Per l'arrivo di Irene le
sinagoghe di Nyc hanno lanciato l'iniziativa "Chesed Storm" al fine di
raccogliere volontari per aiutare persone in difficoltà a causa
dell'uragano. Migliaia le adesioni. I volontari non sanno quali
missioni li attendendo, sanno solo che nelle prossime 72 ore potrebbero
trovarsi a fronteggiare la forza della Natura.
Maurizio Molinari, giornalista
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Giornata della Cultura - "Gli scandali fanno bene" |
L’annunciata presenza di
Moni Ovadia alle manifestazioni organizzate a Siena in occasione della
Giornata Europea della Cultura Ebraica è destinata a fare molto
discutere. L’attore ha più volte assunto posizioni estreme e
scarsamente responsabili su Israele e i palestinesi. A che titolo la
sua presenza potrà contribuire all’obiettivo della Giornata, che è
comunicare all’opinione pubblica la realtà dell’ebraismo
italiano? (Sebastiano Pavi, Bologna)
“Oportet ut scandala
eveniant”. Letteralmente:
è opportuno che gli scandali avvengano. Questa massima latina credo
sintetizzi bene ciò che è accaduto nelle ultime settimane. A volte, per
scatenare una giusta reazione o per far emergere un problema, è
necessario un evento scandaloso. Nel caso di specie, la presenza
dell’attore e regista Moni Ovadia il 4 settembre a Siena alla Giornata
Europea della Cultura Ebraica, ha innescato un dibattito forte e a
tratti provinciale. Moni - apprezzabilissimo divulgatore della cultura
ebraica - ha in diverse occasioni espresso idee su Israele e sulla
causa palestinese distanti anni luce da me e da molti di voi. Ciò
nonostante l’ho sempre considerato un amico, un fratello e una persona
in grado di raccontare l’ebraismo all’esterno in modo efficace e utile
per tutti noi. Per questo ho deciso di invitarlo assieme ad altri
ospiti, come l’editore della mitica Giuntina Daniel Vogelmann (autore
di Le mie migliori barzellette ebraiche), a Klaus Davi (massmediologo)
e a Massimo Caviglia (autore satirico) al talk sull’umorismo ebraico
“Da Abramo al Web… l’umorismo ebraico di ieri e di oggi”. In molti mi
hanno criticato per aver osato invitare Moni alla Giornata del 4
settembre. Colgo quindi questa occasione che mi dà il direttore di
Pagine Ebraiche per spiegarvi le mie ragioni. La Giornata della Cultura
Ebraica è l’unico appuntamento aperto al mondo esterno di una certa
rilevanza. È l’occasione per noi di aprire i nostri monumenti e tesori
ai concittadini, di far conoscere l’immenso patrimonio artistico
culturale presente in Italia. L’obbiettivo è chiaro: diffondere la
cultura ebraica e far capire quanto sia un patrimonio di tutto il
Paese. Che c’entra Israele e la sua politica? Che c’entra la Giornata
della Cultura con le personali posizioni dell’attore Ovadia? Nulla,
assolutamente nulla. Il mio obbiettivo era ed è fare a Siena il tutto
esaurito, portare le persone per un paio d’ore a ridere e a riflettere
sull’umorismo ebraico, per questo - mi sono detto - chi meglio di Moni
e degli altri ospiti, può interpretare questa situazione? Tutto qua.
