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11 novembre 2011 -14 Cheshwan 5772 |
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Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano
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Secondo
il midràsh nella città di Sodoma, la cui distruzione è raccontata nella
parashà di questa settimana, c'era un letto di una sola misura. Se
qualcuno aveva le gambe corte venivano allungate, se erano troppo
lunghe tagliate. A Sodoma bisognava essere tutti uguali. Nessuno poteva
aspirare a elevarsi. Ogni differenza era vista con sospetto. Secondo la
tradizione ebraica invece nessuno di noi è uguale all'altro. Ognuno ha
una missione da compiere che solo lui può compiere. Rav Soloveitchik
dice che l'aspirazione ebraica non è l'uguaglianza ma l'unità e che
l'unità è raggiungibile solo se si ha coscienza dell'unicità di ognuno.
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Laura
Quercioli Mincer, slavista
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Nell’imminenza
delle celebrazioni per il cinquecentesimo anniversario del ghetto di
Venezia, la Comunità ebraica, supportata da vari enti (fra cui
l’Istituto Polacco di Roma), organizza un grande festival, una vera e
propria kermesse di più giorni (dal 20 al 29 novembre) dedicata
all’ebraismo polacco. Nella giornata di apertura avrò l’onore di
partecipare a un incontro a tre voci ci intitolato Ebrei-polacchi,
polacchi ed ebrei: riflessioni su una storia comune. Insieme a me,
Francesco Cataluccio, noto scrittore e saggista, autore fra l’altro del
recente romanzo-reportage Chernobyl, recensito su queste pagine e,
anzitutto, Adam Michnik. Michnik è nato a Varsavia nel 1946, da
genitori che lui definisce, unendo tre appartenenze in un’unica frase,
“Comunisti polacchi di origine ebraica”. Il padre Ozjasz (Osea)
Schechter, era segretario di un partito clandestino dal nome oggi
esotico: il Partito Comunista dell’Ucraina Occidentale. Michnik è stato
uno dei massimi protagonisti ed artefici del ritorno della Polonia nel
novero delle nazioni democratiche, e del grande movimento di idee e di
persone che ha portato alla caduta del muro di Berlino. Fondatore e
direttore di “Gazeta Wyborcza”, il più grande quotidiano dell’Europa
“al di là del muro”, è autore di numerosissimi saggi (fra cui
l’antologia in tre volumi e tremila pagine Contro l’antisemitismo –
1936-2009). Ma per la sua attività politica diretta contro il regime
semidittatoriale e pro-sovietico era stato condannato a tre anni di
carcere nel 1968, a quattro nel 1981, di nuovo a tre nel 1985. In
carcere ha scritto alcune delle sue opere più note, come Storia
dell’onore in Polonia, e svariate lettere. Quelle risalenti a dopo il
colpo di stato del dicembre 1981 sono firmate: “Adam Michnik figlio di
Ozjasz, via Rakowiecka, Varsavia, detenuto in attesa di giudizio”. In
una di esse aveva scritto: “Per me, Generale, la prigione non è una
punizione dolorosa. In quella notte di dicembre non sono stato io a
venir condannato, ma la libertà; non sono io ad essere prigioniero
oggi, ma la Polonia”.
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Qui Torino - Giovani ebrei a congresso
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Si
apre oggi a Torino il XVII Congresso dell’Unione Giovani Ebrei
d’Italia. Da Milano a Roma, da Venezia a Firenze, il mondo ebraico
giovanile si riunirà all’ombra della Mole per discutere, proporre
mozioni e soprattutto nominare il nuovo Consiglio. Sarà l’occasione per
tirare le fila del lavoro svolto dai consiglieri uscenti, dei progetti
e delle attività svolte in questo anno; per ricapitolare gli eventi,
nazionali e non (pensiamo alla liberazione di Gilad Shalit o la
cosiddetta primavera araba), che hanno influito nella politica ugeina.
