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12 ottobre 2011 - 14 Tishri 5772
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alef/tav
sciunnach
David Sciunnach,
rabbino


I Maestri ci insegnano che il Lulav, con le sue 4 specie, rappresenta 4 tipi diversi di ebreo, ed è risaputo che se ne mancasse solo una di queste specie non ci sarebbe possibile fare la benedizione, perché questa mitzwà sarebbe incompleta. Il Lulav viene presentato a Dio come un’unica cosa, così è il popolo d’Israele che si presenta al suo Creatore unito. Diceva il grande Rabbì Chayìm Yakòv di Karmana, conosciuto come Perì Chayìm, le iniziali della parola Lulav sono le iniziali della frase che quotidianamente pronunciamo nella preghiera del mattino: Leodoth Lechà Uliahadach Beahavà – per poterTi rendere omaggio per professare la Tua unità con verità ed amore.

 Davide  Assael,
ricercatore



davide assael
Penso anch’io che possano esserci dei comportamenti da parte ebraica che alimentino l’antisemitismo ed uno di questi è senz’altro il mancato confronto con la propria identità, altrimenti definito “odio di sé”. Speculare a questo è, a mio modo di vedere, il non tenere conto dell’inevitabile differenza fra l’ebraismo della diaspora e quello israeliano, sebbene legati da una stessa responsabilità e da un comune destino. Sintomo di questa attitudine è applicare agli eventi del proprio Paese categorie mediorentiali, come sovente avvenuto in questi ultimi anni nei confronti del mondo islamico. Se è vero che gli Stati islamici si sono resi fautori di una campagna antiebraica che si sta estendendo anche a Nazioni con cui si era raggiunto un equilibrio, lo è altrettanto il pericolo di una deriva xenofoba in Europa. A tal proposito mi paiono buoni segnali i risultati elettorali in Danimarca e in Polonia. In questo contesto, non credo saggio strizzare l’occhio in funzione pro-Israele a movimenti dichiaratamente islamofobici, risvegliando il Golem che poi scatenerà la sua furia contro di noi. Le categorie politiche non hanno valore assoluto, rispondono alle contingenze del luogo in cui sorgono; credo che bisogni assumersi l’onere di osservare le strategie utili a scongiurare una deriva antisemita, anche se, in apparenza, possano sembrare contraddittorie col contesto mediorientale. Ma se c’è la contraddizione, ci insegnano i Maestri, ci deve essere l’unità.

