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27 settembre 2011 - 28 Elul 5771
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l'Unione informa
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Roberto Della Rocca
Roberto
Della Rocca,
rabbino

Il suono dello Shofàr è introdotto dalla lettura di alcuni versi biblici tra cui quello del Salmo 81: "... poiché questo è  Choq, uno statuto per Israele,  Mishpàt, una legge per il Signore  di  Yaaqòv...". Il suonare lo Shofàr a Rosh Ha Shanà costituisce per Israele, un Choq, uno statuto, mentre per  Yaaqòv è un Mishpàt, una legge. Cosa significa? Quale è la differenza per il medesimo rito? Quale è la differenza se chiamiamo il popolo con il nome Israele o con il nome Yaaqòv ? Non ci riconosciamo forse in ambedue le definizioni? E’ come se il suono dello Shofàr assumesse una valenza diversa  con il cambio del nome identitario. E’ statuto, ma anche  legge, a seconda di come si definisce la nostra identità. La parola mishpàt significa “legge”,  "diritto" ma indica anche una  "frase". Potremmo dire un “diritto dialogale” che si contrappone all’ idea del Chòq, uno statuto che non  consente interpretazioni  razionali. Israele è il nome di un’identità ideale, poiché “hai padroneggiato, su  Dio e sugli uomini....",  mentre Yaaqòv si riferisce alla parte debole della nostra identità. E’ come se Israele non avesse bisogno di motivazioni razionali per il suono dello Shofàr, e quindi per Israele è un Choq, una disposizione statutaria e basta. Per Yaaqòv invece è necessario un mishpat, una frase, una  spiegazione, perché è soprattutto questa parte di noi che il suono dello Shofàr dovrà risvegliare dal letargo.
 
Dario
 Calimani,
 anglista


Dario Calimani
I vescovi hanno parlato e hanno richiamato il paese e le istituzioni a un maggior rigore morale. La situazione nazionale la conosciamo tutti e non necessita di illustrazione. Ora è tardi perché anche i nostri rabbini facciano sentire la loro voce, ma vien da chiedersi perché non parlino mai di ciò che accade nel paese. Perché si accontentano sempre delle piccole metafore omiletiche del dvar Torah a fini interni. Eppure gli argomenti non mancano, e non mancano certo ai nostri rabbini contenuti e modi per interventi di carattere etico che riguardano la società tutta. Forse il messaggio alla comunità arriva anche quando lo si rivolge a una platea più ampia e lo si applica a modelli di vita che non sono soltanto ebraici, ma universali. E forse quel messaggio arriverebbe meglio anche a noi ebrei e ci direbbe qualcosa di più del nostro ebraismo.

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davar
Qui Roma - Un anno per la concordia e per la saggezza
Invio a voi tutti i più sinceri e fraterni auguri per l'anno 5772 che sta per iniziare. Stiamo attraversando un periodo intenso e pieno di novità, al tempo stesso promettenti e pericolose, per fronteggiare le quali saranno determinanti la concordia e la collaborazione fra noi tutti. Sia in Medio Oriente sia in altre regioni, assistiamo allo sviluppo di forti tensioni sociali e a un veloce cambiamento degli equilibri politici e strategici. Grandi occasioni e grandi pericoli si profilano all'orizzonte, anche come conseguenze di una instabilità economica che non conosce confini. Per l'ebraismo italiano sarà l'anno in cui troverà attuazione il nuovo Statuto, che, in base alle nostre capacità, potrà segnare uno scatto di vitalità, partecipazione o, viceversa, un regresso verso una problematica governabilità. Cari amici, operiamo affinché le comunità ebraiche avanzino e progrediscano con coraggio, diano prova di saggezza e di equilibrio, sviluppino una dialettica interna sana, vitale e rispettosa delle persone e delle idee, recuperino in pieno il loro ruolo di centri di attrazione, di accoglienza e di integrazione all'interno dei quali si esprima tutta la ricchezza costituita dalle nostre migliori risorse intellettuali e operative.
Shanà Tovà.

Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane


Qui Roma - Un anno per il rafforzamento e la fiducia

Questo fine anno 5771 si caratterizza per due scenari preoccupanti: il progressivo isolamento politico dello Stato d'Israele e la grave crisi economica mondiale. Senza sminuire la portata di entrambi gli eventi, un minimo di memoria storica ci dovrebbe far pensare che l'isolamento di Israele non è certo una novità e che non lo sono neppure le ondate di crisi economica che ormai si abbattono con frequenza costante e devastante da molti anni. C'è poco da stare tranquilli, ma questo non vuol dire che non si debba essere fiduciosi, nè che si debba rinunciare alle nostre responsabilità. E' il tema centrale delle nostre feste di autunno, la fragilità e la debolezza umana (e di Israele), insieme alla capacità di andare avanti malgrado tutto. Parlando della terra d'Israele e dello sguardo divino vigile che la controlla (Devarim 11:12) la Torà dice che questo controllo dura dall'inizio alla fine dell'anno. "Inizio" è scritto reshit, ma manca l'alef, e per "fine" si usa la parola acharit, che non è propriamente fine, ma qualcosa che viene dopo, ed è spesso usata per grandi promesse. Rabbì Izchaq (in TB Rosh haShanà 16b) notava che reshit senza l'alef più che a rosh assomiglia a rash, povero. Per cui il verso va interpretato nel senso che "ogni anno che inizia in povertà finisce in ricchezza". Speriamo che sia così, e che vi sia un arricchimento in tutti i sensi. Molto dipende da noi e da come ci rapportiamo all'unico vero riferimento che ci può sostenere. Leshanà tovà tikatevu.

Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità ebraica di Roma


Fatti e persone. Un anno da sfogliare
Fatti e persone. Da settembre 2010 a settembre 2011, alla vigilia di un nuovo anno che sta per cominciare, un anno ebraico insieme ricostruito e raccontato dalla redazione del Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it e del giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche. Il dossier attualmente in distribuzione con Pagine Ebraiche di ottobre è ora disponibile anche su tablet (nelle applicazioni per tutti i sistemi operativi Apple e Android) in una nuova impaginazione, agevolmente sfogliabile e consultabile. Migliaia di dati, schede, cronache, immagini, disegni per raccontare una stagione difficile e per prepararsi ad affrontare con consapevolezza e meditazione il nuovo 5752 che sta per cominciare.

Buon 5772 a tutti i lettori!













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pilpul
Il Medio Oriente, la piazza pluralista e la nostra frattura
Il notiziario quotidiano l'Unione informa dimostra sempre più la sua forza come luogo di confronto, una vera piazza dove l’unico rimpianto è quello di non potersi sedere a un bar a discutere magari animatamente e da posizioni diametralmente opposte. Nel caso del rapporto fra ebrei d’Italia e Israele non credo sia una questione di destra e sinistra (concetti che sono ormai svuotati di significato). Il confronto è più incentrato su sensazioni a pelle: chi non gira con il maghen david e la bandiera d’Israel è considerato con sospetto (da un lato), e chi vede la sua vita di ebreo come indissolubilmente legato alle sorti di Israel (quale che sia il governo che lo guida) è considerato una vittima inconsapevole della propaganda e fondamentalmente pericoloso. Insulti volano di qua (fascista) e di là (traditore, non sei mio fratello). Io, che provengo da una lunga tradizione famigliare progressista e che sull’antisemitismo a sinistra ho pure scritto un libro, proverei a interpretare l’attuale confronto partendo da una prospettiva storica. Mi è capitato un anno fa di fare un bel viaggio nella Polonia ebraica e ad Auschwitz con un gruppo di amici padovani, ebrei e non ebrei. Persone colte, che hanno dato vita a un bel dibattito intellettuale e hanno convissuto momenti di raccoglimento. L’ultimo giorno siamo stati raggiunti da un nutrito gruppo di ebrei romani, la classica “piazza”, e l’indomani siamo andati insieme a visitare Auschwitz. Bandiere israeliane, hatikva, commozione. Ma anche uno sguardo supponente e, direi, “di superiorità” che si percepiva nei confronti degli amici romani. Una signora di passata militanza comunista mi avvicina e mi chiede lumi: “ma chi sono, ma come si comportano, ma proprio non c’è terreno di confronto”, mi dice. La guardo un po’ stupito e le rispondo: “amica mia, questo è il popolo”, chiedendomi per cosa avesse mai combattuto in questi anni di militanza politica da sinistra.
In effetti non si può che constatare una distanza crescente fra il mondo intellettuale, quasi tutto piuttosto conformista e sempre vezzeggiato dal potere, e la massa di chi sogna una vera emancipazione prima di tutto sociale. Nel mondo ebraico italiano questo tipo di deriva è particolarmente visibile a Roma, forse l’unica piazza che ancora oggi – per motivi storici e demografici – manifesta dinamiche simili. Quello che a me preoccupa e addolora è che l’intellettualità ebraica progressista non sia apparentemente interessata a ricominciare a tessere un vero e profondo rapporto con la piazza. E ancora di più mi dispiace che il terreno di scontro fra due mondi che fanno fatica a riconoscersi sia diventato Israele. Mi dispiace perché lo considero un falso terreno. Non è vero che gli uni amino Israele più degli altri. Ognuno usa gli strumenti che ha a disposizione per esprimere il suo amore, la sua apprensione per il futuro e la sua ansia di pace. Ma in nessun caso quello che ci diciamo oggi sulla benemerita e pluralista piazza mediatica dell’UCEI avrà la men che minima influenza sulla pace fra israeliani e palestinesi. Per cui mi sorge il fondato dubbio che il duro confronto che si va sviluppando su Israele sia solo un velo, che nasconde una più profonda frattura che solo un lungo lavoro di ricucitura potrà sanare.

