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2 novembre
2011 - 5 Cheshwan 5772 |
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David Sciunnach,
rabbino
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Se doveste esser
rinchiusi in un penitenziario a vita e vi fosse data la possibilità di
prendere con voi una sola cosa, cosa portereste con voi? Le chiavi del
penitenziario. Con la Parashà di Lech Lechà abbiamo l’inizio
del ghaluth – l’esilio del popolo d’Israele. Tutto inizia con Avraham.
E cosa porta con sé Avraham? Avraham porta suo nipote Loth che è il
padre di Moàv. E che da Moàv nascerà Ruth. E da Ruth David e da David
nascerà il Masciach. Ed è così che Avraham porta con sé la gheullà – la
redenzione. Da ciò impariamo che il popolo d’Israele nella sua ghaluth
– diaspora porta con sé sempre in ogni generazione la sua redenzione.
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Davide
Assael,
ricercatore
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Se l’Europa economica fatica a
trovare un accordo sulla gestione della crisi, mi pare che le
ultimissime settimane inviino alcuni segnali incoraggianti da parte
dell’Europa politica (non parlo dei governi, per carità!). In Svizzera
le elezioni registrano una discesa di due punti dell’Udc, il partito
xenofobo di estrema destra di Christoph Blocher, che resta comunque la
prima forza del Paese. Ed in Ungheria migliaia di persone sono scese in
piazza contro la legge che sopprime (perché questo è il termine adatto)
la libertà di informazione. Una protesta che si estende anche ad altri
aspetti del sempre più autoritario governo di Viktor Orban. Certo, si
tratta di piccole consolazioni, che possono, però, indicare
un’inversione di tendenza rispetto al dilagare del fenomeno della
cosiddetta destra europea che, speriamo, abbia raggiunto il suo culmine
nelle stragi norvegesi. Buone notizie anche per gli ebrei europei, a
cui mai conviene strizzare l’occhio né a questi partiti né ad alleanze
che li comprendono; ne abbiamo avuto un esempio noi in Lombardia due
settimane fa. Forse, al di là di ogni considerazione partitica, meno
bello è stato vedere il nostro Presidente del Consiglio al convegno di
esordio di una nuova forza politica che conta sul contributo attivo dei
neofascisti di Saya, che, in una recente intervista alla domanda sulla
veridicità della Shoà ha risposto, dopo un “Ma è poi vero?”, che si
deve informare perché non ha approfondito il fenomeno.
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Qui Roma
- A confronto sulla shechità
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Gli animali e la sofferenza:
La questione della shechità è il titolo di un convegno che si terrà
questa domenica 6 novembre, alle 16 al Centro Bibliografico Tullia Zevi
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Organizzato
dall’Associazione di cultura ebraica Hans Jonas, il Collegio Rabbinico
Italiano, La Rassegna Mensile di Israel il confronto vedrà gli
interventi di Claudia De Benedetti (vicepresidente UCEI), Tobia Zevi
(Associazione Hans Jonas), Laura Quercioli Mincer (docente di
letteratura ebraica), Mino Chamla (docente di filosofia), Stefano
Cinotti (direttore generale dell'Istituto Zooprofilattico sperimentale
della Lombardia e dell’Emilia Romagna), Gianfranco Di Segni (rabbino e
biologo), Giacomo Saban (direttore de La Rassegna Mensile di Israel),
Eligio Resta (professore di Filosofia del diritto – Università di Roma
3), Riccardo Di Segni (rabbino capo di Roma, direttore del Collegio
rabbinico italiano). Gli atti saranno pubblicati da La Rassegna Mensile
di Israel.
Il rav Gianfranco Di Segni propone la lettura di una considerazione di
Umberto Cassuto pubblicata dalla Rivista Israelitica, Periodico
bimestrale per la scienza e la vita del Giudaismo, diretto dal Rabbino
Maggiore D.r S. H. Margulies, Direttore del Collegio Rabbinico
Italiano, Anno II, n. 1, Gennaio-Febbraio 1905, p. 43. “A Potsdam e a
Vienna è stata recentemente proibita la macellazione
secondo il rito ebraico, sotto speciosi pretesti di ragioni umanitarie;
per comprendere la vera ragione di tale proibizione, basterà sapere che
ambedue quelle amministrazioni comunali sono composte di antisemiti”
(Jüdische Presse) - Umberto Cassuto.