Non commettiamo l’errore di fare ciò che i nostri cugini fanno
abitualmente, cioè la Fatwa. Non appartengono alla nostra cultura
l’ostracismo e l’emarginazione: noi siamo il popolo del libro, quello
che si accapiglia, litiga, discute per secoli sull’interpretazione di
una norma, non siamo certo quelli della “messa al bando” del pensiero
che non ci piace. I roghi dei libri e delle idee lasciamoli fare a chi,
ieri e oggi, ha tentato e tenta di distruggere il nostro popolo. Mi fa
orrore pensare che qualcuno possa dire “tu non sei un mio fratello, tu
non puoi parlare!”. Per questo mi è tornata alla mente una storiella
dal titolo Chi è ebreo?, tratta dal libro di Vogelmann. Pechino. Un
turista americano, sfogliando la sua agendina, si accorge che è il
giorno di Kippur. Senza sperarci troppo, chiede al portiere d’albergo:
”Scusi, c’è una sinagoga a Pechino?”. “Celto signole. Plima a destla e
seconda a sinistla”. Il turista si reca quindi in sinagoga, che è piena
di gente che prega. Poco dopo un cinese gli si avvicina e gli chiede:
“Scusi, lei è EBLEO?”. “Si”. “Stlano, non sembra ebleo” Questo piccolo
scandalo creato nella vivace Comunità ebraica di Siena / Firenze (che
ringrazio per la libertà creativa e la fiducia che mi hanno concesso)
ci serva da lezione. Apriamo le nostre sinagoghe, mostriamo i nostri
libri, cerchiamo di essere sensibili alla diversità. Siamo figli del
nostro tempo e probabilmente mutuiamo dal contesto in cui viviamo pregi
e difetti. In questa polemica abbiamo mostrato di essere terribilmente
italiani e quindi: “Oportet ut scandala eveniant”, appunto!
David
Parenzo, giornalista
(Pagine Ebraiche, settembre 2011)
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Davar
Acher - La Giornata, Moni Ovadia e il tutto esaurito |
Ho letto con meraviglia mista a
delusione l'annuncio della presenza di Moni Ovadia alla manifestazione
capofila della Giornata della cultura ebraica di quest'anno,
giustificato anche su Pagine ebraiche nella forma inconsueta
di una risposta dell'organizzatore David Parenzo alla lettera di
protesta di un lettore. Parenzo auspica "ut scandalia eveniant" su
questa presenza ed è il caso di accontentarlo. E' vero innanzitutto
quel che scrive il lettore: La Giornata si suppone fatta per
"comunicare all'opinione pubblica la realtà dell'ebraismo italiano".
Benché organizzato a livello europeo, la Giornata da noi un biglietto
da visita, una presentazione pubblica della cultura, dunque anche dei
valori dell'ebraismo, come lo si intende in Italia. Capita dunque che
alla sua manifestazione principale della Giornata, quella che si svolge
a Siena, la comunità organizzatrice di Firenze inviti una persona la
quale usa scrivere sui giornali che "in Israele c'è al governo una
coalizione sostenuta da razzisti e da fanatici religiosi colonialisti"
("L'unità" 14.10.10) tanto che "ha condannato i palestinesi a diventare
cittadini di seconda classe espropriandoli giorno dopo giorno delle
loro terre e della loro vita con la violenza dell'occupazione e del
colonialismo" (11.12.10) e "uno dei suoi più recenti provvedimenti di
legge, approvati per ossequio alle componenti più reazionarie, razziste
e fanatiche della sua compagine di governo, è riuscito ad esprimere una
sintesi di sprezzo per la democrazia e di stupidità che merita il podio
olimpionico". (16.7.11) Certamente la colpa è "del rambo Ehud Barak che
nel cervello al posto dei neuroni ha proiettili." (20.8.11). Eccetera
eccetera. Tutti ricordano del resto la firma di Ovadia fra quelle che
patrocinavano la flottiglia di appoggio a Hamas che si è ridicolmente
impantanata in Grecia un paio di mesi fa e molti l'hanno sentito dire
cose ancora più esplicite contro lo Stato di Israele, il governo
attuale e praticamente tutti quelli precedenti. Dunque, il cittadino
che legge e ragiona, con le cui tasse (l'8 per mille) è pagata tale
presenza, può essere autorizzato a pensare che questa possa essere la
posizione della Comunità ebraica di Firenze che organizza la
manifestazione, dell'Ucei che la promuove, in breve degli ebrei
italiani; o almeno che questa sia considerata nell'ebraismo italiano
una posizione accettabile, una delle tante nella dialettica
comunitaria. Io spero e confido che non sia così, so che per molti non
lo è; ma mi piacerebbe che ci fossero delle prese di posizioni precise
per rassicurare me (e soprattutto il resto degli italiani interessati).
