Siamo alla vigilia del nuovo
anno e, come d'abitudine, si fanno previsioni e programmi, si formulano
auguri, ci si propone di riparare agli errori e di migliorare noi
stessi. La nostra Comunità, come tutto l'ebraismo italiano, si
dibatte tra le difficoltà economiche contingenti, le necessità di
sostenere le fasce più deboli degli iscritti, la volontà di poter fare
qualcosa per lo Stato d'Israele ed i nostri fratelli costantemente
minacciati dal terrorismo e dalll'ostracismo di molti
paesi. L'augurio migliore che mi sento di fare è quello di
rafforzare l'unità, la coesione e la collaborazione all'interno delle
nostre istituzioni per fare fronte comune contro le difficoltà e
prepararci a fronteggiare l'auspicata ripresa sostenendoci gli uni con
gli altri. A livello locale, superata l'emergenza gestionale,
occorre proiettarci nuovamente verso il sostegno a chi ha più bisogno e
verso nuove iniziative che rafforzino i legami interni e ci consentano
di elevare le capacità di soddisfacimento delle esigenze spirituali e
non solo di quelle materiali. Ce la stiamo mettendo tutta e
sono fiducioso nei risultati che verranno. Shanà Tovà Umtukà.
Roberto
Jarach, presidente della Comunità ebraica di Milano
Qui Torino - Un anno per meditare sul passato e costruire il futuro
Rosh HaShanà indica la
conclusione di un anno e anticipa quello nuovo. Che cosa ci rallegra in
questa festa? La fine dell’anno e l’addio da esso oppure l’inizio di un
anno nuovo? A Rosh HaShanà noi colleghiamo l’anno passato, il bene, le
attività e le azioni racchiuse in esso con l’anno in arrivo,
colmo di sfide, aspettative e novità. Rosh HaShanà simboleggia per noi
il compimento di un percorso ma soprattutto l’inizio di un
nuovo processo che continua fino al capodanno seguente, haba alenu le
tovà. Nei giorni della festa meditiamo sulle azioni passate e
dedichiamo un pensiero al futuro, giacché sta scritto “tutto segue il
principio, ovvero il capo”. Ci auguriamo in questi giorni, che ci
conducono a Rosh Hashanà, di beneficiare del privilegio e della
possibilità di imparare dal passato e meditare sul futuro. Di
approfondire le nostre radici nella storia del popolo ebraico e trarre
da essa ispirazione per il lavoro futuro nelle comunità italiane; un
impegno che nasca dal pensiero profondo e da una speciale attenzione
per ogni singolo ebreo. Shanà Tovà, Ketivà vakhatimà tovà a tutte le
comunità in Italia, a tutte le famiglie e ad ogni ebreo.
Rav Eliahu Birnbaum, rabbino capo di Torino
Qui Pisa
- Un anno per l'orgoglio
A tutti voi che ci leggete
giunga da Pisa l’augurio di un bel 5772. Siamo già arrivati al nuovo
anno ebraico e siamo pronti a voltare pagina. Sono belli gli inizi,
perché consentono di cercare e vedere nuovi orizzonti. Ed è altrettanto
bello poterli trovare nelle nostre tradizioni e nella nostra vita
comunitaria. Per quel che riguarda Pisa, poi, è una gran
soddisfazione, soprattutto di questi tempi, quando sembra che molte
difficoltà ce le siamo lasciate alle spalle.
Guido Cava,
presidente della Comunità ebraica di Pisa
Qui
Livorno - Un anno per la sapienza e per il sentimento
La festa di Rosh Hashanà è
il giorno in cui il Signore giudica tutto il mondo, il Giorno del
Giudizio. In questo giorno noi suoniamo lo Shofar, come è scritto nella
Torà, e i Maestri spiegano che ciò avviene per ricordare il sacrificio
di Isacco, il quale andò per morire nel nome del Signore. Perché
proprio lo Shofar e non altri oggetti, come magari il coltello o la
corda con cui veniva legato il sacrificando, oggetti più attinenti alla
cruenta cerimonia?
Yair Didi, rabbino capo della Comunità ebraica di Livorno
Qui
Ferrara - Un anno per
Israele
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Da Gerusalemme shanà tovà a tutti.
Michele Sacerdoti, presidente della Comunità ebraica di Ferrara
Qui
Trieste - Un anno per le buone azioni
Dal testo della preghiera
"Untane Toqef" "E aprirai il libro delle memorie ed esso verrà letto e
la firma di ognuno vi sarà apposta". Che cos'è questo libro delle
memorie? E' il libro nel quale vengono scritte tutte le azioni della
persona durante l'anno. Ma perché aggiungere le parole " ella firma di
ognuno vi sarà apposta? La parola firma possiede un doppio significato;
il primo è, come dice la parola stessa, la firma di proprio pugno di
una persona e significa che ognuno sottoscrive le proprie azioni
scritte nel libro. Il significato ulteriore viene dall'espressione
"lasciare il proprio sigillo."
