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4 agosto 2011 - 4 Av
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Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma
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All'ultimo
congresso dell'UCEI un aspirante giornalista è stato minacciato dal
presidente di una comunità. In un'altra occasione una sua collega è
stata duramente rimproverata per una gaffe professionale. Da quanto mi
risulta questi sono gli unici rischi professionali corsi di recente da
chi vuole intraprendere la carriera giornalistica ebraica. Non che sia
un mestiere tranquillo, ma non siamo fortunatamente ai tempi delle BR o
nei luoghi dove è caduto Daniel Pearl. Nessuno giudica i giornalisti
per come vestono, mangiano, si divertono, hanno una vita affettiva, se
studiano, se sono simpatici e divertenti, se sono rigorosi o di manica
larga. I giornalisti no ma i rabbini sì. I giornalisti possono essere
criticati per quello che scrivono o non scrivono, per gli argomenti di
cui parlano e per quelli di cui tacciono, ma non è mai l'attenzione, la
passione, la rabbia con cui si critica qualsiasi comportamento o
intervento rabbinico, fatto od omesso, specialmente su temi caldi come
educazione, matrimoni misti, conversioni, orientamenti sessuali. Ecco
forse spiegato uno dei motivi per cui l'opzione giornalistica è da
queste parti più appetibile di quella rabbinica. Un tema che ho
proposto qualche giorno fa su queste pagine e che ha sollevato un certo
dibattito. Fino ad arrivare alla conclusione scontata; che se di nuovi
rabbini ce ne sono pochi, di chi è la colpa? Dei rabbini. Appunto.
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Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme
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Ho sempre
pensato che gli storici sbaglino quando sono troppo precisi nel
designare i nomi dei luoghi. La strage di Utoya – l'isolotto a un solo
errore di stampa da Utopia – è stata in realtà concepita a Oslo e
perpetrata a una distanza di non più di mezz'ora dalla capitale
norvegese. Non è l'isolamento idillico che offre il contesto vero del
fatto, ma semmai le sue robuste e inquietanti connessioni con la densa
società urbana circostante. Confesso che, da ragazzo, per molti anni ho
ignorato che Dachau – il nome di una località non immediatamente
collocabile sulla carta geografica della Germania – è semplicemente un
sobborgo di Monaco di Baviera. Auschwitz – un luogo inesistente dato
che il suo nome sugli atlanti era Oswieçim – non è più tanto astratto
nello spazio quando si sa che è non è lontano da Cracovia. Bergen
Belsen è un posto vicino a Hannover, Mauthausen è prossimo a Linz. La
Risiera di San Sabba non è un acquitrino in una pianura non meglio
identificata, ma è una casa a Trieste. Se la storia avviene in luoghi
non intuibili geograficamente, finisce per aleggiare in uno spazio
avulso dal contesto, semi-virtuale, non riproducibile nell'immaginario,
e perde cosí una parte importante della sua concretezza reale. Un luogo
che quasi non esiste, non può avere vicini e spettatori, e non li può
coinvolgere nel vedere, nel sapere, nel partecipare. Mentre un luogo
vero e noto come la grande città, inevitabilmente ha dei vicini e degli
spettatori – molti – che non possono non sapere, non vedere, e non
partecipare. I tragici avvenimenti di Utoya, e ben inteso senza
azzardare indegni paragoni, di Auschwitz, di Dachau, e di San Sabba,
sono in realtà avvenuti a Oslo, e sempre distinguendo, a Cracovia, a
Monaco di Baviera, e a Trieste. Vorrei che, rinunciando alla precisione
ma con rude realismo, la cosa fosse chiara ai più giovani.
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torna su ˄
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Redazione aperta - La parola ai protagonisti
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È
da poco calato il sipario su Redazione aperta, appuntamento ormai
tradizionale per l'informazione ebraica, laboratorio di nuove idee e
nuovi spunti che per il terzo anno consecutivo ha trovato ospitalità
nelle strutture della Comunità ebraica di Trieste. All'iniziativa hanno
partecipato in qualità di ospiti leader ebraici, rabbanim, studiosi e
giornalisti. Oltre ai redattori delle testate UCEI, erano chiamati a
portare un contributo giovani collaboratori e aspiranti collaboratori
da tutta Italia. Nel cuore dei partecipanti è ancora forte l'entusiasmo
per le intense occasioni di confronto sviluppatesi nel corso di
Redazione aperta ed è grande e sincera la gratitudine verso la kehillah
triestina per la professionalità, la generosità e la disponibilità
messe in campo. "Redazione aperta è stato davvero un grande momento di
incontro" dice il torinese Tommaso De Pas, 21 anni. "So che sembra una
frase fatta, un vero e proprio clichè. Temo però di non poter
descrivere altrimenti questa esperienza unica che mi ha dato la
possibilità di affacciarmi alla realtà di un vera redazione
giornalistica.