L'organizzazione politica degli ebrei italiani appoggia ancora Israele?
Considera accettabile definire i suoi ministri "razzisti",
"colonialisti", "stupidi", "fanatici" e quant'altro? Pensa che bisogna
portare soccorso ad Hamas con flottiglie e altri mezzi rompendo il
blocco israeliano o no? Il dubbio è lecito. Lo chiedo ai consiglieri
dell'Ucei, ai presidenti delle comunità, in particolare a quella di
Firenze. Lo chiedo anche a Haim Baharier, invitato anche lui a Siena,
perché è il mio maestro ed è considerato tale anche da Ovadia. Ricordo
con sollievo e gratitudine sue espressioni ben diverse su Israele. L'ho
sentito dire una volta che tutti gli ebrei sono israeliani in esilio, e
da allora ho capito meglio la mia posizione. In realtà questa faccenda
è ancora un po' peggiore di così. Perché un dissenso politico, perfino
il tradimento del proprio popolo, sono problemi seri, che hanno una
dignità storica se non morale. Si può discuterne. Del buon uso
del tradimento, ricordo, è un bel libro dello storico Pierre
Vidal-Naquet, che cercava di rivalutare la scelta di Giuseppe Flavio di
disertare il fronte della guerra contro i Romani. Ma qui, come spiega
David Parenzo, che ha curato il programma per la comunità di Firenze,
"il mio obbiettivo era ed è fare a Siena il tutto esaurito" o, per
uscire dalla logica pura e semplice del botteghino, "diffondere la
cultura ebraica e far capire quanto sia un patrimonio di tutto il
Paese." Se è questo l'obiettivo, certamente ci si può legittimamente
chiedere come fa Parenzo "che c'entra Israele e la sua politica?". Già
che c'entra Israele con la cultura ebraica? O meglio, che c'entra la
cultura ebraica, "questa" cultura ebraica con Israele? Ecco il problema
vero che pone la presenza di Ovadia a Siena, al di là del suo livore
antisionista. C'entra o non c'entra la cultura ebraica, la sua cultura
ebraica con Israele e con la sua identità? A me sembra proprio di no;
ma proprio per questo ritengo opportuna una riflessione pacata ma un
po' più profonda, che cerchi di comprendere che cosa si intenda per
"cultura ebraica" oggi, a parte " i nostri monumenti e tesori ...
l'immenso patrimonio artistico culturale [ebraico, immagino] presente
in Italia." Bisogna partire proprio dal caso personale di Moni Ovadia.
