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Qui Livorno - Un anno
per la concordia
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Nei
"giorni terribili" che intercorrono tra Rosh ha-Shanà e Kippur l'Ebreo
deve concentrarsi nella preghiera. "Prendete con voi parole, tornate al
Signore ..." esorta il Profeta perchè solo da Lui " ... l'orfano
ottiene misericordia". Ed il Signore certamente risponderà
favorevolmente a chi, orfano della Sua grazia, a Lui si rivolge per
perdono e aiuto. E infatti - dice il Signore: "Guarirò la loro
ribellione, li amerò generosamente, perchè la mia ira si è ritirata da
lui". Queste parole del Profeta Osea vogliono significare molto di
più di quanto sembrerebbe ad una prima lettura. Infatti il Profeta
passa nella stessa frase dal plurale al singolare come per indicare che
la preghiera deve provenire da tutti, da tutto il popolo che così
diviene come un singolo individuo. Occorre riflettere su questo punto:
il concetto di unità del popolo ebraico e quindi la responsabilità che
grava su tutti e su ognuno di noi per le colpe che riteniamo di altri è
sempre stato presente nelle scritture e nei nostri Maestri. Noi
con la preghiera purifichiamo la nostra anima, ma anche quella del
nostro fratello. Per questo occorre che la concordia regni fra noi, che
ci accostiamo alla preghiera con animo scevro da rancori e pregiudizi,
che lavoriamo insieme per il progresso del Popolo Ebraico e per la pace
e la sicurezza dello Stato di Israele.
Solo con la concordia il Signore ci aiuterà.
Samuel
Zarrugh, presidente della Comunità ebraica di Livorno
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Qui Roma - Cultura e memoria in piazza
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Oggi
è il 20 settembre, anniversario della breccia di Porta Pia (a fianco in
una foto d'epoca), una data indelebile nelle vicende dell’Italia unita.
Per ricordare quello storico avvenimento e per celebrare l’abbattimento
dei cancelli del Ghetto che permise all’ebraismo romano di conoscere la
via della libertà e dell’emancipazione, la fanfara dei Bersaglieri
suonerà stasera in quell’area che fu un tempo luogo di costrizione e
che oggi rappresenta invece uno spaccato vivo di identità, storia e
memoria. Il concerto, in programma a partire dalle 20 al Largo Martiri
del 16 ottobre, si svolgerà alla presenza tra gli altri del presidente
della Comunità ebraica capitolina Riccardo Pacifici e del sindaco
Gianni Alemanno e si ricongiungerà idealmente con il Festival
Internazionale della Letteratura Ebraica in corso di svolgimento al
Portico d’Ottavia. Tra i molti temi che verranno oggi offerti al
pubblico, che anche ieri non ha fatto mancare il suo affetto e il suo
interesse ai vari eventi in programma – dagli incontri con le
scrittrici Yarona Pinhas e Ronit Matalon all’inaugurazione della
personale di Menashe Kadishman all’Ermanno Tedeschi Gallery – uno
spazio speciale è infatti riservato alle vicende degli ebrei della
Capitale negli anni che segnarono il loro nuovo e paritario approccio
con la società italiana. Di questo argomento si parlerà ad esempio alle
19 al Palazzo della Cultura con l’incontro tra Bice Migliau e Stefano
Caviglia dal titolo Fuori dal ghetto! Gli ebrei romani tra demolizione
del ghetto e emancipazione. Sempre al Palazzo della Cultura, alle
20.30, focus sul teatro giudaico-romanesco con alcune pillole a cura di
Alberto Pavoncello e con intervento tra gli altri di Amedeo
Spagnoletto, mentre questa mattina Fabio Sonnino, assieme a Raffaella
Spizzichino e Ariela Piattelli, curatrici del Festival assieme a Shulim
Vogelmann, ha parlato della sua prova letteraria d’esordio, Il
contorsionista. a.s
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Qui Gerusalemme - 22 +
194 |
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In
un articolo da Ramallah sulla Repubblica di ieri, Fabio Scuto
descriveva l'atmosfera di gioia e aspettativa in vista del voto all'ONU
sullo stato palestinese. Secondo il corrispondente, «fanno grandi
affari venditori delle bandierine palestinesi unite a quella bianca con
la scritta Palestine 194, le t-shirt vanno a ruba al mercato».
Naturalmente, 194 non è solamente il numero d'ordine dello Stato alle
soglie del riconoscimento dell'ONU: 194 è anche il numero della
risoluzione dell'ONU in cui si parla del ritorno (o dell'indennizzo)
dei profughi palestinesi. La coincidenza è certamente del tutto
casuale. In questo spirito, Scuto riporta la seguente conversazione dai
corridoi della Muqata: «Sa», dice a Repubblica uno dei leader
palestinesi della prima ora, «Arafat ci ha guidato fino ad avere una
terra ma è Abu Mazen che ci ha portato ad avere uno Stato. Nascerà sul
22% del territorio che ci aveva assegnato l'ONU nel 1948, ma finalmente
sarà il nostro Paese». Scuto, purtroppo, si è dimenticato di verificare
i dati. Infatti, i territori palestinesi sui quali potrebbe nascere
questa settimana il nuovo Stato rappresentano il 22% dell'intero
territorio della Palestina sotto Mandato Britannico, non del territorio
che l'ONU nel 1947 aveva assegnato allo Stato Arabo. Se il tutto
territorio del Mandato Britannico fosse stato assegnato allo Stato
Arabo, allo Stato Ebraico – la cui creazione è stata pure decisa
contestualmente dall'ONU nel 1947 (e non nel 1948) – non sarebbe
rimasto nulla. Se questa sia davvero oggi l'atmosfera a Ramallah non
spetta a noi giudicare. Ma un giornalista serio come Scuto dovrebbe
controllare le fonti e i dati prima di pubblicare.