Un confronto con il passato ma anche con il futuro: i giovani ebrei
saranno infatti chiamati a definire le linee Ugei da intraprendere per
l’anno venturo. Inoltre, vi sarà spazio per una riflessione sulla
problematica e spesso controversa rappresentazione di Israele da parte
dei media europei. L’esperto di comunicazione Philippe Karsenty
racconterà la sua complicata battaglia legata all’erronea descrizione
dell’emittente France 2 dell’uccisione di un ragazzo palestinese a Gaza
nel 2000. Una battaglia per far emergere la verità che ha avuto
complessi risvolti legali. Un’occasione dunque per confrontarsi su un
tema caldo di attualità come l’Hasbarah (הסברע – intesa come cattiva
informazione), una questione al centro del dibattito in Israele e non
solo. Come tradizione la tre giorni di lavori, che avrà luogo nei
locali della Comunità ebraica torinese, sarà anche un momento di
socializzazione e divertimento con la grande festa di sabato sera. Tema
quest’anno il “verde, bianco o rosso” in onore del tricolore italiano e
soprattutto per l’anniversario dei 150 anni dell’Unità. E la scelta di
organizzare il Congresso Ugei a Torino, prima capitale del Regno,
appare ancor più significativa e dal valore simbolico. Gli
stessi ebrei torinesi, notoriamente molto presenti durante le attività
Ugei, hanno partecipato all’organizzazione della tre giorni di lavori
congressuali, sia attraverso il Get (Giovani ebrei torinesi), il gruppo
locale giovanile, sia individualmente. Si alza dunque il sipario sul
XVII Congresso Ugei da cui emergeranno i nomi dei nuovi consiglieri,
che entreranno in carica nel 2012, che avranno poi il compito di
nominare il presidente. Ulteriore tappa attraverso il confronto, il
dialogo e ovviamente il divertimento per il consolidamento
dell’associazionismo giovanile ebraico.
In viaggio verso Torino
"Noi
siamo venute a Torino per il congresso de La Destra di Storace. Voi?".
"Noi per il congresso dei giovani ebrei".
Silenzio.
Benedetta Rubin, studentessa
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Qui Roma - Elena Di Porto, il coraggio e la Resistenza
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Elena
Di Porto, antifascista romana, tra le figure emblematiche della
Resistenza ebraica in Italia, è stata ricordata questa mattina nei
pressi della lapide, posta sul fianco della sinagoga maggiore della
Capitale, in cui si commemorano i partigiani ebrei vittime del
nazifascismo. Un giorno speciale, quello scelto per onorare questa
figura paradigmatica di combattente, più volte protagonista di episodi
di coraggio durante il regime. Oggi sarebbe caduto il suo
novantanovesimo compleanno. Così amici e parenti, capitanati dal nipote
Marco, si sono riuniti per il secondo anno consecutivo in Lungotevere
De Cenci assieme ai vertici comunitari, ad esponenti dell'Associazione
Nazionale Partigiani e dell'associazione Italia-Israele, al direttore
del nascitore Museo della Shoah Marcello Pezzetti e al segretario
cittadino del Partito Democratico Marco Miccoli. Presenti alcuni
studenti della vicina scuola ebraica. "La chiamavano Elenuccia la
matta, ma ci fossero stati altri 'matti' come mia nonna forse contro i
nazifascisti si sarebbe potuto fare di più" ha detto Marco Di Porto. La
donna, a stretto contatto con i partigiani, avvisò in anticipo la
Comunità dell'arrivo dei nazisti nel quartiere ebraico e della
successiva deportazione verso i campi della morte. Ma non fu creduta. In
occasione della cerimonia odierna il presidente della Comunità ebraica
di Roma Riccardo Pacifici si è impegnato a spostare la lapide dedicata
ai partigiani ebrei accanto al portone di ingresso del luogo di culto.
L'operazione, ha affernato, verrà effettuata entro le prossime
celebrazioni del 25 aprile.
a.s.
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Gilad è a casa. Karnit ora pensa alla politica
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Le
immagini struggenti delle sue lacrime fecero il giro del mondo.
