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26 settembre 2011 - 27 Elul 5771
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l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
alef/tav
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Riccardo Di Segni Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma

Qualche volta trovare uno shofar che emetta un suono speciale come quello a cui siamo abituati in Italia è molto difficile. Dobbiamo conservare con attenzione quelli che abbiamo. Ma se si bucano, come può spesso accadere, che si fa? La risposta è che si possono riparare, purché si rispettino tre condizioni (Shulchan ‘Arukh, O. CH. 586:7): che il materiale che chiude il buco sia lo stesso dello shofar, che il suono torni ad essere come era prima e che comunque sia rimasta integra la maggior parte dello strumento. Sotto a queste regole c’è anche una base simbolica, perché lo shofàr rappresenta l’essere umano (Adamo era un mucchio di terra nel quale fu insufflato lo spirito divino, come lo shofar è materia nella quale si soffia), e più in generale può rappresentare un insieme vivente, come potrebbe essere Israele. Che se si “buca” non funziona più come prima. Lo si può riparare, ma osservando delle precise condizioni, altrimenti non è più valido: che non si usi materiale artificiale, che funzioni come prima e che vi sia comunque una maggioranza integra.

Anna
Foa,
 storica

   
Anna Foa
Di solito, sono fra quelli che, per dirla con George Steiner, alle radici preferiscono le gambe. Eppure, ho trovato molto bello il discorso fatto dal presidente del consiglio centrale delle Comunità ebraiche tedesche Dieter Graumann, in presenza del papa, a proposito del dialogo ebraico-cristiano. Dopo aver sottolineato con forza che molte e forti sono le radici comuni alle due religioni, Graumann ha detto che "ciò che vogliamo è che le cose che abbiamo in comune si sviluppino e diano fiori e frutti. [...] anche se ciò avverrà, i nostri alberi non arriveranno ancora a toccare il cielo ma forse, assieme, arriveremo ad essere un po' più vicino al cielo." Un buon uso della metafora delle radici, che guarda alla crescita e al movimento, non all'arroccamento nella difesa dell'esistente.

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davar
Qui Roma - Online le voci italiane della Shoah Foundation
L’accesso online alle interviste in lingua italiana realizzate tra il 1998 e il 1999 dallo University of Southern California Shoah Foundation Institute fondato a metà degli anni Novanta da Steven Spielberg è stato presentato questa mattina all’Archivio centrale dello Stato. Si tratta di un vasto materiale documentale, dal titolo Ti racconto la Storia: voci dalla Shoah, che conta 433 registrazioni e che è ora consultabile sul sito web dell’Archivio Centrale dello Stato grazie alla collaborazione con la Direzione Generale per gli Archivi e il Laboratorio Larrte della Scuola Normale Superiore di Pisa. Le testimonianze sono state raccolte in tutta Italia e descrivono non solo storie di deportazione ma anche vicende di lotta partigiana e di coabitazione con false identità che permisero agli intervistati di sfuggire ai lager nazisti. All’incontro, svoltosi alla presenza di numerosi storici, ricercatori, docenti e leader ebraici tra cui il segretario generale UCEI Gloria Arbib e il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici, sono intervenuti tra gli altri il sovrintendente all’Archivio Centrale di Stato Agostino Attanasio, la direttrice dello USC Shoah Foundation Institute Kim Simon, il consigliere per gli affari pubblici dell’ambasciata israeliana in Italia Livia Link, la bibliotecaria dell’ambasciata americana Karen Hartman, il sovrintendente dell’Archivio storico del Quirinale Paola Carucci, il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, i curatori del progetto Lucilla Garofalo e Micaela Procaccia, e il sopravvissuto Piero Terracina.
I lavori proseguiranno domani mattina a partire dalle 9.30 con un incontro che verterà sull’uso didattico del materiale memorialistico cui parteciperanno Milena Santerini, Micaela Procaccia, Doris Felsen Escojido, Michela Zanon e David Meghnagi.

a.s.