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Settimio Semi Pavoncello nell'esecutivo dell'Unione |
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Avvicendamento
nella compagine dell'esecutivo dell’Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane. Il Consiglio UCEI che si è tenuto ieri a Milano ha ratificato
l'ingresso nella Giunta di Settimio Semi Pavoncello al posto di Sandro
Di Castro, che ha lasciato l'incarico mantenendo il ruolo di
Consigliere. Entrambi restano in carica nell'ambito del Consiglio con
le deleghe già loro attribuite: relazioni istituzionali, Corso di
Laurea, Catacombe e Fondazione Beni Culturali Ebraici e Centro
Bibliografico (Sandro Di Castro), Collegio Rabbinico Italiano,
Assemblea Rabbinica Italiana, Kasherut e sicurezza (Settimio
Pavoncello). “Sono onorato dell’incarico, cercherò di mettere la
mia esperienza al servizio delle attività della Giunta” ha commentato
Pavoncello. Affiancano ora in Giunta il Presidente dell'Unione Renzo
Gattegna, i due vicepresidenti Claudia De Benedetti (Casale Monferrato)
e Anselmo Calò (Roma) e i Consiglieri Dario Bedarida (Firenze), rav
Adolfo Locci (Padova), Victor Magiar (Roma), Giorgio Mortara (Milano),
Settimio Pavoncello (Roma) e Raffaele Turiel (Milano).
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Gli ebrei
sotto il Regno Sabaudo
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Non credo che ci sia bisogno
di illustrare la figura di Gianfranco Moscati, che tutti conoscono per
il suo impegno in campo ebraico e in particolare per la sua
importantissima raccolta, regalata nel 2007 all’Imperial War
Museum di Londra, di 2500 documenti riguardanti le persecuzioni
antiebraiche in Italia e in tutta l’Europa e l’antisemitismo in
generale. Da questa collezione ha saputo trarre pubblicazioni e
cataloghi per argomento i cui proventi sono
destinati all’Ospedale Alyn di Gerusalemme e alla scuola
elementare del disagiato quartiere di San Giovanni a Peduccio di
Napoli, la città dove il Moscati, nato a Milano nel 1924, risiede da
moltissimi anni. Per la sua opera, iniziata da giovanissimo, ha
ricevuto nel gennaio 2011 il titolo di cavaliere al merito della
Repubblica. Ma la sua attività non è ancora cessata. Collegandosi con
le manifestazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia ha
curato una nuova raccolta.
Una raccolta che “ci vuole mostrare una volta di più come la storia
italiana sia e sia stata sempre strettamente connessa con quella più
specifica della sua bimillennaria componente ebraica” come scrive Pia
Jarach nella prefazione al bellissimo catalogo preparato per la mostra
itinerante di questa nuova collezione intitolata Gli ebrei sotto il
Regno Sabaudo con un sottotitolo che ne
indica chiaramente gli argomenti: Combattenti – Resistenza -
Shoah. Il catalogo, molto ben curato per la parte grafica da
Manuela Musto, è uscito a Napoli per i caratteri della tipografia
Origrame in occasione della Festa della Repubblica. Mi vorrei
soffermare proprio su questo perché nello scorrere le sue pagine,
riccamente illustrate, si ripercorre tutta la nostra storia di ebrei
italiani degli ultimi 150 anni.
Molto significativa e attraente è anche la copertina. Sul davanti è
riprodotta una famosa cartolina stampata nel corso della seconda guerra
mondiale dagli alleati con otto effigi del re Vittorio Emanuele III con
un copricapo sempre diverso a seconda degli eventi. Sul dietro invece è
riportato il poco conosciuto manifesto affisso in tutte le città
italiane con cui nel dicembre 1938 si invitava gli ebrei ad
autodenunciarsi presso gli Uffici comunali dello stato civile entro il
mese di marzo minacciando ai non adempienti l’arresto per un mese (e la
multa di lire 3000, comunque inferiore alla taglia che sarebbe stata
posta 5 anni dopo su ogni ebreo…). Questa disposizione, non troppo
nota, fu sentita necessaria da quasi tutti gli ebrei, per lo meno
giudicando dalle liste compilate dal Comune di Firenze, dove figurano
anche nominativi di ebrei battezzati ma non certo di razza ariana. I
primi dei 50 pannelli della collezione, ora in deposito a Milano presso
l’Associazione Figli della Shoah, sono dedicati alle guerre
risorgimentali. Il catalogo si apre con la lettera del Commissariato di
leva di Saluzzo, datata 9 maggio 1948, che stabilisce “l’ammissione
degli israeliti alla leva”.
Tra le altre foto segnaliamo quelle tratte dall’album curato nel 1860
da Alessandro Pavia con le immagini dei mille garibaldini sbarcati a
Marsala tra i quali ben sette erano ebrei. Molti furono i giovani ebrei
che nel 1911 parteciparono alla guerra italo–turca e subito dopo si
trovarono impegnati nella Prima Guerra Mondiale; sono qui riprodotte
cartoline inviate da Roberto Moscati, zio dell’autore, che cadrà in
battaglia nel 1915, da Federico Jarach, ufficiale della Regia
Marina, dei famosi filatelici Emilio e Mario Diena, tutti per parte
materna legati anche alla Comunità fiorentina come lo era Dario
Viterbo, qui non nominato, scultore e pacifista, che però si fece tutti
gli otto anni di guerra. In tutte le Comunità furono apposte le lapidi
con i nomi dei caduti: nel catalogo sono riportate le foto di quelle di
Torino e di Roma e del piccolo monumento eretto nel 1928 a
Firenze, nel giardino del Tempio.
