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3 agosto 2011 - 3 Av 5771
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Adolfo Locci Adolfo
Locci
rabbino capo
di Padova

“Queste sono le parole che disse Moshè a tutto israele....” (Devarim 1:1) Rash”y spiega: “siccome sono parole di rimprovero, Moshè cita tutti i luoghi dove il popolo d’Israele ha provocato l’ira del Signore. Per questo ha nascosto i fatti - per rispetto della gloria d’Israele - ricordandoli con allusioni”. Grande è la dignità delle persone, anche di quelle che hanno dei peccati sulle proprie spalle, e quanto è per noi importante prestare molta attenzione al rispetto di questo principio.
 Davide  Assael,
ricercatore



davide Assael
Dopo una primavera araba abbiamo, dunque, un’estate israeliana, con migliaia di giovani che scendono in piazza chiedendo, così come avviene in Europa, maggiore giustizia sociale; dall’abbassamento del prezzo degli affitti, agli “aiuti per i pannolini”. Inutile cedere alla retorica che vede nelle piazze arabe e in quelle israeliane movimenti generazionali mossi da medesime esigenze e non più da vecchi rancori. La difficoltà della relazione c’è e forte e, a mio parere, affonda le radici in orizzonti culturali e politici profondamente diversi. Ciò non toglie, così come ci insegna la Torah (Br 25, 9), che si possano individuare formule di convivenza e che stati d’animo comuni possano favorire degli incontri. Ammetto che da tifoso di calcio, non vorrei più vedere Israele partecipare alle qualificazioni dei campionati europei, cosa che mi è sempre apparsa come segno di un fallimento politico. In questo modo, avrà anche qualche possibilità in più di vittoria, perché, in quel settore, la distanza dagli standard occidentali è ancora grande assai…
davar
Qui Trieste - Un’identità da riscoprire
salonichioLa parola che torna più spesso nel suo ragionare di cose ebraiche è “attaccamento”. Attaccamento alla storia, ai valori e all’identità di una Comunità ebraica che è stata colpita con ferocia dalla macchina di sterminio nazista. Alessandro Salonichio, da poche settimane alla guida della Comunità triestina, identifica proprio in questo legame, in cui etica e affetti s’intrecciano in modo inestricabile, il senso più profondo del suo mandato. “Vorrei riuscire a ricreare, nei nostri iscritti, la consapevolezza che l’ebraismo triestino ha un passato e una cultura che vanno valorizzati per riuscire a riscoprire quella che è la nostra identità più autentica”, spiega. Quarantatré anni, due figli, una moglie attivissima nelle cose comunitarie, il presidente Salonichio è funzionario in una primaria compagnia di assicurazioni, dove è responsabile di un team che si occupa di riassicurazione. Un impegno lavorativo notevole, che non gli ha però mai impedito di impegnarsi in prima persona per la sua Comunità. “Ho frequentato l’asilo e poi la scuola ebraica – racconta – e fin dai diciott’anni sono stato volontario nelle più svariate situazioni comunitarie”. Tra le tante, quella che lo segna di più è un’iniziativa di ospitalità a ragazzi israeliani. “Nel 2006, quando il nord d’Israele era bersagliato dai missili di Hezbollah, la nostra Comunità decise di accogliere una quarantina di giovani di quella zona per una vacanza nel nostro polo di aggregazione sul Carso. Fu un’esperienza per me indimenticabile, perché, assieme a un piccolo gruppo di volontari, ci ritrovammo a metterci tutti in gioco per aiutare chi aveva bisogno”. Un’occasione si ripete l’anno dopo, quando Trieste si offre di aiutare un gruppo di ragazze che vivevano all’orfanotrofio realizzato da rav Moshe Fima di Yad Isroel a Pinsk. Il senso dell’aiuto e l’attitudine all’ascolto sono