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  12 agosto 2011 - 12 Av 5771
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Adolfolocci Adolfo
Locci,
rabbino capo
di Padova


“…poiché (la Torah) è la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli che ascolteranno tutti questi statuti e diranno che "solo" un popolo saggio e intelligente è questa grande nazione" (Devarim 4: 6). Rav Yaakov Neimann, come scritto mercoledì scorso, ha affrontato questo verso dal punto di vista degli altri popoli affermando che se osserviamo le mitzvot saremo definiti saggi e intelligenti. Moshe David Valle (1696-1777), interpreta il versetto, in chiave mistica, da un'ottica tutta interna al popolo ebraico. Egli spiega che la parola "raq-solo" esprime un ridimensionamento della nostra azione "poiché, alla fine, ogni scoperta della Torah in terra (da parte umana) non è altro che una goccia del mare della Saggezza Suprema e chi è stato meritevole di ricevere questa minimo che si diffonde in terra, si può dire di lui hagoy hagadol hazè - questa è una grande nazione". Scoprire ogni giorno la Torah e diffonderla, saper fare bene entrambe le cose: non sempre ci si riesce, e quando ciò accade non abbiamo fatto nulla di trascendentale...
Vittorio Dan
Segre,
pensionato



Sonia Brunetti Luzzati


E' sempre possibile abbracciare il corpo dei figli.
La loro anima, no.

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davar
Arte e ideologia - "A Pesaro rozza provocazione"
gattegnaIl presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna è intervenuto riguardo le polemiche suscitate dal provocatorio allestimento dell'opera Mosè in Egitto rappresentata al Rossini Opera Festival di Pesaro. Ecco il testo della sua dichiarazione:
 
“In tutte le epoche è accaduto che l’arte sia stata usata come mezzo di diffusione di idee e di ideologie. Anzi, spesso l’arte è stata un formidabile strumento di propaganda ideologica, un’affascinante combinazione di contenuto e di bellezza. Ma l’assunzione di un tale ruolo comporta gravi pericoli e l’arte rischia di pagare un prezzo molto alto scendendo nell’agone politico se non altro perché tutto ciò che è politico è opinabile e complesso e non si presta ad essere raccontato attraverso semplificazioni retoriche che facilmente finiscono per diventare falsificazioni. Proprio questo è il rischio che ha voluto correre l’edizione dell’opera rossiniana Mosè in Egitto rappresentata al Festival di Pesaro e si è così assunta due gravi responsabilità. La prima è di stravolgere i simboli e i valori dell’ebraismo e del cristianesimo sia fornendo un’interpretazione alterata e superficiale dei dieci comandamenti sia mostrando la figura di Mosè incomprensibilmente rappresentata alla stregua di un terrorista. La seconda è di comunicare una versione faziosa e banalmente manichea degli ultimi decenni della storia del Medio Oriente e dei rapporti tra israeliani e palestinesi”.


gattegnaSulla questione si è espresso anche il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni con una dichiarazione riportata dalle agenzie di stampa. 

"E' una deformazione che nasce prima di tutto dall'ignoranza, è un totale sovvertimento dei dati, che ignora alcuni concetti fondamentali. Con quella storia, poi divenuta patrimonio dell'umanità, Dio interviene per liberare il popolo dall'oppressione e la religione non è più asservita al potere ma al servizio dell'uomo. E' un grande passo avanti nella storia dell'umanità". Il rabbino Di Segni ha poi proseguito: "I processi di liberazione presuppongono l'uso della violenza. Solo le belle anime possono pensare che il nazismo sarebbe stato sconfitto distribuendo caramelle alle SS...". Il rav ha inoltre ricordato che nella tradizione ebraica, alla vigilia della Pasqua i primogeniti digiunano "in ricordo della morte dei primogeniti dell'oppressore, del nemico. Non credo - ha concluso - che esistano molte culture nelle quali si digiuna per la morte del nemico".