Oltre
a voler ringraziare Guido Vitale, il regista di tutti gli eventi ai
quali abbiamo partecipato durante il nostro soggiorno, sento di dover
fare altrettanto con la Comunità ebraica di Trieste, con il Consiglio e
col suo presidente Alessandro Salonichio, che non solo hanno capito
quanto sia davvero ancora importante il mondo del giornalismo per
l'ebraismo, ma quanto lo sia per noi ventenni". "Giornalismo-torta è la
metafora coniata da Guido per spiegarci il suo modo di vedere il
giornalismo. Ecco, è questo uno dei tanti ricordi che ho della
settimana trascorsa a Trieste" dice Benedetta Rubin, 21 anni da Roma.
"Una settimana stimolante nel corso della quale ho avuto il privilegio
di conoscere persone di ampio spessore culturale a cui ho fatto domande
che mi hanno chiarito molti dubbi. Vorrei ringraziarle tutte e con loro
anche i colleghi della redazione. Ma sopratutto vorrei ringraziare il
presidente Salonichio che ci ha ospitato e accolto caldamente nella sua
città". Entusiasta anche Rachel Silvera, coetanea e concittadina di
Benedetta. "Redazione aperta – commenta – è una finestra spalancata che
fa affacciare i ragazzi delle comunità ebraiche italiane sul magnifico
e affascinante mondo del giornalismo. Un'esperienza all'insegna di
incontri con personaggi di spicco e lavoro concreto sul
notiziario quotidiano l'Unione Informa e sulle pagine del mensile
Pagine Ebraiche”. “I
partecipanti – prosegue Rachel – hanno potuto esprimere opinioni,
proporre idee e divertirsi vivendo a stretto contratto. Una Factory
alla Andy Warhol con meno trasgressione e più senso dell'umorismo. A
completare l'idilliaco quadretto sono stati gli sfondi: la colonia
carsica di Opicina e i centri di ritrovo della Trieste ebraica che
hanno messo in luce una comunità generosa e disponibie, pronta a
sostenere questo progetto formativo e a crescere insieme a noi”. La
milanese Francesca Hasbani, 21 anni, è stata conquistata dal taglio
pragmatico dell'iniziativa. “Trovo che una delle qualità principali di
Redazione aperta sia stata proprio quella di permettere ai partecipanti
di cogliere alcuni aspetti pratici e fondamentali della professione” ci
spiega. “Conoscere personalità che tutt'oggi lavorano in ambito
giornalistico o che vi hanno a che fare nella vita di tutti i giorni è
fondamentale per riuscire ad avere una visione globale di questo campo.
Soprattutto lo è instaurare rapporti d'amicizia con collaboratori e
redattori del giornale. Ricorderò con entusiasmo questa possibilità
offertaci dal direttore Guido Vitale e ringrazio per l'ospitalità la
Comunità ebraica di Trieste”. Micol Debash era una delle più giovani
del gruppo. Diciannove anni, romana, ha conseguito la maturità
scientifica nei primi giorni di luglio. “Con Redazione aperta –
racconta – siamo cresciuti non solo come giornalisti ma anche come
individui. Nel conoscerci abbiamo preso coscienza delle diverse realtà
di ogni Comunità ebraica, abbiamo trattato temi interessanti durante i
numerosi incontri con personaggi di rilievo ed è stato possibile
assistere alle scelte del direttore sull'impostazione delle pagine del
mensile. Il tutto cullati da una comunità accogliente che ha provveduto
a ogni singolo bisogno di noi aspiranti giornalisti”. Pertanto ora non
siamo solo più vicini ai nostri obiettivi, dice Micol, “ma siamo anche
un bel gruppo che ricorda già con nostalgia la splendida colonia di
Opicina”. Sulla stessa lunghezza d'onda Simone Bedarida, 17 anni da
Firenze, il più giovane in assoluto. “Quando mi sono incamminato verso
la stazione di Trieste per tornare a Firenze ho provato una forte
sensazione di malinconia. In quel momento mi sono reso conto che si era
appena conclusa un'esperienza straordinaria. Un grazie a Guido Vitale,
alla redazione, a tutto il Consiglio della Comunità triestina per
l'amicizia e l'accoglienza. Porterò sempre nel cuore questi giorni”.
Sospiri anche per il torinese Manuel Disegni, 22 anni, e per la 23enne
milanese Rossella Tercatin, due veterani di Redazione aperta. Con
l'inizio del loro praticantato giornalistico e con l'avvio di altri
contratti analoghi rivolti a tre giovani ebrei italiani si apriva
infatti questa iniziativa unica nel panorama ebraico nazionale. Era
l'estate del 2009. Il bilancio, oggi come allora, è assolutamente
positivo. “Ogni volta che siamo venuti a Trieste ci siamo sentiti come
a casa. Anche quest'anno la grande tradizione di ospitalità
dell'ebraismo triestino non è venuta meno. Grazie di cuore” affermano
in coro i due ex praticanti oggi professionisti. E per i nostalgici di
Redazione aperta c'è già la soluzione. Ci ha pensato il milanese Gady
Piazza riunendo i click più significativi in un album fotografico
postato su Facebook. Scatti di giornate memorabili e produttive che
resteranno a lungo impresse nella memoria di chi vi ha preso parte.
Adam Smulevich
(Servizio fotografico di Giovanni Montenero)
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è il giornale dell'ebraismo
italiano |
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Dafdaf
è il giornale ebraico per bambini |
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