se non
visualizzi correttamente questo messaggio, fai click qui
|
28 ottobre 2011 -30 Tishri 5772 |
|
|
|
|
|
Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano
|
La
parashà di Nòach comincia con queste parole. "Questa è la discendenza
di Nòach, Nòach era un uomo giusto...". Invece di mettere il nome dei
figli dopo le parole "Questa è la discendenza di Nòach", la Torà
continua a parlare di Nòach. Shimshon Refael Hirsch afferma che la Torà
ci vuole insegnare che il primo figlio di una persona è la persona
stessa. Spesso ci preoccupiamo di quale sarà il futuro ebraico dei
nostri figli ma per poter preparare questo futuro è necessario
innanzitutto occuparsi di se stessi. Non è possibile caricare sulle
generazioni future un impegno che non assumiamo in prima persona.
|
|
Laura
Quercioli Mincer, slavista
|
|
Nei racconti dei chassidim
tramandatici da Martin Buber e da Shemuel Agnon gli incontri con gli
animali non sono molto numerosi, ma hanno tutti una pregnanza
particolare. Rabbi Sussja di Hanipol libera gli uccelli chiusi in
gabbia, considera questo compito altrettanto meritevole di quello di
riscattare dal carcere i prigionieri ebrei, ed è disposto a venir
crudelmente picchiato pur di poterlo realizzare. Schneur Zalman di
Liady (il Rav) degli uccelli ben capisce il linguaggio e ne ammira la
varietà di suoni e di emozioni. Quando, all’avvicinarsi dello Shabbat,
il Baal Shem Tov si presenta in un campo aperto, le pecore si alzano
sulle zampe posteriori come volessero pregare.
|
|
torna su ˄
|
|
Qui Lucca - Pagine Ebraiche, il fumetto e l’identità
|
I
segreti degli eroi e i segni dell’identità. Questo il titolo del
dossier speciale che il numero di Pagine Ebraiche di novembre in
distribuzione dedica al fumetto e all’identità ebraica. Nove pagine
ricche di spunti e anticipazioni inedite che sono state presentate
questa mattina in occasione della giornata inaugurale di Lucca Comics
& Games, tra i massimi appuntamenti internazionali dedicati
all’illustrazione, al fumetto e al fantasy. L’incontro odierno, cui
hanno partecipato tra gli altri, oltre al coordinatore del Dipartimento
Informazione e Cultura UCEI Guido Vitale, i disegnatori Vittorio
Giardino, Sarah Glidden e Giorgio Albertini, l’editore di Morasha David
Piazza e la coordinatrice del giornale ebraico per bambini Ada Treves,
è stata l’occasione per analizzare sotto varie sfaccettature il
singolare rapporto tra ebraismo e fumetto soffermandosi su alcune
tematiche salienti sollevate nelle pagine del dossier. Un lavoro ampio
e articolato in cui si annuncia tra gli altri il ritorno sulla scena
dello stesso Vittorio Giardino, grande firma del fumetto d’autore, a
Lucca per presentare due lavori –No Pasaran e L’Avventuriero
prudente– in cui tornano alla ribalta eroi ebrei amatissimi come Max
Fridman e Jonas Fink. Personaggi memorabili attraverso le cui
esperienze moltissimi lettori nel mondo hanno imparato a conoscere le
vicende straordinarie degli ebrei d’Europa.
