Nei giardini
vaticani da oggi si erge un albero simbolo dell'amicizia e del dialogo
tra Israele e la Santa Sede. Questa mattina, infatti, è stata celebrata
la messa a dimora dell'ultracentenario ulivo, donato a papa Benedetto
XVI dal governo israeliano e dal Keren Kayemeth LeIsrael, la più antica
organizzazione ecologista del mondo. Un gesto che testimonia il legame
fra i due Stati, impegnati da anni in un complesso percorso di dialogo.
Il mastodontico ulivo, due metri di larghezza e quattro in altezza, era
stato promesso dal premier israeliano Benjamin Netanyahu a
Benedetto XVI durante la sua ultima visita in Vaticano. E così questa
mattina l'albero di quattro cento anni, proveniente dalle colline di
Nazareth, ha trovato posto nel Viale degli Ulivi dei giardini vaticani
davanti allo sguardo partecipe dell'ambasciatore israeliano presso la
Santa Sede Mordechay Lewy, del presidente mondiale del KKL, Efi
Stenzler e del presidente del KKL Italia Onlus, Raffaele Sassun e delle
alte istituzioni vaticane.
Per l'occasione l'ambasciatore Lewy ha pronunciato il seguente discorso:
Cari Amici,
permettetemi
innanzitutto di ringraziare il Santo Padre per aver dato
il suo cortese consenso a piantare, nel suo giardino, un albero di
ulivo proveniente da Israele. Così facendo, Sua Santità ha permesso al
primo ministro Netanyahu di esprimere un gesto di apprezzamento e di
amicizia. Ciò è stato reso possibile grazie alla collaborazione tra il
Governatorato e tutte le sue agenzie e alla capace e fattiva assistenza
del KKL. Il Keren Kayemet Leisrael ha fatto da tramite per realizzare
il desiderio del premier Netanyahu che ci ha condotti qui, oggi, nel
piccolo acro di Dio, il giardino del papa sulle colline vaticane.
Piantare un
albero è sempre stato, in Israele, un simbolo di nuova
vita. Quando nasce un bambino, piantiamo un albero. Quando gli incendi
li bruciano, noi ripiantiamo immediatamente. Persino dopo la scomparsa
di una persona cara, questa viene commemorata con un albero,
permettendo alla sua memoria di continuare a vivere.
Nel 2009,
prima di lasciare la Terra Santa, Sua Santità, papa Benedetto
XVI, ha rinnovato l’importante simbolismo con la messa a dimora di un
albero di ulivo nel giardino presidenziale a Gerusalemme, insieme al
presidente Shimon Peres. Egli ci ha ricordato che l’albero di ulivo è
l’immagine che San Paolo ha utilizzato per descrivere la relazione tra
i cristiani e gli ebrei: come il cristianesimo sia un ramo di ulivo
innestato nell’albero coltivato rappresentato dall’ebraismo (Lettera ai
Romani, 11:17-24).
La
coltivazione degli ulivi risale a cinquemila anni fa, diffondendosi
dalla Terra Santa attraverso il Mediterraneo e oltre. Ogni albero può
vivere fino a duemila anni, attraversando non solo generazioni e regni,
ma la storia degli esseri umani così come la intendiamo. La nostra
storia comune inizia con il racconto di Noè per il quale il ramo di
ulivo fu il segno che le inondazioni erano diminuite e che la terra
poteva tornare ad essere popolata. L’ingresso al Tempio di Salomone fu
creato attraverso due porte in legno di ulivo. Può essere significativo
che mentre noi piantiamo un albero di ulivo qui, il Santo Padre domani
ad Assisi farà un appello congiunto a tutti i credenti per promuovere
la pace sulla terra.
Noi
piantiamo per sanare, guarire, abbellire, apprezzare. L’albero di
ulivo davanti a noi ha probabilmente 400 anni di età. Si è fatto strada
da Israele alla sua nuova casa qui nei giardini vaticani, in un luogo
significativo quale il Viale degli Ulivi. È un dono a Sua Santità da
parte del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, a nome della
nazione ebraica. È un segno dell’amicizia tra i nostri Stati e
dell’aspirazione alla promozione della pace e alla fratellanza tra i
popoli e le religioni.
