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11 ottobre 2011 - 13 Tishri 5772
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
Roberto Della Rocca
Roberto
Della Rocca,
rabbino

Alla fine del libro di Giona, che abbiamo letto nel pomeriggio di Kippùr, si fa menzione di una Sukkà all’ombra della quale lo stravagante profeta si ripara dal sole. Ma all'alba, quando si sveglia, Giona si accorge che un verme ha roso il ricino della capanna e la cosa gli procura grande disperazione. La storia del ricino, evocata a Kippur, deve insegnare a Giona, e a tutti noi,  a confrontarsi con la caducità e la precarietà della vita, tema forte di Sukkot. Giona avrebbe ricevuto la chiamata profetica proprio durante la festa di Sukkòt, momento in cui ogni ebreo deve misurarsi con l'ombra della Sukkà, Tzel, che rappresenta sia l'immagine di Dio, sia la parte oscura ed inconscia di ognuno di noi. Nel breve periodo che va da Kippùr a Sukkòt ci predisponiamo a un Tempo di  Gioia che puo scaturire soltanto dalla coscienza che le nostre vite sono caratterizzate da imprevisti e da incognite e che un tetto di frasche puo offrirci piu sicurezza di un tetto di cemento.

Dario
 Calimani,
 anglista


Dario Calimani
Non è vero che il dialogo fra la comunità e il suo rabbino non dia valore aggiunto all’ebraismo. Solo che a volte il dialogo non è impresa facile. Specie quando si cerca una guida consapevole e sicura; una guida preparata, che ti aiuti a rafforzare il tuo senso di appartenenza e a crederci, magari riavvicinandoti alla vita trascurata delle mitzwoth con quella pragmaticità che ha contraddistinto certe fasi dell’ebraismo italiano, evitando l’influenza di integralismi eccessivi e di passaggio. Esemplificando: negli ultimi anni si è diffusa in Italia la moda del "glatt kosher” – è la carne del bovino e dell’ovino i cui polmoni vengono certificati sani dallo shochet (habodek). Si è quindi fatta strada l’idea che la carne normale sia casher, ma che quella “glatt kosher” sia “casherissima”. Ora, sottolineando il fatto che “glatt” è un termine yiddish (e questo qualcosa dovrebbe pur dire sull’origine dell’uso), si è diffuso il malsano costume di dichiarare “glatt” kosher la carne di pollo (i cui polmoni vengono controllati?) e i formaggi, che fino a prova contraria polmoni non ne hanno. Fra un po’ toccherà ai dolciumi. Siamo al ridicolo, e qualcuno ci gioca. Ora, fatto salvo il diritto assoluto di ciascuno di fare le proprie insindacabili scelte individuali, ci si aspetterebbe che i rabbini delle comunità svolgessero una coscienziosa opera di informazione e di moralizzazione del settore ‘merceologico’ per tre diversi motivi: 1. perché non vi sia chi pensi ingenuamente che ciò che non è glatt è di fatto “non-casher” – e questo è già il primo gravissimo risultato; 2. perché non vi sia qualche singolo che dall’alto della sua dieta superkosher pretenda di imporre regole sempre più restrittive e indigeste a tutta la comunità (regole che si estendono poi al latte “halav Israel” e al vino necessariamente “mevushal”); e 3. perché non si accrediti l’idea piuttosto sgradevole che la casheruth è solo una questione di business. La guida morale del rav la si vuole vedere in azione. E qui, più che di dialogo con il rabbino, si sentirebbe la necessità di una risposta chiara e autorevole, che tolga di torno tanta cialtroneria commerciale e certa nuova pseudo-ortodossia di seconda mano. Benissimo vivere un ebraismo tormentato e contrastante, ma che sia almeno con serena coscienza.