d’altronde un aspetto imprescindibile del suo carattere e della sua storia. “La mia famiglia è stata profondamente colpita dalla Shoah. Mia madre, Diamantina, è stata deportata a Bergen Belsen insieme alle tre sorelle e alla mamma. E prima ancora erano stati deportati ad Auschwitz il fratello, gli zii, cugini e le nonne che erano ricoverate nella casa di riposo Gentilomo. Soltanto mio nonno scampò all’arresto perché al momento della retata era fuori casa. “Dai campi di sterminio tornò solo mia madre. Noi figli sapevamo della sua storia fin da bambini. É riuscita a trasmetterci il suo dramma senza mai farcelo pesare. E ha sempre testimoniato quanto era accaduto, anche negli anni in cui parlare di Shoah non era così frequente, perché non voleva che questa tragedia finisse dimenticata. In questo senso il suo esempio è stato trainante per quella generazione di testimoni”. “Tutto questo – conclude – ha plasmato la mia sensibilità. Mia madre ci ha trasmesso un grande senso di rispetto per l’altro. Il mio sforzo è dunque sempre quello di cercare d’incontrare l’altro con attenzione al suo modo d’essere e al suo dolore”. Non stupisce dunque che Diamantina si sia commossa per la nomina del figlio alla presidenza senza però concedere troppo ai complimenti, come d’altronde lo stesso Alessandro che alle parole mostra di preferire senz’altro il lavoro. “Lo sforzo di questo Consiglio – dice – dev’essere quello di riuscire a rendere la Comunità sempre più attrattiva per i giovani. Il Tempio mezzo vuoto a Shabbat o per le feste è per noi motivo di grande turbamento. Vorremmo ripopolare le funzioni, tra cui quella del sabato pomeriggio che è stata un punto fisso dell’infanzia e dell’adolescenza di tutti noi. In questo senso mi preme sottolineare l’impegno di Jacky Belleli, assessore al Culto, per quanto sta facendo per riportare i bambini e le loro famiglie al Tempio ad assistere a Minchà e per recuperare le vecchie melodie e i canti di una volta. Sono elementi importanti dell’identità comunitaria che vorremmo valorizzare, con molteplici iniziative e a tutti i livelli, attraverso la riscoperta della storia e dei nostri valori”. “Al tempo stesso – continua – vogliamo offrire ai nostri ragazzi l’opportunità di incontrare i coetanei di altre comunità e di condividere con loro momenti di studio e di svago. In questo senso è molto importante la collaborazione con il Dipartimento Educazione e Cultura dell’UCEI con cui già a settembre organizzeremo un importante appuntamento per i più giovani. Da questo punto di vista la Comunità triestina può essere un importante motore di iniziative”. Ineludibile poi, in una realtà come Trieste, il rapporto con le altre comunità religiose che da alcuni anni è divenuto un fattore costante dell’attività comunitaria. “É un discorso che dobbiamo portare avanti in un’ottica di apertura e di confronto. Le attività svolte finora hanno da poco trovato un suggello ufficiale in un recente protocollo sottoscritto da tutte le comunità cittadine. L’auspicio è che sia l’avvio di un lavoro comune di conoscenza reciproca e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Trieste è un crocevia di genti, religioni, lingue e culture. Il nostro impegno dev’essere quello di mantenere la nostra identità in una logica di confronto costante”. E nel ribadire quest’obiettivo il pensiero del presidente corre alle comunità ebraiche d’oltreconfine, realtà che negli ultimi vent’anni hanno attraversato una fase di straordinaria rinascita. “Da tempo la Comunità triestina segue con attenzione e con specifici impegni la ripresa dell’ebraismo di queste zone. É un lavoro che potrà proseguire stringendo ulteriori rapporti di collaborazione".