"apprezzabilissimo divulgatore della cultura ebraica...in grado di
raccontare l'ebraismo all'esterno in modo efficace e utile per tutti
noi," come scrive ancora Parenzo. Non c'è dubbio che Ovadia sia un
ottimo uomo di spettacolo ed è chiaro a tutti che egli si è ritagliato
una maschera da ebreo che utilizza senza troppe differenze dentro e
fuori i suoi spettacoli. Per mestiere Moni Ovadia infatti "fa l'ebreo":
quando racconta barzellette e quando interpreta a modo suo la storia di
Babel e di Kafka, quando parla del conflitto in Medio Oriente o quando
si occupa di Berlusconi. Essendo anche ebreo di nascita, essendosi
trovato i giusti maestri e modelli da imitare, risulta molto
"efficace"; ma si tratta comunque di una maschera teatrale – tant'è
vero che il personaggio che interpreta – a teatro e nella vita – parla con pesante accento
askenazita, mentre chi lo conosce sa che la sua origine è sefardita e
il suo modo di parlare normalmente italiano: altri suoni, altri sapori,
altri mondi, quelli della persone e quelli della maschera. Il caso
della lingua è solo un indizio, ma ce n'è altri: la vistosa kippà
vagamente arabeggiante che porta quasi sempre in testa, o le frequenti
citazioni e reinvenzioni di pensieri religiosi – veri o falsi che
siano, essi sono resi inautentici o piuttosto finzionali dal fatto
elementare che egli per sua stessa pubblica dichiarazione "non
credente". Un ebreo non credente (o piuttosto credente solo nella
rivoluzione, non nel divino) che porta la kippà e cita il Talmud – un
ossimoro, una caricatura, qualcosa che comunque toglie il loro senso
sia alla kippà che al Talmud. E' un ebreo, senza dubbio; ma un ebreo
sefardita che recita la parte dell'askenazita, un ebreo ateo che recita
la parte del religioso, un ebreo che parla continuamente dei suoi –
come dire – correligionari, ma che di fatto e apertamente privilegia
dei valori politici astratti alla solidarietà con il suo popolo, anzi
lo considera in maggioranza "razzista", "fanatico", "colonialista" ecc.
Un ebreo, che per l'appunto, non sopporta Israele e appartiene a un
mondo askenazita di facola che non c'è e non c'è mai stato. Dunque allo
stesso tempo è un ebreo, ma anche la simulazione di un ebreo, lo
stereotipo, la caricatura: un ebreo da teatro. Lo dico con tutto il
rispetto, da vecchio frequentatore di teatri (e anche dello stesso
Ovadia). E' dunque sì un "apprezzabilissimo divulgatore", ma quel che
passa per la sua macchina divulgativa ne esce trasformato,
teatralizzato, svuotato, trasformato in fantasma o favola. L' ebraismo
che comunica non è il banale (o serio) succedersi di funzioni e
ricorrenze, preghiere e studio, testi e precetti che da millenni segna
la vita degli ebrei normali, anche dei grandi geni. No, il suo ebraismo
è qualcosa di assai più romantico, "un capolavoro ineguagliato: una
nazione e un popolo dell'esilio, fra i confini, oltre i confini, a
cavallo dei confini, una nazione non vincolata a uno specifico
territorio, né a vocazioni nazionaliste" ("Il Riformista", 11.12.10)
"pura poesia e spiritualità" "cancellata dalla follia umana dalla sera
alla mattina", "alcune tra le più alte vette del '900: da Freud a
Kafka, da Einstein a Marx, da Mahler a Proust". ("Libero", 25.3.11).
Che poi i villaggi ebraici in Ucraina e Bielorussia fossero miserabili,
che vi regnasse la fame, che da un secolo prima del nazismo ci fosse
una massiccia emigrazione a Ovadia, non interessa. Ripeto, il problema
non sono queste idee di Ovadia e la loro approssimazione storica (in
particolare la grande rimozione della cancellazione comunista
dell'ebraismo orientale, che precedette e poi completò quella nazista).
Come uomo di spettacolo, Ovadia ha un diritto istituzionale alla
cartapesta che rispettiamo. La barzelletta deve far ridere, la tirata
deve far piangere – la verità non c'entra, conta il "tutto esaurito".
