Il
problema è complesso, ma bisogna pur cominciare da qualche
parte. Quella che ci vediamo intorno non è una crisi economica, e
nemmeno una crisi di consumatori esclusi, come sostiene con una
tesi poco convincente Zygmunt Bauman. La chiave di volta è una
gigantesca, planetaria crisi di identità. Viene meno, è venuta
meno la solidarietà che tiene unite le società – in modi diversi
che spaziano da Piazza Tahrir al Cairo a Birmingham, da Hama in
Siria a Viale Rothschild a Tel Aviv, dalla camera dei rappresentanti a
Washington a Piazza degli Affari a Milano. Le fasi e i modi sono
differenti e sarebbe erroneo fare di ogni erba un fascio, ma non
si può ignorare la connessione che esiste fra questi diversi
anelli di una catena che è ancora in gran parte
da dipanare. Si è visto chiaramente come la crisi finanziaria
dei mercati europei sia in misura decisiva una dipendenza delle
difficoltà del sistema finanziario americano che a sua volta
riflette le posizioni intransigenti del gruppo del Tea Party nei
confronti del presidente Obama. La sordida demonizzazione di una
minoranza contro il presidente afroamericano, forse per la prima
volta dai tempi della grande guerra civile americana antepone un
interesse di fazione all'interesse complessivo degli Stati Uniti. Il
declassamento del sistema finanziario americano dimostra quanto ancora
l'Europa finanziaria sia al traino degli USA e travolge
l'anacronistico meccanismo monetario dell'Euro: una moneta senza
un paese, uno strumento tecnico vincolante senza un vincolo di
solidarietà comune. La leadership europea, incerta e divisa,
non potrà intervenire con efficacia perché non può immaginare o
chiedere i sacrifici necessari per arrestare la valanga che
minaccia di travolgere un'entità inesistente: la solidarietà
europea. Le sommosse di Londra e di Birmingham non sono motivate
dalla fame. Chi ha veramente fame ruba pane, verdure, e forse
carne nei supermercati; o al massimo vestiti e scarpe. Ma chi ruba
pile di iPod, DVD e videogiochi si procura dei beni marginali di
voluttà ludica da fruire individualmente, che nulla hanno in comune con
un senso qualsiasi di comunità. L'ossimoro è che nella rivolta
dei blackberry e di twitter, che sono nelle mani di tutti, si
rubano telefonini. Reati che non hanno radice o contesto
culturale, e non appartengono a uno spazio geografico ideale.
Avvengono in un nulla virtuale, con il quale non esiste alcun
sentimento d'identificazione. Il senso della nazione è scomparso
completamente nella catena di rivendicazioni particolari – in
Inghilterra, in Libia, ma anche in Italia – e non parliamo della
supernazione dell'integrazione continentale europea. È allora
più facile, anzi quasi doveroso, distruggere materialmente quello
che non esiste simbolicamente. In Egitto e forse anche a
Tunisi e a Damasco l'imbarazzante veritiero messaggio latente delle
dimostrazioni non è contro la
fine della dittatura, è per l'instaurazione di una società civile che,
però, non può esistere all'interno di una genuina civiltà
islamica. Senza esserne consapevole, la piazza dimostra per la
fine dell'Islam "per essere come voi, gli occidentali" (nelle
parole di una giovane donna intervistata al Cairo). Ma ciò non è
possibile, e alla fine anche i veri vincitori potrebbero essere i
Fratelli musulmani. A Tel Aviv, Gerusalemme e in molte altre città
in Israele, la propaggine di lusso della crisi identitaria
globale, ciò che si denuncia con urgenza è la necessità di stipulare un
nuovo contratto sociale. Non possono funzionare più le premesse di
decenni di gestione politica basate sullo scambio fra appoggio
alla coalizione del momento e sovvenzione pubblica degli interessi
particolari dei gregari. Rispettare le esigenze di autonomia
culturale di un gruppo di popolazione è giusto, purché questo non
avvenga sulle spalle di un altro gruppo di popolazione. Troppe le
esenzioni in Israele dai doveri – l'obbligo del servizio militare
per gli arabi e per i super-religiosi, dispensati quest'ultimi
anche dal dovere dell'auto-sostegno economico; l'obbligo del
riconoscimento del potere centrale dello stato di diritto da
parte delle frange nazionaliste integraliste – in una società in