Daniela Gross, Pagine Ebraiche, agosto 2011


Qui Trieste - Volti nuovi (ma non solo) in Consiglio

marianiLa prima ventata di novità si era fatta sentire a metà dicembre, quando la Comunità di Trieste aveva visto le elezioni decretare un cambio profondo del Consiglio. Sei mesi dopo un’altra svolta, quando il presidente Andrea Mariani, consigliere nazionale UCEI, viene chiamato a reggere l’assessorato alla Cultura del Comune di Trieste e lascia la guida della Comunità pur continuando a far parte del Consiglio. Alla presidenza viene così designato Alessandro Salonichio mentre le deleghe vengono redistribuite così da portare avanti al meglio le diverse attività. Dalle politiche per i giovani alla cultura, dal recupero delle tradizioni all’educazione, sono numerose le sfide che attendono questo Consiglio che spicca per la giovane età e la determinazione dei componenti. “Siamo un gruppo di amici, molto motivati nell’attaccamento alla Comunità e uniti dall’esperienza di volontariato in ambito comunitario, che hanno voluto presentarsi insieme alle elezioni per proporre un cambiamento – dice il presidente Salonichio – La nostra proposta ha trovato un consenso molto ampio da parte degli iscritti, adesso stiamo lavorando per darvi attuazione”.
Ad accomunare il Consiglio triestino, oltre all’età, il fatto che tutti i componenti sono impegnati con successo nel mondo del lavoro e delle professioni come si può vedere nello straordinario servizio fotografico di Giovanni Montenero che li ritrae nel contesto delle loro attività di lavoro. In alto Andrea Mariani, imprenditore, fotografato all’ingresso del museo d’arte moderna Revoltella, una delle strutture museali più prestigiose della città su cui ora ha competenza in quanto assessore comunale alla Cultura.
Sotto a destra, Mauro Tabor, vicepresidente che si occupa della cultura, all’ingresso della storica sede delle Assicurazioni Generali, il primo gruppo assicurativo italiano.
Poi, in senso orario dall’alto, Igor Tercon, violoncellista, che cura la Casa di riposo e il Centro di aggregazione giovanile, ritratto nella sala del teatro lirico Giuseppe Verdi della cui orchestra ha fatto parte per molti anni.
Jacky Belleli, quadro direttivo di un grande gruppo 
bancario, che segue la beneficienza e il culto: un ambito di cruciale importanza per la vita della Comunità in cui sta lavorando al recupero delle tradizioni locali.
Sopra, Ariel Camerini, architetto, che si occupa degli immobili comunitari, ritratto davanti a uno dei cantieri che segue nella sua attività professionale. Nell’ultima immagine Nathan Israel, imprenditore, fotografato davanti a uno dei portali della sinagoga triestina. Vicepresidente, segue la scuola e l’asilo, istituzioni da sempre centrali nelle politiche comunitarie. Insieme ad Ariel Camerini si occupa anche dei giovani che rappresentano uno dei settori privilegiati d’intervento di questo Consiglio.

Pagine Ebraiche, agosto 2011

(Servizio fotografico di Giovanni Montenero)

