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11
agosto
2011 - 11 Av
5771 |
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Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma
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Nella
'amidah, la preghiera che recitiamo tre volte al giorno, nella
penultima benedizione compare un ringraziamento a Colui che è
"misericordioso perché non sono finiti (tamu) i suoi atti di amore".
L'espressione deriva da un verso di Ekha (3:12), le Lamentazioni che
abbiamo letto per il 9 di Av. Solo che c'è un problema: il testo
originario non dice tamu ma tamnu, che nella forma poetica sta per
tammu, un'altro modo per dire la stessa cosa, "non sono finiti". Ma
nell'ebraico tamnu può essere anche prima persona plurale, nel senso
che siamo noi che non "siamo" finiti, malgrado tutto, per grazia
divina. Il testo quindi è ambiguo, forse intenzionalmente, e
corrisponde alle due facce della storia: la misericordia infinita
divina e la sopravvivenza d'Israele. |
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Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme
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Mi sono
astenuto di proposito dall'intervenire sulle dimostrazioni sociali in
Israele. Ogni intervento a caldo è sbagliato in una questione che è ben
più complessa. Sono in forte disaccordo con quello che ha scritto
Daniel Haviv, ma non intendo polemizzare, il problema è più serio.
Basti dire che le soluzioni ora proposte per la crisi in Italia,
cessioni e liberalizzazione, sono esattamente quelle messe in atto in
Israele e che stanno alla base della protesta. Le persone, prima
di parlare, dovrebbero leggere almeno i quotidiani di due paesi. Ne
parlerò nel mio prossimo intervento su Pagine Ebraiche, in settembre.
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torna su ˄
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Gli aiuti di Washington, importanti ma non fondamentali
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La
freddezza dei rapporti tra l’amministrazione Obama e il governo di
Netanyahu-Lieberman è fonte di preoccupazione per molti osservatori ma
a uno sguardo più attento il lungo sodalizio tra Stati Uniti e Israele
ha sempre vissuto alti e bassi, in modo quasi fisiologico. Sorge
comunque spontaneo un interrogativo: esiste ancora una dipendenza
economica di Israele dagli Stati Uniti? Di quali “mezzi di pressione”
dispone il governo americano nei confronti dell’alleato israeliano, ai
suoi occhi poco “attivo” nel perseguire una soluzione diplomatica al
conflitto coi vicini? È dai primi anni Settanta, in particolare dopo la
guerra del Kippur, che Israele riceve aiuti economici dagli Stati
Uniti, in due forme. Il primo e principale tipo di aiuto è
rappresentato dall’erogazione di una “donazione” annua: tale aiuto
venne ufficializzato e reso stabile a partire dal 1979, in occasione
del trattato di pace tra Israele e l’Egitto, quando il governo
americano decise di concedere circa 3 miliardi di dollari l’anno a
Israele e 2 miliardi all’Egitto. Questo aiuto annuo si compone di un
sostegno economico vero e proprio e di un sostegno militare, ossia di
una somma che lo Stato di Israele può utilizzare per acquistare armi di
difesa dall’industria americana. Dal 2007 è cambiata la composizione
dell’aiuto, ma non la dimensione: alla luce del forte aumento del
reddito pro-capite di Israele, l’aiuto economico è stato eliminato ed è
stato sostituito per pari importo da quello militare. Dal 1972 Israele
riceve un secondo tipo di aiuto dagli USA, sotto forma di garanzie sul
debito estero di Israele (ossia fideiussioni su eventuali prestiti
concessi da banche o Stati stranieri al Tesoro israeliano): negli anni
90 questa garanzia è stata molto utile per Israele che, pur essendo un
“prenditore” di fondi con un merito di credito basso, ha potuto
indebitarsi sui mercati finanziari internazionali con un risparmio
medio dell’ordine del 4% sugli interessi, ossia una minore spesa di
alcune centinaia di milioni di dollari l’anno. Tale garanzia era
talmente importante che nel 1991-92 al presidente George Bush padre
bastò evocare la minaccia di rimuovere tale garanzia al governo Shamir,
reo di avere “sabotato” i negoziati di pace di Madrid, per spaventare
l’opinione pubblica israeliana; quest’ultima “punì” il premier Shamir
alle elezioni parlamentari del 1992, che portarono al potere i
laburisti di Rabin. Dal 2005 lo Stato di Israele ha preferito non
avvalersi delle “fideiussioni” messe a disposizione dagli USA per
finanziarsi all’estero, anche perché il netto miglioramento del
“rating” di Israele sui mercati internazionali ha quasi annullato la
differenza tra il costo di indebitarsi con o senza fideiussione
statunitense. Quanto sono importanti oggi gli aiuti economici americani
per lo Stato di Israele? Quando gli aiuti furono inaugurati, nel 1979,
la loro incidenza sul PIL di Israele era prossima al 15% (3 miliardi di
aiuti e un PIL di 21 miliardi), un livello decisamente elevato.
