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22 agosto 2011 -22 Av 5771 |
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Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma
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Una norma del decreto
economico governativo prescrive lo spostamento al lunedì delle feste
civili, per evitare i "ponti" lunghi; per le feste religiose il Governo
aspetta l'assenso della Chiesa. Domanda: e se lo chiedesse a noi di
spostare le nostre feste, potremmo farlo? La risposta è no, ma non
tanto perché le nostre feste non si possano spostare, ma perché
localmente non abbiamo l'autorità di farlo. Kippur deve cadere sempre
il 10 di Tishri, ma era il Sinedrio a decidere quando iniziava il mese
di Tishri. In realtà, anche se non ce ne accorgiamo, il calendario
fisso in vigore da circa 15 secoli prevede una serie di adattamenti per
evitare problemi: Rosh haShana non cade mai di domenica, per impedire
che Hoshaana Rabba cada di Sabato, e non cade mai di mercoledì e
venerdì, per evitare che Kippur venga attaccato al Sabato, di venerdì o
di domenica. Per i digiuni diversi dal Kippur, se dovessero cadere di
Sabato, si applica lo spostamento automatico alla domenica, e per il
digiuno di Ester l'anticipo al giovedì. L'ultimo intervento sul
calendario è recentissimo e riguarda Yom ha'atzmauth, ricorrenza civile
ma con implicazioni religiose. Cadendo di domenica sera, la conseguenza
era che le cerimonie per i caduti si facessero all'uscita del Sabato,
comportando per molti la necessità di muoversi già di Sabato. Per
questo il Rabbinato d'Israele ha fatto stabilire che il giorno festivo
debba in questo caso slittare all'indomani.
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Anna
Foa,
storica
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Come si scrive in italiano
"raggruppamento", con una "g" o con due? Nel video propagandistico
lanciato dal gruppo di Saya e Scilipoti - sole nero, divise neonaziste
e programma apertamente razzista - appare ben due volte a caratteri
cubitali con una "g" sola, "ragruppamento". Forse il nuovo
raggruppamento si propone di abolire, oltre agli omosessuali, le donne,
la libertà di stampa e gli stranieri arrivati in Italia dopo il 1919
(oops! scusate, volevo dire il 1977), anche le
doppie dal vocabolario? Una riforma in senso totalitario della lingua
italiana? Per un gruppo che si autodefinisce "nazionalista italiano",
non c'è male.
Ma insomma, è una vecchia questione, sono più pericolosi i razzisti
analfabeti o quelli colti? Gli imbianchini frustrati o i Celine? E
così, anche se la mancanza di quella "g" ci fa venire voglia di riderci
sopra, non si tratta di folklore, come dice Emanuele Fiano sull'Unità
di oggi. Non mentre la Slovacchia propone la sterilizzazione per le
donne rom e l'Ungheria è a un passo dalla dittatura. Contro simili
aberrazioni, abbiamo delle leggi. Applichiamole!
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L’Avvocato,
il Rabbino e l’ospitalità sabbatica |
A Gerusalemme in occasione
del matrimonio di mio figlio Jacov con Debora Somekh e per un po’ di
vacanza, ho gironzolato fra i numerosi, piccoli negozi di
libri vecchi o usati (uno dei miei passatempi preferiti). In
uno di questi ho trovato a 20 shekel (4
euro) Interludio, di Alfonso Pacifici (Torino 1959).
Ce l’ho già a Roma e probabilmente, diverse decine
di anni fa, ne ho anche letto alcune pagine. Ma se il caso, o la
provvidenza, o l’occhio allenato a scovare cose interessanti,
me l’hanno fatto trovare qui, allora conviene comprarlo e
leggerlo. Oltretutto, è ancora intonso, con le pagine
unite. Eccone di seguito uno stralcio, dalle pagine 106-108,
e direi che si tratta di un bell’omaggio all’autore
(l’Avvocato Pacifici), al soggetto del racconto (il Rabbino
Dario Disegni) e al suo oggetto (l’ospitalità
sabbatica). Mica male, per un libro acquistato “per caso”. E per chi
non ne sa molto, Alfonso Pacifici e il rav Disegni sono state
due delle personalità più importanti del mondo ebraico
italiano di buona parte del Novecento.
Il fiorentino Pacifici racconta di un suo viaggio giovanile in Veneto,
nel luglio del 1911, subito dopo essersi laureato in legge.
Arrivato di venerdì a Verona, si recò all’ora di
inizio dello shabbat alla sinagoga, dove doveva
portare i saluti di suo padre al rabbino Disegni, fiorentino
anche lui.
“Sono sicurissimo che non mi aspettavo di essere invitato da
nessuno (la nostra casa, come il più delle case
ebraiche, quelle almeno che conoscevo a Firenze e Torino, le
mie due città, erano talmente chiuse che l’idea di invitare un
‘forestiero’ sconosciuto non poteva venir nemmeno in testa).
Forse avrei domandato al rabbino se c’era un restaurant kashèr [...].
Ma il Rabbino Disegni m’invitò, mi rammento, con la vecchia formula
fiorentina: verrà a prendere un brodo da noi – che io, mi
rammento benissimo, presi proprio alla lettera [...] e ebbi
letteralmente paura di dover passare la serata con un solo brodo.