cui tutti chiedono a gran voce diritti. Almeno in Israele vi è per ora
pieno impiego e la moneta è forte, quando altrove il sistema
economico vacilla. Ma lo Stato ideologico non può funzionare di
fronte a chi, forse con meno identità, chiede di vivere
normalmente. Ma vivere normalmente significa pretendere un alloggio a
prezzi abbordabili soprattutto per le giovani famiglie, ma anche
partecipare lavorando alla costruzione di quegli alloggi e dei grandi
lavori pubblici, oggi demandata esclusivamente a lavoratori cinesi,
romeni e arabi. Significa pretendere un trattatamento più decoroso
per chi fa la professione medica, specie i più giovani, ma anche
lavorare di persona all'assistenza dei propri anziani, oggi
interamente nelle mani di lavoratrici filippine. Significa avere un
sistema di istruzione nazionale con un minimo di nozioni condivise
indispensabili all'autonoma sussistenza futura del giovane adulto,
e non quattro sistemi separati in cui ognuno sa moltissimo alcune
cose ed è totalmente analfabeta nelle altre. Giovani religiosi che
non sanno la matematica, giovani secolari che non sanno nulla di
ebraismo, giovani arabi che non sanno bene l'ebraico, sono dei mutilati
mentali destinati a fallire nella competizione della vita, e
ancora più clamorosamente, nella conversazione della solidarietà
comune. La soluzione della grande crisi mondiale passa attraverso
una riflessione sulle identità e le solidarietà condivise. Ed è
per questo che la soluzione è più difficile.
Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme
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Chi non ci ha rimproverato abbastanza?
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“I
tuoi profeti raccontavano visioni false e stolte; anziché svelare le
tue colpe per ricondurti al tuo stato primitivo, ti annunziavano
oracoli falsi e seducenti” (Ekhà 2, 14). Leggendo
questo verso delle Lamentazioni durante il digiuno di Tishah Be Av
ciascuno di noi si sarà domandato chi sono oggi questi profeti di cui
si parla, che conducono Israele alla rovina con discorsi falsamente
lusinghieri, e probabilmente ci siamo dati risposte molto diverse,
forse addirittura antitetiche. Interessante, comunque, notare che il
testo biblico non parla affatto di falsi profeti (come invece ho letto
in una nota), e che sono comunque i tuoi profeti (nei due versi
precedenti ci si rivolge alla figlia di Gerusalemme e alla figlia di
Sion). Il problema non è se sono veri o falsi, se sono nostri o
stranieri: il punto essenziale è che avrebbero dovuto svelare le nostre
colpe e non l’hanno fatto. Sì, ma le colpe di chi? Quali? E come si fa
a svelarle senza cadere nella maldicenza? Anche su questo credo che
avremmo risposte molto differenziate.
Anna Segre, insegnante
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notizieflash |
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rassegna
stampa |
Londra, la comunità ebraica aiuta a ripulire le aree devastate |
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Leggi la rassegna |
La
comunità ebraica di Londra si è organizzata per portare aiuto alle aree
della città investite dalle rivolte che negli scorsi giorni hanno messo
a ferro e fuoco interi quartieri della capitale britannica. Due gruppi
di volontari hanno raggiunto le zone più colpite e aiutato i negozianti
a pulire e risistemare. Nel quartiere di Stamford Hill, dove vivono
molti ebrei ortodossi e musulmani, le due comunità si sono organizzate
insieme per proteggere l’area dai facinorosi.
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Non si sfugge tanto
facilmente alla morsa, quasi panicosa, delle notizie che bersagliano il
pubblico, di ora in ora, sull’andamento dei mercati borsistici e, di
riflesso, sull’incerto stato di salute delle economie occidentali.
L’informazione estiva è egemonizzata, a tratti quasi sequestrata, da
questa priorità che, plausibilmente, accompagnerà anche il nostro
autunno. Se non altro per gli onerosi effetti, e forse anche...»
Claudio Vercelli
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italiano |
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