Che
quest’albero possa crescere così come l’amicizia tra di noi possa
prosperare.
|
|
Sono
stati momenti di sincera commozione quelli che ha vissuto la Comunità
ebraica di Milano nel giorno della liberazione di Gilad Shalit.
L'Assessorato ai Giovani ha invitato tutta la comunità nell'Aula Magna
della Scuola ebraica per assistere alla diretta da Israele del ritorno
a casa del giovane soldato di Zahal.
Alle ore 18 in punto è
iniziato il collegamento con la tv israeliana; dopo pochi minuti il
padre di Gilad, Noam Shalit, usciva dalla propria casa per parlare ai
giornalisti e al grande pubblico che si era radunato fin dalle prime
ore del mattino per accogliere calorosamente il figlio. Noam appariva
felice e raggiante, ma nello stesso tempo stanco e provato dalla lunga
giornata passata ad aspettare e contare i minuti del tanto atteso
incontro.
Noam ha portato a tutti i saluti di Gilad, che ancora
non se la sentiva di apparire in pubblico data la stanchezza e
debolezza provate, ha ringraziato tutti coloro i quali hanno lottato
per la liberazione del figlio e hanno sostenuto la famiglia anche nei
momenti più difficili. Ha poi ringraziato lo Stato di Israele e
Benyamin Netanyahu per il grande impegno nella difficile trattativa
con Hamas.
Subito dopo il discorso di Noam Shalit, il presidente
della Comunità Roberto Jarach ha espresso la propria gioia per
l'importante evento, poi i rappresentanti delle varie associazioni
ebraiche a Milano (Adei Wizo, Keren Kayemet, Keren Hayesod, Bnei Berit,
Amici di Israele) e i ragazzi dei due movimenti giovanili Bnei Akiva e
Hashomer Hatzair hanno espresso la propria gioia e solidarietà con la
famiglia Shalit e con Israele.
Lo shaliach del Bnei Akiva, Yair
Danzig, ha proiettato un filmato sulla ricostruzione della dinamica del
rapimento di Shalit, mostrando le interviste degli altri soldati
coinvolti nell'agguato terroristico. Il vice presidente della comunità
Daniele Nahum ha concluso la serata accennando al tentativo
del gruppo consiliare della Lega nord di fare approvare al Consiglio
della Regione Lombardia una mozione contro la macellazione kasher e
quella islamica (halal). La serata si è conclusa con un brindisi in
onore di Gilad Shalit.
Sylvia
Sabbadini
|
Qui Roma
- Luca
Zevi: "Conservare l'avvenire"
|
|
Quale rapporto tra
salvaguardia e progetto? In quale caso scegliere la conservazione e in
quale invece propendere per il rinnovamento? Domande centrali nelle
politiche di urbanistica a cui Luca Zevi, progettista e professore
universitario, ha provato a dare una risposta nel suo libro di recente
uscita Conservazione dell’avvenire, volume che passa in rassegna lo
stato delle nostre città e che individua nell’esperienza storica
ebraica, nel rapporto intenso ma non feticistico col passato di questa
identità, un importante modello di riferimento cui tendere per
costruire città più accoglienti e inclusive. Molti gli spunti, molte le
riflessioni suscitate dalla lettura del testo. Di questo e di altro
ancora si è discusso ieri nella sede della provincia di Roma nel corso
di un intenso incontro al quale erano invitati a portare un contributo,
oltre all’autore, anche l’ex sindaco di Roma Walter Veltroni, il
rabbino capo Riccardo Di Segni, il filosofo Giacomo Marramao e il
giornalista Marino Sinibaldi. Tra i vari argomenti affrontati, spesso
declinati in modo significativamente ebraico, il valore della Memoria e
la sua perpetrazione attraverso le strutture architettoniche. Luca
Zevi, progettista del nascituro museo della Shoah, si è soffermato su
alcuni tra gli edifici più significativi dedicati alla Memoria nel
mondo analizzando, attraverso una comparazione con questi, punti
critici e sfide da cogliere che si presentano oggi all’ebraismo
italiano.
a.s.
|
|
Qui
Casale - La Torah in rima
|
|
“La rima baciata è il miele
con cui somministrare la medicina, la forma che rende il messaggio
biblico più appetibile per il grande pubblico”. In rima, Massimo Foa ha
tradotto la Torah; ha raccontato sentimenti e delicate esperienze
personali. Dietro a quel sapore velatamente ironico e a tratti
infantile, si cela un espediente letterario suggestivo e coinvolgente.