Il problema è che anche la "cultura ebraica", intesa come "monumenti e
tesori" ecc. soffre dello stesso male, diciamo una visione ossificata,
stereotipata, nel migliore dei casi museale, nei peggiore consumista e
caricaturale dell'ebraismo. L'ebraismo come un oggetto da divulgare,
una merce culturale da promuovere, un panda cui procurare simpatia. Una
visione un po' distorta, romanticizzata, aiuta – per il "tutto
esaurito" e par la simpatia. E anche un certo distacco da Israele, un
posto così reale da non poter essere perfetto, dove bisogna anche
difendersi dagli attentati e usare le armi, una distinzione che
politicamente premia nell'Italia catto-comunista. Che c'entra la
leggiadra cultura ebraica "piena di tesori" con un posto dove gli ebrei
lottano per non farsi travolgere? Benissimo, il "tutto esaurito" è
assicurato. Ma si tratta di una deformazione profonda della cultura
ebraica vera, che è stata innanzitutto comunità e fede e pensiero e
elaborazione degli ambiti della tradizione (halakhà, kabbalah ecc.). La
cultura ebraica non è quella dei singoli ebrei importanti e "creativi"
che per lo più hanno rifiutato l'appartenenza dei padri – come tutti
quelli citati nell'elenco di Ovadia. Se è viva, è pratica dell'ebraismo
e riflessione su di essa – cose che difficilmente si possono mettere in
mostra. Salvo casi di sconcertante automuseificazione come quel "vero
matrimonio" cui l'anno scorso "si pot[è] assistere nell'ambito delle
manifestazioni organizzate per l'Undicesima Giornata Europea della
Cultura Ebraica" – almeno a credere alla cronaca del "Messaggero",
5.9.10. Tutto esaurito anche lì, immagino. Insomma, l'invito di Ovadia
annuncia per l'ebraismo italiano qualcosa di anche peggio della
rinuncia a prendere le distanze dall'ostilità a Israele: una sorta di
auto-spettacolarizzazione dell'agonia che a me ricorda quel racconto di
Kafka intitolato Il digiunatore: "Tutta la città si occupava
allora del digiunatore; a ogni giorno di digiuno aumentava l'interesse
del pubblico, tutti volevano vedere il digiunatore almeno una volta al
giorno [...] quando il tempo era bello la gabbia veniva trasportata
all'aperto e allora erano specialmente i bambini a cui era mostrato il
digiunatore" E però, la gloria passa: "Mentre prima meritava mettere su
spettacoli di questo genere per proprio conto, oggi sarebbe
assolutamente impossibile. Erano altri tempi, quelli." Questo è il
problema della "cultura ebraica", di essersi volontariamente
trasformata in uno spettacolo per il momento popolare e dunque
probabilmente domani non più. Come scrisse l'anno scorso il rav
Riccardo Di Segni, della stessa manifestazione: "Mantova ebraica
purtroppo oggi è, con i circa suoi 60 iscritti e un passato glorioso,
con le Sinagoghe autodemolite, l’emigrazione, la shoà e tutto il resto,
e malgrado gli sforzi dei suoi dirigenti, una comunità al limite
dell’estinzione, dove il prodotto culturale rilevante è un volume sui
cimiteri. Bisogna comprendere il senso allarmante di questo dato. La
Giornata della Cultura rischia di diventare un’elegante passerella su
un passato glorioso. Le priorità dell’ebraismo italiano che malgrado
tutto è vitale sono altre." L'ebraismo italiano rischia oggi di
virtualizzarsi, di trasformarsi in simulazione di se stesso, di non
avere più una cultura, sia in senso antropologico (le pratiche ebraiche
che riguardano una percentuale sempre molto bassa delle nostre
comunità) sia nel senso "alto", di produzione culturale vera e di
ebraismo vero. In cambio si rappresenta sempre più come folkloristico,
come produttore di barzellette, come innocuamente pittoresco e
simpatico, ben lontano dagli israeliani che hanno "proiettili al posto
di neuroni" nel cervello. Così ovadizzato, trasformato in cartapesta e
barbe finte e vecchie barzellette sempre uguali, otterrà certamente il
"tutto esaurito", ma non ci sarà più. Come il digiunatore di Kafka
infine abbandonato dalla folla e scoperto dai guardiani "sotto la
paglia sporca" "in una gabbia vuota", a "digiunare ancora" scusandosi
per farlo, fino alla morte.
Ugo
Volli
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