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8
settembre
2011 - 9 Elul
5771 |
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Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma
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Più di
70 regole (mizwot) in una sola parashà, è il record della lettura di
questo Sabato (Ki Tetze), da Devarim 21:10 a 25:19. In questa lunga
lista c'è di tutto, dalle regole militari sul trattamento delle
prigioniere all'igiene dell'accampamento, dal divieto di restituire al
proprietario uno schiavo fuggitivo, all'obbligo di un parapetto sul
tetto della casa, dal divieto di mescolare specie differenti, al
ricordo di Amalek. Mentre in altre sezioni della Torà è riconoscibile
uno schema logico secondo il quale concetti e regole sono ben ordinati,
qui è difficile trovare una linea coerente. Difficile, ma non
impossibile nè inutile. Su una scala più grande qui si può applicare un
concetto che emerge dalla discussione di una sola di queste regole,
quella terribile che riguarda il figlio traviato (ben sorer umorè,
Devar. 21:18-21), il Talmud le dedica un capitolo intero, per poi
spiegare che è inapplicabile. E allora perchè discuterne tanto? Perché
vale il principo "deròsh weqabbèl sakhàr", cerca, interpreta e
riceverai per questo una ricompensa. La ricerca del significato o
l'approfondimento di tutte le implicazioni, anche se non hanno alcuna
conseguenza pratica, è un valore positivo a sè stante. Ed è uno degli
aspetti più tipici e anche sorprendenti della tradizione ebraica.
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Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme
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Il sociologo Zygmunt Bauman ha
rilasciato giorni fa un'intervista al settimanale polacco Politika in
cui esprime il suo pensiero su Israele. Secondo Bauman, gli israeliani
hanno paura della pace come di una delle piaghe d'Egitto; sarebbero
terrorizzati se cessasse la pioggia di missili da Gaza sulle loro città
perché sono incapaci di vivere senza la guerra; sfruttano la shoah come
un giustificativo delle loro proprie azioni; e la barriera divisoria
che hanno costruito con la Cisgiordania è come il muro del ghetto di
Varsavia (dove sono morti centinaia di migliaia di ebrei). La voce di
Bauman è molto influente. C'è chi pensa che è capace come pochi altri
intellettuali – più precisamente: come i veri intellettuali – di
esprimere con poche parole la sintesi essenziale e ineludibile di un
problema senza girare molto intorno alle questioni. Nato nel 1925 in
una famiglia ebraica abbastanza sionista nella parte di lingua tedesca
della Polonia, scampato alla guerra nell'URSS, studi universitari
marxisti, una carriera nei servizi fino al rango di maggiore, poi
professore a Varsavia, nel 1968 disertava in occidente, ossia… in
Israele, dove insegnava per alcuni anni per poi trasferirsi
definitivamente in Inghilterra. Nelle grandi discussioni su cultura
ebraica, identità e politica credo sia importante individuare chi siano
i capiscuola delle idee fondanti e discutere direttamente con loro. Ma
è anche importante rintracciare la filiera che lega queste idee, in
apparenza potenti e universali, alle loro esperienze personali, alle
paure, alle frustrazioni, agli egoismi, ai narcisismi, agli
indottrinamenti, alle rimozioni delle persone che le propongono. Si
capirà allora meglio anche da dove arrivano certi discorsi di piccolo
cabotaggio di cui si è molto parlato in Italia durante la settimana
della cultura ebraica.
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Qui Mantova - Pagine Ebraiche fra la gente
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Diffusione
straordinaria del giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche fra
le decine di migliaia di visitatori che in questi giorni affollano le
manifestazioni del Festival della letteratura a Mantova. Il
numero di settembre, nell'immagine, esposto nei tanti punti di
informazione a fianco all'edizione speciale del Sole 24 Ore, contiene
un dossier interamente dedicato alla Cultura ebraica in occasione della
grande manifestazione culturale italiana. Questo pomeriggio alle
17 nella sede della Comunità ebraica di Mantova, fra l'altro, si svolge
l'incontro La Storia le storie. Accademici, docenti, ricercatori e
giornalisti a confronto sull'attualità della ricerca storica (dalle
aule universitarie alla raccolta delle testimonianze sul campo, dalla
grande Storia alle vicende della gente comune nelle singole realtà dove
la più antica realtà della Diaspora ha intessuto le proprie vicende).
