Si è aperta ieri sera una
grande quattro giorni di suoni, parole e letteratura nel cuore di Roma.
Molte le emozioni infatti per la Notte della Cabbalà che ha richiamato
nell'area del vecchio Ghetto migliaia di cittadini per una notte
declinata nel segno della mistica ebraica e del divertimento con
spettacoli, conferenze e concerti che si sono protratti fino alle porte
dell'alba coinvolgendo rabbini, studiosi, intellettuali e artisti in
alcune delle location più suggestive del Portico d'Ottavia. La serata
si è aperta alle 21 con l'unico incontro svoltosi fuori dal Ghetto, la
conversazione tra Marino Sinibaldi e Abraham Yehoshua, uno dei volti
più noti e amati della letteratura israeliana, al Tempio di Adriano in
Piazza di Pietra. L'incontro, al quale partecipava anche l'attore
Massimo Ghini, si è svolto davanti al pubblico delle grandi occasioni e
ha sancito l'apertura della quarta edizione del Festival Internazionale
di Letteratura Ebraica, rassegna curata anche quest'anno da Ariela
Piattelli, Raffaella Spizzichino e Shulim Vogelmann, che catalizzerà
fino a mercoledì pomeriggio il Palazzo della Cultura e altre strutture
ghettaiole con tavole rotonde, incontri con i lettori, inaugurazioni di
mostre. Special guest di questa edizione, oltre a Yehoshua, lo
scrittore inglese Howard Jacobson, vincitore nel 2010 del prestigioso
Man Booker Prize. Già oggi molti i temi di grande
impatto affrontati. Si è partiti questa mattina con un intenso
confronto sul Talmud, fondamentale pilastro della metodologia e
tradizione ebraica, tra il rav Roberto Della Rocca e Stefano Levi Della
Torre. Nel pomeriggio invece al Museo Ebraico, alle 18.30,
l'inaugurazione della mostra L'istruzione di Sacro e Civile nel Ghetto
di Roma: la Compagnia Talmud Torah con interventi di Silvia Haia
Antonucci e del rav Riccardo Di Segni. Concluderà Haim
Baharier, che dalle 20.30 al Palazzo della Cultura si soffermerà
nuovamente sul Talmud illustrandone alcuni enigmi e aneddoti.
a.s
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Si
è aperto a Milano con il saluto del presidente dell'Ordine dei medici
Ugo Garbarini il convegno Medici ebrei nell'Italia unita indetto in
occasione delle celebrazioni dei 150 anni di unità nazionale
dall'Associazione medici ebrei e dalla Fondazione CDEC. Nell'ambito
dell'intensa giornata di lavori, che è ancora in corso, previsti fra i
tanti anche gli interventi di Maria Silvera (Perché questo convegno),
rav Giuseppe Laras (La sofferenza nel pensiero dell’ebraismo, Giorgio
Cosmacini (Il medico nazista e il medico ebreo. Una antinomia storica
ed etica). I lavori del pomeriggio saranno introdotti dallo storico
Michele Sarfatti, cui seguiranno Valerio Marchi (Fare sani gli
italiani. Il dottor Oscar Luzzatto in Friuli), Stefano Arieti, Ebrei e
medicina sociale dall’Unità al fascismo), Annalisa Capristo (“Contro la
«piovra giudaica»”: la persecuzione fascista dei medici ebrei), Angelo
Del Boca (Rinaldo Laudi e il servizio medico nella Resistenza), Andrea
Finzi (Marcello Cantoni e la medicina scolastica e di comunità). A
conclusione, una tavola rotonda intitolata a I prossimi 150 anni,
durante la quale David Sacerdoti dialogherà con Sergio Harari, Amos
Luzzatto, Giorgio Mortara, Marco Soria. “Vorrei incentrare il mio
intervento – ha detto il Consigliere dell'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane Giorgio Mortara, che è anche alla guida dell'AME
Italia – più che sugli scopi della nostra associazione e del suo futuro
di cui avremo occasione di parlare nel pomeriggio con la partecipazione
tra gli altri del presidente onorario Amos Luzzatto, su un breve
ricordo di come questi 150 anni hanno influito sul mio essere ebreo e
medico. Quando ci è stato proposto di organizzare questo convegno ho
accettato subito con entusiasmo perché nella mia infanzia, in ambito
familiare, avevo sentito i racconti del Risorgimento, della Prima
guerra mondiale, delle leggi razziste del 1938 non come un fatto
storico estraneo, ma come un fatto di vita a cui i membri della mia
famiglia avevano realmente partecipato sia come attori che come
vittime. Basti citare il famoso caso di Edgardo Mortara portato via
alla famiglia in tenera età dalle milizie papaline e la cui risonanza
oltrepassò i confini dello stato pontificio e influenzò l’opinione
pubblica europea nei confronti di un atteggiamento favorevole alla fine
del potere temporale del papato o il fatto che ad aprire il fuoco per
la breccia di Porta Pia a Roma fosse stato un ufficiale piemontese
ebreo perché non correva il rischio della scomunica”. Nel corso
del confronto pomeridiano, fra l'altro, medici, storici e studiosi si
confronteranno su alcuni interrogativi. Guardiamo al nostro futuro: che
prospettive ci sono per i medici ebrei nell'Italia unita e cosa ci
dobbiamo aspettare? Come cambia il ruolo del medico nella moderna
sanità? Ci sarà una differenza tra un medico ebreo e un medico non
ebreo in una società sempre più multietnica, in cui si parla di
interculturalità? Dove dovrebbe andare il medico iscritti all'Ame nei
prossimi 150 anni? Quale contributo potrà dare alla sanità italiana? Le
nuove tecnologie pongono e porranno dei problemi etici specifici ai
medici ebrei? Come si concilia il pensiero ebraico e la cura
biotecnologica del malato? Nell'immagine il rav Giuseppe Laras con la
dottoressa Maria Silvera durante il suo intervento.
