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10 novembre 2011 - 13 Cheshwan 5772
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elia richetti Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma
Come leggeremo questo Shabbat, sono tre i personaggi che si presentano ad Abramo. Poi, quando si tratta di distruggere Sodoma, diventano due. Secondo i Maestri, i tre sono angeli, ciascuno con una missione precisa. La regola degli angeli, che per definizione sono degli inviati, è che hanno una missione da svolgere e basta, senza deviare. Gavriel (nel suo nome c'è l'idea della forza, ed è l'espressione della durezza del giudizio, "il braccio armato della legge") annuncia ad Abramo la distruzione e quindi procede a farla. Refael (nel nome c'è l'idea della guarigione, del'opera misericordiosa) viene a curare Abramo dalla ferita della circoncisione e poi avrà il compito di salvare Lot e la sua famiglia. Michael ("chi è come il Signore?") ha la missione di annunciare la gravidanza di Sara. Finita la missione, scompare dalla scena. I due rimasti proseguono per Sodoma. Qui c'è uno strano capovolgimento dell'azione. Saranno in due a dovere afferrare e portare fuori dalla città il titubante Lot. Se ne sarebbe dovuto occupare solo Refael. Gavriel esce dal suo ruolo e collabora alla salvezza. La scusa è che finchè Lot non fosse uscito dalla città non poteva iniziare la distruzione. Tutto questo ragionamento per dimostrare, alla fine, che se persino nella gerarchia Celeste è ammessa una certa flessibilità burocratica, qualche adattamento è opportuno anche nella nostra dimensione.
 
Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme


Sergio Della Pergola
Sul Corriere della Sera di ieri, Sergio Romano spiegava al lettore Alessandro Prosperi perché i palestinesi nelle carceri israeliane (compresi gli autori delle più efferate stragi terroristiche) si debbano definire prigionieri di guerra. Romano parla di "quanto è accaduto nella regione durante i 130 anni trascorsi dai primi insediamenti sionisti", ignorando che fin dall'antichità la continuità della presenza ebraica sul territorio non è mai cessata, e dunque distinguendo eticamente fra ebrei (forse buoni) e sionisti (certo cattivi). Poi Romano, suggerendo un'altra distinzione etica, dice che "il popolo A ha costruito il suo stato su una parte della regione, occupa l'altra parte, e dispone di un esercito, di un arsenale moderno, e di un territorio in cui può preparare le sue operazioni"; mentre "il popolo B vuole invece la fine dell'occupazione, reclama l'indipendenza, e ricorre alle armi che sono state usate da tutti i movimenti di resistenza e di liberazione". Romano certo sa bene che nel novembre 1947, quando l'Assemblea generale dell'ONU approvò a grande maggioranza il piano di spartizione della Palestina, il popolo A e il popolo B si trovavano esattamente nella stessa posizione: non esisteva uno Stato, ma solamente due movimenti di liberazione nazionale contrapposti. Di fronte alla soluzione di compromesso proposta dall'ONU, "il popolo A" l'accettò, sia pure a malincuore, e "il popolo B" la rifiutò. Rilegga Romano le assai istruttive dichiarazioni di voto del 1947 dei rappresentanti delle due parti di fronte all'assemblea dell'ONU, e vi troverà raffigurati fedelmente gli estremi odierni del conflitto. Il popolo A, dunque, si erige a Stato, ma il popolo B rifiuta di erigersi a Stato e invece cerca con tutti i mezzi possibili di impedire l'esistenza dello Stato (e forse anche del popolo) A. La preoccupazione per la corretta definizione dei palestinesi nelle carceri israeliane passa in secondo piano se la storiografia non è generalmente equilibrata, è poco documentata, ed è infiltrata da pregiudizio.

