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31  luglio 2011 - 29 Tamuz 5771
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l'Unione informa
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moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
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Benedetto Carucci Viterbi Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino


Una persona che chiude la sua Gemarah perché deve fare un atto di Chesed, la sua Gemarah è ancora aperta. Una persona che apre la sua Gemarah per evitare di fare un atto di Chesed, la sua Gemarah è ancora chiusa" (rav Chaim di Brisk)

David
Bidussa,
storico sociale delle idee


David Bidussa
“Ogni esecuzione di cui egli è responsabile gli conferisce una certa forza: la forza del sopravvissuto. Le sue vittime non devono necessariamente essersi schierate contro di lui, esse avrebbero potuto farlo. La sua angoscia le trasforma in nemici che lo hanno combattuto. Li ha condannati, sono stati uccisi: egli è sopravvissuto loro”. Sono le parole con cui Elias Canetti in “Masse e potere” (all’inizio del capitolo “Il sopravvissuto”) descrive la condizione di potenza  di chi si sente padrone delle vite degli altri e dunque si sente sopravvissuto non perché scampato a una condizione precedente di persecuzione e di prigionia, ma perché nell'atto di dare loro la morte vede riaffermato il potere di cui si sente legittimo depositario. Il senso di quel potere riguarda la possibilità di dare la morte, ma anche, per vie imperscrutabili, di lasciare in vita, ovvero di dare la grazia. A Utoya, come da manuale, Anders Breivik ha distillato morte e grazia, sentendosi come Dio. C’era il delirio nazista in quella scena e in quella testa, ma c’era anche la convinzione di “dare e prendere la vita”, sostituendosi a Dio e sentendosi come Dio. Forse dovremmo riflettere anche su questo secondo modulo. Non meno terrificante dell’altro.

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davar
Redazione aperta - Un’estate che serve a crescere 
Redazione apertaChi immagina le redazioni dei giornali vuote e desolate nelle settimane dell’estate resterebbe sorpreso visitando il gruppo di lavoro che si occupa del Portale dell’ebraismo italiano www.moked.it, del notiziario quotidiano l’Unione informa, del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche e del giornale per bambini DafDaf. Anche nei prossimi giorni il lavoro proseguirà come di consueto con regolarità. I lettori che ci  seguono continueranno a trovare le loro letture con un ritmo regolare e senza interruzioni. Ma per la redazione le settimaneRedazione aperta dell’estate  rappresentano anche il momento giusto per mettere in cantiere nuovi progetti. A cominciare dall’appuntamento di Redazione aperta, il laboratorio di lavoro giornalistico che vede la partecipazione di giornalisti,  collaboratori delle testate e di tanti giovani che vogliono in qualche modo accostarsi a una professione che esercita ancora il suo fascino. Si tratta di una  scadenza importante e di un punto d’incontro, dopo un altro anno di lavoro, per una redazione nuova e diffusa sul territorio, che opera da città diverse e ha fatto del decentramento una pratica abituale di lavoro, più che uno slogan. In agosto dovranno poi essere messe a punto altre novità che speriamo di poter dettagliatamente annunciare al lettore sul prossimo numero di Pagine Ebraiche. L’estate, insomma, non serve solo al riposo e allo svago, ma anche a coltivare le occasioni di crescita e di confronto. Elementi  essenziali per giornali che vogliono restare vivi e reattivi nelle mani del lettore.

(Pagine Ebraiche, agosto 2011)

Sorgente di vita - Giornata della Cultura e Ebr@ismo 2.0
Questa sera la puntata di Sorgente di vita apre con il lancio della Giornata Europea della Cultura Ebraica attraverso il sito web creato per l’occasione. Un click e si parte per un viaggio virtuale a Siena, città capofila, o nelle altre località che aderiscono alla manifestazione del 4  settembre prossimo, quando sinagoghe, musei e luoghi ebraici apriranno le porte ai visitatori. Annie Sacerdoti, consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e Sira Fatucci, coordinatrice della giornata, parlano dell’appuntamento, giunto con successo alla  XII edizione, e del tema di quest’anno “Ebr@ismo 2.0: dal Talmud a Internet”. “Non desiderare la moglie del tuo prossimo, la casa, il suo servo, la sua serva, il suo bue, il suo asino, non desiderare qualsiasi altra cosa che appartiene al tuo prossimo”: con il decimo comandamento si conclude la serie dedicata al decalogo, con la lettura del testo biblico affidata all’attore Paolo Ferrari e il commento a più voci che varia di volta in volta. Intervengono il rabbino Roberto Colombo e il fotografo Oliviero Toscani. Si parla poi di kasherut: kasher in ebraico vuol dire adatto, buono, conforme alle regole alimentari che sono tante e complesse. Mangiare, secondo la tradizione ebraica, è un vero e proprio atto rituale inserito in un programma religioso più ampio nella prospettiva della santificazione della vita quotidiana. Dai quadrupedi ai volatili, dai pesci al divieto di mangiare carne e latte insieme, il rabbino Roberto Colombo propone alcune interpretazioni sui precetti della kasherut. Infine un’intervista alla scrittrice Clara Sanchez  sui temi del suo romanzo, “Il profumo delle foglie di limone”, caso editoriale dell’anno, sui quali interviene anche il giornalista Gabriele Eschenazi: la caccia ai criminali nazisti rimasti impuniti, la loro vita “invisibile” nella normalità quotidiana, la Spagna e i conti con il passato franchista. Sorgente di vita va in onda domenica 31 luglio alle ore 1,20 circa su RAIDUE. La puntata sarà replicata lunedì 1 agosto alla stessa ora e lunedì 8 agosto alle ore 7 del mattino. I servizi di Sorgente di vita sono anche on line.

