|  | Davar Acher - Il secolo ebraico e l'assimilazione |  | Com'è
potuto accadere che in meno di due secoli, proprio mentre molti ebrei
godevano (ovviamente ad eccezione dei luoghi e dei tempi dei pogrom e
della Shoah) della maggiore libertà e prosperità della storia,
l'ebraismo europeo nel suo complesso sia avvizzito e si sia frantumato
come un albero colpito dal fulmine? Decadenza non solo demografica e
della pratica religiosa, com'è ovvio, ma anche della sua identità
collettiva, della sua produzione autonoma, della sua
autoconsapevolezza. Quanto numerosi furono i saggi, i quadri, i
romanzi, le musiche, i trattati scientifici, gli articoli
giornalistici, le imprese commerciali, i film prodotti da persone di
origine ebraica fra la metà dell'Ottocento e gli anni recenti, quanto
più poi (ma solo negli ultimi decenni) l'ebreo fu sopravvalutato nella
categoria estranea della vittima e dell'Olocausto - che è concetto ben
diverso dalla Shoah -, tanto progressivamente si fece debole il
pensiero ebraico (con le note eccezioni), tanto perse prestigio e
interesse la vita comunitaria e l'appartenenza stessa all'ebraismo,
tanto più crebbe l'odio di sé, dal furore masochistico degli Otto
Weininger alla insinuante autodiffamazione dei "diversamente sionisti",
degli storici revisionisti di Israele o dei suoi ideologici nemici
ebrei. Tanto più numerose si fecero le conversioni a tutte le fedi
possibili, e soprattutto l'assimilazione silenziosa alla religione
conformistica dei consumi di massa, con l'illusione che essa non abbia
alcun contenuto teologico o religioso. Tanto più l'ebraismo si sminuzzò
per filoni religiosi incapaci di parlarsi, ma soprattutto per divisioni
ideologiche e per il tacito abbandono di chi lo sentì e lo sente come
un'origine sempre più remota, per cui non ha senso fare sacrifici o
battersi. Le risposte che si danno a questa domanda sono
abbastanza poche. Certo, la catastrofe più grande e terribile, il colpo
più tremendo alla continuità dell'ebraismo è stata la Shoah, che però
ha portato con sé, al di là del genocidio anche una coda di
dispersione, non quel rinsaldarsi comunitario con cui l'ebraismo ha
reagito tante altre volte alle sue tragedie. E a impoverire la diaspora
vi è stata anche l'aliyà in Israele, che pure va senza dubbio trattata
come un elemento di speranza ("germoglio della nostra redenzione") e
non di dissoluzione. Si cita poi di solito un nesso fra emancipazione e
assimilazione, che è fondamentalmente sbagliato, come se gli ebrei
prima delle libertà civili fossero stati incatenati nei ghetti e non
invece incoraggiati a uscirne in ogni modo - da convertiti e
assimilati, è chiaro. E allora perché tante conversioni dopo
l'emancipazione, quando si poteva vivere civilmente da ebrei, senza
troppi danni? Perché ancora oggi, l'orgoglio per la grande "cultura
ebraica" del Novecento o piuttosto per quella "degli ebrei" (Einstein
Proust Chagall Freud Kafka e gli altri, la solita serie di nomi) si
trasforma difficilmente in amore pratico e concreto per la nostra
lingua, il nostro pensiero, la nostra tradizione? Perché gli ebrei
hanno comunque assorbito e condiviso i pregiudizi delle maggioranze
contro di loro? Se non proprio una risposta, molti indizi in
direzione di un'altra ipotesi l'ho trovata in un grosso libro appena
pubblicato da Neri Pozza. Si chiama Il secolo ebraico (di Yuri Slezine,
uno slavista di Berkeley, pp.568, € 20) ma non è la solita compilazione
di biografie di geni di origine ebraiche. E' invece la storia della
posizione sociale degli ebrei nell'ultimo secolo e mezzo, vista
dall'ottica dell'impero russo (poi diventato Urss). A parte un po' di
rimpianto folkloristico per lo shtetl, l'Yiddish e gli apologhi
chassidici noi conosciamo molto meno questa storia di quella degli
ebrei italiani, francesi o tedeschi; ma il baricentro dell'ebraismo
europeo è stato per secoli in quelle regioni. Il libro di Slezine è per
molti versi discutibile, per esempio classifica il popolo ebraico
insieme agli armeni, ai Rom, agli indiani in Africa e ai libanesi in
Sudamerica in una generica categoria di "mercuriani" (nel senso di
discepoli di Mercurio, cioè commercianti, mediatori, fornitori di
servizi onesti e loschi) in quanto contrapposti agli "apollinei"
stanziali (che in polemica con Nietzsche, per Slezine sono la stessa
cosa dei "dionisiaci"). Vi è un qualche eccesso di identificazione con
i burocrati sovietici di nascita ebraica, un filtro piuttosto
letterario nei confronti della realtà. Ma quel che conta sono i
moltissimi fatti e le testimonianze che il libro riporta. Ne
emerge che la spinta all'assimilazione fu fortissima da metà
dell'Ottocento anche in questi territori, benché non vi fosse stata
affatto emancipazione, anzi, la repressione imperasse. Che essa avesse
due facce, una moderata intraprendente, modernista, commerciale e
industriale e una maggioritaria invece estremista, verbosa,
rivoluzionaria (prima in senso populiste e poi marxista), con tratti
inquietanti di crudeltà e fanatismo. Che nei territori dell'Impero
zarista per due o tre generazioni si siano svolti due processi