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Qui Padova - Gli ebrei italiani e il valore della conoscenza
Gli ebrei in Italia. La specificità di una identità plurimillenaria, i valori testimoniati e il ruolo nella società, il legame con lo Stato di Israele e con le altre realtà diasporiche. Questi alcuni dei temi che hanno aperto la venticinquesima edizione del Gruppo di Studi e Ricerca sull’ebraismo di Padova. Un’iniziativa nel segno della conoscenza, legata alla Diocesi della città veneta, che a breve festeggerà un quarto di secolo di vita e che si avvicina a questo importante traguardo con una serie di iniziative che coinvolgeranno lungo un articolato filo tematico di approfondimenti, rabbini, leader ebraici e studiosi. Ospite del primo incontro, svoltosi alla Casa Pio X in via del Vescovado, il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna. Conclusa una lunga relazione in cui ha avuto modo di fotografare la realtà dell'ebraismo italiano sotto vari punti di vista, incluso quello demografico, il presidente Gattegna si è prestato alle molte domande del pubblico assieme al presidente della Comunità ebraica di Padova Davide Romanin Jacur, al rabbino capo Adolfo Locci, alla direttrice del Gruppo di Studi Lucia Poli e a Don Giovanni Brusegan, delegato per la pastorale della Cultura della Diocesi. Al termine dell’incontro ha inoltre ricevuto in dono Coloro che ti benediranno Io benedirò, raccolta di scritti dedicati all'ebraismo di Teresa Salzano, tra le fondatrici del Gruppo di Studi nel febbraio del 1987. Soddisfatta per l'esito dell'iniziativa, Lucia Poli sottolinea i molti simbolici gradini percorsi negli anni a Padova. “In questi 25 anni – racconta – sono passate tante persone e abbiamo compiuto un significativo cammino sulla strada della conoscenza, del rispetto e dell’apprezzamento della fede, della cultura e della storia degli ebrei di ieri ma anche degli ebrei di oggi. Il fatto che un gruppo come il nostro continui a trovarsi, per ascoltare e per domandare, per lasciarsi sfidare anche dalla diversità dell’altro, è un segnale forte che il cammino fatto non può essere cancellato e che non si torna indietro né si possono accettare compromessi". Errato in ogni caso, specifica Poli, percepirlo come un progetto di dialogo interreligioso: "Il nostro è un organo divulgativo. Il compito che ci siamo posti è quello di fare conoscenza e sradicare i pregiudizi. D'altronde se non ci si conosce non si può neanche fare amicizia". Posizioni condivise dal rav Locci, impegnato nelle attività del Gruppo Studi da oltre un decennio e responsabile del concerto di musiche sinagogali che chiuderà l'edizione numero 25 del corso a giugno. “Il bilancio personale di questa esperienza è molto positivo. Parliamo infatti di un polo di attrazione ormai consolidato nel quale i partecipanti ottengono risposte a quesiti che in altre circostanze non avrebbero possibilità di fare. A testimoniare il valore del dibattito, la presenza tra il pubblico di numerosi docenti universitari”. Prossimo appuntamento martedì 22 novembre alle 20.45. Ospite il presidente dell’Assemblea Rabbinica Italia rav Elia Richetti che terrà una lezione sulla liturgia dello Shabbat.

Adei Wizo Letteratura - La misteriosa Praga di Wishnia
Nato allo scopo di diffondere la conoscenza della cultura ebraica e della sua produzione letteraria, il Premio letterario Adei-Wizo Adelina Della Pergola celebra quest'anno l'undicesima edizione. Appuntamento all'Accademia Navale di Livorno lunedì 13 novembre a partire dalle 17. Cinque i libri finalisti selezionati dalla giuria: per la categoria principale, oltre all'opera vincitrice “La simmetria dei desideri” di Eshkol Nevo, anche “Fratture” di Irit Amlel e “È andata così” di Meir Shalev. Per il premio narrativa ragazzi “Il quinto servitore” di Kenneth Wishnia, vincitore di categoria, e “La caccia di Salomon Klein” di Massimo Lomonaco. Una menzione speciale è andata a Claude Lanzman per il suo “La lepre in Patagonia”.

