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1 novembre 2011 - 4 Cheshvan 5772
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Roberto Della Rocca
Roberto
Della Rocca,
rabbino

La differenza tra la reazione  di Noach e quella di Avraham di fronte a una minaccia di estinzione di altri esseri umani potrebbe essere paragonata a due modalità diverse di difendersi dal freddo. Si può indossare una pelliccia, ma in questo modo si scalda solamente  se stessi, e si può accendere un fuoco, scaldando al contempo se stessi ma anche altre persone.
Il fuoco ha la caratteristica di non diminuire anche quando si dona all'altro. Ognuno di noi è un figlio di Noach che avvicinandosi al fuoco della Torah diventa un figlio di Avraham.


Dario
 Calimani,
 anglista


Dario Calimani
In tempi di zucche vuote, illuminate da fioche luci di candela, ricordiamo che anche noi, un tempo, avevamo la nostra zucca, ed era una zucca santa, la "suca baruca", come la si chiamava nella Venezia ebraica. Non prometteva luce né pensieri, e quindi non deludeva nessuno. Ma era assai dolce al palato ed era un auspicio appropriato per Rosh Hashana, l'anno nuovo.
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davar
Qui Milano - Cinque sessioni, relatori di fama e progettualità
Si è chiusa ieri a Milano la prima attività del nuovo Centro Studi e Formazione del Dipartimento Educazione e Cultura UCEI. Prossimo appuntamento il 20 e 21 novembre a Trieste. A seguire le attività toccheranno Napoli (6-8 dicembre), Torino (15-16 gennaio) e Firenze (18-19 marzo).

Alan NaccacheIl nuovo corso sarà una sfida molto impegnativa. Alan Naccache (nella foto), coordinatore delle attività formative del Dec, è ben consapevole delle difficoltà insite nel progetto. “In un certo senso si tratta di far tornare dietro un banco di scuola, seppur molto particolare, i presidenti e i leader delle Comunità, gli insegnanti, i rabbini. Non è mai stato fatto prima e possono esserci delle criticità. Ma se ci si riesce a mettersi in gioco, i risultati sono assicurati: si può iniziare a interagire in modo diverso, a conoscersi, scambiarsi idee e sinergie per creare davvero un network di Comunità”.
L’organizzazione del corso prevede cinque incontri in programma in cinque Comunità diverse. In ciascuna di esse sarà proposto un modulo composto da due giorni. E’ la stessa struttura di Yeud, il corso di formazione per giovani leader comunitari che quest’anno è giunto alla sua terza edizione e ha coinvolto 35 ragazzi suddivisi fra il corso base e quello avanzato. Il format ha funzionato molto bene con i giovani, si è dunque pensato di estenderlo anche agli altri leader. Per ciò che riguarda la partecipazione, le attività, salvo alcuni momenti particolari, sono strettamente riservate agli iscritti.  “Ogni workshop, dice Naccache, avrà quattro classi di iscritti - leader comunitari, giovani leader; operatori; rabbanim; insegnanti, direttori di scuole e di Talmud Torah - che procedono in parallelo. Per esigenze formative ogni classe non dovrà avere più di 17 allievi”. Dopo ogni workshop è previsto un momento di confronto tra le diverse realtà, per condividere i diversi punti di vista e discutere i diversi temi dal punto di vista degli allievi. E in ogni modulo vi sarà un momento di incontro aperto a tutta la Comunità che affianca esperti del luogo a docenti esterni. Gli elementi caratterizzanti degli incontri saranno essenzialmente tre: il Community Management, la comunicazione e la mediazione conflitti. In questi diversi ambiti ogni categoria approfondirà tematiche specifiche. I leader comunitari si occuperanno ad esempio della parte organizzativa o del rapporto tra volontari e dipendenti mentre i rabbanim si concentreranno sui temi più legati alla famiglia, alle situazioni di crisi o di lutto. Vi saranno poi momenti tecnico informativi, ad esempio sul fundraising o il problem solving, temi che troveranno un approfondimento specifico nei prossimi corsi.
La scelta di concentrarsi sulla comunicazione e sulle tecniche per parlare in pubblico nasce da una precisa presa d’atto. “Come comunità ebraica - afferma Naccache - siamo sempre più presenti, a diversi livelli, in ambiti mediatici: ci siamo dunque resi conto che serve una consapevolezza della comunicazione molto più professionalizzata di prima. Da un presidente di Comunità o da un rabbino ci si aspetta dunque che padroneggi l’arte di parlare in pubblico”. Di public speaking ci si occuperà in due moduli, perché uno non sarebbe stato sufficiente e, anche alla luce delle proposte di mercato, gli organizzatori ritengono di dare così un servizio utile al mondo ebraico italiano. In una sessione aperta al pubblico si affronterà poi la pedagogia della comunicazione e mettendo a confronto professionalità diverse si cercherà di capire come si possano trasmettere gli strumenti di una comunicazione efficace costruita intorno alle necessità della comunità. Questa competenza tecnica sarà poi arricchita da una serie di interventi che daranno un contenuto ebraico alla comunicazione.
Un ampio spazio è dedicato infine alla mediazione dei conflitti. Le Comunità ebraiche italiane hanno spesso vissuto in questi anni momenti di crisi interna. Impadronirsi degli strumenti necessari alla mediazione può signifcare quindi trovare una nuova capacità di superare le crisi trovando il miglior punto d’equilibrio tra le diverse esigenze in campo.