E Foa ne ha sfruttato la sfrontatezza per mettere in rima niente meno
che la Torah, “il Libro per antonomasia, il fondamento di quel
monoteismo che costituisce la base della civiltà occidentale”,
ricordava l’autore in un’intervista al Portale dell’ebraismo italiano.
Questa originale opera di traduzione del Pentateuco, pubblicata a casa
editrice torinese Accademia vis vitalis, è stata presentata domenica
scorsa nella splendida cornice della sinagoga di Casale Monferrato.
Assieme all’autore hanno partecipato all’incontro Claudia De Benedetti,
vicepresidente UCEI, la professoressa Elisabetta Massera e l’attrice
Lucia Carrer perché, come scrive l’ebraista Giulio Busi su Il Sole 24
Ore “le quartine di Foa si possono leggere in silenzio, ma meglio
sarebbe recitarle a voce”. Alla difficoltà del testo classico della
Torah, fa così posto una versione più scorrevole, ritmica e,
prerogativa della rima, facilmente memorizzabile; rimane ferma la
fedeltà alla scrittura originale. Così suona in Foa l’annuncio ad
Abramo della nascita di Isacco: «Anche da Sara tu un figlio avrai /
Abramo chinò la faccia e rise un sacco. / Sara partorirà davvero,
vedrai / e poiché hai riso, lo chiamerai Isacco».
Un sorriso diverso è quello che si disegna sul volto di chi conosce la
storia di Massimo Foa, nato a Cuorgnè (cittadina piemontese nei pressi
della valle dell’Orco) ricordata durante l’appuntamento
monferrino da Elisabetta Massera. Un sorriso melanconico per un passato
di sofferenza, di crudeltà, di eroismo. Una ferita unica, privata ma
allo stesso condivisa da milioni di ebrei durante l’oscurità della
Shoah. Nubi in cui si intravede il raggio di speranza e solidarietà,
simbolo di chi nonostante tutto, decise di mettere a rischio la propria
vita per salvare quella degli altri. Per Israele, queste persone sono i
Giusti tra le nazioni di Yad Vashem, ricordati simbolicamente nel
Giardino di Gerusalemme con un albero. E fra i giusti italiani c’è
anche Mamma Tilde che salvò il piccolo Massimo Foa dalla deportazione e
dalla morte nelle camere a gas di Auschwitz-Birkenau.
Il 9 agosto 1944 Donato Foa, nato a Casale Monferrato nel 1876, il
figlio ventiquattrenne Guido e la nuora Elena Recanati, di ventidue
anni, vengono arrestati a Canischio, a pochi chilometri da Cuorgnè. Con
loro Massimo, il figlio, neppure un anno di vita. I fascisti gli hanno
scovati e catturati tutti, a tradirli una delazione. Nessun rifugio è
mai sicuro di fronte alla crudeltà umana. “Donato, imprenditore
metallurgico, Guido, Elena e il piccolo Massimo sono detenuti per 24
ore nella caserma Pinelli di Cuorgnè – racconta la professoressa
Massera - il 10 agosto gli arrestati, caricati su un camion, sono
tradotti alle Carceri Nuove di Torino. Prima della partenza Cecilia
Genisio, staffetta partigiana e amica di famiglia, riesce a far
pervenire ad Elena una bottiglia di latte, piccolo gesto di solidarietà
tanto rischioso”. Donato e Guido vengono separati da Elena e il piccolo
Massimo. La tragedia della deportazione è imminente, nella paura si fa
largo la disperazione.