p.d.s.

 

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pilpul
Davar Acher - Antisemitismo e pregiudizio
Ugo VolliNei mesi scorsi è uscito da Bompiani un libro di Roberto Finzi (Il pregiudizio, pp. € ), in cui si illustrano le prese di posizione antiebraiche da parte di diversi protagonisti della vita politica e culturale cui non verrebbe da attribuirli: liberali come Croce e Merzagora, intellettuali ebrei come Lombroso, padri del pensiero progressista come Marx, grandi scrittori umanisti come Goethe. Le frasi scritte da questi personaggi appaiono oggi incredibili. Per esempio Marx parla del commercio e del profitto come il "vero dio" dell'"ebreo" e conclude che "L'emancipazione degli ebrei nel suo significato ultimo è l'emancipazione dell'umanità dal giudaismo". Come dire, la condizione della libertà per gli ebrei è la loro distruzione come entità collettiva.
Goethe esclude gli ebrei dalla città ideale del Wilhelm Meister "perché non riconoscono le origini storiche della nostra civiltà, che non è la storia loro, dominata da una singolare idea di dominazione". Lombroso ipotizza anche lui la "fusione" dell'ebraismo nella società circostante come soluzione di tutti i problemi, e crede di difendere "la razza ebraica" spiegando che "essi sono già un popolo molto più ario che semita", cioè non sono davvero ebrei; Croce, che pure si era opposto alle leggi razziali, dopo la Shoah invita gli ebrei a "cancellare quella distinzione e divisione nella quale hanno persistito nei secoli e che, come ha dato occasione e pretesto in passato alle persecuzioni, è da temere ne dia ancora in avvenire", Merzagora scrive una specie di decalogo a uso dei reduci della Shoah il cui senso generale è che "si controllino", "non chiedano la luna" – osservazioni rese ancora più gravi dal fatto che il futuro presidente del Senato sedeva in qual momento su un posto da cui il fascismo aveva espulso il suo predecessore ebreo. Tutti questi autori pensano che la differenza ebraica – l'esistenza degli ebrei come ebrei - sia di per sé male e la soluzione del "problema ebraico" è la cancellazione dell'ebraismo, non dell'antisemitismo. Era stata del resto anche la posizione della Rivoluzione francese: «Si accordi tutto agli ebrei come individui, ma non come nazione»: lo aveva detto all’Assemblea nazionale nel 1789 il conte Clermont-Tonnerre.
Sono cose ben note a chi si occupa di antisemitismo. La ragione per riparlarne è che Finzi suggerisce di distinguere queste posizioni dall'antisemitismo vero e proprio, quello legato al nazismo e in misura più o meno grande corresponsabile della Shoah, trattandole come un'altra malattia più leggera, appunto "il pregiudizio". Si può discutere di questa denominazione, che appare assai generica, e soprattutto della quasi-assoluzione che ne consegue (particolarmente ribadita nel caso di Marx da una prefazione molto discutibile di Claudio Magris, che cade perfino nella ripresa del concetto crociano sopra riportato: "l'enfasi sulla diversità ebraica contiene di per sé, anche quando quest'ultima viene esaltata, un possibile germe di antisemitismo"). Non lo farò qui.
Più interessante mi pare isolare il motivo principale della distinzione fra antisemitismo e "pregiudizio". I portatori di questa versione attenuata della malattia non solo non collaborarono direttamente alla violenza antisemita e magari la contrastarono, ma scrissero le espressioni che oggi ci ripugnano facendosi dominare – sostengono Finzi e Magris - da "stereotipi antiebraici" "annidati nel profondo", che "né la cultura né l'adesione a quanto oggi si è soliti chiamare modernità avevano sradicati". Insomma, influenze "ambientali", "pregiudizi" "diffusi". Mi sembra chiaro che essere contro gli ebrei per ragioni ambientali di per sé non può essere una scusante (se no si potrebbe dire che anche Eichmann ce l'aveva con gli ebrei per questa ragione). Non entrerò qui nel merito alla discussione sulle responsabilità (a me per esempio sembra imperdonabile che Marx in una lettera scriva di un avversario politico ebreo che "egli, come dimostrano anche la conformazione della sua testa e della sua chioma, discende dai negri che si unirono all'esodo di Mosè dall'Egitto).