Gadi Luzzatto Voghera 

Guardare indietro, guardare avanti
Non serve citare Edgar Lee Masters o Ugo Foscolo. Entrando in un cimitero si prova un effetto strano, tra straniamento e nostalgia. Gli ebrei usano recarsi sulle tombe dei propri cari nei giorni che precedono il capodanno, Rosh-ha-shanà. Sono molto affezionato a quest’usanza, che trovo assai proficua. Prima di iniziare il nuovo anno, e una nuova vita, si torna per un attimo indietro. Si traccia un bilancio di ciò che ci è accaduto, e in un certo senso ci si consulta con chi, direttamente o indirettamente, ha accompagnato il nostro percorso.
Dopo aver deposto le pietre (non i fiori) e aver terminato il rito, gli ebrei usano lavarsi le mani e andare a mangiare qualcosa (nel mio caso: tramezzini squisitissimi!). È una lezione sulla memoria: un elemento imprescindibile che non deve essere castrante, che non deve impedire di guardare avanti. Ci si lavano le mani e si mangia, come a dire che la vita deve continuare, con le sue gioie e i suoi dolori.
I cimiteri raccontano la nostra storia. Ma spiegano anche le società in cui viviamo. Domenica scorsa un gruppo di ebrei romani convocatisi su Facebook – finalmente un uso virtuoso del social network! – si è dato appuntamento al cimitero di Prima Porta per ripulire il reparto israelitico. Un’iniziativa bellissima e meritevole. Una circostanza che non sarebbe necessaria se le pubbliche amministrazioni funzionassero, tributando la giusta considerazione alla nostra storia (e al Verano, l’altro cimitero di Roma, la situazione non è migliore).
Ma non è solo un problema di incuria e malagestione. A pensarci bene, per quale motivo i cimiteri dipendono dall’azienda di igiene urbana? Un cimitero non assomiglia più a un museo che a un cassonetto? Buon anno a tutti.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas

Il suono dello Shofar e la madre di Siserà
Si avvicina Rosh Hashana, una festa piena di significato universale: secondo i nostri Maestri il 25 di Elul è stato creato il mondo, mentre il sesto giorno, corrispondente appunto all' uno di Tishrì, è stato creato l'uomo, Adamo (Vaikra Rabbà 29:1, Pirke de Rabbì Eliezer 8:1 ecc.). La Mizvà del giorno, di origine biblica (Numeri 29:1) è quella di sentire il suono dello Shofar: "Nel settimo mese, il primo del mese, sarà per voi santa convocazione: non farete alcun lavoro servile, giorno di suono strepitoso (iom teruà) sarà per voi" (Pentateuco a cura di Rav Disegni). È una mizvà molto importante ed io ho ancora nelle orecchi le parole con cui il mio Maestro Rav Sergio Yosef Sierra z.l. concluse uno dei suoi discorsi sulla Shofar a Bologna, a metà degli anni cinquanta: "C'è D-o in quel suono!". La Mishnà ci insegna: "L'ordine delle suonate è di tre (volte), ciascuna di tre suonate…la misura della suonata rumorosa (teru'à) è come quella di tre suoni intermittenti (yabbavòt)…"(Rosh Ha-Shanà 4:9 nella traduzione di Gabriele Di Segni, di cui si vedano anche le spiegazioni).
A sua volta la Ghemarà omonima (RHS 33b) viene a cercare il significato esatto di teru'à e riporta l'opinione dell'Amorà Abbaié che si rifà alla traduzione del targum aramaico, che ha una grande importanza nell'interpretazione della Torà, notando come il Targum traduca yom teru'à con yom yevavà (pianto). E la Ghemarà aggiunge: "Ed è scritto a proposito della madre di Siserà (Giudici 5:28): "Guardava attraverso la finestra e piangeva (vateyabev) la mamma di Siserà". Il problema è ora quello di sapere cosa sia esattamente quella voce che si chiama yevavà: "un saggio riteneva che si trattasse di una voce di ghenichà, che è una voce di sospiro spezzato (ganach), [come quella di un malato che si lamenta (Rashì)], mentre un altro saggio riteneva che si trattase di un pianto a singhiozzo (yalule yalel)" [come un uomo che piange e si lamenta con voci spezzate (Rashi)] onde noi suoniamo con lo shofar facendo sentire sia voci che si chiamano shevarim, sia voci che si chiamano teru'à.
Non entriamo ora nei particolari di questa discussione e di questa halachà; come prima reazione possiamo pensare: non si poteva trovare una madre migliore da cui apprendere il suono dello shofar, come per esempio nostra madre Sarà, riferendosi alla quale Isacco gridava: "Annunziate a mia madre che la sua gioia è sparita, che il figlio da lei partorito a novant'anni fu preda del fuoco e del coltello, dove si troverà chi possa confortarla? La mia più grande angustia, o mamma mia, è per il tuo pianto e per il tuo dolore". (Dalla poesia introduttiva al suono dello Shofar di I.Abbas, dal Machazor curato da Rav Disegni z.l.). È vero: formalmente non avevamo la stessa radice di yevavà, ma dobbiamo -in uno dei momenti più solenni dell'anno ebraico - riferirci proprio al pianto della madre del comandante dell'esercito cananeo nemico di Israele? Ebbene è quello che ci dice la nostra tradizione; vi è di piu`: anche il numero di cento suonate che siamo abituati a sentire di Rosh Hashanà lo apprendiamo proprio dal pianto della madre di Siserà (Tossafot, Peri Magadim ed altri autori). Siamo consapevoli che vi sono interpretazioni cabbalistiche, ma possiamo dare più modestamente una nostra interpretazione del passo talmudico: nel momento più intimo del popolo ebraico davanti a D., nel momento in cui lo Shofar ci invita a risvegliarci, ad essere consapevoli delle nostre azioni, ad esaminare le nostre vie, l'Ebraismo non può non darci anche un insegnamento universale; sappi apprendere, o Ebreo, la giusta lezione perfino dal pianto di una madre cananea per la sorte del figlio, anche se questo figlio è tuo nemico; in questi suoni c 'è la voce di D-o, ma vi è anche la nostra voce, il nostro pianto, un pianto nei secoli di padri e madri ebrei che si rivolgono a D-o, un pianto che si mescola al pianto della madre di Siserà e D-o benedetto tiene conto di tutto.

Alfredo Mordechai Rabello, Gerusalemme

notizie flash   rassegna stampa
Qui Torino - Un progetto per i nuovi leader
  Leggi la rassegna

Il progetto del Dipartimento di Educazione e Cultura dell'UCEI rivolto ai leader comunitari è stato presentato dal rav Roberto Della Rocca, direttore dei dipartimento, al Consiglio della Comunità di Torino .Un programma di un anno, suddiviso in cinque moduli della durata di un due giorni ciascuno, che si svolgerà nelle città di Torino, Napoli, Milano, Firenze e Trieste...

Tommaso De Pas
 

Dopo la giornata nella quale tutti i riflettori erano puntati sui discorsi di Abbas e di Netanyahu all’ONU, ora è il momento delle trattative dietro le quinte. Su queste è impossibile riferire, mancando qualsiasi certezza, ma è sicuro che i giochi si fanno pesanti, considerando anche la posta in gioco. 

Emanuel Segre Amar 












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