Si è chiusa ieri a Milano la
prima attività del nuovo Centro Studi e Formazione del Dipartimento
Educazione e Cultura UCEI. Prossimo appuntamento il 20 e 21 novembre a
Trieste. A seguire le attività toccheranno Napoli (6-8 dicembre),
Torino (15-16 gennaio) e Firenze (18-19 marzo).
Il nuovo corso sarà una
sfida molto impegnativa. Alan Naccache (nella foto), coordinatore delle
attività
formative del Dec, è ben consapevole delle difficoltà insite nel
progetto. “In un certo senso si tratta di far tornare dietro un banco
di scuola, seppur molto particolare, i presidenti e i leader delle
Comunità, gli insegnanti, i rabbini. Non è mai stato fatto prima e
possono esserci delle criticità. Ma se ci si riesce a mettersi in
gioco, i risultati sono assicurati: si può iniziare a interagire in
modo diverso, a conoscersi, scambiarsi idee e sinergie per creare
davvero un network di Comunità”.
L’organizzazione del corso prevede cinque incontri in
programma in cinque Comunità diverse. In ciascuna di esse sarà proposto
un modulo composto da due giorni. E’ la stessa struttura di Yeud, il
corso di formazione per giovani leader comunitari che quest’anno è
giunto alla sua terza edizione e ha coinvolto 35 ragazzi suddivisi fra
il corso base e quello avanzato. Il format ha funzionato molto bene con
i giovani, si è dunque pensato di estenderlo anche agli altri leader.
Per ciò che riguarda la partecipazione, le attività, salvo alcuni
momenti particolari, sono strettamente riservate agli
iscritti. “Ogni workshop, dice Naccache, avrà quattro classi
di iscritti - leader comunitari, giovani leader; operatori; rabbanim;
insegnanti, direttori di scuole e di Talmud Torah - che procedono in
parallelo. Per esigenze formative ogni classe non dovrà avere più di 17
allievi”. Dopo ogni workshop è previsto un momento di
confronto tra le diverse realtà, per condividere i diversi punti di
vista e discutere i diversi temi dal punto di vista degli allievi. E in
ogni modulo vi sarà un momento di incontro aperto a tutta la Comunità
che affianca esperti del luogo a docenti esterni. Gli elementi
caratterizzanti degli incontri saranno essenzialmente tre: il Community
Management, la comunicazione e la mediazione conflitti. In questi
diversi ambiti ogni categoria approfondirà tematiche specifiche. I
leader comunitari si occuperanno ad esempio della parte organizzativa o
del rapporto tra volontari e dipendenti mentre i rabbanim si
concentreranno sui temi più legati alla famiglia, alle situazioni di
crisi o di lutto. Vi saranno poi momenti tecnico informativi, ad
esempio sul fundraising o il problem solving, temi che troveranno un
approfondimento specifico nei prossimi corsi.
La scelta di concentrarsi sulla comunicazione e sulle tecniche per
parlare in pubblico nasce da una precisa presa d’atto. “Come comunità
ebraica - afferma Naccache - siamo sempre più presenti, a diversi
livelli, in ambiti mediatici: ci siamo dunque resi conto che serve una
consapevolezza della comunicazione molto più professionalizzata di
prima. Da un presidente di Comunità o da un rabbino ci si aspetta
dunque che padroneggi l’arte di parlare in pubblico”. Di public
speaking ci si occuperà in due moduli, perché uno non sarebbe stato
sufficiente e, anche alla luce delle proposte di mercato, gli
organizzatori ritengono di dare così un servizio utile al mondo ebraico
italiano. In una sessione aperta al pubblico si affronterà poi la
pedagogia della comunicazione e mettendo a confronto professionalità
diverse si cercherà di capire come si possano trasmettere gli strumenti
di una comunicazione efficace costruita intorno alle necessità della
comunità. Questa competenza tecnica sarà poi arricchita da una serie di
interventi che daranno un contenuto ebraico alla comunicazione.
Un ampio spazio è dedicato infine alla mediazione dei conflitti. Le
Comunità ebraiche italiane hanno spesso vissuto in questi anni momenti
di crisi interna. Impadronirsi degli strumenti necessari alla
mediazione può signifcare quindi trovare una nuova capacità di superare
le crisi trovando il miglior punto d’equilibrio tra le diverse esigenze
in campo.
(Daniela
Gross, Pagine Ebraiche, novembre 2011)
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Da Roma a Tunisi |
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Piccoli uomini crescono.
Quando ero presidente dell’Unione giovani ebrei d’Italia, ormai
parecchi anni fa, conobbi Osama Al-Saghir, all’epoca alla guida dei
giovani musulmani, che si trovava in Italia come rifugiato politico.
Con lui avviammo un percorso di confronto che coinvolgeva le rispettive
associazioni e, in misura ovviamente minore, le due comunità. Non
mancavano, com’è giusto, momenti di divergenza, ma nel complesso sono
soddisfatto di quella stagione.
Alcuni giorni fa ho appreso dai giornali che Osama è stato eletto al
parlamento tunisino. È risultato il più votato tra i tunisini residenti
in Italia, e il suo partito, Ennhada, il vincitore assoluto delle
elezioni. Com’è noto, si tratta del partito di ispirazione islamica
guidato da Rachid Gannouchi, un personaggio certamente controverso per
le sue posizioni sull’Occidente e su Israele.