Adam Smulevich
|
|
Formazione e decentramento - Rav Roberto Della Rocca: “Una sfida coraggiosa per rinnovare le Comunità”
|
Il
progetto di formazione che s’inaugura domenica 30 ottobre è la prima
grande iniziativa del Centro studi e formazione. Un debutto ambizioso,
che punta a coinvolgere un pubblico nuovo su temi molto attuali ma
inconsueti per il mondo ebraico: una “prima grande scommessa”, come la
definisce rav Roberto Della Rocca, direttore del dipartimento
Educazione e Cultura (Dec) dell’UCEI, che ha fortemente voluto
l’iniziativa. “Si tratta di un progetto – spiega – che si propone
di cambiare una certa mentalità nella leadership. È dunque una sfida
coraggiosa e innovativa in un contesto come quello dell’ebraismo
italiano, tendenzialmente conservatore e molto istituzionalizzato,
ripetitivo e per tanti versi prevedibile”. Rav Della Rocca, da quali esigenze è nato il progetto? Le
Comunità sono cambiate ed è cambiato molto il modo di rapportarsi
all’esterno, di porsi e di comunicare. Vi è dunque l’esigenza primaria
di professionalizzare maggiormente i leader e gli operatori attraverso
una proposta ricca di contenuti, ebraici e non solo. Bisogna
attrezzarsi alle nuove sfide della società. Si deve coniugare il nostro
aspetto più tradizionale con l’innovazione e per questo c’è bisogno di
professionisti esterni, che non siano troppo coinvolti personalmente
con i nostri vissuti quotidiani e con un occhio più critico possano
indicarci e valorizzare le grandi potenzialità e risorse che
contraddistinguono il mondo ebraico. Si tratta in qualche modo di bilanciare il passato e il futuro. L’ebraismo
italiano ha in sé tante potenzialità ma per certi aspetti manca di
intraprendenza e di fantasia alla base. Si deve trovare invece il
coraggio di rischiare e di capire, insieme. Attraverso il confronto e
la dialettica costruttiva si possono individuare quali sono oggi le
necessità comunitarie, le priorità: senza fughe avanti o troppe
rievocazioni gloriose del passato. Questo compito spetta alla
leadership che a questo scopo deve essere formata e preparata. Finora non vi era alcuna forma esplicita di preparazione: i leader apprendevano dal modello di chi li aveva preceduti. Per
l’Italia ebraica questo corso è una novità assoluta che proprio per
questo è al tempo stesso molto suggestiva e rischiosa. Bisognerà
valutare quale sarà la risposta delle leadership, quanto si lascerà
coinvolgere e si metterà in gioco. Nel definire il programma di studi vi siete rifatti a esperienze analoghe? Abbiamo
analizzato i modelli della formazione della leadership ebraica nel
mondo. Altrove da questo punto di vista si è molto più attrezzati
dell’Italia. Da noi rabbanim, leader e operatori si preparano sul
campo. Ma ciò non basta, ci sono anche delle modalità ormai definite
che possono venire insegnate. Penso ad esempio, dal punto di vista dei
rabbanim, a situazioni molto delicate come il confronto con le coppie
in crisi o famiglie in lutto. Non tutto può basarsi tutto sulla buona
volontà e sulla motivazione del singolo o su una preparazione
esclusivamente teorica. Proporre certe tematiche significa dunque anche mettere in comunicazione l’ebraismo italiano con altri approcci. L’ebraismo
italiano soffre sia di una mancanza comunicazione all’interno sia di
isolamento all’esterno. Sappiamo molto poco di ciò che accade fuori dei
nostri confini. Perfino i messaggi che ci giungono sulla rinascita
dell’antisemitismo in Europa si esauriscono presto. Dobbiamo
intensificare il nostro dialogo con il mondo che ci circonda. E al
tempo stesso si deve lavorare per riscoprire la nostra base di
tradizione, un bisogno molto avvertito nelle nostre Comunità.
Soprattutto dovremmo smetterla di affrontare la gestione della cosa
comunitaria sulla base di priorità esclusivamente amministrative.
