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24  luglio 2011 - 22 Tamuz 5771
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Benedetto Carucci Viterbi Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino

"Avremo tanti giornalisti e pochi rabbini. Evidentemente bisogna ripensare insieme tutto il sistema" ha detto su aleftav Rav Di Segni giovedì scorso, riflettendo sui risultati positivi di Redazione aperta. Non so se dovremo ripensare tutto il sistema; quello rabbinico evidentemente si. Se noi rabbini fossimo percepiti come soddisfatti della nostra attività, empatici e realizzati - il che in generale non è - le nostre chiamate alla professione forse avrebbero più risposte. Quelle allo studio, dati alla mano e forse non sempre per nostro merito, sono decisamente più efficaci: il disinteresse non è dunque per gli studi di Torah, che mai quanto oggi in Italia hanno molto seguito, quanto per una scelta che non appare per nulla attraente.

David
Bidussa,
storico sociale delle idee


David Bidussa
In Europa complici molte cose, non ultima l’idea che tutto ciò che non è “Occidente” sia nemico dell’Occidente, è cresciuta un’estrema destra, occidentale, “di casa nostra”, europea, che non è meno pericolosa di coloro che presumiamo essere i nemici naturali dell’Occidente. Solo che abbiamo fatto conto che fosse un fatto marginale e “folclorico”, oppure un residuo del passato che si sarebbe dissolto con il trascorrere del tempo. Anche per questo, se la matrice dell’attentato di Oslo fosse confermata, mi sembra che in molti ci sia, prima ancora che incredulità, delusione. Come se questo fatto fosse una complicazione non prevista in un quadro altrimenti “confortante” e “rassicurante” perché fino a venerdì non c’erano dubbi sul responsabile di turno. La realtà è sempre più complicata di come ce la immaginiamo. Soprattutto è sempre distruttiva delle costruzioni ideali dove i buoni e i cattivi sono chiari e distinti e non ci sono imprevisti.
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davar
Redazione aperta - Come nasce un giornale
Redazione aperta"Definiamo i contenuti di Pagine Ebraiche prima di Shabbat”. Esordisce Guido Vitale, appena arrivato a Villa Opicina per il quinto giorno di Redazione aperta. Ad aspettarlo molti giovani aspiranti giornalisti oltre alla redazione del Portale dell’ebraismo italiano. Vitale avverte che rendere partecipi così tanti ragazzi, in questo lavoro di organizzazione, non è mai stato fatto prima. È emerso più volte, nel corso di Redazione aperta, il problema di un mito che incuriosisce tutti: la libertà del giornalista. 
Redazione aperta OpicinaTema da affrontare se ci si cimenta nell’elaborazione di un mensile: come scegliere senza sapere quali sono i confini entro i quali si deve stare?
I confini in questione sono ancora più stretti se si deve fotografare la realtà ebraica. L’ebraismo italiano non elabora slogan, ma solo meccanismi complessi, a volte difficili da decifrare. Anche se, con i processi di globalizzazione, gli ideali degli ebrei italiani non sono poi tanto diversi da quelli dell’uomo medio italiano: con la modernizzazione tutto diventa patrimonio mondiale.
L’organizzazione di un giornale è come la preparazione di una torta: si cucina con gli ingredienti che ci sono in casa, accuratamente, seguendo la ricetta - spiega Vitale. "C’è una logica dietro ai lavori della redazione, spesso non considerata dal lettore: la scelta dei temi da affrontare, la gerarchia degli argomenti e l’impaginazione sono frutto di ragionamento e compromessi”.
L’impatto per i ragazzi è stato più forte del previsto. Coinvolti in un processo decisionale per la prima volta, si sono scontrati con un approccio pragmatico al quale non erano abituati. Nel giornalismo non esistono ricette. Sono necessari intuito, idee e un altro fondamentale fattore: la considerazione del tempo. L’organizzazione di Pagine Ebraiche è stata motivo di confronto e, in alcuni momenti, anche di scontro. Per la prima volta dall’arrivo a Trieste, i partecipanti di Redazione aperta non erano più ragazzi di varie città italiane accumunati solo dalla passione per il giornalismo: diventavano un gruppo, una redazione giovane che cresceva insieme.