Qui Torino - Un anno per le tradizioni
Uno splendido quinterno manoscritto appartenuto a Lord Montefiore e contenente una Cantata eseguita a Casale Monferrato la sera di Hoshana Rabà del 1733 è stato donato agli ebrei casalesi da un generoso amico antiquario. Con gioia ed emozione le melodie torneranno ad essere eseguite in Sinagoga a Casale Monferrato nei prossimi giorni.
I nostri maestri  ci insegnano “ sia sempre per voi la Torà cosa nuova come se vi fosse stata data oggi”: solo tramandando le nostre mitzvoth, le nostre tradizioni, i nostri canti e la nostra storia manteniamo inalterata l’ identità e la forza di Am Israel identificandoci nel passato e proiettandoci nel futuro. Celebriamo un nuovo anno ricordando le generazioni ci hanno preceduto, raccogliamo con orgoglio il loro testimone  per ritrasmetterlo a nostra volta giorno dopo giorno ai nostri giovani.
Shanà Tovà

Claudia De Benedetti, vicepresidente Ucei


Qui Padova - Un anno per la riflessione

…Qual è la via giusta da seguire che un uomo deve percorrere?…" (Mishnà Avot 2, 1) Rosh Hashanà 5772. Durante il mese di Elul, nel periodo in cui dobbiamo preparare il nostro cuore al Giorno del Giudizio, il rebbe Chayym di Sanz usava raccontare storielle semplici per stimolare nelle persone lo spirito della Teshuvà.  Una volta raccontò di un uomo che si perse nelle profondità di una foresta. Dopo un certo periodo si perse un’altra persona che, nel suo girovagare per trovare l’uscita, incontrò il primo che si era perduto. Senza chiedere e sapere cosa gli fosse successo, il secondo chiese al primo quale via doveva percorrere per poter uscire dalla foresta” “Non lo so” rispose il primo, “ma posso invece mostrarti quali strade portano a impelagarti di più in questa fitta foresta, e poi insieme andremo a cercare la nuova via”. Nella vita una persona si può perdere nella fitta boscaglia che egli stesso si crea attorno con le proprie azioni negative. Ma può sempre arrivare quella scintilla che ci spinge a voler uscire fuori, a superare gli inciampi che ci siamo posti sulla nostra strada e per questo cerchiamo un aiuto. In quel momento, magari per caso, un’altra persona che ha fatto il nostro stesso percorso ci può venire in aiuto. Anche se non sa indicarci la via giusta per uscire dal problema, può comunque suggerire quella da non seguire per non peggiorare di più la nostra situazione. Insieme, poi, potremo cercare la via giusta da percorrere.La storiella di Chayym di Sanz, offre vari spunti interessanti per riflettere:
1.anche se nessuno conosce la giusta via da percorre, possiamo sempre imparare dai percorsi, dalle esperienza degli altri che ci suggeriscono la via da non praticare;
2.in fondo ogni caduta può sempre rivelarsi una nuova possibilità di apprendimento e crescita, individuale e collettiva. Tuttavia, la ricerca della nuova via è possibile solo dopo aver analizzato correttamente i propri errori;
3.il rebbe Chayym di Sanz è il paradigma di colui che, per tutti quelli che si sono smarriti, deve essere “l’uomo della foresta” che si mette sul bivio sia per indicare dove non si deve andare sia offrendosi a cercare insieme la via giusta da seguire.
L’insegnamento di Chayym di Sanz si ricollega al verso “Nachpesà derakhenu venachkora venashuva ad Hashem” (Lamentazioni 3, 40), rappresenta un invito a "esaminare la nostra condotta, ricercare e tornare al Signore". A Rosh Hashanà, quando moltissime persone si raduneranno nei Battè Hakeneset delle nostre comunità, avremo la possibilità di scoprire quella forza collettiva necessaria per la ricerca della giusta via. Lo Zohar insegna che di Rosh Hashanà la forza del singolo si poggia e si alimenta della forza della collettività in base al verso “in mezzo al mio popolo io risiedo” (II Re 4, 13). Gli errori di ogni singolo sono raccolti tutti assieme per costituire una forza potente che spinge l'intera comunità a porsi verso la ricerca della giusta via. Auguri a tutte le Comunità che ogni “singolo” voglia e possa usufruire della forza della “collettività” e che ogni collettività abbia il suo Chayym di Sanz…