Questa notizia mi ha fatto pensare. Innanzitutto sono contento che
Osama, per come me lo ricordo, sia stato eletto in parlamento: in tutto
il Maghreb le persone sotto i trenta anni superano di gran lunga il 50%
della popolazione, ed è dunque fondamentale che le nuove classi
dirigenti siano composte da giovani. In secondo luogo mi pare
importante che la legge elettorale – evidentemente più sensata delle
storture nostrane - consenta agli emigrati in Europa di essere
rappresentati: chi ha vissuto e vive in Italia potrà più facilmente
fare da ponte tra le due sponde del Mediterraneo.
Infine, non va nascosto, il seggio di Osama desta le stesse
preoccupazioni suscitate dai risultati elettorali complessivi, analoghe
a quelle che vivremo per le elezioni in Egitto e Libia. Le “primavere”
arabe sono state uno straordinario movimento rivoluzionario, ma corrono
oggi il rischio di risvegliarsi preda dell’oscurantismo e dell’assenza
di diritti. Spetta alle nuove classi dirigenti, anche a quelle che si
riconoscono nell’Islam politico, mostrarsi all’altezza del compito che
la storia ha loro assegnato (e i primi segnali non tutti
incoraggianti). Un compito difficilissimo e affascinante. Tanti auguri,
Osama.
Tobia Zevi, Associazione Hans
Jonas
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Quelle lettere da Brooklyn per Gheddafi |
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Tra la vasta e spesso
discutibile umanità con cui Mohammed Gheddafi ha intrattenuto una
qualche forma di relazione durante la sua lunga dittatura, tutto ci si
aspetterebbe di trovare fuorché un fioraio ebreo di Brooklyn in
pensione. Eppure Louis Schlamowitz era per il Rais quello che si usa
definire un “amico di penna”. A rivelarlo è stato lo stesso Schlamowitz
in una intervista rilasciata ieri al New York Post. “Ho iniziato a
scrivergli dalla fine degli anni Sessanta ricevendo in cambio numerose
lettere e fotografie autografate” ha spiegato Louis, 81 anni, mostrando
orgoglioso i suoi trofei. “È stato un buon amico di penna, ho sempre
trovato encomiabile il fatto che mi rispondesse pur essendo il
sottoscritto un signor nessuno”. La ‘pen friendship’ tra i due nasce
con una lettera di congratulazioni inviata a Gheddafi nei giorni
successivi alla rivoluzione del 1969. La lettera è condita da una
richiesta: “Può gentilmente inviarmi un suo ritratto per la mia
collezione di foto del Medio Oriente?”. Una richiesta apparentemente
senza molte chance di riuscita. Eppure, a sorpresa, l’esito finale è
positivo: dopo circa un mese nella cassetta della posta fa infatti
capolino una foto autografata del Colonnello assieme a una nota in cui
il diretto interessato esprime apprezzamento per il “kind message”
ricevuto. È quello l’inizio di un lungo quanto singolare rapporto
epistolare che durerà circa un ventennio sopravvivendo a divergenze
ideologiche, politiche e di altro tipo. “Spesso non condividevo la sua
politica, specie nei confronti di Israele, e non ho mancato occasione
di scriverlo. Ma non è obbligatorio essere d’accordo con il proprio
interlocutore per allacciare una corrispondenza” puntualizza Louis, che
annovera tra i suoi vecchi ‘pen friends’ perfino l’Ayatollah Khomeini,
“amicizia” che unita a quella con Gheddafi gli valse in un paio di casi
la visita nel proprio appartamento di agenti della CIA. Il giochino si
rompe però sul finire degli anni Ottanta con la strage di Lockerbie.
Dopo un breve periodo di meditazione Louis prende carta e penna. Usa
poche parole, ma ficcanti: “Se non ti prenderai cura della tua gente,
la gente un giorno si prenderà cura di te”. Guardando ai fatti delle
ultime settimane, un messaggio premonitore. Un messaggio che non fu
però aperto e tornò al destinatario intonso chiudendo per sempre la
corrispondenza tra i due. Ventitre anni dopo, la fine di un'era. “Mi è
molto dispiaciuto vedere le ultimi immagini di Gheddafi trattato in
quel modo barbaro” ha detto Schlamowitz. “But that’s politics”.
a.s
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notizie
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rassegna
stampa |
Israele
- Governo riunito d'emergenza
dopo il voto di ieri all'Unesco
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È stata convocata per questo
pomeriggio dal premier israeliano Benjamin Netanyahu una riunione di
emergenza del governo con ordine del giorno le strategie da adottare in
seguito alla votazione che ha ammesso ieri a larga maggioranza
l’Autorità Nazionale Palestinese all’Unesco, l’Organizzazione delle
Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura.
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Tutti i giornali parlano
dell'ammissione dell'Autorità Palestinese come membro a pieno titolo
dell'Unesco decisa ieri dal suo consiglio generale, delle reazioni
israeliane e americane e della divisione dell'Europa (per esempio
Zappalà su Avvenire, Rolla Scolari sul Giornale). Il commento più
importante è quello di Fiamma Nirenstein sul Giornale: "L'Unesco come Arafat".
Ugo
Volli
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è il giornale dell'ebraismo
italiano |
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Dafdaf
è il giornale ebraico per bambini |
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L'Unione
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