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20 settembre 2011 - 21 Elul 5771
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Roberto Della Rocca
Roberto
Della Rocca,
rabbino

Nel capitolo 27 di Devarìm, che abbiamo letto a Shabat, viene descritta una particolare cerimonia che dovrà svolgersi  appena il popolo entrerà nella terra di Israele. Nel corso di questa cerimonia, il popolo intero, diviso tra due montagne, il Gherizìm e l'Evàl che sono una di fronte all’altra, i membri della comunità si vedono gli uni con gli altri. Tutti devono rispondere "Amén" a dei versi di benedizione e di  maledizione che condannano la trasgressione di certi divieti, undici particolari, e uno generale. "Amén"  come  segno di adesione a quelli che si possono considerare principi fondanti di una società. In una società mediatica e planetaria come la nostra dove ognuno ha l'illusione di essere contemporaneamente in rapporto con l'umanità intera, la tradizione ebraica ci offre una dimensione di una società più intima che consente ai suoi membri di riconoscersi gli uni con gli altri. La dimensione tecnologica del "tutti in relazione con tutti..." significa spesso anonimato in cui si è profondamente soli e persi. Il patto di Moàv viceversa deve concludersi alla presenza di tutta una comunità nella quale tutti guardano tutti negli occhi.
 
Maurizio Molinari,
 giornalista



La battaglia all'Onu sul riconoscimento dello Stato palestinese sta per iniziare. Poiché al Consiglio di Sicurezza si scontrerà con il veto degli Stati Uniti l'attenzione è tutta sull'Assemblea Generale. L'Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen afferma di avere 127 voti sicuri ma il quorum necessario è 129. Poiché la lista dei 127 include tutti Paesi arabi, asiatici, africani, europei e latinoamericani che hanno già riconosciuto l'Anp, l'interrogativo di queste ore è quali potrebbero essere le due nazioni, europee o meno, a garantire il successo - o sancire il fallimento - dell'eventuale voto.
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davar
Qui Bologna - Un anno per la vita
SermonetaNella preghiera del musaf di Yom Kippur, alla fine di una parte chiamata “seder ha ‘avodà” in cui viene narrata la cerimonia svolta dal Sommo Sacerdote nel Tempio di Gerusalemme, che culminava con l’invocazione del Tetragramma, viene riportata una preghiera che egli rivolgeva al Signore, come augurio per l’anno che era appena entrato.
Le ultime parole della preghiera dicono: “Un anno in cui nessuna donna possa abortire il frutto del suo ventre”.
E’ un augurio che va oltre quelle formule consuete di ogni essere umano e che a volte sembrano particolarmente scontate. Il popolo ebraico, in questi giorni chiamati Jamim noraim, si preoccupa di chiedere al Signore Iddio, ogni necessità nelle più profonde particolarità. Siccome la vita è particolarmente sacra, l’augurio è che essa non possa mancare nemmeno nei primi momenti, persino ancora prima di essere considerata tale.
Shanà Tovà

Alberto Sermoneta, rabbino capo di Bologna

Qui Livorno - Un anno per la concordia
ZarrughNei "giorni terribili" che intercorrono tra Rosh ha-Shanà e Kippur l'Ebreo deve concentrarsi nella preghiera. "Prendete con voi parole, tornate al Signore ..." esorta il Profeta perchè solo da Lui " ... l'orfano ottiene misericordia". Ed il Signore certamente risponderà favorevolmente a chi, orfano della Sua grazia, a Lui si rivolge per perdono e aiuto. E infatti - dice il Signore: "Guarirò la loro ribellione, li amerò generosamente, perchè la mia ira si è ritirata da lui". Queste parole del Profeta Osea vogliono significare molto di più di quanto sembrerebbe ad una prima lettura. Infatti il Profeta passa nella stessa frase dal plurale al singolare come per indicare che la preghiera deve provenire da tutti, da tutto il popolo che così diviene come un singolo individuo. Occorre riflettere su questo punto: il concetto di unità del popolo ebraico e quindi la responsabilità che grava su tutti e su ognuno di noi per le colpe che riteniamo di altri è sempre stato presente nelle scritture e nei nostri Maestri. Noi con la preghiera purifichiamo la nostra anima, ma anche quella del nostro fratello. Per questo occorre che la concordia regni fra noi, che ci accostiamo alla preghiera con animo scevro da rancori e pregiudizi, che lavoriamo insieme per il progresso del Popolo Ebraico e per la pace e la sicurezza dello Stato di Israele.
Solo con la concordia il Signore ci aiuterà.

