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13 novembre 2011 - 16 Cheshwan 5772 |
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Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino
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La "legatura di Isacco",
sacrificio mancato, è per certi versi un sacrificio a tutti gli
effetti. Così suggerisce una autorevole linea di interpretazione della
tradizione. Isacco, dice Rav Eliashiv, è come un oggetto perduto al cui
ritrovamento si rinuncia: anche se è intatto non appartiene più al
legittimo propietario.Quando Isacco lascia il luogo della legatura non
è più l'Isacco di prima, è un'altra persona; ed in effetti, nota Rav
Eliashiv, l'angelo che ferma Abramo gli dice: "Non toccare il ragazzo":
ragazzo e non Isacco. È una sorta di neonato ancora senza nome.
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David
Bidussa,
storico sociale delle idee
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L'idea che stia andando in
scena il complotto è una convinzione che procede con il vento
in poppa. Negli ultimi giorni alla schiera dei convinti si
sono aggiunti Piergiorgio Odifreddi sul proprio blog
e Claudio Messora sulla pagina web.
La realtà è sicuramente un groviglio complicato, il richiamo della
semplificazione è certamente invitante e, a ogni buon conto, celebrare
la voglia di riscatto dà la sensazione di avere ancora una vita davanti
e di essere pieni di vitalità. L'intelligenza è un'altra cosa e abita
altrove.
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Qui Torino - UGEI, intensa partecipazione al congresso
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Un
fine settimana ricco di dibattiti e ospiti illustri quello che ha
caratterizzato il sedicesimo Congresso ordinario dell’Unione Giovani
Ebrei d’Italia. A partire dall'intervento tenuto venerdì sera da Piero
Fassino, sindaco di Torino, città sede dei lavori ugeini. Intensa anche
la giornata di sabato, durante la quale si è approfittato dello Shabbat
per discutere, divisi in commissioni, di iniziative e progetti per il
prossimo anno e che si è conclusa con l'intervento del giornalista
francese Philippe Karsenty. A seguire grande festa tutta dedicata ai
150 anni di Unità italiana. Le numerose mozioni formulate nelle scorse
ore sono adesso al vaglio dell’assemblea in attesa dell’elezioni dei
consiglieri per l’anno 2012 (la composizione del nuovo direttivo sarà
nota nel pomeriggio). Il presidente uscente Daniele Regard si è
detto complessivamente soddisfatto del Congresso, “rivelatosi un
successo soprattutto grazie al gran numero di partecipanti e al loro
coinvolgimento".
Francesca Matalon
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Qui Roma - Fra Risorgimento ed emancipazione
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Gli
ebrei romani tra Risorgimento ed Emancipazione (1814-1914). È il titolo
del convegno aperto questa mattina al Centro Bibliografico UCEI di Roma
con i saluti del presidente della comunità ebraica capitolina Riccardo
Pacifici. Un’occasione di studio e approfondimento di un capitolo di
storia poco noto al grande pubblico ma profondamente importante per
comprendere il legame tra ebrei e società italiana, in particolare
alla luce dei festeggiamenti dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Tanti i
relatori che si avvicenderanno in questa giornata organizzata
dal Museo ebraico di Roma in collaborazione con il
Centro di cultura ebraica, il Dipartimento di cultura ebraica,
l’Archivio storico e l’Associazione Daniela Di Castro. “Pochi
giorni fa – ha ricordato in apertura il presidente Pacifici – abbiamo