Adolfo Locci, rabbino capo della Comunità ebraica di Padova


Qui Trieste - Un anno per la speranza


Tragici avvenimenti in tutto il mondo ci obbligano, anche alla vigilia delle nostre più solenni ricorrenze, a riflettere su ciò che ci attende con il nuovo anno. Le vicende in Medio Oriente, che in un primo tempo hanno fatto sperare in un futuro migliore per la zona, dopo gli avvenimenti degli ultimi giorni, hanno offuscato le nostre illusioni di pace e di democrazia. Vicini e attenti a tutto ciò che riguarda Israele, confidiamo nell’Eterno e nella Sua incommensurabile saggezza e giustizia affinché il nuovo anno porti la pace in quell’angolo di mondo a noi così caro. Va a tutti voi e alle vostre famiglie il mio migliore augurio di un 5772 ricco di soddisfazioni e positività.

Alessandro Salonichio, presidente della Comunità ebraica di Trieste



Qui Torino - Un anno per la pace

Amici esterni alla Comunità mi esprimono invidia genuina per il compito che tocca ai referenti della Comunità. Che fortuna, mi dicono, voi avete una grande opportunità, avete modo di lavorare per promuovere il pensiero e la  cultura ebraica, contribuire alla diffusione di un'informazione veritiera sul Medio Oriente, combattere l’antisemitismo e il razzismo in ogni sua forma, far conoscere alla popolazione italiana la storia e la realtà attuale del popolo ebraico. E’ bello riflettere sugli ideali che ci uniscono, è doveroso pensare alle responsabilità e alle tante importanti attività su cui dobbiamo impegnarci,  con la collaborazione di tutti.  Che sia un anno di pace, per noi, per Israele e per tutto il mondo!

Beppe Segre presidente della Comunità Ebraica di Torino


Qui Napoli - Un anno per la benevolenza

Iehì razzòn sheshnat “Tav Shin ‘ain Bet” Tihiè Shanà shel ‘ein Berachà”. Con l’augurio che l’anno תשע"ב  che sta per iniziare sia un anno in cui ognuno possa guardare gli altri e essere guardato dagli altri con occhio (ע ‘ain) di benedizione (ברכה).

Scialom Bahbout, rabbino capo della Comunità ebraica di Napoli


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pilpul
Pace o Stato?
Donatella Di CesareÈ difficile capire perché lo Stato debba venire prima della pace o debba aprire la via per arrivare alla pace. Semmai dovrebbe essere il contrario. Nelle relazioni personali, ma anche in quelle politiche. È nella mia relazione con l’altro che si costituisce la mia identità. E se in questi giorni tutti i media riecheggiano le parole «Stato» e «Palestina», è perché Abu Mazen, portando la richiesta all’Onu, è riuscito in realtà a sferrare un attacco a Israele nel contesto, decisivo, dell’opinione pubblica mondiale. Lo ha fatto peraltro in un momento di isolamento di Israele. Ma allora bisogna dire che la volontà di uno Stato non è un atto di pace; semmai è la richiesta di riconoscimento sul piano internazionale, a prescindere dal vicino più prossimo, a discapito anzi di Israele. Lo Stato non sembra andare per nulla di pari passo con la pace.