Ytschak David Margalit. rabbino capo della Comunità ebraica di Trieste
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Il migliore dei mondi
possibili
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Stasera è Rosh Hashana, il
capodanno ebraico, che ricorda anche la creazione del mondo. A essere
precisi, come ha ricordato ieri A.M. Rabello su questa colonna, il 1°
di Tishrì (Rosh Hashana) corrisponde al sesto giorno della creazione,
in cui fu creato l’Uomo (insieme a tutti gli animali superiori), mentre
il primo giorno della creazione corrisponde al 25 di Elul (sabato
scorso). Nel Qaddish (o Kaddish), la preghiera forse più famosa del
popolo d’Israele, citata varie volte anche qui, ci sono due riferimenti
alla creazione del mondo, uno esplicito e l’altro alluso. Quest’ultimo
sta nelle dieci espressioni di lode al Signore Iddio (yitgaddal
ve-yitqaddash e poi, più avanti, yitbarakh ve-yishtabbach ve-yitpaar
ecc.: cioè sia magnificato e santificato… e sia benedetto, lodato,
glorificato ecc.), che alluderebbero – secondo l’autore dello Shibbolè
Ha-Leqet, il rabbino romano medioevale Tzidqiyà Anav – ai dieci detti
con cui il mondo fu creato. Il riferimento esplicito alla creazione sta
all’inizio del Qaddish, nelle parole aramaiche “di verà khir’utè”. La
traduzione corrente di queste parole è “(il mondo) che ha creato
secondo la Sua volontà” – equivalente all’ebraico she-barà kirtzonò.
Questa traduzione pone alcuni problemi, anche se probabilmente esprime
esattamente quello che gli antichi Maestri autori del Qaddish
intendevano dire. L’Universo è preordinato? È stato disegnato seguendo
un progetto? Il Midrash, in effetti, afferma proprio questo. Il
progetto era la Torah e D-o l’avrebbe usata come fa un architetto per
costruire una casa. Tuttavia, le evidenze scientifiche, da quelle
fisiche a quelle biologiche, ci dicono che il mondo, e in particolare
la vita, appare in evoluzione, in un modo che è difficilmente
assimilabile a un progetto pre-esistente. Le parole aramaiche “di verà
khir’utè” possono però essere tradotte diversamente, se pur con una
leggera forzatura, come “(il mondo) che ha creato a Suo gradimento”.
Come a dire, e anche qui c’è un midrash a sostegno, questo mondo è
gradito a D-o, quelli precedenti non lo erano e sono quindi stati
scartati. In questo senso, le ripetute parole dell’inizio di Bereshit
“e D-o vide che era buono” e, nel sesto giorno, “molto buono” assumono
tutto un altro significato. Detto in parole povere, si direbbe: “Poteva
andare peggio”. I più raffinati direbbero: “Questo è il migliore dei
mondi possibili”. Shanà tovà.
Gianfranco
Di Segni – Collegio Rabbinico Italiano
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Gli auguri che ci
facciamo
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Siamo oramai giunti alla fine
dell’anno ed all’inizio di un nuovo ciclo che si aprirà questa sera con
le Tefilloth di Rosh ha-Shanà. Lo scambio di auguri che ci rivolgiamo e
che ci propiziamo è già iniziato da qualche giorno, e nel riflettere
proprio su questi auguri che ci rivolgiamo ogni anno in modo ripetitivo
e spesso senza neanche riflettere sul significato di questi auguri ho
fatto una considerazione. Sentiamo dire spesso:“che questo nuovo anno
sia buono dall’inizio alla fine, che abbia solo momenti di gioia e di
prosperità”. Ma questo come ben sappiamo è impossibile, forse
nel mondo futuro, ma qui in questo mondo in questa realtà non
è possibile. Questo perché noi come esseri umani veniamo mandati dal
nostro Creatore in questo mondo per crescere ed evolverci
spiritualmente, e questo può avvenire solamente venendo messi alla
prova, con le difficoltà della vita quotidiana. E allora ci dobbiamo
domandare che tipo di auguri dovremo rivolgerci in questi momenti di
grande riflessione. Secondo me l’augurio che dovremmo rivolgerci è il
seguente: che Dio ci dia la forza fisica e spirituale per superare
tutte le prove e le difficoltà del nuovo anno affrontandole con
serenità coraggio e stabilità, e che queste siano per noi un mezzo per
crescere ed evolverci sia sul piano materiale sia su quello spirituale.
Tichklè Shanà vekilelotea, Tachèl Shanà uvirkotèa. Termini l’anno con
le sue maledizioni, inizi l’anno con le sue benedizioni.