commemorato i combattenti ebrei caduti durante la Prima guerra
mondiale. Una celebrazione che testimonia ancora una volta il grande
apporto dell’ebraismo italiano al Paese. Uomini che si sacrificarono
per l’Italia e che dovettero poi subire il terribile tradimento delle
leggi razziste”. “Il secolo di storia di cui si parla oggi in questo
convegno – ha aggiunto il presidente – è la dimostrazione di come gli
ebrei non fossero un corpo estraneo all’interno della società
nazionale, ma anzi parte integrante di quest’ultima. Sarebbe dunque
opportuno recuperare nei programmi scolastici, sia delle scuole
ebraiche sia di quelle pubbliche e studiare approfonditamente questo
passato purtroppo ancora ai più poco conosciuto”. Quanti ad
esempio sanno che a sparare il primo colpo per aprire la celebre
breccia di Porta Pia (20 settembre 1870) fu il capitano d’artiglieria
piemontese Giacomo Segre? Aneddoti che testimoniano la grande
partecipazione della realtà ebraica nella costruzione dello Stato
unitario italiano. Tornando al convegno, a moderare la prima parte
della giornata è stata la dottoressa Lilli Spizzichino che ha
presentato gli interventi di Elio Limentani (Gli ebrei tra Risorgimento
ed Emancipazione), Gabriella Yael Franzone (Storia politica e
istituzionale della Comunità ebraica di Roma) e Claudio Procaccioa
(Storia economica e sociale degli ebrei a Roma. Tra retaggio e
metamorfosi). Nella seconda parte della mattinata Ester Capuzzo e
Giancarlo Spizzichino si sono soffermati a parlare rispettivamente
sull’ “Elite e società ebraica: Samuel Alatri, Crescenzo Del Monte,
Ernesto Nathan” e “La Comunità ebraica di Roma nei primi cinque anni
del pontificato di Papa Pio IX, 1846 – 1850”. Nel pomeriggio i lavori riprenderanno con la moderatrice Silvia Haia Antonucci e si parlerà di “Il
Rabbinato a Roma tra Restaurazione ed Emancipazione” con rav Gianfranco
Di Segni. Attorno all’arte, l’architettura e l’urbanistica graviteranno
poi gli interventi di Olga Melasecchi (Artisti e committenti ebrei
dall’Unità d’Italia al 1914) e Sara Cava (Trasformazione urbanistica ed
edilizia tra ‘800 e ‘900 e ricostruzione multimediale). In
chiusura il pubblico potrà confrontarsi con i relatori con un dibattico
aperto sulle tematiche affrontate durante il convegno.
Daniel Reichel
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Marcello, il dottore della rinascita
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Vi
sono due sono date emblematiche che mi legano a Marcello Cantoni. La
prima è quella del 9 marzo 1950, quando su di me neonato Marcello
esercitò la funzione del medico di Comunità per eccellenza, quella di
moel o circoncisore, e mi iscrisse nel suo celebre libro delle milot
che giunse ad annoverare nel 1991 il nome di quasi 1000 bimbi. La
seconda data è quella triste del 7 marzo 2003 quando, chiamato dalla
figlia Manuela, accorsi per primo fra gli amici medici e dovetti
constatare che Marcello, come accade ai giusti, serenamente nel sonno
ci aveva lasciati. Parlare di Marcello Cantoni vuol dire
ripercorrere le vicende novecentesche attraverso l’esperienza di un
giovane medico, di un uomo di cultura e poi di un padre di famiglia
che, trovandosi a vivere in tempi eccezionali, ha saputo mettersi a
disposizione del prossimo con energia, intuito e capacità organizzative
sostenute da una solida base scientifica e positivista, guidato dalla
consapevolezza tutta ebraica che la prima soluzione di ogni problema va
trovata dentro se stessi. Anche quando i tempi sono divenuti meno
eccezionali, la sua energia, il suo spirito di iniziativa e di
aggregazione hanno continuato a improntare le sue molteplici attività. Come