Sara Pavoncello


Amy Winehouse (1983-2011) 
Amy Winehouse"Ho tradito me stessa / come sapevo avrei fatto / ti ho detto che avevo dei problemi", cantava Amy Winehouse in una delle sue più celebri canzoni, You Know I'm No Good. È vero. L'artista inglese aveva avvertito noi, i suoi fans. Ci aveva voluto far intendere quanto i suoi problemi fossero enormi. Non l'aveva però capito il suo pubblico a Belgrado, quando il 18 giugno aveva fischiato la cantante britannica perchè questa aveva abbandonato il palco per ben due volte davanti a 20 mila spettatori. L'intero suo tour europeo era stato annullato, inclusa la sua unica data in Italia a Lucca.
La cantantante inglese, 28 anni da compiere, si è spenta ieri pomeriggio intorno alle quattro del pomeriggio a Camden Square, Londra, in circostanze ancora da chiarire, anche se si sospetta per un cocktail di alcol e psicofarmaci.
Amy Winehouse era nata a Londra  il 14 settembre 1983 in una famiglia ebraica; suo padre, un tassista di origine russa, aveva avvicinato la futura cantante al jazz e più in generale alla musica fin da bambina, tanto che all'età di soli dieci anni la piccola Amy ed una sua amica fondano il gruppo rap amatoriale Sweet'n'Sour, descritto poi dalla Winehouse come la versione "bianca ed ebraica" delle Salt-n-Pepa.
Ma la stessa cantante ha sempre rappresentato tale versione del jazz, con questa sua voce bella e dannata, proprio come lei; tanto da farla paragonare a dei giganti della musica, come Aretha Franklin.
Back to Black, l'ultimo album di Amy Winehouse, aveva fatto ottenere alla cantante nel 2006 cinque Grammy Awards, tra i quali quello come best new artist e quello come disco dell'anno, meta che non era mai stata raggiunta da alcuna cantante inglese.
Proprio in quest'album la Winehouse, incidendo Rehab, aveva scritto "hanno provato a farmi andare in riabilitazione / ma io ho detto no, no, no".
E così si allunga il 27 years club, la lista che include alcuni tra i più grandi artisti musicali come Brian Jones, Jimi Hendrix, Jim Morrison, Janis Joplin o Kurt Cobain, morti prima del loro ventottesimo compleanno.

Tommaso De Pas

 