Crisi e identità, da Londra a Tel Aviv
druckerIl problema è complesso, ma bisogna pur cominciare da qualche parte. Quella che ci vediamo intorno non è una crisi economica, e nemmeno una  crisi di consumatori esclusi, come sostiene con una tesi poco convincente Zygmunt Bauman. La chiave di volta è una gigantesca,  planetaria crisi di identità. Viene meno, è venuta meno la solidarietà  che tiene unite le società – in modi diversi che spaziano da Piazza Tahrir al Cairo a Birmingham, da Hama in Siria a Viale Rothschild a Tel Aviv, dalla camera dei rappresentanti a Washington a Piazza degli Affari a Milano. Le fasi e i modi sono differenti e sarebbe erroneo fare di ogni erba un fascio, ma non si può ignorare la connessione che esiste fra questi diversi anelli di una catena che è ancora in gran parte da dipanare. Si è visto chiaramente come la crisi finanziaria dei mercati europei sia in misura decisiva una dipendenza delle difficoltà del sistema finanziario americano che a sua volta riflette le posizioni intransigenti del gruppo del Tea Party nei confronti del presidente Obama. La sordida demonizzazione di una minoranza contro il presidente  afroamericano, forse per la prima volta dai tempi della grande guerra civile americana antepone un interesse di fazione all'interesse complessivo degli Stati Uniti. Il declassamento del sistema finanziario americano dimostra quanto ancora l'Europa finanziaria sia al traino degli USA e travolge l'anacronistico meccanismo monetario dell'Euro: una moneta senza un paese, uno strumento tecnico vincolante senza un vincolo di solidarietà comune. La leadership europea, incerta e divisa, non potrà intervenire con efficacia perché non può immaginare o chiedere i  sacrifici necessari per arrestare la valanga che minaccia di travolgere un'entità inesistente: la solidarietà europea. Le sommosse di Londra e di Birmingham non sono motivate dalla fame. Chi ha veramente fame ruba pane, verdure, e forse carne nei supermercati; o al massimo vestiti e scarpe. Ma chi ruba pile di iPod, DVD e videogiochi si procura dei beni marginali di voluttà ludica da fruire individualmente, che nulla hanno in comune con un senso qualsiasi di  comunità. L'ossimoro è che nella rivolta dei blackberry e di twitter, che sono nelle mani di tutti, si rubano telefonini. Reati che non hanno radice o contesto culturale, e non appartengono a uno spazio geografico ideale. Avvengono in un nulla virtuale, con il quale non esiste alcun  sentimento d'identificazione. Il senso della nazione è scomparso completamente nella catena di rivendicazioni particolari – in Inghilterra, in Libia, ma anche in Italia – e non parliamo della  supernazione dell'integrazione continentale europea. È allora più facile, anzi quasi doveroso, distruggere materialmente quello che non esiste simbolicamente. In Egitto e forse anche a Tunisi e a Damasco l'imbarazzante veritiero messaggio latente delle dimostrazioni non è contro druckerla fine della dittatura, è per l'instaurazione di una società civile che, però, non può esistere all'interno di una genuina civiltà islamica. Senza esserne consapevole, la piazza dimostra per la fine dell'Islam "per essere come voi, gli occidentali" (nelle parole di una giovane donna intervistata al Cairo). Ma ciò non è possibile, e alla fine anche i veri vincitori potrebbero essere i Fratelli musulmani. A Tel Aviv, Gerusalemme e in molte altre città in Israele, la propaggine di lusso della crisi identitaria globale, ciò che si denuncia con urgenza è la necessità di stipulare un nuovo contratto sociale. Non possono funzionare più le premesse di decenni di gestione politica basate sullo scambio fra appoggio alla coalizione del momento e sovvenzione pubblica degli interessi particolari dei gregari. Rispettare le esigenze di autonomia culturale di un gruppo di popolazione è giusto, purché questo non avvenga sulle spalle di un altro gruppo di  popolazione. Troppe le esenzioni in Israele dai doveri – l'obbligo del servizio militare per gli arabi e per i super-religiosi, dispensati quest'ultimi anche dal dovere dell'auto-sostegno economico; l'obbligo del riconoscimento del potere centrale dello stato di diritto da parte delle frange nazionaliste integraliste – in una società in cui tutti chiedono a gran voce diritti. Almeno in Israele vi è per ora pieno impiego e la moneta è forte, quando altrove il sistema economico  vacilla. Ma lo Stato ideologico non può funzionare di fronte a chi, forse con meno identità, chiede di vivere normalmente. Ma vivere normalmente significa pretendere un alloggio a prezzi  abbordabili soprattutto per le giovani famiglie, ma anche partecipare lavorando alla costruzione di quegli alloggi e dei grandi lavori pubblici, oggi demandata esclusivamente a lavoratori cinesi, romeni e arabi. Significa pretendere un trattatamento più decoroso per chi fa la professione medica, specie i più giovani, ma anche lavorare di persona all'assistenza dei propri anziani, oggi interamente nelle mani di lavoratrici filippine. Significa avere un sistema di istruzione nazionale con un minimo di nozioni condivise indispensabili all'autonoma sussistenza futura del giovane adulto, e non quattro sistemi separati in cui ognuno sa moltissimo alcune cose ed è totalmente analfabeta nelle altre. Giovani religiosi che non sanno la matematica, giovani secolari che non sanno nulla di ebraismo, giovani arabi che non sanno bene l'ebraico, sono dei mutilati mentali destinati a fallire nella competizione della vita, e ancora più clamorosamente, nella  conversazione della solidarietà comune. La soluzione della grande crisi mondiale passa attraverso una riflessione sulle identità e le solidarietà condivise. Ed è per questo che la soluzione è più difficile.