Sergio
Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme
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La via di mezzo |
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Quanto scrive Rav Riccardo
Di Segni sulla differenza fra i vari riti del qaddish – solo nel rito
italiano si usa ripetere ogni giorno le’ela le’ela – richiama alla
mente un antico ma indelebile ricordo. Un giorno, su una nave diretta
in Israele, si cerca di fare tefillah e si raduna con molta fatica uno
piccolo minian, fatto di ebrei di provenienze, lingue e riti diversi. A
officiare si mette un amico di Roma, che segue naturalmente il rito
italiano e, giunti al qaddish, recita il fatidico le’ela le’ela. Due o
tre ashkenaziti presenti, parte integrante e necessaria di quello
sparuto minian, cominciano a protestare interrompendo la tefillah e
poco dopo lasciano la sala. Il minian viene meno e la tefillah finisce
lì. Sembra l’inizio di un witz yiddish, e non lo è. Quanto poco basta a
dieci ebrei per litigare e interrompere anche una mitzwah compiuta
insieme. Forse si sarebbe potuto iniziare a studiare, su base
halakhica, le alternative alla scelta di fuga dei dissidenti, o le
possibilità di prosecuzione di quella tefillah privata del suo minian.
E invece fuga e silenzio prevalsero per esprimere un’incomprensibile
strategia di dissenso. Forse convinti, i contestatori, di star
difendendo i principi sacri, dogmatici, indefettibili di una
incredibile e iperurania halakhah. A riprova, invece, del fatto che la
Torah dovrebbe essere in terra, e non in cielo. Ma,
incomprensibilmente, il giogo dell’halakhah o non lo si vuole per
niente o lo si vuole duro, perfetto e inalterabile. A noi umani, già
così imperfetti, mutabili e incompleti, la via di mezzo non piace
troppo: è troppo umana.
Dario
Calimani, anglista
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Investire sul Sud |
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Sull’ultimo
numero del giornale della Comunità ebraica di Roma «Shalom» ho letto
un’inchiesta sulla comunità di Napoli, sintomo – insieme al nuovo
giornale di cronache comunitarie "Italia Ebraica" realizzato dalla
redazione di «Pagine ebraiche» –
di un rinnovato interesse per le realtà ebraiche piccole e medie. Sono
intervistati il presidente Pier Luigi Campagnano e il rabbino Shalom
Bahbout, storico scopritore e sostenitore dell’ebraismo meridionale. La
questione è nota: a fronte del gran numero di richieste, quanti sono
coloro che possono realmente convertirsi all’ebraismo, rispettando le
norme dell’Halachà (il diritto ebraico)? Secondo le stime che ho letto
si oscillerebbe tra i quattro e i dieci mila potenziali ebrei nel
Mezzogiorno, parlando solamente di quelli già in possesso dei requisiti
necessari (cioè dell’ascendenza matrilineare). Senza computare dunque i
congiunti che potrebbero essere spinti a intraprendere un percorso di
conversione. L’ebraismo si vanta giustamente di non fare
proselitismo. Nella concezione ebraica essere ebrei non significa
essere migliori, e dunque non si cerca di convertire, semmai si cerca
di dissuadere, talvolta esagerando. Ma qui stiamo parlando di un caso
diverso: qui, se capisco bene, c’è in ballo un innesto decisivo per la
popolazione ebraica italiana, notoriamente dissanguata da un costante
decremento demografico. Al di là del dato numerico, però, c’è un
altro elemento. Come spesso sottolineano i Maestri, non sempre gli
ebrei italiani mostrano una vitalità culturale all’altezza della nostra
tradizione. Da questo punto di vista l’ebraismo meridionale mi pare una
straordinaria opportunità, perché la cultura fiorisce quasi sempre in
periferia; sboccia più facilmente sui confini, esistenziali e
gegografici, dove la contaminazione è maggiore, dove la minore certezza
si trasforma in desiderio di sfida. Come insegna la vicenda di
Francesco Lotoro, descritta nello stesso servizio. Insomma, secondo me
c’è da investire e da essere ottimisti.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas
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Il nostro 20 settembre |
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notizie
flash |
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rassegna
stampa |
Il Cairo - Funzionari israeliani tornano in Ambasciata a 10 giorni dagli scontri
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Leggi la rassegna |
Secondo
quanto si apprende da alcune agenzie di stampa, quattro funzionari
dell’ambasciata di Israele al Cairo, evacuata dopo i feroci scontri con
i manifestanti che il 9 settembre causarono alcuni morti e oltre un
migliaio di feriti, sarebbero tornati in Egitto. Si tratterebbe, a
detta di una fonte anonima dell'aeroporto della capitale egiziana, del
console, del consigliere, dell’incaricato della sicurezza e del suo
vice.
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Inizia all'Onu la battaglia
diplomatica sulla creazione di uno "Stato di Palestina" e a questa sono
dedicati la maggior parte degli articoli della nostra rassegna. Una
buona sintesi è quella di Maurizio Molinari sulla Stampa. Da leggere
anche la cronaca della redazione del Foglio, incentrata sul tentativo
dell'amministrazione americana di bloccare la richiesta palestinese
senza esercitare il veto(...)
Ugo
Volli
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