se
non visualizzi correttamente questo messaggio, fai click qui
|
5 agosto
2011 - 5 Av
5771
|
 |
|
 |
|
|
|
|
 |
 |
Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano
|
Il
digiuno di Tish'à Beàv è il giorno più triste dell'anno ebraico eppure
per certi aspetti questo giorno viene considerato un giorno di festa,
per esempio non si leggono i Tachanunìm (le Suppliche) che vengono
generalmente omessi nei giorni festivi. Che senso ha questo miscuglio
di lutto e festa? Rav Shlomo Wolbe dice che tutte le feste ebraiche
sono delle tappe di avvicinamento verso Dio. Tish'à Beàv invece ricorda
un allontanamento e la ricorrenza dell'allontanamento. Secondo Rav
Wolbe anche l'allontanamento può avere un aspetto positivo. Tutta la
tradizione ebraica ha come obiettivo l'avvicinamento. Dobbiamo
avvicinarci e provare ad avvicinare gli altri però condizione
necessaria perché ciò avvenga è che si abbia coscienza di essere
allontanati. |
|
 |
Sonia
Brunetti
Luzzati,
pedagogista
|
|
Un piccolo
contributo alle riflessioni stimolate dal dossier Rabbini di Pagine
Ebraiche: “Ai Maestri in genere, e in particolare a quelli che sono
stati riconosciuti capi di Comunità sono dovuti obbedienza e rispetto.
Tra i più comuni segni esteriori di ossequio che ad essi vanno
tributati, ricorderemo: l’alzarsi in piedi al loro passaggio o quando
essi sono chiamati alla lettura pubblica della Torah; il dar loro il
primo posto, o il posto d’onore, in ogni riunione a cui essi prendano
parte, il far di quando in quando, e specialmente in occasione delle
maggiori solennità, visite di omaggio. I Maestri hanno, da parte loro,
il dovere di accogliere benevolmente chiunque a loro si presenti, di
rispondere alle domande che vengono loro rivolte, dare consiglio ed
aiuto ogni qual volta se ne presenti l’occasione.” (Rav Elia Artom)
|
|
 |
torna su ˄
|
|
 |
Lo studio della Torah non è mai un lusso |
 |
Nella
parashà che leggeremo questo Shabbat, Devarim, e in quelle dei due
sabati precedenti, le ultime del libro di Bemidbar (Matot e Mas’è), si
parla dell’insediamento delle tribù di Gad e Reuven e di metà della
tribù di Menashè nel territorio al di là del Giordano, molto ricco di
pascoli e perciò adatto alle abbondanti greggi che essi possedevano. La
richiesta venne presentata a Moshè dalle tribù di Gad e Reuven quando
il popolo d’Israele era giunto al confine della terra di Cana’an, ma
Moshè non ne fu affatto entusiasta e diede loro dei vigliacchi. I capi
delle tribù di Gad e Reuven rassicurarono Moshè dicendogli che
avrebbero lasciato solo le mogli e i bambini in Transgiordania, ma gli
uomini avrebbero partecipato alla conquista della terra insieme alle
altre tribù. A questa condizione Moshè si convinse e accettò di
concedere a Gad e Reuven e a metà di Menashè il diritto di vivere al di
fuori della terra che da allora sarebbe stata chiamata terra d’Israele.
In altre parole, gli permise di vivere in Galut (diaspora). Chi ha
letto attentamente la parashà di Matot o anche queste righe avrà notato
che la richiesta venne da Gad e Reuven, non da Menashè. Come mai allora
anche metà di Menashè andò in Galut? La risposta ce la dà il Netziv di
Volozhin nel commento Ha’ameq davar (a Devarim 3, 12-16), sulla base
del Talmud Yerushalmi e dell’Avot deRabbi Natan (un commento ai Pirqè
Avot). Fu Moshè stesso a chiedere a Menashè di mandare i migliori
studiosi di Torah a rafforzare le tribù del Galut. Conclude il Netziv:
“E così le generazioni future avrebbero imparato che è necessario
sforzarsi di abitare in un posto dove si studia Torà, perché dalla
Torah dipende la vita del popolo di Israele”. Studiare la Torah è
la garanzia dell’esistenza di Israele. Non è mai un lusso, “un puro
costo, un investimento in perdita”, come è stato scritto su questa
colonna l’altro giorno a proposito della mancanza di rabbini in Italia.