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme

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pilpul
Chi non ci ha rimproverato abbastanza?
Anna Segre“I tuoi profeti raccontavano visioni false e stolte; anziché svelare le tue colpe per ricondurti al tuo stato primitivo, ti annunziavano oracoli falsi e seducenti” (Ekhà 2, 14).
 
Leggendo questo verso delle Lamentazioni durante il digiuno di Tishah Be Av ciascuno di noi si sarà domandato chi sono oggi questi profeti di cui si parla, che conducono Israele alla rovina con discorsi falsamente lusinghieri, e probabilmente ci siamo dati risposte molto diverse, forse addirittura antitetiche. Interessante, comunque, notare che il testo biblico non parla affatto di falsi profeti (come invece ho letto in una nota), e che sono comunque i tuoi profeti (nei due versi precedenti ci si rivolge alla figlia di Gerusalemme e alla figlia di Sion). Il problema non è se sono veri o falsi, se sono nostri o stranieri: il punto essenziale è che avrebbero dovuto svelare le nostre colpe e non l’hanno fatto. Sì, ma le colpe di chi? Quali? E come si fa a svelarle senza cadere nella maldicenza? Anche su questo credo che avremmo risposte molto differenziate.

Anna Segre, insegnante

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notizieflash   rassegna stampa
Londra, la comunità ebraica
aiuta a ripulire le aree devastate
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La comunità ebraica di Londra si è organizzata per portare aiuto alle aree della città investite dalle rivolte che negli scorsi giorni hanno messo a ferro e fuoco interi quartieri della capitale britannica. Due gruppi di volontari hanno raggiunto le zone più colpite e aiutato i negozianti a pulire e risistemare. Nel quartiere di Stamford Hill, dove vivono molti ebrei ortodossi e musulmani, le due comunità si sono organizzate insieme per proteggere l’area dai facinorosi.
 

Non si sfugge tanto facilmente alla morsa, quasi panicosa, delle notizie che bersagliano il pubblico, di ora in ora, sull’andamento dei mercati borsistici e, di riflesso, sull’incerto stato di salute delle economie occidentali. L’informazione estiva è egemonizzata, a tratti quasi sequestrata, da questa priorità che, plausibilmente, accompagnerà anche il nostro autunno. Se non altro per gli onerosi effetti, e forse anche...»

Claudio Vercelli











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