Ma forse val la pena di considerare il suggerimento di distinguere fra l'antisemitismo militante e un "pregiudizio" antiebraico diffuso e per nulla censurato, che fu adottato senza problemi da tutti in Europa, anche i grandi intellettuali (per esempio Voltaire) fino a ben dentro il Novecento. La ragione è che esso, come mostra Finzi, venne in sostanza condiviso anche dagli ebrei assimilati. Questo "razzismo debole" fu dirottato dagli ebrei che si illudevano di essere entrati nella "civiltà europea" sul passato e sugli ebrei loro contemporanei non assimilati (le pagine di Joseph Roth sugli ebrei orientali e quelle di Kafka sugli attori yiddish sono fra le significative eccezioni), senza che questo peraltro dissipasse l'odio dei veri antisemiti. Ma esso impose ai bravi borghesi usciti dal ghetto o dallo stadtl un paio di generazioni prima, che lo usavano per distogliere da sé l'antisemitismo, una complicata azione di negazione e distacco dalla loro identità, dalle loro tradizioni, dalla loro cultura, l'attitudine a giudicare male il proprio popolo e a sopravvalutare la cultura dell'Europa cristiana, il pensiero che solo l'universalismo e magari il socialismo poteva giustificare la loro pregiudizievole origine. Viene certamente da qui, dall'assunzione soggettiva del "pregiudizio", l'"odio di sé" di molti (non solo di Weininger e Kraus e Simone Weil, ma anche di coloro che nascosero le proprie origini ebraiche come Moravia o coloro che si convertirono non per consapevole interesse ma per convinzione, come pensò di fare perfino Franz Rosenzweig e fecero, non importa se al cristianesimo o alla religione comunista, tanti altri). L'"odio di sé" non è una categoria psicologica, come si sostiene nel libro, ma sociologica e collettiva.
E di qui viene anche probabilmente la radice di quell'essere "diversamente sionisti" o antisionisti tout court, che caratterizza oggi i Pappé, i Chomsky, le Hass e molti altri fino a J Street e ai loro emuli europei: l'idea di dover dimostrare la propria rispettabilità e l'assunzione nel mondo circostante giudicando più severamente di altri il popolo da cui si proviene (e magari non si è più davvero parte); di privilegiare i diritti altrui rispetto a quelli di Israele per farsi personalmente accettare come bravi intellettuali e persone perbene nonostante le "origini" ebraiche, di rifiutare il "tribalismo" a favore dell'universalismo: una caricatura del pensiero ebraico sulla giustizia in cui ci imbattiamo oggi continuamente. Bisogna sapere che il "pregiudizio", se non proprio l'antisemitismo, non è morto dopo la Shoah nella mente e nel cuore dei popoli europei (e naturalmente anche degli islamici); si è solo nascosto e spesso travestito da antisionismo e critica di Israele. E non è morto il "pregiudizio" di alcuni degli stessi ebrei per se stessi, che oggi è diventato nei diversamente sionisti "correttezza politica", "amore della pace" e "giusta critica delle azioni inaccettabili del governo israeliano", se non peggio.

Ugo Volli


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Israele, proteste contro il carovita
Shimon Peres: "Ascoltiamo la voce
di questa generazione"

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“È nostro dovere ascoltare la voce di questa generazione e trarre le necessarie conclusioni”. Lo ha affermato il presidente israeliano Shimon Peres dopo l’imponente manifestazioni che ha visto 150 mila persone scendere in piazza per chiedere ancora una volta riforme sociali, durante un incontro con il presidente della Medical Association Leonid Idelman. Peres ha sottolineato la necessità di un cambiamento nelle priorità dello Stato e di dedicare seri investimenti per andare incontro alle esigenze della classe media. Quello con Idelman è solo l’ultima di una serie di riunioni con industriali, economisti e professori in cui il presidente è impegnato allo scopo di trovare soluzioni per i problemi che nell’ultimo periodo hanno portato migliaia di persone in piazza in tutta Israele. . 



 
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