Donatella Di Cesare, filosofa

Davar Acher - "Libere opinioni, chiare identità" 
L'intervento, così sincero e appassionato, firmato giovedì scorso da Vittorio Pavoncello su queste pagine, suggerisce riflessioni importanti, che non vanno eluse. Il primo fra questi argomenti è certamente quello della libertà di opinione, che Pavoncello stesso solleva. Io sono fermamente convinto che Gomel, Ovadia, come peraltro Vattimo il professor Moffa e Angela Lano, abbiano pienamente diritto a nutrire e a esprimere le loro opinioni anti-israeliane - a patto naturalmente che anche chi non è d'accordo sia libero di contestarle come meritano e che esse non costituiscano reati.
C'è però un altro limite ovvio. Il fatto di avere certe opinioni non significa che esse debbano per forza essere pubblicate da chi non le condivide, si tratti di un editore, di un'organizzazione, di un partito di una comunità. Non posso pretendere che le mie posizioni in favore di Israele siano veicolate - poniamo - dal "Manifesto", che notoriamente è sbilanciato in senso opposto. Oltretutto gli sviluppi delle tecnologie di comunicazione consentono a chiunque, se sostiene certe posizioni, di esprimerle e motivarle.
Ora il primo punto implicitamente ma fortemente sollevato da Pavoncello, chiedendo di non pubblicare più sui media comunitari le opinioni di Gomel, è se l'Unione delle Comunità Ebraiche italiane abbia una linea su Israele o meno, cioè se vi sia o meno da parte sua un appoggio convinto allo stato di Israele - che non essendo un'entità metafisica, un'idea o un luogo dello spirito, ma al contrario un'istituzione terrestre è rappresentata da un governo preciso, ha una storia definita e obiettivi politici abbastanza evidenti. La domanda risulta particolarmente cruciale perché è sollevata da un membro autorevole del Consiglio dell'Unione.
Già nel caso dell'invito a Moni Ovadia per la Giornata della cultura cercai di porre il problema: gli ebrei italiani si presentano al paese e ai media con certi biglietti da visita. Siamo sicuri che le opinioni di Ovadia e di Gomel siano quelle che ci rappresentano? Il fatto è che una scelta editoriale strategica della direzione dei media dell'Ucei è quella del pluralismo, l'idea che tutte le posizioni presenti nel mondo ebraico trovino spazio nella comunicazione dell'Ucei. Non è questo il luogo di discutere di questa scelta e non sono probabilmente io la persona giusta per discuterne, visto che di questa apertura mi è possibile far uso - ne dò atto al direttore Guido Vitale - con una notevole libertà. Il titolo stesso di questa rubrica - Davar acher, l'altro parere - lo chiarisce. Resta il fatto che questo pluralismo sarebbe più giustificato, più solido se fosse più chiaro lo schieramento dell'ebraismo italiano. Non è una critica politica contingente all'attuale gestione: vi è purtroppo una tradizione di ambiguità a questo riguardo che va indietro nel tempo alle presidenze Luzzatto e Zevi, e che oggi, quando la lotta contro Israele si incentra in buona parte sul versanete mediatico, è certamente necessario superare.
Qui però vi è un terzo punto da evidenziare. Un dibattito efficace dev'essere sincero, non afflitto da mimetismi, confusioni, entrismi. Si dà il caso che negli ultimi anni sia molto cresciuto in alcuni settori del mondo ebraico antisionisti il vizio di presentarsi per ciò che non si è: amici di Israele. Le Ong israeliane (del "campo della pace") hanno presentato come liberticida una legge della Knesset che le obbligava a dichiarare se erano finanziate da governi e organizzazioni straniere: molte lo sono, e non sono certamente governi amici. Un'organizzazione che ha rapporti di finanziamento e appoggio da organizzazioni islamiche e con persone che stranamente nascondono la loro identità (come è stato ampliamente denunciato sulla stampa nei mesi scorsi) ma che sostiene di essere "pro Israel, pro peace" è proprio quella J