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10 ottobre 2011 - 12 Tishri 5771
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alef/tav
Riccardo Di Segni Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma

Si racconta di Federico il grande re di Prussia che chiese una volta a un suo consigliere la prova dell'esistenza di divina, e la risposta fu: "Gli ebrei, maestà!". Questa mattina è stata la prima volta in cui Gadi Gai Tachè, fratello di Stefano, vittima dell'attentato alla Sinagoga di Roma del 9 ottobre 1982, dopo anni di silenzio ha parlato in pubblico, davanti agli studenti del liceo ebraico, della sua storia. Poco prima un video aveva mostrato l'elicottero che atterrato all'Isola Tiberina lo portò all'Ospedale S. Camillo dove fu operato in condizioni disperate e riuscì a sopravvivere. Gadi, in un momento di forte commozione, ripetendo inconsciamente le parole del consigliere del re di Prussia, ha detto che la sua esistenza è una prova dell'esistenza divina.  E lo ha confermato subito dopo in un breve intervento anche il padre Yosef, invitando i ragazzi a non rinunciare alla propria identità ebraica. E' così che viviamo le nostre storie.

Anna
Foa,
 storica

   
Anna Foa
Ieri era il 9 ottobre, ventinove anni dall'attentato terroristico palestinese alla Sinagoga di Roma. Sul Corriere di oggi, Riccardo Pacifici auspica giustamente che il ministro Frattini presenti al più presto al nuovo governo libico una nuova richiesta di estradizione per Abdel Al Zomar, l'unico terrorista processato per questo attentato, condannato all'ergastolo e accolto a Tripoli da Gheddafi. Un banco di prova importante, questo, per la nuova Libia, che può dimostrare così di aver rotto i ponti con le complicità con il terrorismo palestinese  mantenute dal dittatore libico anche dopo aver personalmente dimesso i panni del terrorista e aver rinunciato a far saltare gli aerei carichi di passeggeri. La richiesta di estradizione per Al Zomar, terrorista assassino condannato in un processo legittimo svoltosi in uno paese democratico come l'Italia, deve essere resa pubblica, fatta propria da tutti, amplificata e propagandata come è stata, mesi fa, quella rivolta al Brasile, per il terrorista Cesare Battisti, purtroppo finita in farsa. Questo non deve succedere per Al Zomar.

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davar
Sukkot con i giovani ebrei italiani
Sukkà UgeiSi avvicina Sukkot, la festa delle capanne, uno dei momenti più significativi del calendario ebraico che si celebra sotto i fragili tetti delle capanne che ricordano le abitazioni del popolo di Israele negli anni di peregrinazione nel deserto dopo la fuga dall'Egitto. Per l'occasione l'Unione Giovani Ebrei d'Italia ha deciso di fare le cose in grande organizzando eventi, in collaborazione con i vari gruppi locali, in molte città d'Italia. “L'Ugei si fa in quattro, anzi in cinque, facciamo in sei” recita uno slogan sulla pagina facebook dell'ente. E in effetti lo sforzo fatto è stato notevole con appuntamenti in programma da Milano a Roma, da Genova a Torino, passando inoltre per Padova e Firenze. Sestuplicato quindi il consueto appuntamento annuale con sede in una piccola o media comunità. “Nelle scorse settimane ci chiedevamo quale location scegliere per la tradizionale cena in sukkà dei giovani ebrei italiani” racconta il vicepresidente Ugei Benedetto Sacerdoti. “Confrontando le varie idee interne al Consiglio, aggiungendo un posto dopo l'altro, abbiamo così colto l'ambiziosa opportunità di pianificare un'operazione su larga scala che ci auguriamo di replicare e magari ampliare già dal prossimo anno”. Essenziale, come detto, l'apporto dei vari gruppi locali che sono già al lavoro dal punto di vista logistico e che non mancheranno tra l'altro di adoperarsi ai fornelli. Con un vero e proprio esordio: il neonato Gep (Giovani ebrei di Padova) presieduto da Giulia Bulzacchi e dell'israeliano Yochai Avital. “Naturalmente da padovano non posso che essere orgoglioso di questo debutto” chiosa Sacerdoti, vicepresidente a distanza visto il recente trasferimento a Londra per motivi di studio. Operativi poi tra gli altri i gruppi Efes 2 e i giovani di Rav Levi a Milano, il Delet a Roma, il Get a Torino, il Joy a Genova e il Cgef a Firenze. Benedetto considera gli eventi di Sukkot uno dei momenti chiave dell'anno Ugei, soprattutto alla luce del Congresso ordinario di Torino (in programma dall'11 al 13 novembre) che eleggerà il direttivo in carica per tutto il 2012: “Puntiamo molto su queste iniziative perché le riteniamo fondamentali per risvegliare l'attivismo nelle varie kehillot e alzare di conseguenza anche l'interesse verso i lavori congressuali".