davar
Qui Roma - Una politica per la Memoria
Memorie d'inciampo“L’antipatia per la diversità, l'odio razziale, la xenofobia, avvelenano l’aria e turbano le coscienze, determinando a volte episodi di violenza inaccettabile. Occorre pertanto conoscere la storia, conoscere il passato, senza il quale non esiste né presente né futuro”. Con queste parole il presidente del Senato ha aperto oggi a Palazzo Giustiniani il terzo appuntamento del percorso culturale La memoria e l’immagine, legato al progetto Pietre d’Inciampo a cura di Adachiara Zevi. Un evento organizzato per ricordare la deportazione degli ebrei romani del 16 ottobre 1943, che verrà solennemente ricordata con più eventi domenica prossima, così come l’occasione per rivolgere un pensiero a una grande figura del Novecento italiano, Tullia Zevi. “Una donna – ha affermato il presidente Schifani – che ha attraversato con coraggio gli anni bui della guerra e con altrettanto impegno si è dedicata alla costruzione della democrazia italiana”. Anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, attraverso una lettera, ha voluto ricordare la sua profonda amicizia con Tullia Zevi, sottolineando inoltre l’importanza della memoria per la costruzione di una solida democrazia.
In rappresentanza delle istituzioni ebraiche sono poi intervenuti il vicepresidente della Comunità di Roma, Giacomo Moscati e il consigliere UCEI Victor Magiar. “Dobbiamo conservare la memoria così come non possiamo dimenticare quella parte di popolazione che cercò di aiutare i concittadini ebrei a salvarsi dalla furia nazifascista”, ha spiegato Moscati, raccontando alla platea la propria esperienza familiare. Facendo eco alle parole di Napolitano e Schifani, Magiar ha invece dedicato il suo intervento a Tullia Zevi. “Tullia
– ha affermato è sempre stata presente nel mondo ebraico così come nella realtà politica italiana. Ha lottato a lungo per spiegare alla società civile come la tutela e il valore delle minoranze siano importanti per la tempratura di un Paese democratico”.
Adachiara Zevi ha poi presentato il progetto Pietre d'Inciampo, i sanpietrini dedicati al ricordo delle vittime della deportazione nazifascista, iniziativa ispirata al lavoro dell’artista tedesco Gunter Demnig. L'apposizione delle Stolpersteine a Roma è stata peraltro documentata dal progetto fotografico di alcuni studenti e docenti dell'Istituto Rossellini presenti questa mattina a Palazzo Giustiniani assieme ai sopravvissuti Alberta Levi Temin e Piero Terracina, che davanti al folto pubblico hanno ricordato l'importanza di non dimenticare e tramandare valori democratici e di tolleranza alle nuove generazioni.

Rapporto antisemitismo - Nirenstein: "Dati allarmanti"
Fiamma NirensteinIl 44 per cento degli italiani dichiara di non provare simpatia per gli ebrei. Questo il dato più allarmante che emerge dal Documento conclusivo appena approvato all'unanimità dal Comitato di Indagine Conoscitiva sull'Antisemitismo presieduto dalla vicepresidente della Commissione Esteri della Camera Fiamma Nirenstein (nella foto). Formato da 26 deputati di più estrazioni politiche, il Comitato ha posto fine a due anni di intenso lavoro con un testo, articolato in più punti e dedicato alle varie sfumature di questo fenomeno, che giunge a conclusioni inquietanti sul livello di tolleranza e apertura della società italiana e che verrà presentato al pubblico e alla stampa lunedì 17 ottobre alle 10.30 nella Sala della Lupa della Camera dei Deputati alla presenza di numerosi rappresentanti delle istituzioni politiche e religiose nazionali (per l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sarà presente la vicepresidente Claudia De Benedetti).
Incentrato su una attività di monitoraggio e di approfondimento tematico dell'antisemitismo, sia a livello internazionale che nazionale, il programma dell'indagine conoscitiva è stato pensato in una logica e prospettiva di indirizzo politico. Molte e differenziate le angolature da cui è stato affrontato il tema. “In particolare – si legge nel capitolo introduttivo dedicato ai programmi e agli obiettivi – l’indagine è stata impostata in modo da evidenziare i nuovi caratteri che tale fenomeno ha assunto rispetto a quelli tradizionali, con particolare riferimento all’odio etnico e religioso, alimentato dal fondamentalismo, e allo strumentale intreccio con l’antisionismo e con le derive negazioniste. Si è valutato che la recrudescenza dell’antisemitismo a livello mondiale, ed in particolare in Europa, unitamente al complesso rapporto con le vicende del Medio Oriente, induce a non sottovalutare gli episodi di intolleranza, che hanno avuto luogo anche in Italia, e ad adottare una impostazione del problema che coniughi i profili di interesse internazionale con quelli di interesse nazionale”.
Fiamma Nirenstein si dice soddisfatta
per la conclusione dei lavori, intensificatisi particolarmente nell'ultimo trimestre e parla di documento "allarmante e innovativo rispetto alla letteratura esistente in
materia".  “I dati che abbiamo esaminato – spiega la deputata del Partito delle Libertà – mettono in luce la crescita verticale della piaga dell’antisemitismo. Un fenomeno che nel 2009 ha raggiunto un picco senza precedenti dalla seconda guerra mondiale. Il Documento descrive numerosi aspetti della questione esaminandoli da tutti i punti vista: si parte dal dato secondo il quale il 44 per cento degli italiani dichiara di non provare simpatia per gli ebrei per arrivare al nuovo dilagante fenomeno dell’antisemitismo online, che è probabilmente responsabile del fatto che il 22% dei giovani italiani ha un atteggiamento variamente ostile verso questa realtà”.