risulta da un curioso stato di famiglia del Comune di Milano del giugno
1945 Marcello nasce il 24 maggio 1914. Frequenta il liceo Berchet, con
episodiche bigiate mattutine al cinema Colosseo di cui il padre Ettore
in quegli anni è amministratore. Si iscrive a Medicina nel 1933 e nel
novembre 1939 si laurea con 105/110 con una tesi sulla “terapia delle
meningiti meningococciche con i moderni preparati sulfamidici”. Nel
marzo 1940 Marcello inizia a lavorare alla clinica Villa Aegla il cui
direttore professor Lenti non accetta di applicare le disposizioni “per
la difesa della razza”. Lì rimarrà fino al 1943. Già da due anni
la Comunità di Milano che contava 2000 iscritti stava fronteggiando un
complesso problema sociale e sanitario, quello degli ebrei profughi
dalla Germania e dai Paesi occupati dai nazisti. Nel 1939 l’Unione
delle Comunità Israelitiche istituiva la Delasem (Delegazione
assistenza agli emigrati). Una delle stanze dell’ufficio è adibito ad
ambulatorio ed è affidato al dottor Gino Emanuele Neppi, licenziato dal
suo lavoro di medico del Comune di Milano dopo le leggi razziste. Neppi
trova in Marcello Cantoni un entusiasta collaboratore. Da quel giorno
per tre anni si raccoglie intorno a loro un gruppo di medici di reparto
licenziati dalla sanità fascista che si dedica all’assistenza degli
ebrei milanesi in difficoltà economiche e di altre centinaia
provenienti dall’estero. Dopo l’8 settembre la situazione diviene
intollerabile. Cantoni è sfollato con la famiglia ad Asso e nel
settembre 1944, il giorno di Kippur 5705, si unisce alla 89° Brigata
Garibaldina Partigiana Poletti con il nome di battaglia di “Marco”. Nel
suo diario annota che “come ebreo italiano sento il dovere di prender
parte alla lotta di popolo per poter avere il diritto di prender parte
a pieno titolo a quello che si farà nell’Italia liberata”. Nella
brigata è medico e vicecommissario politico per poco più di un mese. Il
primo novembre viene infatti catturato con il suo gruppo e riconosciuto
come ebreo, ma riesce a fuggire fortunosamente in Svizzera. Nei 17 mesi
di permanenza in Svizzera fa molte conoscenze nell’ambito della
comunità degli ebrei italiani espatriati: fondamentale è quella con
Raffaele Cantoni, grande rappresentante dell’Unione delle Comunità
Israelitiche Italiane. Nel maggio 1945 Marcello rientra a Milano
e si rende conto, insieme ai dirigenti della Comunità, dell’enormità
della tragedia dei lager e dell’imminenza dell’arrivo di migliaia di ex
deportati alla ricerca di una nuova esistenza in Europa, in America o
nella Palestina del Mandato britannico. La risposta alle urgenti
necessità viene trovata nel cinquecentesco Palazzo Erba Odescalchi di
via Unione 5, già sede del gruppo rionale fascista ‘Antonio Sciesa’ che
il Comitato di liberazione nazionale alta Italia mette immediatamente a
disposizione della Comunità ebraica. Qui Cantoni ricopre il ruolo di
responsabile dell’organizzazione sanitaria e dell’utilizzo dei fondi in
via Unione, quotidianamente impegnato nella gestione di una struttura
che col tempo raggiunge le dimensioni di un piccolo ospedale con 20
posti letto, 30 operatori sanitari altamente qualificati, un
laboratorio di analisi e tutte le attività specialistiche, inclusa
un’officina di protesi ortopediche. Nel frattempo Cantoni è impegnato
in altre attività: nel 1945 diviene presidente dell’Organizzazione
sanitaria ebraica milanese, lavora come medico scolastico del Comune,
si sposa con Mirella Ascoli (da cui avrà due figlie, Manuela e Mara),
consegue la specializzazione in pediatria con 110 e lode e nel 1952 dà