Per Massimo, però, la strada sta per cambiare direzione; il coraggio e
la solidarietà di due donne strappano il piccolo da un destino segnato.
Suor Giuseppina, religiosa in servizio presso il braccio femminile
delle Carceri Nuove, riesce a nascondere il bambino tra la biancheria
sporca delle detenute, che è affidata a lavandaie esterne. “Una di
queste – racconta Massera - è Clotilde Roda Boggio, vedova di Cuorgnè,
che non ha un attimo di esitazione , prende con sé il piccolo Massimo,
e lo ospita nella sua modesta casa , consapevole del rischio mortale
che affronta. Mamma Tilde ha tre figli poco più che adolescenti,
Domenico, Renzo e Antonietta ; i due ragazzi sono partigiani , militano
nella VI Brigata Alpina “Giustizia e Libertà”. Mamma Tilde ai curiosi
racconta che il piccolo è figlio di uno dei figli, deportato in
Germania”. Nonostante gi stenti, la durezza della guerra, Tilde e la
famiglia Boggio si prendono cura di Massimo. Intanto il nonno, il padre
e la madre vengono inviati al campo di transito di Bolzano. E’ il 27
agosto del 1944. Due mesi dopo, il 24 ottobre, la famiglia Foa viene
deportata ad Auschwitz. All’arrivo Donato viene ucciso. Del figlio
Guido si perdono le tracce, partito da Auschwitz per una destinazione
ignota. Bergen Belsen, Braunschweig, Ravensbruk, è il terribile
percorso di Elena, l’unica che riuscirà a fare ritorno in Italia
nell’ottobre del 1945. “Ai primi di maggio del 1945 finalmente anche a
Cuorgnè si celebra la festa della Liberazione dal Nazifascismo con una
grande sfilata di Partigiani – continua Massera, presidente
dell’Associazione Canavesana per i Valori della Resistenza - Mamma
Tilde , in prima fila con Massimo in braccio, assiste felice e chissà
quanto orgogliosa alla sfilata , tra i quali sono Domenico e Renzo,
sani e salvi. Oggi un albero, simbolo ebraico della vita che affonda le
sue radici nella Terra che ci ospita e protende i rami verso il Cielo,
ricorda Tilde Roda Boggio nel viale dei Giusti di Yad Vashem a
Gerusalemme, e soprattutto Massimo può raccontare la favola vera della
solidarietà ai suoi figli e nipoti”.
Daniel Reichel
|
|
|
torna su ˄
|
|
|
Faziosità |
|
Fra i vari commenti sullo
scambio tra Shalit e i detenuti palestinesi, spicca, come autentico
monumento di faziosità, l’articolo di Lucio Caracciolo apparso su la
Repubblica di mercoledì 19 ottobre. Proverò a riassumerlo, anche se
meriterebbe di essere riportato riga per riga.
Dunque: come affermato da un responsabile dei servizi segreti
israeliani, il baratto “rafforza Hamas e indebolisce Fatah”. Da questo
dato (assolutamente ovvio, che capirebbe anche un bambino), Caracciolo
deduce l’esistenza di un vero e proprio ‘patto’, assolutamente solido e
perfettamente funzionante, tra Israele e Hamas. E, tra le righe di
questo patto, si possono leggere tre dati essenziali.
Primo: se Israele “concede al nemico 1027 probabili futuri combattenti
in cambio di un proprio sottufficiale, vuol dire che si sente
terribilmente più robusto”. Ed è proprio questa convinzione alla base
dell’impasse negoziale tra Israele e palestinesi, perché Netanyahu non
ha alcun interesse a impegnarsi su un fronte che “non considera né
strategico né pericoloso”. Per lui, non c’è alcun bisogno di “risolvere
la questione palestinese, che di fatto non esiste. Lo status quo va
bene”.
Secondo: Hamas “è il miglior nemico possibile per Netanyahu”, tanto è
vero che “è stata incentivata da Gerusalemme fin dagli anni Settanta”,
per “costruire un contrappeso islamista al nazionalismo di Arafat,
allora assai più minaccioso. Dividere i palestinesi per controllarli
meglio”.