L’intera società israeliana abbracciò idealmente la vedova Karnit
Goldwasser mentre salutava per l’ultima volta Udi, suo marito, rapito e
ucciso dai miliziani Hezbollah. Era il 2008, ma per quasi due anni
Karnit dovette lottare per avere notizie del marito, catturato nel 2006
sul confine libanese, e infine riaverne la salma con la magra
consolazione di poterne celebrare i funerali. Tutti in Israele
conoscono la storia di Karnit, una donna diventata il simbolo della
lotta per la liberazione dei soldati rapiti. E che oggi ha deciso di
incanalare il suo impegno e la sua popolarità in una nuova avventura:
la politica. In una recente intervista al quotidiano Yedioth Ahronot,
Goldwasser ha infatti confessato di pensare alla candidatura per le
prossime elezioni nazionali. “Avevo già avuto in passato delle proposte
dei partiti Kadima e Likud ma non ho mai accettato. Ad ogni modo - ha
spiegato - se prenderò la via della politica, non penso che correrò con
uno dei partiti presenti. Se arrivassi alla Knesset (il Parlamento
israeliano, ndr) non potrei far parte di qualcosa che già c’è”. L’idea
potrebbe quindi essere quella di creare un nuovo partito. Un’idea che
non sembra troppo remota. “Penso di avere le qualità per poter
contribuire alla politica israeliana” dice infatti Ronit. “In
particolare sulle questioni socioeconomiche, sull’istruzione e
l’ambiente. Da quello che ho capito, non sei tu a scegliere la
politica. È lei a scegliere te. La questione è se effettivamente mi ha
scelto”. La scomparsa del marito, catturato e ucciso assieme a un altro
soldato israeliano, Eldad Regev (i rapimenti portarono al conflitto tra
Israele e Libano nel 2006) è ancora oggi una ferita aperta. Condivisa
con tante famiglie, orfane di figli, fratelli, nipoti. In particolare
Karnit ha partecipato attivamente alla campagna di sensibilizzazione
per la sorte di Gilad Shalit. Un profondo legame di amicizia si è così
venuto a creare con la madre di Gilad, Aviva. E il giorno della notizia
della firma dell’accordo per liberazione del giovane caporale
israeliano, la vedova Goldwasser è stata una delle prime persone a
recarsi dalla famiglia Shalit per festeggiare. Poche ma significative
le parole pronunciate in quella occasione: “Sono venuta per abbracciare
Aviva e Noam. Gioisco della loro gioia perché almeno Gilad è riuscito a
tornare a casa”.
Daniel Reichel, Pagine Ebraiche, novembre 2011
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Nomi bisillabi
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Durante
la cerimonia in comunità in ricordo di Yitzhak Rabin mi accorgo che
stento a ricordare il nome del suo assassino: a furia di non
menzionarlo (giustamente, perché non lo merita, e infatti non intendo
farlo neanche qui) quel nome, che per anni ha dominato i discorsi di
tutti gli ebrei come una macchia indelebile, lentamente è scivolato in
qualche angolo della memoria da cui fatico a tirarlo fuori. Mentre mi
sforzo di ricordarlo, sento come se ci fosse un altro nome che lo
blocca; di fronte a me, sulla parete di fondo del centro sociale, è
appeso un cartello “Gilad Shalit è libero!”, con la foto del soldato
israeliano che ha dominato i nostri pensieri negli ultimi tempi. Un
nome e un cognome ebraici continuamente ripetuti, entrambi bisillabi,
i-a, a-i. Finalmente mi viene in mente il nome dell’assassino: anche
lui due bisillabi, i-a, a-i, stesse vocali, stessa cadenza: ecco perché
un nome si era sovrapposto all’altro e lo aveva esiliato. Il nome di
un ragazzo ebreo per la cui vita tutti gli ebrei hanno trepidato si è
sovrapposto al nome di un ragazzo ebreo che ha ucciso un altro ebreo;
il nome che ha unito tutte le nostre comunità si è imposto sul nome che
evoca le nostre più dolorose lacerazioni; Il nome che dimostra il
valore della vita umana ha cancellato il nome di chi l’ha disprezzata;
il nome che ha portato speranza ha prevalso sul nome che l’ha
distrutta. Auguriamoci che all’interno del popolo ebraico, come nella
mia memoria, prevalgano sempre la solidarietà, il rispetto per la vita,
la speranza. A pensarci bene c’è un altro i-a, a-i che non può e non deve essere dimenticato: Yitzhak Rabin.
Anna
Segre, insegnante
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rassegna
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Israele - Aerei civili con difese anti-missile
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Israele
ha accelerato l'installazione di difese anti-missile sui propri aerei
di linea. A renderlo noto un funzionario della sicurezza, valutando che
sia aumentato il rischio di attacchi da parte di militanti venuti in
possesso di armi libiche. Gli aerei di El Al e due altre compagnie
aeree saranno equipaggiati con il sistema denominato "C-Music", che
impiega un laser per "accecare" i missili che seguono le fonti
termiche, ed entro il 2013 la maggior parte della flotta aerea disporrà
dell'apparecchiatura. Israele ha iniziato a utilizzare un altro
sistema, il "Flight Guard", sugli aerei El Al dopo che Al Qaeda ha
cercato di abbattere un aereo israeliano carico di turisti in Kenya nel
2002.
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