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Ancora su Rabin |
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L’anniversario della morte di
Rabin, caduto lo scorso 4 novembre, è stato ricordato, nella newsletter
di ieri, con parole che non mi trovano concorde.
È più che vero che, a distanza di sedici anni dalla sua tragica
scomparsa, la memoria dello statista assassinato brilla ancora in tutta
la sua luce, e la sua lunga e prestigiosa carriera al servizio dello
Stato di Israele resta uno straordinario esempio di fedeltà, coerenza,
coraggio. Doti che ha sempre dimostrato in tutti i passaggi della sua
intensa vita di soldato, diplomatico, politico: nel 1941, volontario
nelle file del Palmach, nei ranghi dell’esercito inglese; nel 1946,
arrestato, dagli stessi inglesi, per la sua attività clandestina; nel
’48, nelle truppe dell’Haganah incaricate di forzare il blocco di
Gerusalemme; nel 1967, protagonista, accanto a Moshe Dayan, come capo
di Stato Maggiore, della folgorante vittoria militare della guerra dei
6 giorni; nel 1968, ambasciatore a Washington; nel 1973, nella Knesset
e, nell’aprile del 1974, ministro del Lavoro; nel giugno dello stesso
anno, capo del governo (carica che gli darà, nel luglio del 1976, la
responsabilità della drammatica decisione del raid di Entebbe); nei
governi di unità nazionale, tra l’84 e l’88, e poi l’88 e il ’90,
Ministro della Difesa, e, nel luglio del ’92, di nuovo Primo Ministro.
La sua azione, negli ultimi tre anni di vita, è particolarmente nota:
gli accordi segreti di Oslo, il reciproco riconoscimento tra Israele e
OLP, la storica stretta di mano con Arafat, sul prato della Casa
Bianca, il 13 settembre del ‘93; l’anno successivo, la pace con la
Giordania di Re Hussein. Infine, la tragica morte, che lo ha visto
cadere felice, mentre cantava e sperava tra la sua gente, il suo popolo.
Ma è importante sottolineare che questa intensa vita rappresenta un
tutt’uno, in quanto profondamente segnata sempre dagli stessi valori,
princìpi, ideali. Non si può separare il politico dal soldato, l’uomo
del ’41, del ’48, del ’67, del ’73 e del ’76 da quello del ’93, perché
si tratta sempre della stessa persona, che ha sempre, per tutta la
vita, combattuto, con tutti i mezzi e sotto tutte le divise, in pace e
in guerra, per il perseguimento di un unico, medesimo obiettivo: un
Israele libero, unito, sicuro, in pace con tutti i suoi vicini. Ed è
ingiusto considerare – come spesso si sente dire - Rabin una sorta di
eccezione nel panorama politico israeliano, l’unico premier che avrebbe
voluto la pace, e si sarebbe impegnato a perseguirla. Se le illusioni
del ’93 sono completamente crollate, non è certo dipeso dal fatto che i
suoi successori non sono stati alla sua altezza.
Molto ingeneroso, soprattutto, affermare con rammarico che “alcuni
degli esponenti d'opposizione di allora (Netanyahu, Sharon e altri) che
assistevano e incitavano la folla in… manifestazioni violente, nelle
quali si chiedeva la testa di Rabin, sono oggi al governo”, facendo
dipendere anche da ciò l’attuale stallo del processo di pace. A parte
lo sgradevole lapsus su Sharon (che oggi non è al governo, ma, da anni,
in coma irreversibile: ed è stato anch’egli, comunque, un grande
servitore del suo Paese), Israele è una democrazia, ed è assolutamente
normale che, in una democrazia, l’opposizione “chieda la testa” del
capo del governo. Ma, ovviamente, si tratta di una richiesta politica,
in tutto e per tutto analoga a quelle di chi, in Italia, chiede oggi,
per esempio, la testa di Berlusconi, anche in vivaci manifestazioni di
piazza. Dovrebbero forse essere proibite? Anche in Israele, come nelle
deposte dittature arabe, dovrebbe essere rispettato il culto del
‘capo’? O forse Netanyahu o Sharon “chiedevano la testa” di Rabin in
senso letterale, hanno predicato o approvato l’omicidio come mezzo di
lotta politica?
Quanto all’assassino di Rabin, è senz’altro vero che il suo cieco
fanatismo lo rende stretto parente dei terroristi di Hamas, e che "gli
estremi si toccano". Ma, mentre quelli di Hamas sono saldamente al
potere a Gaza, da dove ordiscono a pieno ritmo le loro attività
criminose, Yigal Amir sta ancora, giustamente, scontando il suo
meritato ergastolo nelle patrie galere. È tutta qui la radice del
conflitto tra Israele e Palestina: non nel fatto che, in entrambi i
Paesi, ci sono dei criminali, ma nella differenza che, in uno dei due,
stanno in prigione, nell’altro, al governo. E non è una differenza da
poco.
Francesco
Lucrezi, storico
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Italia e Israele a confronto sull'acqua
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"Italian-Israeli bilateral
Conference in Water Technologies: Investment opportunities in Italy" è
il tema del convegno che si terrà a Tel Aviv il prossimo
17 Novembre, nel contesto della fiera biennale WATEC 2011 e della Terza
Conferenza Bilaterale su "Water Technologies, Renewable Energy
& Environmental Control". Scopo del convegno è il
confronto tra Italia e Israele nell'ambito delle tecnologie
idriche.
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Oggi, 9 novembre, è
l’anniversario di quella notte del 1938 passata alla storia come la
Notte dei Cristalli nella quale 25 ebrei vennero uccisi, 7500 negozi
furono incendiati e 267 sinagoghe furono distrutte.
Emanuel
Segre Amar
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