pilpul
Per superare la crisi serve il pluralismo
Gadi Luzzatto VogheraIl discorso letto da Rav Di Segni a Roma all’ora della Neillà citava un mio articolo ed è stato riprodotto a più riprese dalla stampa ebraica on-line. Alcune reazioni che si sono registrate alla pubblicazione di quell’intervento meritano un commento perché coinvolgono una più ampia dimensione nazionale di cui va dato conto. Messaggi e lettere fortemente irritate, provenienti da ebrei romani, genericamente identificabili con la “piazza” (di cui parlavo nel mio articolo), hanno completamente capovolto il senso delle parole mie e di quelle di rav Di Segni attribuendo agli intellettuali ebrei, e in alcuni casi soprattutto al sottoscritto, parole e pensieri mai espressi. L’equivoco è stato risolto in poche ore: bastava leggere con attenzione per capire che il mio ragionamento intendeva semplicemente segnalare e sottolineare l’allarmante approfondirsi di una spaccatura sociale fra l’ebraismo italiano vivo e reale (in cui mi colloco) e certa intellettualità di sinistra un po’ snob, non necessariamente ebraica. Tuttavia la reazione immediata e verbalmente aggressiva a una citazione forse pronunciata in un contesto non adatto, ci deve spingere a riflettere sulla tensione e sui toni esagitati usati in questi ultimi mesi di continue polemiche. Emerge un dato allarmante. A me sembra che da qualche tempo si vada chiedendo da più parti e in maniera diffusa una certa qual forma di monolitismo, di univocità, che si scontra senza speranza con una lunga tradizione di ebraismo “plurale” che è parte integrante dell’ebraismo italiano. Si tratta, a ben vedere, di una forma riflessa della politica nazionale italiana. Questa aspirazione all’omogeneità riesce senza dubbio ad animare uno spirito di corpo e un orgoglio (la piacevole e rassicurante sensazione di essere in tanti dalla stessa parte, di condividere parole d’ordine e valori) che aiuta a superare anche momenti difficili come quello che stiamo vivendo. Siamo sotto pressione, in gravissima crisi economica (molte nostre famiglie condividono le difficoltà di tanti altri in Italia, nel resto d’Europa e pure in Israele), e c’è sempre una pressione antisemita che incalza e che continua a sorprenderci. Ma colpire le voci diverse, emarginare le espressioni di dissenso, cercare di annullare il pluralismo delle nostre identità, non ci aiuterà ad affrontare questa crisi e ad uscirne più forti. E non aiuterà neppure Israele, una società che ci ha insegnato che la sua principale risorsa – più che nella forza del suo esercito – risiede nella capacità di resistere in maniera coesa mantenendo identità profonde e distinte.
Un ricco dibattito si è sviluppato sulla questione dei rapporti fra Israele ed ebrei italiani: numerosi interventi hanno arricchito le pagine di Moked e ci siamo variamente esercitati a distribuire diversi aggettivi (non sempre amichevoli) ai nostri interlocutori. Ma Israele – come ho già avuto modo di affermare – non è il vero problema. Il nostro essere comunità, a Roma come a Milano, Torino, Padova o Merano, non si misura sul nostro modo di intendere Israele, di amarlo, di esaltarlo o di criticare le scelte di questo o di quel governo. Noi siamo qui, ora, e lo siamo per scelta e per tradizione. Israele è non solo importante, ma fondamentale per noi. Ha resuscitato le nostre comunità diasporiche inviando shelichìm che ci hanno ri-educato all’ebraismo, ci ha insegnato nuovamente l’ebraico (a noi, che dalle coste pugliesi e calabresi lo avevamo a nostra volta insegnato, mille anni fa, a tutti gli ebrei d’Europa). Ci ha trasmesso l’orgoglio della nostra appartenenza. Credo però fermamente che il nostro essere ebrei non si riduca alla nostra relazione con Israele, ma venga completato e valorizzato soprattutto dalla nostra responsabilità di rappresentare una millenaria tradizione, di studiarla, insegnarla, commentarla, viverla, rinnovarla. Nella storia gli ebrei in Italia sono stati tante cose, mai omologhe fra loro. Ci sono stati romani, siciliani e pugliesi, tedeschi e spagnoli, ci sono stati marrani, sabbatiani, mistici e razionalisti. E in epoca più moderna assimilati, religiosi ortodossi, tradizionalisti, semiriformati, a cui si sono aggiunti negli ultimi decenni ebrei provenienti dalle edòth hamizrach e Lubavitch, oltre che nuovi riformati. Insomma, una grande articolazione, modi diversi di essere ebrei che pur nel contrasto dei sentimenti e delle pratiche si sono sempre fra loro riconosciuti (e a volte combattuti). La nostra forza, e quella di Israele, risiede ieri come oggi nel pluralismo, e sta a noi salvaguardarlo, per rispettare la nostra ricca e variegata tradizione.