Street che ha usato tutte le sue forze per contrastare le iniziative, le proposte e le posizioni dello stato di Israele negli ultimi anni. Il suo corrispondente europeo si chiama J Call e Giorgio Gomel, che ne è il coordinatore italiano, assicura di essere "amico" di Israele, anzi di più - proprio nel momento in cui appoggia il riconoscimento all'Onu di uno stato palestinese senza trattative con Israele - contrastando tutta la linea strategica israeliana, non solo di questo governo ma di tutti i governi israeliani dal '48 a oggi.. In realtà le sue dichiarazioni, comprese quelle contestate da Pavoncello, saranno forse amiche di un Israele celeste e impalpabile, di una ideale Israele che non sia "sporcata" dalla banale necessità di difendersi contro l'assedio di nemici assai più numerosi e privi di scrupoli; ma vanno esattamente contro le politiche democraticamente decise da parlamento e governo di Gerusalemme. Non parlo poi di Ovadia, che all'Israele reale contrappone una mitica Yiddishkeit, fuori dallo spazio e dal tempo.
Per onestà intellettuale e chiarezza sarebbe bene che tutti dichiarassero la propria posizione in gioco. Per questo, scherzando ma non poi tanto, ho definito tali posizioni "diversamente sioniste", ironizzando sull'eufemismo di cui si ammantano. E non è che queste posizioni restino senza conseguenze, siano "opinioni" gratuite e astratte. Esse indeboliscono - consapevolmente indeboliscono - la posizione politica e mediatica di Israele, danno forza e argomenti ai suoi nemici. Basta scorrere sulla rassegna stampa l'avidità con cui "Manifesto", "Unità", "Internazionale" ecc. intervistano e traducono le solite Amira Hass, Gideon Levy e i loro equivalenti americani Thomas Friedman, Roger Cohen, per non parlare allo spazio riservato a J Street, J Call, alla minuscola Rete Eco (Ebrei contro l'occupazione). Un'altra condizione per rendere efficiente il pluralismo sarebbe che fossero evitati i travestimenti e che Gomel fosse presentato per quel che è: un nemico del sionismo, uno che non ritiene di dover difendere l'esistenza di uno stato ebraico, o perché si illude che i palestinesi lascerebbero in pace Israele una volta raggiunti i mitici "confini del '67" (ma lo negano anche loro, l'"occupazione che deve finire" dura per Abu Mazen come per Hamas dal '48), o perché vorrebbe, come i vari Pappé, i Naturei Karta e gli altri nemici ebrei di Israele, lasciare tutta la Palestina agli arabi che ne sarebbero legittimi proprietari e comunque maggioranza, perché ne facessero quel che credono, magari anche conviverci pacificamente con gli ebrei. Sarebbe importante sapere, insomma, quale sia il grado vero di amicizia di un signore che ha dichiarato di non sentire affatto come fratelli quelli che gli sembrano orribili "coloni", anche quando sono ammazzati dagli "indigeni" alla colpevole età di tre mesi.
Con queste premesse, si capisce perché l'irritazione di Pavoncello sia condivisibile (e da me condivisa). Non è un problema di libertà di opinione o di dibattito. E' l'identità dell'ebraismo italiano che ha bisogno di chiarezza, il suo legame con il corpo vivo e il cuore battente del popolo ebraico

Ugo Volli

Prosegue il dibattito su libertà d'opinione e diversità di posizioni riguardo alla situazione in Medio Oriente. Sul Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it alcuni fra gli interventi e la replica del Consigliere UCEI Vittorio Pavoncello.



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Un anno per il Sud   Leggi la rassegna

L’anno ebraico che ci stiamo lasciando alle spalle è stato un anno molto, molto difficile per la nostra piccola comunità di Trani.
Qualche mese fa ci ha lasciati il nostro caro Avraham Zecchillo z.l., shammash della splendida sinagoga Scolanova e tra gli artefici della rinascita dell’ebraismo a Trani e in Puglia.

Francesco Lotoro
 
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