vita alla Società Italiana di Medicina ed Igiene della Scuola. Nel 1955
poi fonda la sua amatissima creatura, la Rivista italiana di medicina e
igiene scolastica. I documenti che raccontano l’attività di
Cantoni fino agli anni Ottanta testimoniano l’osmosi continua ed
efficace fra i suoi diversi campi di interesse: vigila sulla scuola
ebraica con corsi di aggiornamento sanitario per tutti coloro che vi
lavorano, si dedica alle varie scuole pubbliche cittadine come le medie
Mameli/Colorni, delle quali io stesso sono stato allievo, ove si fa
mediatore di uno spirito innovatore di collaborazione fra docenti e
famiglie, è consigliere e poi presidente della Comunità ebraica nella
quale rafforza i rapporti con le istituzioni cittadine e il legame con
Israele. Nel 1985 Cantoni dà vita all’Associazione Medica Ebraica del Nord Italia che in seguito diventerà nazionale. Negli
ultimi dieci anni della sua vita, lasciati molti impegni istituzionali,
non ha mai rallentato la sua attività professionale di pediatra, con la
sua straordinaria saggezza e l’amore per i suoi piccoli pazienti. Marcello
Cantoni ha vissuto una fase cruciale della storia di questo Paese e
dell’ebraismo nella piena consapevolezza del suo essere medico e
cittadino ebreo italiano, condizione scomoda ma anche privilegiata e
perfino “divertente” come diceva lui, senza ammettere deroghe alla
necessità di un pensiero libero e razionale e di un’azione rapida ed
efficace. Se è vero, come dice la tradizione ebraica, che l’uomo giusto
è ricordato per i suoi atti diretti al bene di tutti, Marcello Cantoni
vive nella memoria della sua famiglia, di noi amici, della Comunità
ebraica e della città di Milano come esempio luminoso di un uomo che ha
resistito alle difficoltà per costruire il futuro.
Andrea Finzi, Pagine Ebraiche, novembre 2011
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Davar Acher - Quale Hasbarà
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Nella corrispondenza da Torino
sul congresso Ugei su questa newsletter si è infilato un lapsus sul cui
oggetto vale la pena di riflettere. Il contributo di Philippe Karsenty
al congresso è presentato come esempio di "Hasbarah (הסברע – intesa
come cattiva informazione)". Ora il verbo "lisbor" da cui viene la
parola Hasbarà significa sì informare, comunicare, esprimere opinioni
ed è usato per esempio abbastanza spesso nel Talmud per introdurre le
varie posizioni nelle discussioni, e "hasbarà" in ebraico moderno può
significare "comunicazione" e perfino "propaganda". Ma nel gergo
politico israeliano il vocabolo è arrivato a definire tutta
quell'attività di comunicazione che si sforza di rettificare l'immagine
di Israele nel mondo e di contrastare le diffamazioni cui il paese, i
suoi governanti e in generale il popolo ebraico sono sottoposti nel
mondo.
È Hasbarà spiegare che Israele non è un "paese di apartheid", che non
esistono dei "Savi di Sion" che mirano alla conquista del mondo, che
non è vero che vi siano dei "confini del '67", che giuridicamente non è
vero che al di là di quel confine vi siano "territori palestinesi", in
cui sarebbe "illegale" la costruzione di case da parte degli ebrei
(anzi dei "coloni") mentre le edificazioni palestinesi sarebbero
legali, che l'esercito israeliano non si dedica alla raccolta di organi
delle sue "vittime", né mira ad uccidere i bambini, che i terroristi da
Gaza sparano razzi sulle case di civili e Israele solo reagisce, che
negli ospedali israeliani sono curati migliaia di palestinesi, che il
popolo ebraico è legato da millenni a Gerusalemme e non è affatto
un'"invenzione" come dicono i palestinesi e alcuni "storici" ebrei di
estrema sinistra. Eccetera.