Gadi Luzzatto Voghera, storico

Legge e ordine
Tobia ZeviMi lasciano sempre perplesso i provvedimenti che regolano la vita notturna. Comprendo le ragioni degli abitanti, che si lamentano giustamente dell’eccesso di rumore o della sicurezza insufficiente, ma temo che le ordinanze anti-alcool, anti-bottiglia, anti-pub siano inevitabilmente condizionate da un pizzico di ideologia reazionaria, da un vago anelito al «legge e ordine». Le nostre città sono innanzitutto grigie, e quando si demonizza eccessivamente il divertimento giovanile, il rischio è di renderle ancora più tetre. L’amministratore pubblico, che deve tutelare la legittima aspirazione dei cittadini alla quiete, si trova dunque in una posizione delicata.
Nel caso di Forte dei Marmi, però, la delicatezza è decisamente mancata. Nell’ordinanza firmata dal sindaco Pd Umberto Buratti, e approvata dal Consiglio comunale all’unanimità, si vieta la nascita di nuovi esercizi commerciali che non rispondano alla cultura italiana e versiliese. Non solo, dunque, divieto di kebab, come hanno riportato i giornali, ma anche di qualunque merce troppo esotica.
Non si tratterebbe di una misura xenofoba, secondo il sindaco, perché a essere proibiti sono anche pub inglesi o birrerie tedesche. Proviamo a dimenticare la miriade di provvedimenti razzisti approvati da molti comuni del Nord (generalmente a guida leghista), e accettiamo le spiegazioni dei politici della storica località marittima. C’è da essere più tranquilli?
Nella crisi globale che consegna l’Italia a una condizione di maginalità, possiamo chiuderci al mondo esterno? È chiara l’esigenza di mantenere un certo livello per assicurarsi un turismo d’élite, ma questo significa rinchiudersi nel ghetto dorato della propria tradizione? E New York? E Londra? E Berlino? Ragioniamo pure di produzione locale e di chilometro-zero, ma scansiamo le scorciatoie sbagliate e dannose.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas

notizie flash   rassegna stampa
Medio Oriente, sì di Netanyahu
a nuove trattative con l'Anp
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L'Unione Europea cerca di fare da mediatrice tra israeliani e palestinesi. E incassa il sì del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che ha accettato l'invito di Catherine Ashton, Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'UE.
Un tentativo per riaprire le trattative tra le due parti, congelate ormai da un anno. Nonostante le risposte positive di Netanyahu e del presidente palestinese Abbas, la Ashton ha confessato come difficilmente questo incontro porterà alla ripresa dei colloqui di pace.
 

Dopo gli scontri dei giorni scorsi che hanno visto la morte di quasi quaranta copti ed il ferimento di alcune centinaia di persone, tutti i quotidiani di oggi analizzano quegli avvenimenti. Dan Segre sul Giornale si chiede, con la sua solita lucidità, chi stia dietro questi incidenti; i Fratelli Musulmani, dei cani sciolti o i capi militari spaventati per il proprio futuro? I militari terranno il controllo, scrive Segre, ma si chiede pure: quali militari? Gli alti ufficiali che oggi detengono il potere, o i capitani ed i tenenti che oggi si tengono nascosti, ma che hanno le armi in pugno?

Emanuel Segre Amar












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