La partecipazione ebraica alla guerra 1915-18 da parte di tanti
giovani, ma anche di ebrei anziani, fu entusiasta e massiccia, e
Gianfranco Moscati vi dedica molto spazio attingendo anche dai suoi
album di famiglia. In particolare è significativo il numero degli
ufficiali dei più alti gradi, le cui foto sono state raccolte
dall’Ufficio storico dell’esercito. Tra questi il generale Giuseppe
Ottolenghi, oriundo di Sabbioneta, istruttore del re che nel 1902 lo
volle nominare senatore e Ministro della Guerra, il generale Umberto
Pugliese del Genio Navale, richiamato in servizio in piene leggi
razziste nel 1941 essendo l’unico ch poteva recuperare le corazzate
affondate per un bombardamento nel porto di Taranto, e l’ammiraglio
Augusto Capon, ucciso ad Auschwitz, che si presentò ai suoi futuri
aguzzini in divisa e con tutte le medaglie (come si vede nella foto).
Una tavola della mostra è dedicata al corpo delle infermiere della CRI,
tanto attive in zona di guerra, esponendo molte foto e le medaglie
delle quali è stata insignita Pia Del Vecchio, zia di
Gianfranco Moscati, per parte materna discendente dalla famiglia
piemontese Vitale. Nell’obbiettività della narrazione fotografica non
potevano mancare le riproduzioni attestanti la partecipazione anche
ebraica al movimento fascista che ebbe il culmine con la pubblicazione
a Torino del mensile La nostra bandiera, la presenza dei giovani ebrei
nella guerra italo-etiopica e a quella civile spagnola dove li troviamo
su ambedue i fronti. L’ambigua condotta di Mussolini è rilevata dalla
tavola dedicata al Bethar, la scuola marittima fondata a Civitavecchia
nel 1935 dal movimento sionista dove alcune centinaia di giovani si
prepararono a divenire i futuri marinai in terra di Israele. Partendo
dall’ebraismo antifascista con documenti forniti da Umberto Terracini e
il ricordo dell’eccidio dei fratelli Nello e Carlo Rosselli, dei quali
è riprodotta la tomba in terra di Francia, è dato molto spazio al
contributo ebraico alla resistenza ricordando in particolare Settimio
Sorani, che tanto operò per la Delasem, e i numerosi giovani caduti
combattendo tra i partigiani, dal dodicenne Franco Cesana, il più
giovane di tutti, ai sette insigniti della medaglia d’oro. L’ultima
sezione del catalogo affronta il tema della Shoah a partire dalle varie
pagine di copertina dedicate dalla famosa Domenica del Corriere e da
altre riviste ai disordini antisemiti in Russia alla fine del XIX
secolo per arrivare a quella famosa della Difesa della Razza e alle
varie testate dei giornali che propagandavano a grandi caratteri
l’approvazione delle leggi razziste; seguono documenti e pagelle con
evidenziata l’appartenenza alla razza ebraica e la riproduzione di
manifesti e cartoline che si prendono beffa degli ebrei e uno
schematico ma chiaro quadro della deportazione attraverso varie
cartine, soffermandosi in particolare sulla storia di due bimbe, la
fiorentina Sissel Vogelmann, catturata a Sondrio mentre stava
rifugiandosi in Svizzera, e Susanna Silberstein, l’unica di tutta la
famiglia salvatasi in un convento di Firenze. Una nota finale di
serenità è data dalla riproduzione di due murales che ancora si possono
vedere nelle strade di Santa Maria al Bagno, in Puglia. Si tratta di
opere disegnate da ebrei, quasi tutti sopravvissuti nei lager, che lì
attendevano di poter partire per Eretz Israel.
Lionella
Viterbo
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Niente da discutere |
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E così, com’era ampiamente
prevedibile, l’agenzia dell’UNESCO, a larga maggioranza, ha concesso
alla Palestina lo status di membro a pieno diritto. I numeri parlano
chiaro: Israele (se qualcuno non lo avesse ancora capito) non è
particolarmente amato nella comunità delle nazioni. Se i voti espressi
dovessero effettivamente riflettere il livello dei sentimenti
prevalenti nel mondo nei confronto dello Stato ebraico (ed è probabile
che, più o meno, sia davvero così), il quadro sarebbe alquanto
eloquente: 107 sì, 52 astensioni, 14 no. Certo, dire che Israele conti,
nel mondo, 13 ‘amici’, 52 ‘indifferenti’ (tra cui l’Italia) e ben 107
‘nemici’, sarebbe una semplificazione eccessiva. Non è detto che i 107
siano tutti nemici, così come non è sicuro che i 13 siano davvero tanto
amici, e che le posizioni dei 52 siano tutte simili. Un voto a favore
della Palestina, dicono in molti, non significa un voto contro Israele.