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Davar Acher - I motivi dell'odio |
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Nonostante
anni di allenamento, è difficile non lasciarsi abbattere dall'intensità
del sentimento antisemita/antisraeliano. Il senso di ferita personale è
sempre fortissimo. La domanda sul perché dell'odio, dell'energia
emotiva scaricata in questo sentimento distruttivo, va ben al di là dei
suoi usi politici e della sua funzionalità sociale. Per esempio è
chiaro che per i regimi arabi, prima e dopo questo ciclo di agitazioni
(ma anche prima o dopo di quello precedente che quarant'anni fa portò
al potere i regimi nazionalisti in Egitto, Siria, Iraq ecc) hanno usato
l'antisemitismo, l'hanno trasformato in odio per Israele e hanno
suscitato pogrom e violenze di ogni tipi, per distrarre le masse arabe
dalla loro miseria, per unificare i loro paesi contro un nemico
esterno, in sostanza per mantenere il loro potere. E' chiaro che la
Turchia e l'Egitto oggi stanno facendo lo stesso gioco. Ma la questione
logicamente precedente è perché, fra i mille obiettivi possibili di
odio sia stato scelto quasi sempre l'ebreo, il che equivale a chiedersi
perché le masse islamiche siano da decenni (da ben prima
dell'"occupazione") particolarmente pronte a odiare piuttosto gli
ebrei, nemici immaginari, ancor più che altri soggetti con cui la
guerra era reale, i contrasti materiali. La Turchia che è in guerra coi
curdi si mobilita in questo momento contro Israele; l'Egitto che viene
da una rivolta tutta interna contro la corruzione e ha interessi
strategici in conflitto con l'Iran e la Turchia, se la prende con gli
unici ebrei che riesce a identificare sul suo territorio, i diplomatici
israeliani. La stessa domanda si può fare ovviamente per l'Europa,
dove pure lo sfruttamento statale dell'antisemitismo è da qualche tempo
assai meno di moda. Perché in piena crisi economica e sociale un
teppista deve prendersi la briga di individuare un cimitero ebraico a
Venezia su cui disegnare una svastica? Perché su due muri vicino alla
mia università, a Torino, con lo scopo non di denigrare gli ebrei, ma
la squadra di calcio del Torino e una nota bevanda gassata si poteva
leggere fino a qualche tempo fa e forse ancora oggi "Toro ebreo" (ad
uso degli italiani) e "Coca cola yahud" (per i lettori arabofoni)?