Samuel Zarrugh, presidente della Comunità ebraica di Livorno

Qui Roma - Cultura e memoria in piazza
Porta piaOggi è il 20 settembre, anniversario della breccia di Porta Pia (a fianco in una foto d'epoca), una data indelebile nelle vicende dell’Italia unita. Per ricordare quello storico avvenimento e per celebrare l’abbattimento dei cancelli del Ghetto che permise all’ebraismo romano di conoscere la via della libertà e dell’emancipazione, la fanfara dei Bersaglieri suonerà stasera in quell’area che fu un tempo luogo di costrizione e che oggi rappresenta invece uno spaccato vivo di identità, storia e memoria. Il concerto, in programma a partire dalle 20 al Largo Martiri del 16 ottobre, si svolgerà alla presenza tra gli altri del presidente della Comunità ebraica capitolina Riccardo Pacifici e del sindaco Gianni Alemanno e si ricongiungerà idealmente con il Festival Internazionale della Letteratura Ebraica in corso di svolgimento al Portico d’Ottavia. Tra i molti temi che verranno oggi offerti al pubblico, che anche ieri non ha fatto mancare il suo affetto e il suo interesse ai vari eventi in programma – dagli incontri con le scrittrici Yarona Pinhas e Ronit Matalon all’inaugurazione della personale di Menashe Kadishman all’Ermanno Tedeschi Gallery – uno spazio speciale è infatti riservato alle vicende degli ebrei della Capitale negli anni che segnarono il loro nuovo e paritario approccio con la società italiana. Di questo argomento si parlerà ad esempio alle 19 al Palazzo della Cultura con l’incontro tra Bice Migliau e Stefano Caviglia dal titolo Fuori dal ghetto! Gli ebrei romani tra demolizione del ghetto e emancipazione. Sempre al Palazzo della Cultura, alle 20.30, focus sul teatro giudaico-romanesco con alcune pillole a cura di Alberto Pavoncello e con intervento tra gli altri di Amedeo Spagnoletto, mentre questa mattina Fabio Sonnino, assieme a Raffaella Spizzichino e Ariela Piattelli, curatrici del Festival assieme a Shulim Vogelmann, ha parlato della sua prova letteraria d’esordio, Il contorsionista.
a.s

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pilpul
Qui Gerusalemme - 22 + 194
Sergio Della PergolaIn un articolo da Ramallah sulla Repubblica di ieri, Fabio Scuto descriveva l'atmosfera di gioia e aspettativa in vista del voto all'ONU sullo stato palestinese. Secondo il corrispondente, «fanno grandi affari venditori delle bandierine palestinesi unite a quella bianca con la scritta Palestine 194, le t-shirt vanno a ruba al mercato». Naturalmente, 194 non è solamente il numero d'ordine dello Stato alle soglie del riconoscimento dell'ONU: 194 è anche il numero della risoluzione dell'ONU in cui si parla del ritorno (o dell'indennizzo) dei profughi palestinesi. La coincidenza è certamente del tutto casuale. In questo spirito, Scuto riporta la seguente conversazione dai corridoi della Muqata: «Sa», dice a Repubblica uno dei leader palestinesi della prima ora, «Arafat ci ha guidato fino ad avere una terra ma è Abu Mazen che ci ha portato ad avere uno Stato. Nascerà sul 22% del territorio che ci aveva assegnato l'ONU nel 1948, ma finalmente sarà il nostro Paese». Scuto, purtroppo, si è dimenticato di verificare i dati. Infatti, i territori palestinesi sui quali potrebbe nascere questa settimana il nuovo Stato rappresentano il 22% dell'intero territorio della Palestina sotto Mandato Britannico, non del territorio che l'ONU nel 1947 aveva assegnato allo Stato Arabo. Se il tutto territorio del Mandato Britannico fosse stato assegnato allo Stato Arabo, allo Stato Ebraico – la cui creazione è stata pure decisa contestualmente dall'ONU nel 1947 (e non nel 1948) – non sarebbe rimasto nulla. Se questa sia davvero oggi l'atmosfera a Ramallah non spetta a noi giudicare. Ma un giornalista serio come Scuto dovrebbe controllare le fonti e i dati prima di pubblicare.