rivoluzionari paralleli: quello "russo" contro l'oppressione zarista
che portò all'Urss e quello "ebraico" (cioè in sostanza contro
l'ebraismo) che portò i figli a rinnegare i padri e i nonni, la loro
lingua e la loro cultura. Una strage culturale autoinflitta, un grande
atto edipico che fa riflettere sull'ingenuità o la malafede di chi oggi
fa mostra di rimpiangere sia il chassidismo che il comunismo. Le
testimonianze di questo rifiuto, del disprezzo, dell'odio vero e
proprio espresso da poeti e scrittori, politici e militanti nelle loro
memorie o romanzi contro il mondo ebraico sono agghiaccianti. La spinta
a cancellare la propria memoria assume forme estreme, nel nome
dell'adesione al "progresso", all'"umanità" intesa in senso
universalistico, e naturalmente alla superiore cultura russa, ai "bei
suoni armoniosi" della lingua russa, ecc. ma innanzitutto alla
"Rivoluzione". Ben prima della Shoah, il mondo ebraico orientale fu
svuotato da giganteschi processi migratori, di assimilazione e
autonegazione, che portarono le nuove generazioni ebraiche nelle città
russe, con un fortissimo impegno ideologico e pratico nelle attività
rivoluzionarie, e solo in parte oltre oceano, prevalentemente negli
Stati Uniti. In chi restava in Russia, dominò un'esplicita
ideologia assimilazionista, motivata con l'antitradizionalismo, il
progressismo, il rifiuto della "limitata" e "tribale" identità
tradizionale. A questo sviluppo contribuì molto l'antisemitismo diffuso
da decenni in tutto il movimento socialista, che a partire dal giovane
Marx identificava tutti gli ebrei rimasti tali con il "nemico di
classe", l'ebraismo con il capitalismo. Che la maggior parte degli
ebrei fossero poverissimi, e che buona parte dei socialisti fossero di
origine ebraica non contava: bisognava comunque rinnegare la tradizione
ebraica, allontanarsi il più possibile dal "dio denaro" che per Marx
era la divinità vera degli ebrei. Molti lo fecero. All'inizio la
rivoluzione russa premiò questo sforzo collettivo di buona parte degli
ebrei sovietici di cancellarsi come popolo, assegnando ai transfughi
(Trocki, Kamenev, Zinovev, Sverdlov e decine di migliaia di altri)
potere, responsabilità e spesso anche il compito assunto con fierezza
di reprimere e depredare, magari di uccidere fra gli altri i propri
fratelli, di finire di distruggere il mondo yiddish. Poi, come è noto,
rapidamente l'illusione si dissolse apartire dagli anni Trenta e gli
ebrei sovietici furono condannati, deportati e ammazzati sia perché
troppo ebrei (nazionalisti borghesi) sia perché troppo sovietici (spie
mimetizzate). Quel che ci interessa, in questa storia, è il
carattere illusorio dell'ideologia progressista e universalista, la
menzogna del valore progressivo dell'assimilazione. Ogni universalismo
non può che proporsi la distruzione delle minoranze consapevoli; non
può provare a realizzarsi se non proponendosi la loro distruzione. Le
minoranze che si identificano con un universalismo (gli ebrei cristiani
dei primi secoli, gli ebrei rivoluzionari del secolo scorso e perfino
quelli più modestamente "progressisti" e "pacifisti" di oggi) lavorano
per la propria distruzione e per quanto odino la propria origine o al
contrario cerchino di giustificarla come fonte universale di valore
condivisibile da tutti, non riescono a convincere le maggioranze a fare
a meno di eliminare anche loro. Questa dialettica è sottesa alle svolte
politico-ideologiche raccontate nel libro di Slezine e alle complesse
vicende che ne seguirono. E' l'ideologia il grande nemico di una
cultura tradizionale come quella ebraica: non solo l'ideologia razzista
del nazismo, ma anche quella universalista del comunismo. Accanto
all'emancipazione, l'ideologia ha abbattuto l'albero dell'ebraismo, con
la forza che le derivava dalla sua apparente natura etica,
dall'assonanza con i temi profetici e messianici della nostra
tradizione. E ancora agisce. Il sospetto "etico" per il proprio punto
di vista e il proprio interesse, per l'affetto verso i propri fratelli
"tribali", si trasforma rapidamente nell'assunzione dello sguardo
altrui e in odio di sé. Un morbo contagioso, di cui l'ebraismo paga
ancora le conseguenze.
Ugo Volli
|
|  | torna su ˄
| notizieflash | | rassegna stampa | Sorgente di vita - 100 anni di kibbutz
| | Leggi la rassegna | È
dedicata tutta a Israele la puntata di Sorgente di vita di questa sera,
domenica 14 agosto: nel primo servizio attori disabili recitano in un
teatro al porto antico di Jaffa, a nord di Tel Aviv, in uno spettacolo
di voci, suoni, profumi e sapori che coinvolge e commuove il pubblico...»
continua
>>
| | |
|  | torna su ˄
|  | è il giornale dell'ebraismo italiano |  |
|  | L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono
rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it
Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it
indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI -
Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo
aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione
informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale
di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale. |
|