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davar
Gilad Shalit - L'emozione degli Italkim
Gilad ShalitUn atteso momento di gioia per la famiglia e per milioni di persone, ma anche una notizia dai forti risvolti politici. La firma dell’accordo per la liberazione di Gilad Shalit racchiude in sé un’articolata rete di riflessioni e possibili conseguenze. Con l’aiuto di Vittorio Dan Segre, Sergio Della Pergola e Sergio Minerbi, noti esponenti della Comunità degli Italkim e collaboratori dei media UCEI, abbiamo cercato di comprendere meglio l’effetto del sempre più plausibile ritorno a casa di Gilad. La felicità per la notizia è evidente ma non si rinuncia alla cautela: troppe volte gli israeliani sono rimasti scottati da grandi annunci finiti in buchi nell’acqua. “La firma dell’accordo è molto importante ma festeggerò quando vedrò Shalit finalmente in Israele” sottolinea Vittorio Dan Segre, diplomatico e firma di primo piano del giornalismo italiano. “E' il risultato di una trattativa durata anni e che forse sarebbe potuta finire prima – dice Sergio Minerbi, professore universitario nonché commentatore per diverse testate israeliane – L’opinione pubblica israeliana era fortemente favorevole all’accordo ed è stato sicuramente un fatto molto positivo per la famiglia Shalit. Dal punto di vista politico, non credo che la situazione andrà in contro a grandi cambiamenti”.
Le preoccupazione israeliana legata all’esito positivo dello scambio dei prigionieri è così sintetizzata dal professore Sergio Della Pergola, docente di Demografia all’Università di Gerusalemme, che commenta: “Dobbiamo ricordare che Netanyahu ha raggiunto un accordo con Hamas, un organizzazione terroristica, non stiamo parlando della Svizzera”. Poi una riflessione sul risvolto politico della notizia. “Siamo di fronte a un legame triangolare – afferma Della Pergola – i protagonisti sono Israele, Hamas e Abu Mazen con l’importante ruolo dell’Egitto: Israele pagherà un prezzo molto alto per riottenere Shalit e l’impegno sarà quello di rinforzare la sicurezza e il controllo a fronte della liberazione dei detenuti palestinesi; Hamas, che detesta Abu Mazen, ha ottenuto una vittoria politica importante e cercherà di rafforzare la sua leadership; infine Abu Mazen, che ha tirato la corda in queste settimane con la questione del riconoscimento all’Onu di uno Stato palestinese, dovrà far fronte al ritorno di Hamas”. Una situazione già vista, riflette Della Pergola, ma con la relativa novità del ruolo egiziano. Dopo mesi di instabilità politica, Il Cairo torna infatti a far valere la sua voce nella questione israelo-palestinese e incassa un risultato positivo. “La negoziazione egiziana è stata sicuramente importante – afferma Dan Segre 
  ma non so quanto inciderà sui rapporti tra Egitto e Israele; bisogna aspettare le prossime elezioni per avere un’idea più chiara”. E sulla situazione tra israeliani e palestinesi, ricorda amaramente, “tutto cambia per non cambiare nulla”. Concetto che Minerbi esprime in francese, “plus ça change plus c'est la même chose”.
Della Pergola come Minerbi, sottolinea infine come il raggiungimento dell’accordo sia da collegare al cambiamento dei vertici dello Shin Bet e del Mossad, evento probabilmente determinante per la liberazione di Shalit. I precedenti capi delle due istituzioni legate alla sicurezza di Israele erano infatti fortemente contrari alla scambio di prigionieri. Con il nuovo corso, le carte in tavola sono cambiate assieme ai giocatori e il fatidico accordo è stato siglato. “Basta guardare chi era vicino a Netanyahu al momento della dichiarazione ai media dell’attesa notizia" afferma Minerbi. "Al suo fianco, e non può essere un caso, c’era il capo dello Shin Bet, Yoram Cohen”.