Trent’anni dopo gli aiuti sono rimasti invariati in termini nominali
attorno ai 3 miliardi di dollari ma nel frattempo il PIL israeliano è
decuplicato e quindi l’incidenza degli aiuti USA è divenuta
trascurabile (1,5% del PIL). Quali conclusioni si possono trarre da
questi numeri? Una prima considerazione è che è giusto che gli aiuti
degli Stati Uniti a Israele si siano quasi azzerati in termini di PIL
perché l’economia di Israele ha fatto passi da gigante e raggiunto un
PIL pro-capite relativamente elevato e di fatto non ha bisogno di aiuti
dall’estero. Secondo alcuni intellettuali israeliani, addirittura,
l’elevato reddito pro-capite di Israele rende anacronistico anche le
donazioni che Israele riceve dall’ebraismo diasporico; secondo questi
intellettuali, dovrebbe al contrario essere Israele a fornire
assistenza economica alle comunità diasporiche, che in molti paesi (ad
esempio l’ex blocco sovietico) stanno scomparendo anche per mancanza di
fondi e strutture. Una seconda conclusione è che se è vero che la
dipendenza strettamente economica di Israele dagli Stati Uniti è
pressoché nulla, rimane invece elevata quella militare (per la
fornitura di armamenti avanzati, soprattutto in campo aeronautico, e
per un intervento in caso di conflitto con armi non convenzionali)
nonché quella politica (ad esempio le alleanze USA nel mondo arabo e la
“vigilanza” degli USA alle Nazioni Unite); entrambe queste dipendenze
sono forse più importanti di quella economica e quindi
l’amministrazione USA mantiene un potere contrattuale elevato nei
confronti di Israele. Infine, un’ultima considerazione riguarda i modi
in cui gli Stati Uniti potrebbero aiutare indirettamente la sicurezza
di Israele dopo le rivolte della “primavera araba”. In maggio il premio
Nobel statunitense per l’economia Joseph Stiglitz ha esortato
l’amministrazione Obama ad avviare un nuovo “piano Marshall” per i
paesi arabi che si affacciano sul Mediterraneo, in particolare quelli
che hanno attraversato delle rivoluzioni: secondo Stiglitz, destinando
a questo piano Marshall anche una piccolissima frazione della elevata
somma che gli USA hanno speso per la guerra in Iraq (che Stiglitz stima
in 3.000 miliardi di dollari), peraltro con scarsi risultati per la
stabilità della regione e per la sicurezza di Israele, gli USA
potrebbero portare benessere nei paesi arabi, conquistando le simpatie
dell’opinione pubblica e rafforzando le forze politiche moderate di
questi paesi.
Aviram Levy,
Pagine Ebraiche, agosto 2011
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Vacanze
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Bisognerebbe
che una volta l'anno andassero in vacanza anche i nemici. Eh sì, pensa
il Tizio della sera, che va su e giù in mezzo alle lenzuola perché ha
montato l'amaca sul terrazzo condominiale fra i comignoli del 7a e del
7b, che ora sono all'Elba per 11 giorni. Durante l'anno, non sarebbe
possibile portare l'amaca sul terrazzo perché coi comignoli accesi lui
prenderebbe fuoco e addio siesta. Comunque, dicevo: se a Ferragosto
tacessero i missili e le offese, ma lo sai il silenzio.
Il
Tizio della sera
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notizieflash |
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rassegna
stampa |
Calcio, Israele sconfitta 4-3 contro la Costa d'Avorio
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Tanto
spettacolo e sette goal a Ginevra, dove si sono confrontate in
amichevole la nazionale di calcio israeliana e quella della Costa
D’Avorio. Eran Zahavi, neoacquisto del Palermo, è stato in campo dal
primo minuto. La squadra israeliana del mister Luis Fernandez,
dopo essere stata sotto 3-0 nel primo tempo, e poi 4-1 dopo la rete del
capitano ivoriano Didier Drogba, ha rimontato fino al risultato finale
con doppietta di Maor Melikson.
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è il giornale dell'ebraismo
italiano |
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