Invece fu quello che fu: il primo – e rimasto perciò incancellabile nel
mio ricordo – assaggio dell’ospitalità ebraica, il primo
assaggio della tavola sabbatica, la prima volta che vidi un ner
shabbàth acceso, la prima volta in vita mia che assaggiai
l’intraducibile sapore della challà. Resti grazie ai miei
ospiti di quella sera lontana, il Rav Disegni e sua moglie
(il Signore dia loro prolungamento di giorni) per avermi per
primi introdotto nell’inesprimibile ricchezza dello shabbàth
vissuto. La mattina dopo, al beth hakkenéseth, il
rav, preoccupato di sistemare il mio pasto sabbatico del
mezzogiorno, mi affidava all’ospitalità del ‘direttore del
tempio’, signor Giacomo Coèn.”
Pacifici racconta poi come la figlia dei Coen sarebbe
diventata pochi anni dopo sua moglie. La giovane
Tikvah morì prematuramente, non prima però di aver dato alla
luce una figlia. La signora Coen, invece, sarebbe stata “destinata alla
fine orrenda in mano dei nazisti”.
Auguro alla nuova coppia formatasi in Israele (foto in alto)
di avere molti ospiti alla mensa sabbatica e, magari, di
contribuire alla formazione di altre “case in
Israele”.
rav
Gianfranco Di Segni
Debora e Jacov, il Mazal Tov della redazione
Debora Somekh e Jacov Di Segni, figli di due
straordinari rabbini italiani e di due formidabili collaboratori del
portale dell'ebraismo italiano moked.it e del giornale dell'ebraismo
italiano Pagine Ebraiche, il rav Alberto Somekh e il rav Gianfranco Di
Segni, si sono uniti in matrimonio a Gerusalemme. Un affettuoso Mazal
Tov da parte della redazione e l'augurio ai nuovi sposi e a tutti i
loro cari di scrivere assieme molte pagine felici nel libro della vita.
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Durban III
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Mentre gli Stati-nazione
sembrano perdere sovranità, e si coagula il villaggio globale, è
evidente l’importanza che hanno acquistato gli incontri internazionali.
Di qui la preoccupazione che desta la conferenza indetta per il
prossimo 21 settembre a New York, il «Durban III».
La gravità sta nella ripetizione di un episodio che avrebbe
dovuto restare isolato, respinto nel passato, condannato con fermezza.
La conferenza di Durban del 2001, riunita per trattare i temi del
razzismo e della schiavitù, si trasformò in un tribunale che accusava
Israele. Per la prima volta furono ufficialmente stravolti e manipolati
i simboli dell’umanità per disumanizzare Israele. Per la prima volta,
in un’atmosfera di manifestazioni
violente, Israele fu bandito nell’arena della società civile. Non si trattò
soltanto di odio antisemita e di antisionismo, di una escalation
quantitativa. Da quell’improvvisato tribunale internazionale – e questo
non deve sfuggire – Israele è stato delegittimato nei suoi diritti di
cittadinanza, è stato escluso dai «diritti umani» con l’accusa (scusa)
di essere disumano.
Una terza conferenza Durban III, a dieci anni di distanza, finisce per
avvalorare, come emerge già dalla bozza che circola in questi giorni,
quel che è avvenuto nel passato e per rilanciare le accuse. In attesa
che altri Stati, soprattutto europei, dicano un «no» chiaro, importante
è una mobilitazione, in tutti gli spazi concessi, reali e virtuali, per
far comprendere che Israele è una democrazia polifonica e che in questo
tempo, angosciante e complesso, cosparso di
tirannie e dittature che reprimono i loro stessi popoli, Durban III
avrebbe conseguenze esiziali proprio per la difesa dei diritti umani.
Donatella
Di Cesare, filosofa
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Tempo utile
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Con beneficio del dubbio, quindi dell'aver ben compreso, mi pare che David Bidussa
da queste colonne, evocando quando accade in queste ore in Medio
Oriente, abbia richiamato quella che in politica è la teoria del "tempo
utile" per risolvere i problemi sociali scaduto il quale è utile, se
non addirittura gradito, un avvenimento imprevisto e grave
che crea nuove priorità ed archivia intanto i malesseri dellavita
quotidiana dei cittadini. E' questa una dinamica certamente vera e
più volte vista nella storia, riassumibile nel popolare detto "chiodo
scaccia chiodo". Ciò posto, però, se è certamente vero che il malessere sociale che attraversa Israele, tramite
le civili dimostrazioni dette "delle tende", non è stato ancora risolto
(peraltro alla pari di analogo malessere diffuso che direi attraversa
quasi tutte le società odierne), trovo forzato il rischiare
ipoteticamente di porre sullo stesso piano il modo di agire di una
democrazia occidentale, quale è quella israeliana, con quello di altre
della zona che certamente non lo sono. Anche perché la genesi del
terrore che infiamma nuovamente Israele in queste ore appare chiara e
legata ad un vecchio, mai passato, leitmotiv di negazione del diritto
all'esistenza d'Israele.
Gadi Polacco, consigliere Comunità ebraica di Livorno
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notizie
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rassegna
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Israele e Hamas verso una tregua
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Leggi la rassegna |
Stando a notizie degli ultimi minuti sembrerebbe che Israele e Hamas,
il gruppo terroristico che controlla la Striscia di Gaza, abbiano
raggiunto un accordo sul cessate il fuoco dopo cinque giorni di
tensioni fortissime, attacchi e scontri. Lo
ha riferito questa mattina un funzionario palestinese coinvolto nei
negoziati secondo il quale le parti "hanno raggiunto un'intesa su una
tregua e la tregua ha avuto inizio".
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è il giornale dell'ebraismo
italiano |
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Dafdaf
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