Perché "ebreo" è un insulto usato da tutte le tifoserie del calcio e
del basket? Perché, voglio dire, dovrebbe essere un insulto? Perché
Israele continua a suscitare oggettivamente più odio di tutti i regimi
più criminali del mondo? Perché in questi giorni di stragi continue in
Siria e di prudentissime reazioni israeliane al terrorismo si sono
mossi a Londra dei manifestanti a disturbare un concerto della
certamente non troppo politicizzata orchestra filarmonica israeliana in
quel tempio della cultura che è il Victoria and Alberta Hall, e nessuno
in tutto il mondo davanti a un'ambasciata siriana? Certo, gli
orchestrali erano ebrei... Perché la Turchia, che spara ai curdi in
territorio iracheno e fa comunicati stampa per vantarsi dei numeri dei
morti, che occupa uno Stato straniero e vi tiene in esercizio un muro,
che nega il genocidio armeno, che è stata sconfessata da una
commissione di inchiesta dell'Onu (quindi certo non filoisraeliana), si
permette con Israele toni arroganti da politica della cannoniere,
sicura di ottenere la simpatia generale? La spiegazione di tutti
questi episodi, che sono di oggi, non degli anni Trenta, non si può
ridurre nei puri dati politici, nel conflitto statale o territoriale
che oppone Israele ai palestinesi, nel riflesso meccanico dei vecchi
schieramenti per cui la sinistra ha ereditato senza rendersene conto le
coordinate geopolitiche di Stalin e prosegue a giudicare buoni i vecchi
alleati dell'Urss e cattivi gli alleati dell'America. Non è solo la
commissione dei diritti umani dell'Onu, alla cui presidenza fino a un
paio di mesi fa sedeva la Libia e che produceva praticamente solo
risoluzioni antisraeliane; non sono solo gli ambigui legami
nero-rosso-verdi fra neonazisti, neocomunisti, islamisti; ma l'opinione
collettiva maggioritaria in Italia, in Europa (per non parlare dei
paesi musulmani), che in maggioranza, e nella maggioranza più
"illuminata", ha in Israele se non proprio esplicitamente negli ebrei
il nemico che gli piace di più odiare? Le spiegazioni date
all'antisemitismo nella storia sono naturalmente moltissime, le abbiamo
tutti studiate e molte volte sentite ripetere. Ma a me sembra che oggi
ancora ci sia in questo sentimento condiviso un forte nucleo
politico-teologico; che non ci troviamo di fronte a un odio laico,
interessato, razionale, ma una proiezione ben più potente delle
identità collettive, se non proprio delle religioni. E soprattutto
credo che noi dobbiamo individuare nelle sue forme attuali una reazione
all'emancipazione, alla pretesa intollerabile proprio perché politica,
da parte di un popolo teologicamente "inferiore", di essere come gli
altri, di vivere la sua identità, soprattutto di avere uno Stato. Nel
diritto islamico tradizionale gli ebrei sono considerati dei
semischiavi, "dhimmi", che possono sopravvivere in mezzo ai musulmani
solo pagando una tassa speciale e accettando uno stato di umiliazione
permanente (non portare armi o usare cavalli, non avere case più alte,
non avere impiegati islamici, portare certi segni sulle vesti ecc.).
Nel mondo cristiano gli ebrei "deicidi" erano stati condannati già da
dai primi secoli (per esempio da Agostino di Ippona) a vivere sì, ma in
uno stato analogo di umiliazione, per testimoniare insieme con la loro
fede della verità dell'"Antico testamento" e con il loro infelice
destino della "punizione" per loro "colpa" - ora queste posizioni
restano sommerse nelle voci maggioritarie della Chiesa, ma riemergono a
tratti, fra i tradizionalisti, i vescovi arabi, i cattolici di
sinbistra e influenzano in maniera poco consapevole le posizioni di
molti. Che i dhimmi, i deicidi, coloro che si ostinano insieme a
non volersi convertire al cristianesimo e neppure all'islamismo,
abbiano la pretesa di vivere liberi pacifici e produttivi e addirittura
in un loro Stato, è un affronto intollerabile – ancor più dell'
"occupazione" di una terra che anche la Chiesa e anche l'Islam
rivendicano come sacra per loro. E' la libertà degli ebrei, il loro
rifiuto di essere vittime, la loro capacità di realizzare una vita
autonoma e uno Stato loro, il loro stesso successo, a infastidire e
offendere gli islamici (che se la prendono anche coi cristiani, quando
possono) e in Occidente certe parti del mondo cristiano e anche laico,
ma di cultura, non solo i reazionari, ma anche molti "progressisti",
che travestano nella loro coscienza il sentimento antisemita con
l'amore per gli oppressi e la "giustizia" - naturalmente imitati da
settori altrettanto "progressisti" del mondo ebraico. Con l'intreccio
di questa teologia politica, oltre che con il cinismo di dittatori e
altri politici noi ci troviamo a dover fare i conti oggi, in uno dei
momenti più difficili e rischiosi della storia recente del popolo
ebraico.
Ugo
Volli
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Israele
- Nudi per salvare il Mar Morto
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Nudi, come mamma li ha fatti, per salvare un patrimonio di storia e
memoria. 1200 israeliani in tenuta adamitica hanno posato sulle
rive del Mar Morto davanti all'obiettivo di Spencer Tunick, fotografo
di nudo americano che che da due anni raccoglie
fondi per finanziare un progetto di sensibilizzazione sul continuo
prosciugamento del celebre lago salato.
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