In particolare è hasbarà fare quel che con molto coraggio ha fatto
Karsenty, sfidando per anni l'establishment dell'informazione francese,
che non è "la sua complicata battaglia legata all’erronea descrizione
dell’emittente France 2 dell’uccisione di un ragazzo palestinese a Gaza
nel 2000", ma la dimostrazione, condotta con successo fino in tribunale
che la televisione francese ha mentito consapevolmente nel caso Al Dura
(il ragazzino che secondo la propaganda palestinese sarebbe stato
ucciso dal fuoco di una pattuglia israeliana e che è stato elevato al
rango di eroe popolare per questo). L'episodio è falso e impossibile
come si vede da molti dettagli, per esempio l'angolo di fuoco che non
corrisponde a quello della torretta di sorveglianza dove stavano i
soldati israeliani, o la forma e collocazione delle tracce dei colpi
sul muro; ma France 2 ha nascosto ostinatamente buona parte della sua
registrazione video che dimostra come l'episodio fosse un falso
precostituito. Tutto ciò è stato rivelato da Karsenty con una esemplare
azione di hasbarà, che è rimasto a lungo isolata anche nel campo
ebraico. E di questo gli va dato grande onore.
Il punto è che spesso la hasbarà è resa difficile dall'incomprensione
in campo ebraico, dall'idea che la "narrativa" palestinese, cioè la sua
propaganda, vada accettata e non sfidata sui fatti, che la verità non
conti o sia contro gli interessi della pace; che di fronte
all'antisionismo e magari anche all'antisemitismo non si debbano
rivendicare la proprie ragioni e i propri diritti, ma si debba cercare
di farsi piccoli e di mostrarsi buoni, sperando che i nemici del nostro
popolo si accontentino dell'umiltà o scarichino la loro violenza su chi
fra gli ebrei non rinuncia alla propria identità in favore di ideali
universalistici (oggi i "coloni", una volta gli "ebrei orientali", così
diversi dai bravi tedeschi o italiani o americani "di religione
mosaica" e opinioni progressiste).
Impegnarsi nella hasbarà vuol dire assumere la responsabilità
dell'amore per Israele, far capire le nostre ragioni e i nostri
diritti, smontare criticamente l'apparato propagandistico antisionista
e antisraeliano, una macchina propagandistica micidiale che corrisponde
oggi pienamente a quella che l'antisemitismo ottocentesco e
novecentesco, con le sue diverse matrici cristiane, positiviste,
naziste, socialiste, ha messo in campo preparando la Shoà. È un lavoro
non facile che suscita grande ostilità e minacce anche nel mondo
ebraico, anche in Italia. Ma secondo me è il compito preciso, il più
importante dovere dell'informazione ebraica. Un dovere verso noi
stessi, innanzitutto, ma anche verso la società in generale: perché
l'antisemitismo (di cui l'antisionismo fa parte come ha scritto anche
il presidente Napolitano) è la bandiera e la punta dell'iceberg di
forze, come il nazismo, il comunismo e l'islamismo, l'integralismo
cristiano, che vogliono imporre un appiattimento sociale e un dominio
delle idee e proprio per questo odiano l' "ostinata" identità e
differenza ebraica.
Ugo
Volli
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notizieflash |
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rassegna
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Sarkozy si scusa con Netanyahu |
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Il quotidiano israeliano Yediot Aharonot ha rivelato che, per rimediare
alla gaffe fatta nei giorni scorsi con Benjamin Netanyahu, Nicolas
Sarkozy ha inviato al premier israeliano una lettera "affettuosa". Il
giornale spiega che la missiva è firmata in persona dal presidente
francese, che in una conversazione con il collega americano Barack
Obama, aveva definito Netanyahu "bugiardo". "Con amicizia", scrive
Sarkozy utilizzando una espressione poco comune in diplomazia. Nella
lettera, consegnata al capo del governo israeliano dall'ambasciatore
francese a Tel Aviv, Christophe Bigot, Sarkozy usa toni molto duri con
l'Iran, il cui programma nucleare è considerato una minaccia da Israele.
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delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
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