Daniel Reichel


Gilad Shalit - Duemila giorni di attesa e speranza
Gilad ShalitCinque anni e mezzo di prigionia, oltre un quinto della sua giovane vita. Questo il prezzo che Gilad Shalit, soldato israeliano tenuto ostaggio da quasi duemila giorni nella Striscia di Gaza, ha dovuto finora pagare alla guerra del terrore e del disprezzo della vita umana condotta dai terroristi di Hamas. In attesa della sua prossima liberazione, annunciata ieri sia da fonti governative israeliane che da dirigenti palestinesi, ripercorriamo alcune tra le tappe più significative di questa lunga e drammatica vicenda che sta tenendo col fiato sospeso il mondo intero.
2006
25 giugno
Militanti di Hamas lanciano un attacco in territorio israeliano dalla Striscia di Gaza uccidendo due soldati e catturando Gilad Shalit.
28 giugno
Truppe israeliane invadono la Striscia.
15 settembre
Una lettera scritta da Gilad raggiunge la sua famiglia attraverso mediatori egiziani.
26 novembre
Viene annunciato il coprifuoco a Gaza.
2007
14 giugno
Hamas prende possesso della Striscia di Gaza al termine di violentissimi scontri con i militanti di Abu Mazen. La faida interna palestinese lascia sul campo oltre cento morti e migliaia di feriti.
25 giugno
La tv israeliana trasmette un nastro audio registrato dai rapitori di Shalit in cui chiedono cure mediche e infine il rilascio dei palestinesi catturati.
26 dicembre
Alcuni alti dirigenti di Hamas annunciano che Shalit non sarà liberato fino a quando Israele scarcererà a sua volta 1400 prigionieri palestinesi, alcuni dei quali condannati a lunghe pene detentive.
2008
14 aprile
I leader di Hamas propongono una tregua di sei mesi a Israele precisando però che la vicenda Shalit dovrà essere trattata separatamente.
9 giugno
La televisione israeliana annuncia che i genitori di Gilad hanno ricevuto una lettera scritta di proprio pugno dal figlio.
25 settembre
Hamas respinge al mittente, ritenendola insufficiente, la lista di prigionieri che Israele è pronto a liberare in cambio di Shalit.
19 dicembre
Termine senza ulteriori procrastinazioni la tregua tra Hamas e Israele.
27 dicembre
Inizia l’operazione militare Piombo fuso sulla Striscia di Gaza. Alla fine delle ostilità si conteranno centinaia di morti e migliaia di feriti.
2009
18 gennaio
Nuovo cessate il fuoco tra Hamas e Israele.
30 settembre
Hamas e Israele raggiungono un nuovo accordo: 20 donne palestinesi incarcerate verranno rilasciate in cambio di una prova inconfutabile che Shalit è ancora vivo. Il 2 ottobre verrà diffuso da Hamas un video che ritrae Gilad, provato dalla lunga prigionia ma in buona salute.
2010
27 giugno
I genitori di Gilad iniziano una marcia di 12 giorni che li porterà dalla loro casa nel nord del paese fino alla residenza del primo ministro Netanyahu a Gerusalemme. Là si accamperanno (e sono tuttora accampati) per sensibilizzare l'opinione pubblica internazionale e fare pressioni sul governo israeliano nel merito della vicenda del rapimento del figlio.
2011
9 aprile
Forze militari israeliane annunciano che Tayser Abu Snima, uno dei leader di Hamas ucciso poche ore prima durante un raid, era “direttamente” e “fisicamente” coinvolto nella cattura di Shalit.
23 giugno
Il Comitato Internazionale della Croce Rossa contatta Hamas chiedendo di avere una prova che Gilad sia ancora vivo.
11 ottobre
Israele e Hamas raggiungono un accordo per la liberazione di Gilad in cambio della scarcerazione di oltre un migliaio di prigionieri palestinesi.