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme

La via di mezzo
Dario CalimaniQuanto scrive Rav Riccardo Di Segni sulla differenza fra i vari riti del qaddish – solo nel rito italiano si usa ripetere ogni giorno le’ela le’ela – richiama alla mente un antico ma indelebile ricordo. Un giorno, su una nave diretta in Israele, si cerca di fare tefillah e si raduna con molta fatica uno piccolo minian, fatto di ebrei di provenienze, lingue e riti diversi. A officiare si mette un amico di Roma, che segue naturalmente il rito italiano e, giunti al qaddish, recita il fatidico le’ela le’ela. Due o tre ashkenaziti presenti, parte integrante e necessaria di quello sparuto minian, cominciano a protestare interrompendo la tefillah e poco dopo lasciano la sala. Il minian viene meno e la tefillah finisce lì. Sembra l’inizio di un witz yiddish, e non lo è. Quanto poco basta a dieci ebrei per litigare e interrompere anche una mitzwah compiuta insieme. Forse si sarebbe potuto iniziare a studiare, su base halakhica, le alternative alla scelta di fuga dei dissidenti, o le possibilità di prosecuzione di quella tefillah privata del suo minian. E invece fuga e silenzio prevalsero per esprimere un’incomprensibile strategia di dissenso. Forse convinti, i contestatori, di star difendendo i principi sacri, dogmatici, indefettibili di una incredibile e iperurania halakhah. A riprova, invece, del fatto che la Torah dovrebbe essere in terra, e non in cielo. Ma, incomprensibilmente, il giogo dell’halakhah o non lo si vuole per niente o lo si vuole duro, perfetto e inalterabile. A noi umani, già così imperfetti, mutabili e incompleti, la via di mezzo non piace troppo: è troppo umana.

Dario Calimani, anglista

Investire sul Sud
Sull’ultimo numero del giornale della Comunità ebraica di Roma «Shalom» ho letto un’inchiesta sulla comunità di Napoli, sintomo – insieme al nuovo giornale di cronache comunitarie "Italia Ebraica" realizzato dalla redazione di «Pagine ebraiche»  di un rinnovato interesse per le realtà ebraiche piccole e medie. Sono intervistati il presidente Pier Luigi Campagnano e il rabbino Shalom Bahbout, storico scopritore e sostenitore dell’ebraismo meridionale.
La questione è nota: a fronte del gran numero di richieste, quanti sono coloro che possono realmente convertirsi all’ebraismo, rispettando le norme dell’Halachà (il diritto ebraico)? Secondo le stime che ho letto si oscillerebbe tra i quattro e i dieci mila potenziali ebrei nel Mezzogiorno, parlando solamente di quelli già in possesso dei requisiti necessari (cioè dell’ascendenza matrilineare). Senza computare dunque i congiunti che potrebbero essere spinti a intraprendere un percorso di conversione.
L’ebraismo si vanta giustamente di non fare proselitismo. Nella concezione ebraica essere ebrei non significa essere migliori, e dunque non si cerca di convertire, semmai si cerca di dissuadere, talvolta esagerando. Ma qui stiamo parlando di un caso diverso: qui, se capisco bene, c’è in ballo un innesto decisivo per la popolazione ebraica italiana, notoriamente dissanguata da un costante decremento demografico.
Al di là del dato numerico, però, c’è un altro elemento. Come spesso sottolineano i Maestri, non sempre gli ebrei italiani mostrano una vitalità culturale all’altezza della nostra tradizione. Da questo punto di vista l’ebraismo meridionale mi pare una straordinaria opportunità, perché la cultura fiorisce quasi sempre in periferia; sboccia più facilmente sui confini, esistenziali e gegografici, dove la contaminazione è maggiore, dove la minore certezza si trasforma in desiderio di sfida. Come insegna la vicenda di Francesco Lotoro, descritta nello stesso servizio. Insomma, secondo me c’è da investire e da essere ottimisti.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas

Il nostro 20 settembre
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notizie flash   rassegna stampa
Il Cairo - Funzionari israeliani tornano
 in Ambasciata a 10 giorni dagli scontri
  Leggi la rassegna

Secondo quanto si apprende da alcune agenzie di stampa, quattro funzionari dell’ambasciata di Israele al Cairo, evacuata dopo i feroci scontri con i manifestanti che il 9 settembre causarono alcuni morti e oltre un migliaio di feriti, sarebbero tornati in Egitto. Si tratterebbe, a detta di una fonte anonima dell'aeroporto della capitale egiziana, del console, del consigliere, dell’incaricato della sicurezza e del suo vice.

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Inizia all'Onu la battaglia diplomatica sulla creazione di uno "Stato di Palestina" e a questa sono dedicati la maggior parte degli articoli della nostra rassegna. Una buona sintesi è quella di Maurizio Molinari sulla Stampa. Da leggere anche la cronaca della redazione del Foglio, incentrata sul tentativo dell'amministrazione americana di bloccare la richiesta palestinese senza esercitare il veto(...)

Ugo Volli












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