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pilpul
Davar Acher - Diversamente sionisti
Ugo VolliCome si stabilisce la volontà di un corpo politico, una città o uno Stato? Ci sono molti modi: la dittatura personale di un duce o quella collettiva di un partito che interpreta "l'anima della nazione" o la "coscienza di classe", i tumulti di piazza che esprimono pulsioni sempre confuse ma violente, le caute trattative delle oligarchie, le monarchie di diritto divino, dove "L'état, c'est moi". I comunisti si sono inventati la "democrazia sostanziale" o "concreta", caratterizzata soprattutto dal fatto che non vi si vota, gli utopisti del web hanno immaginato di recente una democrazia elettronica in cui tutti parlano di tutto: di fatto non ha mai funzionato. In realtà la democrazia rappresentativa sarà piena di difetti, ma è il sistema meno peggiore che c'è, come sosteneva Churchill. Naturalmente non si può mai sapere se ogni decisione presa dai rappresentanti del popolo esprima quella che Rousseau un po' misticamente chiamava "volontà generale", ma la regola fondamentale di questo sistema consiste proprio nel supporlo. Si vota a intervalli regolari, si eleggono certi rappresentanti dando potere a certi partiti e si accetta che le leggi che essi approvano e i governi cui danno la fiducia rappresentino la sola concreta e democratica volontà del paese.
Perché questa piccola chiacchiera di filosofia politica? La ragione è che molti nemici di Israele, gli antisionisti e anche quegli ebrei che chiamerei "diversamente sionisti" (come ci sono i "diversamente abili", dato che costoro insistono a dire che "amano Israele, ma..." ) nel caso israeliano tendono a negare questo principio di rappresentanza. Loro sarebbero per Israele (anche se diversamente dai "fanatici" "estremisti" "fondamentalisti" come me), ma non per quell'Israele reale, che ha un certo parlamento e un certo governo democraticamente scelti. Essi sono naturalmente per un paese diverso, cioè "migliore", "più saggio", "amante della pace". Dubitano della rappresentatività delle elezioni e dei sondaggi che danno loro torto, preferiscono credere all'opinione di quattro scrittori e tre registi, magari illustri, di un paio di partiti che cumulano oggi più o meno il 10% dei voti, hanno fiducia in un manipolo di Ong che vivendo di fondi stranieri hanno grande visibilità mediatica, di un giornale ("Haaretz") che ha più o meno la diffusione del "Manifesto".
Questo per loro è il vero Israele e certo non lasciano che dei fatti maleducati turbino il loro "molto democratico" pensiero. Le leggi che non piacciono loro sono "illegali" o "incostituzionali" (anche se Israele non ha una costituzione rigida); le maggioranze che non godono della loro simpatia sono da sempre delegittimate, "estremiste", magari "fasciste", gli scritti che le difendono sono da leggere "turandosi il naso": strana concezione olfattiva della libertà di pensiero. Sono infallibilmente convinti che prima o poi il paese "rinsavirà" oppure che già in realtà la pensa come loro, ma stranamente vota altrimenti. I più lucidi si rendono conto che il paese reale non è come vorrebbero e teorizzano che "per il suo bene" Israele vada "costretto" a fare quel che è "giusto", anche se il suo elettorato non è d'accordo. Vorrebbero una politica americana ed europea "muscolare" per "obbligare" i bambini indisciplinati dell'elettorato israeliano alle soluzioni che prediligono. Credono con fiducia questa sì infantile, alle cose che leggono sui giornali "progressisti", per esempio che Giudea e Samaria siano davvero "territori occupati", che le "colonie" siano "illegali". Hanno inventato un sistema di metafore un tantino inquietante, anche agli occhi della correttezza politica: parlano talvolta di "tough love" ("amore duro"), termine che è stato una volta chiarito dal direttore di Haaretz, che in un colloquio con l'inviato americano ha accennato alla necessità che l'America "stupri" Israele, sempre per il suo bene, naturalmente.
Comunque in genere i "diversamente sionisti" praticano il "wishful thinking", che tradotto nell'italiano degli anni Settanta fa "pensiero desiderante". Sono convinti che i palestinesi scoppino di voglia di far la pace, gli israeliani anche, seppur votano in maniera sbagliata, e solo i cattivi "coloni" impediscano la festa vagamente messianica dei terroristi abbracciati alle loro vittime, che inevitabilmente avverrà, soprattutto se Israele rinuncia subito e senza condizioni all'"occupazione". Si potrebe pansare che sono solo sciocchi, ma a me paiono pericolosi, non perché influiscano davvero sulla politica israeliana dove non contano nulla, ma perché legittimano la propaganda terrorista e rendono più difficile l'autodifesa israeliana in quel luogo centrale di scontro che è oggi l'opinione pubblica occidentale. Per questo ritengo necessario discutere con loro e contestare le loro opinioni, anche se esse hanno pochissimo rapporto con la realtà dei fatti.
Concludo con una piccola nota personale. Una di questi "diversamente sionisti", di professione insegnante in un liceo della città dove insegno anch'io, se l'è presa con me l'altro giorno su questa newsletter e mi ha applicato la categoria politica olfattiva del "turarsi il naso". Probabilmente citava in maniera malaccorta Montanelli e non si è resa conto di riecheggiare un vecchio stereotipo antisemita, quel "fetor judaicus" che a suo tempo per i migliori inquisitori era un indizio infallibile di colpevolezza. Posso dire solo che a leggere i suoi ragionamenti su democrazia e dialogo capisco perché quasi la metà degli studenti liceali che si iscrive alla mia facoltà ottiene risultati insufficienti ai test di cultura generale e lingua italiana.

Ugo Volli


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Israele: "Turbamento per i fatti di Oslo"
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“Israele esprime turbamento per i rivoltanti attacchi terroristici di Oslo. Assolutamente nulla può giustificare una tale insensata violenza. I nostri pensieri e le nostre preghiere sono con le vittime
e le loro famiglie”. Questo uno stralcio della nota diffusa dal ministero degli Esteri israeliano al termine del riposo ebraico dello shabbat. Una nota, rivolta al popolo norvegese, sconvolto dal duplice attentato terroristico che nel fine settimana ha provocato decine di morti nel paese, che si affianca al messaggio di solidarietà inviato personalmente al re di Norvegia dal presidente israeliano Shimon Peres.
 



 

Lo sdegno per la lista anti-ebrei. “Bisogna tenere alta la vigilanza”
Alessandro D’Amico, Riformista

Il giovane rabbino

che arginò la furia nazista
Cristiana Dobner, Osservatore Romano

Torino letta in fondo
Giulio Busi, Sole 24 Ore


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