a.s


pilpul
Il lavoro dei banalizzatori 
Francesco LucreziIn un saggio di recente pubblicazione (L’ardore, Milano 2010), in cui vengono formulate alcune considerazioni sul gesto degli attentatori delle Torri gemelle (paragonato al rito sacrificale della ‘devotio’ romana, che vedeva un condottiero militare ‘consacrarsi’ agli dèi, e andare incontro alla morte, per salvare il proprio esercito: accostamento, in realtà, assai discutibile, rappresentando la ‘devotio’ un valoroso esempio di virtù militare, mentre quello dell’11 settembre costituisce solo un vile e ignobile crimine verso      civili inermi e innocenti), Roberto Calasso formula alcune interessanti (quantunque, ancora, alquanto opinabili) considerazioni riguardo alla scelta, nel dopoguerra, del termine ‘Olocausto’ per indicare lo sterminio degli ebrei. Tale parola, nota Calasso, richiamava i riti sacrificali effettuati, in passato, nell’antico Israele, e così “lo sterminio di sei milioni di ebrei per opera dei nazisti veniva designato con il termine che indicava certe cerimonie sacre, celebrate fin dai tempi di Noè dagli antenati degli uccisi”. La scelta, naturalmente, fu assai infelice, ma, continua Calasso, “anche se qualcuno osservò che si stava compiendo una enormità, non venne ascoltato e la forza dell’uso impose la parola nelle varie lingue europee… Eppure, nella scelta inappropriata e stridente della parola ‘Olocausto’…operava una mano invisibile, che non era solo la mano dell’ignoranza. In quella parola si accennava a qualcosa che oscuramente si stava profilando. La guerra aveva soppiantato il sacrificio, ma il sacrifico era sulpunto di soppiantare la guerra. Lo stermino degli ebrei, nelle sue procedure, era stato qualcosa di intermedio tra il mattatoio e la bonifica. E avrebbe avuto luogo in tempo di pace, come una gigantesca  operazione di smaltimento di rifiuti. Perciò i termini militari non si attagliavano più. Perciò veniva spontaneo, orribilmente spontaneo, ricadere nella terminologia del sacrificio”.
Il punto sollevato meriterebbe una lunga discussione, che non è il caso di fare in questa sede. E' senz’altro vero che la singolare scelta della parola ‘Olocausto’ nacque, soprattutto, dall’esigenza di adoperare un termine ‘nuovo’ e ‘ad hoc’, adatto all’assoluta novità ed enormità di quanto era successo, ed estraneo alle consuete categorie adoperate per le ‘normali’ violenze della guerra. Ma non è vero che ciò che era accaduto potesse, in qualsiasi modo (sia pure secondo la logica perversa del ‘mattatoio’ e della ‘bonifica’) richiamare l’idea del sacrificio, che restava in ogni caso, e secondo ogni ottica, quantunque deformata, del tutto lontana dalla realtà del genocidio. Non va dimenticato, soprattutto, che la parola fu adoperata, dapprima, negli Stati Uniti, e fu importata in Europa proprio per il suo carattere apparentemente ‘esotico’ e ‘arcano’. In Europa, anche quando si narravano le vicende dell’antico Israele, non si adoperava spesso la parola ‘olocausto’, cosicché il significante (oscuramente suggestivo ed evocativo) appariva, per così dire, ‘libero’, disponibile per un nuovo significato. La nuova coppia significante-significato prese rapidamente piede, tanto che oggi la parola ‘Olocausto’ indica, pressoché esclusivamente, lo stermino, e non più il sacrifico rituale (atto per il quale, all’occorrenza, si preferisce usare differenti espressioni). Ma, come è fatale che accada, il termine, coniato per indicare qualcosa di unico, terribile e irripetibile, e considerato efficace per tale scopo specifico, è stato rapidamente ‘rubato’ per altre, molteplici funzioni: e si sono così moltiplicati gli ‘olocausti’ di popoli e soggetti vari, sottoposti ad angherie e persecuzioni di diverso tipo e di varia gravità. La parola, scelta per la sua ‘unicità’, si è andata quindi gradualmente inflazionando e banalizzando, tanto da perdere, in buona parte, il suo carattere  solenne e ‘sacrale’. Si è reso necessario, così, l’uso di un altro termine, e la scelta è caduta sulla parola ebraica ‘Shoah’, annientamento – decisamente più appropriata di Olocausto -, che, com’è noto, ha incontrato un largo e rapido successo, andando praticamente a sostituire, pressoché ovunque in Europa – non in America, dove resiste ‘Holocaust’ 
il vocabolo precedente.
Ma il tarlo della banalizzazione, si sa, non si arresta mai, così come il lavoro dei banalizzatori. È recente, per esempio, il grido di dolore di un noto politico italiano, innanzi allo scempio della situazione carceraria italiana, nella quale si anniderebbero “pezzi di Shoah”. Prima o poi, forse, occorrerà un’altra parola.

Francesco Lucrezi, storico

notizieflash   rassegna stampa
Jacob Frank, studiosi a confronto
  Leggi la rassegna

Un incontro denso di nuove prospettive di ricerca ha avuto luogo nella sede del Centro Bibliografico Ucei, organizzato dal Centro di Cultura Ebraica, dalla Rassegna Mensile di Israel e dal Centro romano di Studi sull’Ebraismo dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”.
L’occasione è stata la pubblicazione del libro The mixed Moltitude. Jacob Frank and the Frankist movement, 1755-1816 di Pawel Maciejko, docente presso l’Università Ebraica di Gerusalemme. (...)

Maria Cristina Bonanni
continua >>

 
La notizia del giorno è l’accordo raggiunto fra Israele e Hamas per la liberazione di Gilad Shalit, esattamente 1924 giorni dopo il suo sequestro in territorio israeliano. Il soldato israeliano sarà rilasciato dai suoi rapitori in cambio di 1024 prigionieri arabi detenuti in Israele. (Per la notizia, si può leggere Battistini sul Corriere, ma meglio ancora il Jerusalem Post). L’accordo è molto dettagliato: un terzo di questi detenuti scontano ergastoli (...)


Ugo Volli












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