pilpul
La missione dell'Onu
Francesco LucreziQuando, il 14 maggio del 1948, i “founding Fathers” di Israele ebbero l’ardire di pronunciare la Dichiarazione di Indipendenza - sfidando in modo clamoroso la legge del più forte, che avrebbe voluto il minuscolo, neonato staterello rapidamente schiacciato dalle soverchianti forze nemiche -, la loro non fu solo la rivendicazione di uno storico, millenario diritto di sovranità nazionale (di cui, secondo la teologia medioevale, il popolo ‘deicida’ avrebbe dovuto essere privato in eterno, come punizione per il suo irreparabile crimine - come disse Dante, per “la vendetta de la vendetta del peccato antico” -), né la mera riappropriazione di quel semplice diritto all’esistenza che il nazismo aveva voluto negare (a fatti, e non a parole) agli ebrei, nell’indifferenza del mondo civile; ma fu anche una riaffermazione, nonostante tutto, dei superiori princìpi del diritto e della legalità internazionale, di cui i mostri del XX secolo avevano fatto strame. Diritto degli individui, diritto dei popoli, diritto degli Stati: pace, cooperazione internazionale, rifiuto di ogni arbitrio e di qualsiasi prevaricazione, libertà per tutti e sicurezza per ciascuno. Questi i valori fondanti del moderno Stato di Israele, che, sulle ceneri della tirannia nazifascista, sperava che le forze uscite vincitrici dal titanico conflitto avrebbero voluto e saputo costruire una nuova famiglia universale di popoli liberi e uguali, la cui coesistenza sarebbe stata regolata per sempre, appunto, dal diritto, e non dalla forza. 
La nascita dell’ONU, nel 1945, aveva suscitato l’effettiva speranza di un nuovo ordine di legalità mondiale, che in tale Assemblea avrebbe visto il riconoscimento e la tutela di tutti i diritti di tutti i popoli: una speranza talmente radicata, nei padri di Israele, che le Nazioni Unite sono menzionate, nella Dichiarazione d’Indipendenza -un testo di soli 18 commi -, ben cinque volte, a testimoniare come gli ideali affermati nella Carta di San Francisco – volti alla costruzione di un mondo di pace, giustizia e fratellanza – sembrassero, all’epoca, in assoluta sintonia con l’ideale sionista. Non c’è bisogno di ricordare quanto, negli anni a seguire, la speranza di Israele sarebbe andata delusa, e in che misura le Nazioni Unite avrebbero tradito la loro propria originaria, asserita vocazione. Israele sarebbe rimasta, nonostante tutto, la patria del diritto, combattendo tutte le sue guerre, come è stato detto, “con una mano legata dietro la schiena”: ma molto, troppo spesso, nella sua battaglia per il diritto e per la legalità, si sarebbe trovata sola, con buona parte del mondo schierata dall’altra parte della barricata.
È soprattutto a questa delusione, a questo tradimento che ci sembra dedicato il libro di Jonathan Curci e Raffaele Petroni, con preambolo di Scialom Bahbout e prefazione di Antonio Donno, recentemente pubblicato per le Edizioni Messaggi: L’esistenza dello Stato d’Israele, il Medio Oriente e la Comunità internazionale. Considerazioni sul conflitto. Un volume che offre una precisa e dettagliata ricostruzione della contrastata storia dei rapporti tra Israele e i suoi vicini e avversari, ripercorsa in tutti i principali aspetti politici e militari (dall’autodeterminazione all’autodifesa, dai territori contesi al negazionismo, dal pacifismo aggressivo all’uso proporzionato della forza, dai negoziati di pace alle risoluzioni ONU di condanna di Israele, fino ai più recenti eventi del Rapporto Goldstone e della Freedom Flotilla), considerati soprattutto dal punto di vista della diplomazia e del diritto internazionale. Un libro che testimonia, purtroppo, la grande solitudine di Israele nello scenario internazionale, l’ennesimo rifiuto riservato al popolo ebraico dal “resto del mondo”; eppure, un libro che offre anche, nonostante tutto, un profetico, luminoso messaggio di speranza, nelle parole finali del preambolo di Bahbout: “Gerusalemme… rappresenta un punto comune di riferimento per gran parte dell’umanità: non sarebbe questa la sede più naturale e idonea per un ente come l’ONU che ha il compito di operare per portare la pace nel mondo?”.

Francesco Lucrezi, storico

notizieflash   rassegna stampa
In calo l'export israeliano verso gli Stati Uniti
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Calo dell’export israeliano verso gli Stati Uniti. A rivelarlo l’Istituto israeliano per le esportazioni e la cooperazione internazionale che nel bimestre maggio-giugno 2011 registra un meno 9% rispetto ai mesi precedenti e un meno 7% rispetto allo stesso bimestre dello scorso anno. Tra i settori più colpiti quello dei prodotti chimici (-12%) e quello dei macchinari industriali (-5%). “Sono cifre preoccupanti e provano ancora una volta che l’economia globale sta recuperando con lentezza dopo la crisi” commenta l’amministratore delegato Avi Hefetz. Buone notizie invece sul fronte europeo con un aumento di prodotti venduti, sempre nello stesso arco temporale, del 10% rispetto a marzo-aprile.

 

In questo inizio d’estate è forse opportuno aprire questa rassegna con l’articolo di Dario Calimani su Repubblica: “Ma quello è un ebreo di merda” ha detto una impiegata di Mediaworld, casualmente proprio di fronte ad uno di questi ebrei. Come sta attentamente esaminando il CDEC (presto usciranno nuove analisi a cura di Stefano Gatti al quale tutti dovrebbero inviare le informazioni in loro possesso su questo tema), il problema dell’antisemitismo...»

Emanuel Segre Amar












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