pilpul
Kippur, le categorie, le etichette
Claudia FellusVoglio ringraziare rav Di Segni, per il discorso che ha tenuto al tempio maggiore di Roma il sacro giorno di Kippur. Penso che se vogliamo renderlo proficuo dobbiamo illuminare quelle zone, o quelle ombre che possono suscitare, ancora una volta, travisamenti, dolore e incomprensione (gli intellettuali e la loro spocchia, il loro rapporto con lo Stato di Israele, i bei tempi dei rabbini che tolleravano tutto, l’ebraismo chic e il compromesso penoso e patetico).
So che in situazioni pubbliche non bisognerebbe parlare della propria storia, ma sento che la parte che racconto, non appartiene a me solamente. Con infinite sfumature, come lei dice nel suo stimolante discorso. È vero che le differenze sociali e culturali possono creare un solco difficilmente rimarginabile, ma forse, questo avviene da ambedue le parti. Io, per esempio avrei voluto un giorno essere invitata ad un incontro con i cosiddetti “altri”. Avrei voluto raccontare loro la mia storia, direttamente, per vedere se magari era diversa da quella mormorata. Per quanto mi riguarda ho ospitato coloro che hanno avuto voglia di confrontarsi. Pochissimi a dire il vero.
Alcuni di noi si sono sentiti additare come nemici di Israele, intesa come popolo e Stato o come fondatori in pectore di diversi ebraismi religiosi. Hanno visto stravolgere la propria storia, sentito che la loro opinione era preventivamente considerata sbagliata. Nel marcare le differenze non si tratta di individuare una classe sociale, quanto reciproci pregiudizi culturali. C’è stata una maggioranza che ha privilegiato il pensiero unico, guardando torvamente quell’altra. Solo perché era diversa. Non uguale. Accusata di non appartenenza. Nella realtà l’auspicabile visione “di un’identità ebraica e un rapporto con la religione di tutte le gradazioni e varietà possibili” è stata più volte sopraffatta.
Non ha reagito con spocchia, semmai con delusione.
Alla tolleranza religiosa che viene imputata all’ebraismo di un tempo, per intenderci con sincerità, quello di rav Toaff, si potrebbe contrapporre l’eccesso di tolleranza o addirittura in certi casi di una qualche simpatia verso uomini e partiti che fecero dell’antisemitismo e della persecuzione razziale un elemento distintivo della loro origine politica.
La storia vissuta sulla propria pelle, aveva reso quella generazione consapevole di quanto allora tutto l’ebraismo, in tutte le sue sfumature, non poteva sfuggire ad un destino comune, quello della persecuzione e della morte. Noi lo sappiamo, ma loro c’erano. Lo sforzo fatto era quello di tenere unito quel mondo, con uno sguardo paterno, anche se attento alle regole. Non abbastanza? Forse. Non sta a me giudicarlo. Quello che so è che l’ebraismo italiano è esistito e ha avuto voce in capitolo nell’ambito dell’ortodossia. C’è molto da correggere probabilmente ma senza emarginare tutti coloro che non aderiscono completamente. Come ormai avviene all’interno delle stesse famiglie.
Chi le scrive non rispetta lo Shabbat, va in macchina. Lo fa il venerdì sera, quando attraversa la città per raggiungere la casa paterna, dove si riunisce la famiglia per recitare il Kiddush e mangiare insieme la sera della festa. Cascasse il mondo lo ha sempre fatto. Lei giustamente dirà che è sbagliato. Ma questo rispecchia il mio ebraismo. Non voglio dire che sia giusto, dico che è il mio.
Forse, l”essenza dell’ebraismo è ciò che la dialettica dovrebbe insegnare a fare” ma senza mai dimenticare che questa è confronto e non implica una sintesi affidata a una autorità ad essa preposta, fosse anche l’autorità rabbinica. Un confronto, insieme, perché si trovi la strada comune per salvaguardare nel modo migliore la cosa a cui tutti tendiamo, la vitalità delle nostre kehillot, la sopravvivenza dello Stato di Israele, il rapporto con la religione ebraica, con la nostra storia che è strettamente legata alla storia del paese in cui viviamo o in cui abbiamo vissuto, consci che non ci può essere un futuro ebraico in continenti in cui l’antisemitismo diviene una bandiera. Questa non è la ricerca di ciò che il mondo esterno considera chic e arguto. È il desiderio di confronto su un mondo che cambia, forse, come giustamente dice lei, non in meglio.
È proprio perché il nostro modo di vivere l’ebraismo è considerato “un compromesso un po’ penoso e patetico” che quelli come me si allontanano, alla ricerca di un luogo in cui vivere il proprio ebraismo non sia “un peccato”, una trasgressione alle regole.
Forse questi mondi non sono così distanti nel sentire, forse i compromessi del pensiero, sono solo ragionamenti comuni. Senza che un’etichetta, prevenga la nostra capacità di ascolto.
Grazie per il suo stimolante discorso, rav Di Segni, grazie davvero, perché ripropone un dibattito che è mancato al Congresso e di cui abbiamo bisogno .