Sembra che la formazione rabbinica sia diventata per molti
un’ossessione e un problema di difficilissima soluzione. E invece non
c’è niente di più semplice. Si vogliono più rabbini? Facile, basta
aumentare il numero di coloro che studiano Torah. Al Collegio Rabbinico
Italiano ci stiamo provando e il centinaio di allievi che frequentano
il Collegio non sono propaganda ma reali. Perché solo avendo molti
studenti, anche “part time”, si può immaginare che qualcuno di loro sia
in grado e desideroso di passare a studi “full time” e che possa
arrivare alla fine del percorso di studi (non proprio elementari). A
quel punto potrà decidere di intraprendere una carriera rabbinica.
Sembra una banalità statistica, ma evidentemente non lo è, se per
l’ennesima volta siamo costretti a ripeterlo. Compito del Collegio
è fornire agli studenti lezioni per tutti i livelli, dal corso
preparatorio a quello medio e superiore. Compito delle comunità e dei
loro presidenti e consiglieri sarebbe incoraggiare lo studio della
Torah nelle proprie comunità, in modo da favorire l’interesse dei
giovani che magari potranno decidere di approfondire questi studi
andando a studiare al Collegio o in altri istituti, in Italia o
all’estero. E a proposito dell’estero: gli studenti del Collegio che
sono andati a proseguire i propri studi all’estero non l’hanno fatto di
propria scelta ma sono stati indirizzati dal Collegio stesso. Se non
avessero avuto una buona preparazione di base, neanche li avrebbero
presi in considerazione in Israele o in America. Per il terzo anno
consecutivo abbiamo mandato per due settimane un gruppo di una
quindicina di allievi delle classi di liceo/collegio di Roma e di
Milano alla Yeshivat Hakotel di Gerusalemme (incluse due allieve alla
Midrashà). Alcuni di loro hanno già deciso che torneranno in Yeshiva,
dopo la maturità, per almeno un anno di studi intensivi. E per diversi
studenti degli anni passati lo studio in varie yeshivot israeliane o
americane si è protratto per due, quattro, sei anni. Se poi questi
studenti/studiosi torneranno in Italia, dipenderà dall’attrattiva che
le comunità ebraiche italiane (e l’Italia in generale) potranno avere
per loro. Siamo d’accordo con il professor Calimani: “L’unico modo
utile di rispondere alle polemiche evitando di mantenerle sul piano
astratto della speculazione sarebbe quello di fare qualcosa”. Noi lo
stiamo facendo, o almeno ci proviamo. Vorremmo vedere anche i consigli
delle comunità tentare di fare qualcosa.