Bisogna imparare a ragionare al contrario e adattare queste esigenze
alle priorità culturali e progettuali. Possiamo sintetizzare i contenuti del corso di formazione? Professionalizzazione,
tradizione, basi culturali, comunicazione. La scelta di un corso
itinerante, che percorre l’Italia ebraica, risponde all’esigenza di
decentramento sottolineata dall’ultimo Congresso e dalla necessità di
avvicinare l’UCEI alle realtà meno centrali. Si vuole anche avviare uno
stimolo e offrire alle Comunità una ricaduta e uno spunto verso una
dimensione nuova, più interregionale. La speranza è che il corso
produca un successivo e sistematico scambio di incontri, shabbatonim e
altri momenti di confronto. Perché la scelta di lavorare su gruppi mirati? Il
programma è trasversale perché, attraverso il coinvolgimento di
esperti, propone argomenti comuni alle diverse fasce di leadership,
offrendo a ciascuna il taglio più adeguato. Ci saranno poi dei momenti
in comune tra questi diversi gruppi, per trovare momenti di sintesi in
incontri dialettici comuni. Ad esempio i presidenti potranno esprimere
le loro aspettative ai professionali e viceversa i funzionari delle
Comunità potranno esporre il loro punto di vista ai politici cui sono
affidate le scelte. Spesso nella vita comunitaria c’è una grande
confusione di ruoli per cui professionali si sostituiscono ai politici
e opposto. È invece opportuno che ciascuno trovi una giusta
collocazione. A chiudere vi sono a ogni tappa degli incontri culturali aperti a tutti. Per quale motivi? Ogni
modulo del corso cerca di trovare un momento, di solito di sera, in cui
tutta la Comunità è coinvolta insieme a intellettuali, leader, rabbanim
e operatori. Vogliamo che anche le realtà comunitarie vivano le
ricadute di questa nuova iniziativa. E abbiamo scelto di farlo
attraverso approfondimenti di temi nodali su cui è doveroso
confrontarsi in modo aperto: la Memoria, l’evoluzione culturale, il
risorgere dell’antisemitismo, il rapporto tra etica e politica o le
prospettive delle edot nel mondo ebraico
Daniela Gross, Pagine Ebraiche, novembre 2011
|
|
torna su ˄
|
|
Le contraddizioni dell’ebreo diasporico
|
Sono
appena finite le grandi feste autunnali. Gli ultimi due giorni festivi
sono stati Sheminì Atzèret (l’Ottavo Giorno di Conclusione) e Simchàt
Torah (la Gioia della Torah). Così è nella Golà (diaspora), perché
invece in Israele le feste durano un giorno in meno e Simchat Torah
coincide con Sheminì Atzeret. Nell’antichità l’aggiunta di un giorno di
festa nella diaspora era necessaria per l’impossibilità che gli inviati
del Beth Din (tribunale) centrale di Gerusalemme arrivassero in tempo
in tutti i paesi della Golà ad annunciare il giorno in cui era caduto
Rosh Chodesh (capo-mese), in base al quale si calcolava il giorno della
festa. Dato che il mese lunare, su cui è in parte regolato il
calendario ebraico, può essere di 29 o 30 giorni (il ciclo lunare è di
circa 29 giorni e mezzo, ma il mese non può terminare a metà della
giornata, per ovvi motivi), nel dubbio si aggiungeva nella Golà un
giorno festivo (Yom Tov shenì shel galuyot). Oggi, in cui non c’è
bisogno degli inviati per sapere quando cadono le feste perché da circa
1700 anni il calendario è calcolato in modo preciso, senza incertezze,
si continua comunque a festeggiare nella Golà il giorno aggiuntivo in
ricordo di quello che facevano i nostri Padri. Per questo motivo,
Pesach in Israele dura 7 giorni, di cui il primo e il settimo sono di
festa solenne (Yom Tov), mentre nella Golà dura 8 giorni e sono di
festa solenne i primi due e gli ultimi due. Ugualmente, Shavuot dura in
Israele un giorno e nella Golà due. Sukkot dura in Israele 7 giorni,
dei quali solo il primo è di festa solenne, mentre nela Golà sono due i
giorni di festa solenne. Subito dopo Sukkot viene Sheminì
Atzeret/Simchat Torah, che è una festa autonoma e a sé stante. Qui però
si pone un problema. Sukkot, nella Golà, dovrebbe durare 8 giorni, ma
il giorno aggiuntivo coinciderebbe con Sheminì Atzeret. Come fare? Da
una parte dovremmo mangiare nella sukkà (capanna), recitando l’apposita
berakhà (benedizione), ma d’altra parte non è prevista la mitzvà della
sukkà nel giorno di Sheminì Atzeret. Se in questo giorno si stesse
nella sukkà e si recitasse la berakhà si incorrerebbe nel divieto di
bal tosìf (non aggiungere alle mitzvot della Torah, analogo al divieto
di non togliere, bal tigrà’). È questo un tipico esempio di situazione
intrinsecamente contraddittoria, ciò che la letteratura rabbinica
definisce come Tarte de-satre (due che si contraddicono). La soluzione
proposta da molti rabbini antichi e moderni, fra cui gli autori dello
Shulchan Arukh, è di stare in sukkà senza però recitare l’apposita
berakhà, ma anche questa è una situazione contraddittoria (compiere una
mitzvà senza berakhà). Altri rabbini non accettano questa soluzione e
non reputano necessario stare in sukkà nel giorno di Sheminì Atzeret.