(Daniela Gross, Pagine Ebraiche, novembre 2011)

 
pilpul
Da Roma a Tunisi
Piccoli uomini crescono. Quando ero presidente dell’Unione giovani ebrei d’Italia, ormai parecchi anni fa, conobbi Osama Al-Saghir, all’epoca alla guida dei giovani musulmani, che si trovava in Italia come rifugiato politico. Con lui avviammo un percorso di confronto che coinvolgeva le rispettive associazioni e, in misura ovviamente minore, le due comunità. Non mancavano, com’è giusto, momenti di divergenza, ma nel complesso sono soddisfatto di quella stagione.
Alcuni giorni fa ho appreso dai giornali che Osama è stato eletto al parlamento tunisino. È risultato il più votato tra i tunisini residenti in Italia, e il suo partito, Ennhada, il vincitore assoluto delle elezioni. Com’è noto, si tratta del partito di ispirazione islamica guidato da Rachid Gannouchi, un personaggio certamente controverso per le sue posizioni sull’Occidente e su Israele.
Questa notizia mi ha fatto pensare. Innanzitutto sono contento che Osama, per come me lo ricordo, sia stato eletto in parlamento: in tutto il Maghreb le persone sotto i trenta anni superano di gran lunga il 50% della popolazione, ed è dunque fondamentale che le nuove classi dirigenti siano composte da giovani. In secondo luogo mi pare importante che la legge elettorale – evidentemente più sensata delle storture nostrane - consenta agli emigrati in Europa di essere rappresentati: chi ha vissuto e vive in Italia potrà più facilmente fare da ponte tra le due sponde del Mediterraneo.
Infine, non va nascosto, il seggio di Osama desta le stesse preoccupazioni suscitate dai risultati elettorali complessivi, analoghe a quelle che vivremo per le elezioni in Egitto e Libia. Le “primavere” arabe sono state uno straordinario movimento rivoluzionario, ma corrono oggi il rischio di risvegliarsi preda dell’oscurantismo e dell’assenza di diritti. Spetta alle nuove classi dirigenti, anche a quelle che si riconoscono nell’Islam politico, mostrarsi all’altezza del compito che la storia ha loro assegnato (e i primi segnali non tutti incoraggianti). Un compito difficilissimo e affascinante. Tanti auguri, Osama.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas

Quelle lettere da Brooklyn per Gheddafi
Louis SchlamowitzTra la vasta e spesso discutibile umanità con cui Mohammed Gheddafi ha intrattenuto una qualche forma di relazione durante la sua lunga dittatura, tutto ci si aspetterebbe di trovare fuorché un fioraio ebreo di Brooklyn in pensione. Eppure Louis Schlamowitz era per il Rais quello che si usa definire un “amico di penna”. A rivelarlo è stato lo stesso Schlamowitz in una intervista rilasciata ieri al New York Post. “Ho iniziato a scrivergli dalla fine degli anni Sessanta ricevendo in cambio numerose lettere e fotografie autografate” ha spiegato Louis, 81 anni, mostrando orgoglioso i suoi trofei. “È stato un buon amico di penna, ho sempre trovato encomiabile il fatto che mi rispondesse pur essendo il sottoscritto un signor nessuno”. La ‘pen friendship’ tra i due nasce con una lettera di congratulazioni inviata a Gheddafi nei giorni successivi alla rivoluzione del 1969. La lettera è condita da una richiesta: “Può gentilmente inviarmi un suo ritratto per la mia collezione di foto del Medio Oriente?”. Una richiesta apparentemente senza molte chance di riuscita. Eppure, a sorpresa, l’esito finale è positivo: dopo circa un mese nella cassetta della posta fa infatti capolino una foto autografata del Colonnello assieme a una nota in cui il diretto interessato esprime apprezzamento per il “kind message” ricevuto. È quello l’inizio di un lungo quanto singolare rapporto epistolare che durerà circa un ventennio sopravvivendo a divergenze ideologiche, politiche e di altro tipo. “Spesso non condividevo la sua politica, specie nei confronti di Israele, e non ho mancato occasione di scriverlo. Ma non è obbligatorio essere d’accordo con il proprio interlocutore per allacciare una corrispondenza” puntualizza Louis, che annovera tra i suoi vecchi ‘pen friends’ perfino l’Ayatollah Khomeini, “amicizia” che unita a quella con Gheddafi gli valse in un paio di casi la visita nel proprio appartamento di agenti della CIA. Il giochino si rompe però sul finire degli anni Ottanta con la strage di Lockerbie. Dopo un breve periodo di meditazione Louis prende carta e penna. Usa poche parole, ma ficcanti: “Se non ti prenderai cura della tua gente, la gente un giorno si prenderà cura di te”. Guardando ai fatti delle ultime settimane, un messaggio premonitore. Un messaggio che non fu però aperto e tornò al destinatario intonso chiudendo per sempre la corrispondenza tra i due. Ventitre anni dopo, la fine di un'era. “Mi è molto dispiaciuto vedere le ultimi immagini di Gheddafi trattato in quel modo barbaro” ha detto Schlamowitz. “But that’s politics”.
a.s


notizie flash   rassegna stampa
Israele - Governo riunito d'emergenza
dopo il voto di ieri all'Unesco
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È stata convocata per questo pomeriggio dal premier israeliano Benjamin Netanyahu una riunione di emergenza del governo con ordine del giorno le strategie da adottare in seguito alla votazione che ha ammesso ieri a larga maggioranza l’Autorità Nazionale Palestinese all’Unesco, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura.

 

Tutti i giornali parlano dell'ammissione dell'Autorità Palestinese come membro a pieno titolo dell'Unesco decisa ieri dal suo consiglio generale, delle reazioni israeliane e americane e della divisione dell'Europa (per esempio Zappalà su Avvenire, Rolla Scolari sul Giornale). Il commento più importante è quello di Fiamma Nirenstein sul Giornale: "L'Unesco come Arafat".

Ugo Volli












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