David
Sciunnach, rabbino
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Wishful thinking
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Credo, in tutta franchezza, che
sia umanamente difficile trovare nella storia della diplomazia
internazionale (ma anche della politica, delle relazioni sociali e
umane di ogni tipo) un caso di malafede più lampante di questa storia
infinita del riconoscimento dello Stato di Palestina. Un risoluzione di
questo tipo già c’è stata, nel lontano 1947, ed è stata accolta da
parte araba e palestinese nel modo che sappiamo. Il 14 maggio del 1948,
che avrebbe dovuto sancire la nascita dei due Stati, è diventato, per i
palestinesi, la Naqba, la catastrofe. E ora, - come abbiamo già
scritto, sulla newsletter dello scorso 27 aprile - fremono per avere la
Naqba bis. Probabilmente, quella del 1947-1948 fu una catastrofe
perché, accanto allo Stato di Palestina, avrebbe dovuto nascere, come
nacque, uno Stato ebraico. Cosa che non si voleva e, con tutta
evidenza, si continua a non volere, come attestano, al di là di
qualsiasi possibilità di equivoco, i reiterati rifiuti a qualsiasi
concessione sul riconoscimento di Israele come Stato ebraico. Questa è
la realtà. Nella richiesta palestinese non c’è un solo granello di
spirito conciliante, neanche l’ombra di una sia pur timida, minima
apertura a un possibile, ipotetico, immaginario futuro di pacifica
coesistenza e collaborazione. Solo un muro di ostilità.
Il fatto che la maggioranza dei Paesi del mondo siano d’accordo su
questo riconoscimento “a prescindere” dà la misura, in modo drammatico,
di quali siano i sentimenti prevalenti nella comunità delle nazioni nei
confronti di Israele. Alcuni pensano che la responsabilità di ciò,
almeno in parte, sia della stessa politica israeliana. Dico solo, al
riguardo, che mi piacerebbe molto se fosse così, perché basterebbe un
cambio di politica per ottenere un miglioramento della situazione. Ma,
purtroppo, non credo che sia così. Ed è una constatazione molto amara.
E credo che sia proprio l’insopportabile durezza di questa idea a
indurre non pochi israeliani e sostenitori di Israele a dirsi
favorevoli alla risoluzione, come mezzo per raggiungere la pace. Uno
Stato di Palestina accanto a uno Stato di Israele, la famosa formula
dei “due popoli, due Stati”, l’agognata pace. Sarebbe bello, certo. Ma
non è così. E il “wishful thinking” è pericoloso, non ha mai aiutato
nessuno lo scambiare i propri desideri per la realtà.
Una menzione particolare merita la posizione degli Stati Uniti, che
rappresenta un motivo insieme di consolazione e di preoccupazione. La
consolazione deriva dal fatto che l’America ha confermato il sostegno a
Israele, spendendo in tal senso, ancora una volta, la sua influenza e
il suo potere di veto nel Consiglio di Sicurezza. Ed è bene ricordare
che l’amicizia degli USA nei confronti di Israele e, più in generale,
la solidarietà verso il popolo ebraico e la simpatia per il sionismo
non sono degli irreversibili “doni di natura”, sempre esistiti e dati
per sempre. Sono noti i sentimenti antisemiti di alcuni fra i grandi
protagonisti della storia americana del ‘900 (come Ford o Lindbergh),
il Presidente Roosevelt non fece nulla per impedire la Shoah,
Eisenhower non amava Israele. Ma l’opzione filo-israeliana, nata, nella
guerra fredda, con Kennedy, e poi consolidatasi con Nixon, è stata
confermata dal presidente Obama, nonostante la sua provenienza da una
comunità, quella afroamericana, nella quale si sono spesso registrati
umori non amichevoli (talvolta apertamene ostili) nei confronti degli
ebrei. E nonostante anche nelle file delle comunità ebraiche
statunitensi siano andati sensibilmente montando, negli ultimi anni,
sentimenti di distacco o freddezza nei confronti di Israele. La famosa
“lobby ebraica” non è mai esistita (e, se esistesse, non sarebbe
comunque composta solo da amici di Israele), ma il sostegno a Israele
continua a essere fortemente sentito come un valore dalla maggioranza
dell’opinione pubblica statunitense. È questa la consolazione.
Quanto alla preoccupazione, scaturisce dal fatto che la protezione
americana brilla, per la sua unicità, come una candela nella notte. E
la sola idea che possa, un domani, spegnersi, è certamente inquietante.
Francesco
Lucrezi, storico
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rassegna
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Israele:
online i manoscritti
più antichi del mondo
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Grazie ad un progetto del Museo israeliano di Gerusalemme, realizzato
con la tecnologia di Google i rotoli del Mar Morto sono ora online
."Con l'alta risoluzione c'è la possibilità di guardare i manoscritti
comodamente - spiega James S. Snyder direttore dell'Israel Museum - si
possono ingrandire, leggere la traduzione dall'ebraico all'inglese,
cercare parole o versi particolari".
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Nella rassegna stampa di oggi
riguardo al Medio Oriente lo spazio più largo è dedicato
all'approvazione preliminare da parte del Ministero degli Interni
israeliano di un progetto edilizio di cui si era peraltro molte volte
parlato, per la costruzione di un migliaio di appartamenti a Gilo, che
è un sobborgo ebraico di Gerusalemme, quello che qualche anno fa era
stato oggetto di un sistematico fuoco di fucileria a partire da un
vicino villaggio arabo, tanto da dover essere protetto da un apposito
muro.
Ugo
Volli
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è il giornale dell'ebraismo
italiano |
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Dafdaf
è il giornale ebraico per bambini |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
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indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
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