesso modo, e non avrebbe nemmeno la possibilità di conoscere le opinioni diverse, anche solo per confutarle. Dispiace, perciò, la conclusione dell’intervento di Ugo Volli di domenica scorsa, che, riferendosi a un pezzo di Giorgio Gomel, scriveva: “Meraviglia che queste posizioni trovino spazio sui media comunitari ebraici.”
 E di quali posizioni si tratta, poi? Non certo di tesi antisemite, o magari di un testo che negasse il diritto all’esistenza di Israele, ma semplicemente della critica ampiamente condivisa (come dimostrano altri testi pubblicati sempre in questa newsletter) a una legge approvata dalla Knesset. Peraltro, visto che in teoria si tratta di solidarietà verso Israele, mi sono oziosamente domandata quale dei due interventi, quello di Gomel o quello di Volli, sarebbe maggiormente condiviso se fosse sottoposto alla lettura dell’intera popolazione israeliana (cioè, se si potesse chiedere a tutti gli israeliani di scegliere uno dei due, magari turandosi un po’ il naso); non sono affatto convinta che sceglierebbero quello di Volli, visto che la legge in questione è stata ampiamente criticata anche in Israele, mentre l’intervento di Volli sembra mettere in discussione la stessa distinzione tra Israele e territori occupati. Questa distinzione, che è un dato di fatto oggettivo anche nella stessa legislazione israeliana, mi sembra viceversa profondamente radicata nella mentalità comune, come si evince spesso dai sondaggi (e anche chi è contrario al ritiro dai territori spesso lo è per motivi di sicurezza, non in linea di principio); in fin dei conti anche la stessa costruzione del muro, pur con tutti i dubbi e le polemiche che ha suscitato, ha contribuito a marcare simbolicamente il principio che esiste un confine. Naturalmente potrei sbagliarmi, ma il fatto stesso che il dubbio possa venire basta da solo a dimostrare quanto sia difficile stabilire a priori chi sta parlando davvero per il bene di Israele.
Ho notato un curioso paradosso: spesso chi critica Israele da posizioni “pacifiste” si sente rispondere che chi non vive là non può avere una cognizione corretta della situazione. Viceversa, chi critica la sinistra israeliana, i pacifisti israeliani, e talvolta gli stessi governi israeliani quando prendono iniziative che vanno in direzione della pace, si sente autorizzato a farlo tranquillamente anche da migliaia di chilometri di distanza, e anche i preziosi contributi che arrivano da Israele pubblicati su l’Unione Informa non sempre vengono accolti con l’umiltà che la distanza, secondo me, dovrebbe comunque suggerire.
Per fortuna la newsletter è aperta a tutte le opinioni, su Israele come in molti altri ambiti.

Anna Segre, insegnante

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Paul Simon torna a suonare in Israele
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Torna in Israele dopo 28 anni Paul Simon, salutato con entusiasmo dalla stampa israeliana e da migliaia di fan. Nel 1983 il concerto della leggenda della musica americana e gloria della comunità ebraica d'oltreoceano, si rivelò un flop. Oggi ad attendere la star, ormai settantenne, sarà invece l'ennesimo tutto esaurito. L’appuntamento è allo stadio di Ramat Gan, 24 mila posti, dove stasera è in programma il primo dei tre concerti israeliani del tour internazionale di Simon.
 
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