Ma anche così si cade in contraddizione, perché in tutte le altre feste
si aggiunge un giorno e in questo caso no. Altri ancora suggeriscono di
stare in sukkà ma solo di giorno, non la sera iniziale di Sheminì
Atzeret. Altri approfittano di qualsiasi motivo per non dover entrare
in sukkà, ad esempio se fa un leggero freddo (che durante Sukkot non
avrebbe permesso di uscire dalla sukkà). E c’è anche chi consuma metà
pasto dentro la sukkà e metà fuori. Qualsiasi soluzione, però, ha in sé
qualcosa di contraddittorio. Solo vivendo in Israele si riuscirebbe a
festeggiare Sheminì Atzeret in modo semplice e lineare. Questa
discussione può apparire a molti eccessivamente tecnica, ma è in realtà
emblematica della condizione degli ebrei diasporici, che è essa stessa
intrinsecamente contraddittoria. Lo è a livello esistenziale. Siamo
ebrei? Siamo italiani? Italiani ebrei? Ebrei italiani? O magari col
trattino, e chi viene prima? Qualcuno potrebbe dire che la soluzione è
andare tutti in Israele. Giusto. Ma forse ci piace vivere in Golà e
vivere in una perenne contraddizione, non solo fra di noi (ça va sans
dire), anche dentro di noi.
Rav
Gianfranco Di Segni, Collegio rabbinico italiano
|
Il
caso simbolo
|
Era ampiamente prevedibile la
gioia che la liberazione di Gilad Shalit ha suscitato nel mondo
ebraico; mi ha piacevolmente sorpreso invece l’attenzione che la
notizia ha avuto da parte dei media italiani (i giornali radio del
mattino del 18 ottobre hanno seguito le fasi della liberazione quasi in
tempo reale). Sicuramente ha giocato il noto meccanismo per cui
l’opinione pubblica si appassiona più facilmente al caso singolo, alla
persona con nome e cognome, genitori, famiglia, amici, di cui si
conosce la storia e alla cui immagine ci si abitua come a quella di un
parente, piuttosto che a una massa anonima di persone di cui non si sa
nulla. Anche la singolare proporzione dello scambio, uno contro 1027,
ha avuto un certo peso nel catalizzare l’attenzione dei media, e forse
una volta tanto ha giocato a favore dell’immagine di Israele.
Non credo che la tendenza ad appassionarsi al caso singolo debba essere
considerata necessariamente un male: non solo perché è naturale (Primo
Levi, che l’ha magistralmente descritta in più occasioni, ricorda che
“se dovessimo e potessimo soffrire le sofferenze di tutti, non potremmo
vivere”), ma anche perché spesso il caso singolo diventa un simbolo che
riassume in sé tutti gli altri casi singoli. Se Gilad Shalit è
diventato il simbolo dell’importanza che Israele attribuisce alla vita
di ogni suo cittadino, la sua liberazione assume un significato che va
al di là del mero calcolo dei vantaggi e degli svantaggi che possono
derivare dallo scambio. Su questo le opinioni degli ebrei diasporici
sono variegate (e curiosamente ho notato che le critiche più aspre alla
scelta del governo israeliano provenivano da chi di solito sostiene
Israele senza se e senza ma), però tutte le nostre Comunità si sono
unite nei festeggiamenti per la liberazione. La vittoria del caso
singolo è stata giustamente sentita come una vittoria di tutti; ebrei
con opinioni politiche diverse si sono ritrovati a gioire tutti
insieme: forse i nemici di Israele nonostante le apparenze hanno
sbagliato i conti.
Anna
Segre, insegnante
|
notizieflash |
|
rassegna
stampa |
Leonardo
Di Caprio investe in Israele
|
|
Leggi la rassegna |
Il famoso attore
hollywoodiano Leonardo Di Caprio, insieme ad altri investitori, ha
finanziato con 4 milioni di dollari Mobli Ltd., azienda israeliana che
ha sviluppato una piattaforma per condividere contenuti video e
fotografici. Di Caprio sarà anche consigliere per la strategia
d’immagine della Mobli.
|
|
|
|
|
torna su ˄
|
è il giornale dell'ebraismo
italiano |
|
|
|
Dafdaf
è il giornale ebraico
per bambini |
|
L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono
rivolgersi all'indirizzo mailto:mailto:desk@ucei.it
Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: mailto:mailto:desk@ucei.it
indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI -
Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo
aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione
informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale
di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.
|
|
|