Partecipano, fra gli altri, il segretario generale dell'Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane Gloria Arbib (autrice con Giorgio Secchi di
“Italiani insieme agli altri. Ebrei nella Resistenza in Piemonte
1943-1945”, Zamorani editore), le docenti e storiche Maria Bacchi e
Fernanda Goffetti (autrici di “Storia di Luisa : una bambina ebrea di
Mantova”, Arcari editore), il professor Frediano Sessi (direttore
generale della Fondazione Università di Mantova, autore di “Il mio nome
è Anne Frank”), il professor Achille Marzio Romani (Università
Bocconi), l'antropologo Giancorrado Barozzi e il giornalista del Sole
24 Ore Nicola Borzi.
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Ritorno a Fiume. Nel
nome di Schatzi
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È una mattina fresca e
annuvolata di mezza estate. Sul Carso, sopra Trieste, stanno per
concludersi i lavori di Redazione aperta, appuntamento ormai
tradizionale rivolto agli operatori dell’informazione dell’Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane e a giovani redattori da tutta Italia che
per il terzo anno consecutivo trova ospitalità nelle strutture della
Comunità ebraica di Trieste. Prima del congedo è in programma una
visita speciale. Un’ora di viaggio a bordo di un pulmino che porta i
colori della Slovenia e la redazione, accompagnata fra gli altri dal
vicepresidente della Comunità giuliana Mauro Tabor e dal fotografo
Giovanni Montenero sarà nel golfo del Quarnero. Niente a che fare con
la classica gita fuori porta. È qualcosa di più. Una breve full
immersion nei luoghi in cui più di una volta si è fatta l’Europa, un
percorso alla scoperta di cosa resta e cosa è stato invece sepolto
della presenza, una volta fiorente e influente, di nuclei ebraici tra
Fiume e Abbazia. Per me la situazione è difficile ed emozionante. Per
una volta non dovrò raccontare da giornalista le emozioni degli altri,
ma le mie. È un ritorno alle origini, il primo, il coronamento di un
sogno maturato negli anni. Tanti infatti i ricordi, tante le
suggestioni nel dialogo con mio nonno “Schatzi”, all’anagrafe
Alessandro, l’uomo a cui assieme a mia nonna Elda devo quasi tutto
della mia infanzia e adolescenza spensierate. Schatzi era un fiumano
doc così come fiumana è sua sorella Ester, la zia dagli occhi celesti
che più celesti non si può e a cui basta una semplice frase (“ciao
bella zia fiumana”) per accendersi in volto. A Fiume il mio bisnonno
Sigismondo aveva una grande sartoria sul corso. Un luogo mitico
dell’infanzia rievocato spesso a pranzo nella veranda dei nonni. Mentre
il pulmino prosegue nel suo tragitto verso la costa croata penso più
volte a quei momenti di intimità. Penso a mio nonno, ai suoi occhi di
tzadik, di uomo giusto. Lo faccio molto spesso, ma sento che stavolta è
diverso. Capisco che vedere Fiume, le strade e i quartieri in cui è
cresciuto, serviranno a stabilire un nuovo contatto. Capisco che sarà
come riabbracciarlo per qualche ora, un sogno per me ricorrente da
quando è mancato in quella maledetta estate di nove anni fa. Così, dopo
una commovente tappa mattutina ad Abbazia iniziata davanti alla lapide
che commemora le vittime abatine della Shoah, ecco Fiume. Asburgica,
ungherese, italiana, jugoslava, ora croata. La città delle passioni e
degli esperimenti che hanno fatto la storia e aperto le ferite
d’Europa. Arriviamo nel corso, bello e vivo, e si chiude il cerchio.
Giovanni vuol scattare una foto, mentre io mi arrovello per ritrovare
la meta agognata. Non so cosa sia stato, se il fiuto del grande
fotografo, una coincidenza o cosa altro. Fatto sta che uno dei palazzi
che fa da sfondo al suo scatto è quello giusto. Me l’aveva detto zia
Esty che mi avrebbe colpito, che l’avrei trovato a istinto. E infatti è
un tuffo al cuore. Trovarmi proprio là, davanti all’edificio che tanto
aveva popolato il mio immaginario di bambino, mi fa un effetto strano.
E allora realizzo che Fiume è davvero un posto speciale della memoria,
uno di quei posti in cui sai che prima o poi dovrai andare, ma non sai
mai quando. Così quando ci sei ti turba, ti lascia spiazzato. Ti rendi
conto che non potrà più esistere la promessa laica di un leshana abbà
beFiume, realizzi che in quel momento devi fare i conti con chi sei e
da dove vieni. Una mano me la dà la storica Sania Simper, nostra guida
nel tour quarneriano insieme alla professoressa Rina Brumini, ebrea
fiumana e docente al liceo italiano dove ancora si raccoglie molta
gioventù cittadina. Sanja è una studiosa formidabile che negli anni ha
contribuito a ricostruire le vicende fiumane di molte famiglie, fra cui
la mia. Ogni volta che ci sentiamo ha sempre uno spunto nuovo da
raccontare. E anche stavolta non fa eccezione trasmettendomi alcuni
preziosi elementi d’archivio che riguardano il mio bisnonno Sigismondo
e suo nipote Leo nelle loro traversie fiumane fino all’internamento nel
campo di Campagna. Rina e Sanja ci guidano passo dopo passo nel
Quarnero ebraico. Il viaggio si declina spesso al passato. Un passato
drammatico, con le persecuzioni che si abbatterono come una scure sulle
comunità ebraiche di Fiume e Abbazia. Un mondo fu annientato e le
difficoltà attuali a mantenere una qualche forma di vita ebraica sono
un presente doloroso con cui fare i conti. Camminiamo lungo le strade
che ci portano alla piccola sinagoga superstite (quella che vollero gli
ortodossi mitteleuropei), un edificio in stile Bauhaus che oggi
sopravvive molto più come polo sociale e culturale che come centro
religioso. Le nuvole coprono nuovamente il sole caldo che ci aveva
accolto in Quarnero portando una ventata di malinconia. Prima di
giungere alla meta Sanja si arresta mostrandoci un edificio. Un palazzo
squallido che nasconde fondamenta della maestosa sinagoga di Fiume, una
delle più belle d’Europa, edificata nel 1903 e interamente distrutta
nel 1944. Sulla via del ritorno ancora una foto tutti assieme davanti a
quell’anonimo palazzo popolato di fantasmi. Molto dolore ha segnato il
Novecento, ma assieme ai colleghi della redazione un giovane fiumano è
di nuovo in quel luogo per testimoniare. Tornare a casa vuol dire anche
questo.