Claudia Fellus

Il negazionismo e la Chiesa
Donatella Di CesareÈ difficile credere che i negazionisti – come ha detto lo storico Vidal-Naquet – siano una setta. Il fenomeno non è episodico né marginale. Come è emerso negli ultimi anni investe ambiti diversi. La Chiesa non ne è indenne. Il caso del vescovo lefebvriano William Richardson, che ha negato l’esistenza delle camere a gas, va letto come la spia di un atteggiamento verso la Shoah molto più profondo e diffuso di quanto non si creda.
Quasi due anni fa ho denunciato la «questione Edith Stein», la filosofa che è stata beatificata e poi santificata, perché morta a Auschwitz. Ho sostenuto che Stein «forse non sarebbe stata ridotta al silenzio se la Chiesa non avesse taciuto». Per questo sono stata attaccata dalle colonne dell’Osservatore romano (3 dicembre 2009) non senza una certa violenza. Ho ribadito la mia tesi affermando che la santificazione è stata a tutti gli effetti una appropriazione cattolica della Shoah. E ho aggiunto che parlare di «martire» è pericoloso e ambiguo: si fa credere che Edith Stein – per usare le subdole parole della teologa tedesca Gerl-Falkovitz – abbia offerto in «espiazione» la sua vita. Espiazione di cosa e per chi?
Si può leggere la risposta nel sito web «La Porte Latine» tenuto dai lefebvriani, gli ultratradizionalisti che la chiesa di Ratzinger sta cercando di recuperare. In un dossier dedicato a Pio XII, di cui si elogia il silenzio – perché a volte sarebbe meglio tacere – si legge: «nel luglio del 1942, per esempio, la forte protesta dei vescovi dei Paesi bassi contro le persecuzioni antisemite ha avuto il solo risultato di estendere queste persecuzioni, com’è noto, agli ebrei convertiti. In quella occasione sarebbe stata arrestata la carmelitana Edith Stein che avrebbe presto offerto la sua vita in riparazione per l’infedeltà del suo popolo che non ha voluto riconoscere Cristo».
Chissà come andranno le cose tra la Chiesa e i lefebvriani che si sono riuniti in questi giorni ad Albano laziale. Senza dubbio contiguità e complicità del genere rischiano di mettere a repentaglio non solo l’incontro previsto ad Assisi per il 27 ottobre, ma ogni tentativo di dialogo ebraico-cristiano.

Donatella Di Cesare, filosofa

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Qui Roma - Frank, un falso messia


La figura controversa dell'ebreo polacco Jacob Frank, vissuto alla fine del XVIII secolo, sarà al centro di un incontro in programma questa sera al Centro Bibliografico UCEI a Roma. All'incontro, che avrà inizio alle 20.30 e sarà moderato da Myriam Silvera, parteciperanno tra gli altri rav Riccardo Di Segni, Roberta Ascarelli, Laura Mincer e Fabrizio Lelli. Interverrà inoltre Paweł Maciejko, autore del libro The Mixed Multitude. Jacob Frank and the Frankist Movement, 1755-1816. Ad aprire la serata i saluti di Giacomo Saban e Francesco Scorza Barcellona.



 
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