Gianfranco Di Segni, Coordinatore del Collegio Rabbinico Italiano
|
|
 |
torna su ˄
|
|
 |
Digiuni e TG
|
 |
Cosa
penseremmo se il telegiornale ricordasse agli ebrei che da lunedì a
martedì sera prossimi sono tenuti a digiunare per Tishà Be Av? E se lo
fecesse alla vigilia di Kippur? Saremmo contenti che si occupino di noi
o ci sembrerebbe un’indebita ingerenza nella nostra vita privata? Me lo
sono chiesta sentendo il TG regionale che per ben due sere di seguito,
parlando dell’inizio del Ramadan, ha sottolineato che il digiuno è un
dovere per tutti i musulmani. In effetti, pensandoci bene, il paragone
non è del tutto pertinente: noi siamo una piccola minoranza, radicata
da millenni sul suolo italiano, con comunità antichissime e buone
possibilità di comunicazione interna, mentre i musulmani che vivono in
Italia sono molti, divisi tra diverse etnie e comunità, e raggiungere
tutti è ben più difficile. Quindi forse, anche se l’invito al digiuno
suona un po’ coercitivo, tutto sommato mi pare che possa rientrare
nelle corrette funzioni del servizio pubblico. E’ curioso, comunque,
notare come siano cambiate le cose in pochi decenni: fino a non molto
tempo fa in Italia non si sapeva neppure bene cosa fosse il Ramadan e
oggi chiunque senta un TG non può fare a meno di conoscere ogni anno le
date di inizio e di fine. In un contesto culturale in cui anche gli
amici e i colleghi più colti e aperti non riescono a evitare di farci
gli auguri per Natale o per l’onomastico, la TV riconosce pubblicamente
che in Italia ci sono persone che vivono secondo ritmi diversi, con
festività e ricorrenze diverse; e inoltre gli italiani si abituano a
pensare che digiunare non è un rituale antiquato da fondamentalisti, o
magari un atto di grande devozione che richiede una straordinaria forza
d’animo, ma una pratica perfettamente normale, che può essere
annunciata in televisione come si annunciano gli spettacoli o il tempo
che farà domani. Purché tutti abbiano la possibilità di scegliere
liberamente se digiunare o no l’annuncio televisivo mi pare tutto
sommato un buon segno.
Anna Segre, insegnante
|
|
 |
torna su ˄
|
notizieflash |
|
rassegna
stampa |
Una mostra a Kamarina testimonia la presenza ebraica nel ragusano
|
|
Leggi la rassegna |
Partirono
probabilmente dalla zona di Alessandria, in Egitto e arrivarono negli
Iblei intorno al 70 d.E.V. gruppi di intere famiglie ebraiche che si
stabilirono tra Modica e Cava d’Ispica, tra Kamarina e Kaukana, tra
contrada Piombo e Comiso. Del loro passaggio su queste terre sono
rimasti pochi reperti che dal 30 luglio e fino al 30 ottobre
saranno in mostra al Museo di Kamarina, nell’ambito di un'iniziativa
presentata dal Direttore del Parco acheologico di Kamarina, Giovanni
Distefano. “L'assidua presenza della menorah, il candelabro a sette
bracci che identifica il culto ebraico – spiega l’archeologo – rende
facile la individuazione di oggetti, soprattutto lastre tombali,
risalenti a nuclei abitativi ebraici nelle nostre zone. Si tratta di
reperti recuperati nel corso di diverse campagne di scavo, distanti nel
tempo anche di decenni".
|
|
Che
il tempo stia inesorabilmente trascorrendo ci è segnalato, tra le tante
cose, dalla scomparsa dei testimoni della deportazione. Così per la
morte di Rudolf Brazda, l’ultimo «triangolo rosa» ancora in vita, già
prigioniero a Buchenwald, di cui ci dicono il Messaggero e Alberto Mattioli su la Stampa.
Brazda, di famiglia boema, era nato tuttavia in Sassonia nel
1913. Il clima di tolleranza della Repubblica di Weimar lo aveva
indotto a stabilirsi definitivamente in Germania, paese dal quale era
poi stato espulso, con l’ascesa dei nazisti al potere, dopo avere
scontato una pena detentiva per «depravazione contro natura» (bel
sofisma), ovvero in ragione della sua omosessualità...»
Claudio Vercelli
|
|
|
 |
torna su ˄
|
 |
è il giornale dell'ebraismo
italiano |
 |
|
 |
 |
Dafdaf
è il giornale ebraico per bambini |
|
L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
che fossero interessati a offrire un
proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it
Avete ricevuto questo
messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare
con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete
comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it
indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI -
Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo
aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione
informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale
di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.
|