Adam
Smulevich, Pagine Ebraiche settembre 2011
Pagine Ebraiche di settembre è
su tablet (Apple e Android). Leggi l'articolo arricchito dai contenuti
multimediali.
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Adam Smulevich, tessera
rossa
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I lettori del Portale
dell'ebraismo italiano e di Pagine Ebraiche lo conoscono per i suoi
articoli dallo stile inconfondibile, e per le storie di sport che solo
lui sa scovare. Oggi Adam Smulevich, 26 anni a ottobre, festeggia un
nuovo traguardo della sua carriera giornalistica, l'iscrizione all'albo
dei giornalisti professionisti. Dopo il superamento dell'esame di
idoneità professionale che conclude il percorso di praticantato
giornalistico l'Ordine dei giornalisti della Toscana ha avuto mandato
di emettere il mitico tesserino rosso, il documento di identificazione
professionale che contraddistingue chi per professione fa i giornali.
Smulevich è stato uno dei cinque giovani chiamati al praticantato
dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane nell'estate 2009. A maggio
2011 è entrato stabilmente nella redazione diretta da Guido Vitale e ha
lasciato la sua amatissima Firenze per trasferirsi a Roma, senza però
perdere un grammo della sua innata toscanità. Anima di Italia Ebraica,
il nuovo giornale ebraico di cronache comunitarie, e appassionato
mangiatore di pane (il suo "Che si può mica avere un
tocco di pane?"
è entrato nel patrimonio di aneddoti leggendari che ogni redazione
colleziona) Adam ha condiviso con tutti noi e con i lettori il ritorno
alle origini fiumane della sua famiglia con il racconto della visita a
Fiume insieme alla redazione, pubblicato nel numero di Pagine Ebraiche
di settembre attualmente in distribuzione. Per questa nuova conquista
professionale un grande Mazal Tov da tutti i colleghi.
Rossella
Tercatin
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Gli estranei
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Ieri, il segretario della Lega
araba doveva recarsi a Damasco come mediatore coi rivoltosi, ma il
governo siriano ha fatto sapere che per motivi estranei alla propria
volontà non poteva riceverlo. Prolungando una coincidenza che va avanti
da mesi e sovrappone la conta delle ore a quella dei morti, nelle
stesse ore in cui per motivi estranei alla propria volontà il governo
di Damasco non poteva incontrarsi col segretario della Lega araba, a
Homs sono morti undici ribelli per motivi estranei alla volontà
dell'esercito, anche se probabilmente non per mezzo di starnuti. Certo,
questa volontà estranea comincia a essere un problema, perché in Siria
non si fa più nulla senza che prima non muoia qualcuno. La domanda è
chi sia questa volontà estranea alla propria. Forse gli alieni e non il
governo siriano che altrimenti sarebbe ottimo; oppure degli alienati
che parlano abilmente di sé in terza persona però ammazzano. Ma non può
essere: sono decenni che il governo siriano è sempre lo stesso, se ci
fosse un problema non sarebbe sempre lo stesso. Invece è sempre lo
stesso.
Il
Tizio della sera
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notizieflash |
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rassegna
stampa |
Israele-Turchia,
Barak riduce
la portata della crisi diplomatica
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Timidi segnali di
distensione tra Turchia e Israele. A lanciarli è il ministro della
Difesa israeliano Ehud Barak che, ai microfoni di una radio locale, si
è così espresso: “Siamo i due paesi più importanti per l'Occidente
nella regione. La cosa più importante è non confondersi e non entrare
in una spirale. La Turchia non sta per diventare nemica di Israele e
noi non abbiamo motivo di perdere energie e sprecare invettive su
questo tema”.
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è il giornale dell'ebraismo
italiano |
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Dafdaf
è il giornale ebraico per bambini |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
che fossero interessati a offrire un
proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it
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