In un certo senso, ciò può anche essere vero, e bisogna riconoscere che
la nuova strategia diplomatica giocata dagli arabi nell’ambito delle
Nazioni Unite si è rivelata certamente un successo, in quanto pone i
palestinesi nella posizione di qualcuno che chiede legittimamente, con
metodi legali e pacifici, in un autorevole consesso internazionale, il
riconoscimento di semplici, normali diritti. Una posizione senz’altro
adatta a suscitare simpatia, comprensione, sostegno, almeno quanto
scomodo e ‘antipatico’ appare il ruolo di Israele, che si ostina,
pervicacemente, a dire “no, tu no”. Il pesante contenzioso sul tavolo,
tutte le molteplici questioni irrisolte (il terrorismo, le armi, i
confini, i profughi, la natura ebraica di Israele, Gerusalemme, Hamas
ecc. ecc.) scompaiono, per lasciare sul campo un’unica, semplice
richiesta da parte palestinese: quella di esistere come nazione.
Difficile, in effetti, dire di no. Ma il problema (un problema che,
ovviamente, ci si guarda bene dall’affrontare in sede ONU) è se dire di
sì significhi dire di sì a uno stato accanto a Israele, oppure al suo
posto. Ma di questo non si deve parlare, in nessun modo, perché il
farlo complicherebbe le cose, imporrebbe ai palestinesi di rinunciare
alla loro proverbiale ambiguità, impedirebbe a Francia, Belgio, Spagna
di votare tranquillamente insieme a Iran, Siria, Libano. Questi Paesi
hanno posizioni comuni sulla soluzione del problema del Medio Oriente?
Non importa saperlo, anzi, non si deve sapere, basti che siano tutti
“pro-Palestina”. Cosa, poi, sia la Palestina, resterà, per sempre, un
mistero.
Quello che è assolutamente evidente, è che questa battaglia diplomatica
internazionale affossa completamente ogni possibile idea di una
soluzione negoziata del conflitto. La sola idea di un dialogo, di un
tavolo di trattativa (sia pure, come tante volte è accaduto in passato,
solo a livello di scena, tanto per “far vedere” e perdere un po’ di
tempo) appare morta e sepolta. Non c’è niente di cui discutere, niente
su cui trattare: la Palestina ha soltanto diritti, nessun dovere, deve
unicamente reclamare, pretendere, esigere, ottenere ciò che è suo di
diritto. Il mondo deve ascoltare questa voce, accogliere tali
richieste. E Israele deve soltanto subire, cedere. Non si sa – e,
ripetiamo, non si deve sapere – in che misura, fino a che punto.
“Possiamo sperare in tempi migliori, avere pazienza, aspettare,
rassegnati alla volontà divina, che i prìncipi e i popoli della terra
abbiano un atteggiamento più benevolo nei nostri confronti?”. Tale
domanda pose, nel suo Judenstaat, 115 anni fa, Theodor Herzl, per
motivare la sua proposta di soluzione per la “questione ebraica”: una
patria per gli ebrei. La patria sarebbe nata, ma “i prìncipi e i popoli
della terra” avrebbero manifestato verso di essa lo stesso
atteggiamento riservato, nei secoli e millenni precedenti, agli ebrei
dispersi in esilio. Ciò non fu previsto da Herzl. Ma siamo certi che,
comunque, la sua scelta non sarebbe cambiata. Così come, certamente,
non cambierà mai la nostra.
Francesco
Lucrezi, storico
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Qui
Firenze – Ricordando Manuela
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Grande protagonista del dialogo
interreligioso a Firenze e in Italia, l’ebrea pitiglianese Manuela
Paggi Sadun sarà ricordata domani in Palazzo Vecchio a tre mesi dalla
sua scomparsa. L’appuntamento, organizzato dall’Amicizia
Ebraico-Cristiana in collaborazione con la Comunità ebraica di Firenze,
si aprirà alle 17 nel Salone De’ Dugento, attuale sede del Consiglio
comunale, con un intervento del rabbino capo Joseph Levi. Seguiranno la
lettura di alcuni stralci dagli scritti della Sadun e varie
testimonianze di amicizia.
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Di grande interesse la lettura
dei quotidiani del mondo intero nella giornata di oggi, anche per le
firme che troviamo accanto a quelle degli usuali commentatori.
Emanuel
Segre Amar
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è il giornale dell'ebraismo
italiano |
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Dafdaf
è il giornale ebraico per bambini |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
che fossero interessati a offrire un
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