“Praga in versione XXI secolo si legge come il resoconto di un’investigazione mozzafiato: non puoi smettere di girare le pagine, e quando hai finito, ne vorresti ancora”. Così il giornale ebraico americano The Forward ha recensito il libro di Kenneth Wishnia Il Quinto servitore, vincitore del Premio Narrativa Ragazzi 2011. “In Europa il senso della storia è insito nelle persone e nella vita. Solo così un libro come il mio, che si svolge tra il Medio Evo e il Rinascimento, e che è pieno di riferimenti alla realtà dell’epoca, può essere apprezzato addirittura da un pubblico di giovani adulti”. Ama molto la storia Kenneth Wishnia, scrittore americano con un passato errante in giro per l’Europa. Passione ereditata dalla madre, storica di professione, ma frutto anche della sua vita vagabonda in giro per il mondo (sulla sua presentazione sul suo sito internet si vanta di aver “vissuto, lavorato e di essere stato inseguito dalla Polizia” in tre diversi continenti). Nonostante ammetta che in Europa le persone hanno un senso della storia molto più profondo di quanto avvenga negli Stati Uniti, Wishnia è quasi incredulo quando pensa a quanto il pubblico di liceali italiani che hanno partecipato all’assegnazione del Premio narrativa ragazzi Adelina Della Pergola abbia apprezzato il suo libro Il Quinto Servitore, pubblicato da Longanesi. Perché nei licei a stelle e strisce è difficile trovare ragazzi con un background storico abbastanza forte da apprezzare un libro come il suo, e lui se ne rende conto benissimo, visto che insegna scrittura e letteratura inglese all’università (al Suffolk Community College) e di studenti ne incontra tutti i giorni. Il Quinto servitore, l’ultima fatica di Wishnia, è il frutto di cinque anni di meticoloso lavoro (“è sempre così: faccio ricerche e prendo appunti a sufficienza per cinque libri, e alla fine ne scrivo uno solo”). L’atmosfera è quella della Praga ebraica del XVI secolo. Costretti a risiedere nel Ghetto, gli ebrei vivono però relativamente tranquilli, e la vita ebraica prospera. Fino al momento in cui alla vigilia di Pesach, anno 1592, una giovane cristiana viene trovata uccisa in una bottega. Lo spettro dell’accusa di omicidio rituale allo scopo di usare il sangue della ragazza per impastare le matzot minaccia di portare via alla comunità anche quel fondamentale barlume di libertà e sicurezza conquistata. Il protagonista Benyamin Ben- Akiva è arrivato da poco in città dalla Polonia per lavorare come assistente del rabbino di una delle sinagoghe del ghetto, ma soprattutto per riconquistare la moglie Reyzl, fuggita dall’oscurità della vita del loro piccolo shtetl polacco. Benyamin Ben-Akiva, “un ebreo alto dalla barba riccioluta” e un’aria di “controllata disperazione” ha solo tre giorni per smascherare il vero assassino e salvare così gli ebrei di Praga da “esilio, sterminio o entrambi”. E a investirlo della missione di “inquisitore del destino, ma dalla nostra parte” è niente meno che Rabbi Judah Loew, il creatore del leggendario Golem.
I misteri per Kenneth Wishnia non sono una novità. All’attivo dello scrittore è infatti anche una serie di cinque romanzi incentrati sulle vicende della poliziotta newyorkese Filomena Buscarsela. “Anni fa il mio primo romanzo ‘Ventitre tonalità di nero’ fu rifiutato dall’editore cui lo mandai perché troppo ‘complesso e letterario’ - ricorda l’autore, evidenziando con un filo d’amarezza come solo negli Stati Uniti questa possa essere una critica negativa nei confronti di un libro - e anche troppo ‘politico’. Così quando fu pubblicato, e mi chiesero di descriverlo in poche parole scelsi di definirlo proprio un romanzo complesso, letterario e politico”. Di fronte alla stessa domanda per Il quinto servitore, Kenneth Wishnia riflette un attimo prima di rispondere. “Oscuro, romantico, sardonico” sceglie alla fine, sottolineando come l’umorismo cinico di cui il romanzo è pervaso rappresenta per lui una caratteristica insostituibile. Un romanzo di cui Wishnia è particolarmente soddisfatto “Se i miei precedenti libri erano paragonabili alla musica punk-rock, Il quinto servitore per me è come la musica classica, più denso, più introspettivo”.
“Questo libro è stata anche l’occasione per approfondire i temi legati all’ebraismo - spiega ancora lo scrittore - Io sono ebreo e mia moglie è cattolica. Quando mi sono sposato ho provato il desiderio di conoscere meglio la cultura di mia moglie. Ma studiando mi sono reso conto che non conoscevo affatto la mia. Così ho cercato di rimediare”.
Di ricevere il premio Adei, Kenneth Wishnia si dice particolarmente orgoglioso: “Sono molto grato al pubblico femminile che si è sempre dimostrato attento alle mie opere. E non vedo l’ora di venire in Italia per la premiazione”.