Terzo: la scelta dei tempi dello scambio è stata oculatamente
calcolata, perché lo scenario complessivo del mondo arabo mostra un
rapido deteriorarsi della situazione, sicché domani “non ci sarà più
spazio per trattare, neanche sottobanco. Semmai riparleranno le armi”.
E infatti, “alcuni analisti israeliani [la solita “prova del nove”!
n.d.r.] considerano la mossa di Netanyahu come propedeutica alla guerra
preventiva contro l’Iran”… Da tempo Gerusalemme lavora ai dettagli di
un attacco ai siti nucleari iraniani. La maggioranza dell’establishment
militare israeliano lo considera una follia. Netanyahu
no”.
Il senso generale del discorso, e l’insegnamento di fondo che se ne
trae, è che Israele può soltanto essere ammirato e invidiato, per la
sua straordinaria potenza e fortuna. Protagonista assoluto del
territorio, fa il bello e il cattivo tempo, con chiunque. È vero che ha
molti nemici, ma non gli fanno un baffo, e si diverte a giocare con
loro come il gatto col topo. Preferisce, ovviamente, i nemici “duri e
puri”, che gli permettono di non smuoversi dalla sua logica
esclusivamente militaresca, per cui umilia ed emargina (“tamquam non
essent”) gli avversari ‘molli’, come Fatah, mentre coccola e blandisce,
con occasionali regalini (tipo i 1027 liberati), quelli degni di
considerazione (come Hamas). Periodicamente, è vero, diversi civili
israeliani ci rimettono la vita, o lasciano per terra qualche gamba o
qualche braccio, sotto i missili di Gaza, i bambini vengono bersagliati
mentre vanno a scuola, e può anche capitare che un ragazzo resti
sequestrato sottoterra per cinque anni e mezzo, ma queste piccolezze
potranno magari turbare le anime delicate dei piccolo-borghesi, non
certo i rudi politici-guerrieri di Gerusalemme. Perché, oltretutto,
oltre che potente, Israele è anche fortunato, e tutto, alla fine, torna
a suo vantaggio. Come il sequestro di Shalit, che ha permesso di
cogliere addirittura tre piccioni con una sola fava: fare un dispetto
al disprezzato Abu Mazen, premiare l’alleato di ferro Hamas, preparare
l’opinione pubblica alla prossima guerra contro l’Iran (che
Netanyahu - come rivelano gli “analisti israeliani” -,
fregandosi le mani, si prepara a scatenare, già pregustando l’ennesimo
successo, alla faccia dei pavidi e titubanti generali). E chi pensa che
possa esserci, come “quarto piccione”, il piacere di avere riportato
Shalit a casa, è solo un sentimentalone da libro Cuore, che non capisce
un tubo di politica, e soprattutto di politica israeliana.
Che dire? Protocolli dei savi anziani di Sion, seconda edizione
riveduta e aggiornata. Complimenti.
Francesco
Lucrezi, storico
|
|
notizieflash |
|
rassegna
stampa |
Qui
Torino - Memorie di pietra
|
|
Leggi la rassegna |
Scorci di Trieste nella Comunità ebraica di Torino. La mostra “Memorie
di Pietra. Trieste, la città ebraica e il piccone risanatore” è stata
presentata ieri nel centro sociale della comunità torinese dal
consigliere della Comunità di Trieste Mauro Tabor, assessore alla
cultura.
Tommaso De Pas
|
|
I
giornali radio di questa mattina hanno diffuso la notizia che la
Turchia, dopo il disastroso terremoto di domenica, ha finalmente
accettato di aprire le proprie frontiere agli aiuti offerti “da una
trentina di stati, tra i quali Israele”; (...)
Emanuel
Segre Amar
|
|
|
torna su ˄
|
|
è il giornale dell'ebraismo
italiano |
|
|
|
|
Dafdaf
è il giornale ebraico per bambini |
|
L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
che fossero interessati a offrire un
proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it
Avete ricevuto questo
messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare
con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete
comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it
indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI -
Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo
aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione
informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale
di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.
|
|
|