Rossella Tercatin, Pagine Ebraiche, novembre 2011

Qui New York - La grande festa del Kosher
Si conclude oggi la seconda giornata del Kosherfest a New York, considerata la più grande manifestazione dell'alimentare kosher. La fiera si svolge una volta l'anno, ormai da 20 anni ed ha avuto inizio quando anche negli Usa il kosher non era ancora di moda. Già, di moda. Infatti la particolarità di quest'ultima edizione è stata la sorpresa di vedere moltissimi visitatori e compratori di catene e negozi non esclusivamente kosher. Attuamente la presenza di prodotti certificati kosher nella Gdo statunitense è nettamente superiore a quellla di alimentari non kosher. Business? Abbiamo incontrato anche degli acquirenti egiziani, musulmani, che non si ponevano alcun problema a lavorare con i fornitori presenti. Il bello degli USA... Ripensando alle edizioni passate, fa sorridere il ricordo del grande traffico nei corridoi dei larghi cappelli neri che si scontravano...
Non mancava comunque la presenza ortodossa, con tefillot a ritmo continuo in uno spazio dedicato. Oltre ad espositori statunitensi ed israeliani a far la parte del leone, va segnalata una presenza significativa di produttori provenienti da Argentina, Canada, Francia e Regno Unito. Peccato per l'Italia, rappresentata solo da alcuni formaggi, vini e aceti.

Mosè Silvera

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Questi fantasmi
Il Tizio della SeraTra pochi giorni si svolgerà a Tel Aviv la conferenza italo-israeliana sull'uso dell'acqua - se l'Italia esisterà ancora.


Il Tizio della Sera

Opinioni a confronto - "Rabin, ferita aperta"
Mi è piaciuto l'excursus di Francesco Lucrezi sulle tappe della vita di Rabin e sul suo contributo a Israele in tutte le sue fasi della sua esistenza come Stato, fino al giorno del suo assassinio, ma a non posso fare a meno di fare alcune osservazioni su quello che lui scrive. [...]

Daniel Haviv, alchimista

L’assassinio di Rabin fu un trauma collettivo enorme per Israele e per la Diaspora. [...]

Giorgio Gomel, economista


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La Corte Suprema condanna Katsav
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"Ha abusato della sua posizione e ha profanato i corpi e la dignità (delle sue accusatrici)" queste alcune delle motivazioni che si leggono nella sentenza con cui la Corte Suprema israeliana ha oggi confermato la condanna a sette anni di carcere per l'ex presidente Moshe Katsav per lo stupro di una ex assistente e le molestie ad altre due donne che lavoravano per lui.
 
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