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22 novembre 2011 - 25 Cheshwan 5772
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Roberto Della Rocca
Roberto
Della Rocca,
rabbino

Al Tempio Maggiore di Trieste, prima della preghiera di Arvit con cui si conclude lo Shabàt, accade qualcosa di molto  curioso e singolare. Gli addetti al culto passano per i banchi della Sinagoga, ritirano tutti i libri di rito ashkenazita utilzzati fino a quel momento per le preghiere del Sabato e distribuiscono quelli di rito sefardita in uso nei giorni feriali. Questa alternanza di minhaghim è  una consuetudine che dura da almeno cento anni, da quando fu inaugurato il Tempio Maggiore che prese il posto delle diverse Sinagoghe che erano presenti nella città. Anche per gli ebrei triestini resta difficile stabilire se questa scelta di compromesso costituisca un rilancio di antiche tradizioni e di suggestive melodie di differente origine, o sia, viceversa, motivo di confusione e disorientamento. Come che sia sabato sera lo scenario nel Bet Hakeneset triestino era veramente paradossale: al fianco di un cantore di origine corfiota e di un rabbino ashkenazita,  io recitavo sottovoce la Amidà nel  mio rito italiano. Un vero melting pot ebraico.

Dario
 Calimani,
 anglista


Dario Calimani
Quando Devarim (30:12) dice che la Torah non sta in cielo (“lo bashamaim hi”), ma sulla terra, intende che la Torah non è irraggiungibile, ma è a portata di tutti coloro che la vogliano vivere. Se ne deduce allora che la Torah va letta in prospettiva umana, va applicata con criteri umani all’umanità che vive sulla terra. Forse non si può pretendere dall’uomo ciò che l’uomo non è in grado di dare. Ma forse non è troppo azzardato ricavarne che l’ebreo non si deve distaccare dalla vita sociale, e dalla vita politica, che non può vivere di sola spiritualità, ma deve calarsi nel reale, partecipando da dentro, e non assistendo seduto sulla staccionata. Il Pirké Avoth (Massime dei Padri 2:5) mette a fuoco l’idea intimando: “Non ti separare dalla comunità /dal pubblico”. E già solo questo non sempre è facile metterlo in pratica.

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davar
Qui Trieste - A lezione di leadership

Rav Della RoccaSi sono appena conclusi a Trieste i lavori della seconda tappa del Corso di Studi e Formazione organizzato dal Dipartimento Educazione e Cultura UCEI. Un'iniziativa di respiro nazionale, diretta dal rav Roberto Della Rocca, che è rivolta a dirigenti e professionali delle 21 Comunità ebraiche d'Italia e che sta attraversando il Paese. Dopo Milano e Trieste, le prossime sessioni sono in programma a Napoli (6-8 dicembre), Torino (15-16 gennaio) e Firenze (18-19 marzo).

Ora serve fare rete


Adolfo LocciA leggerla con gli occhi di un rabbino la formazione della leadership ebraica assume una sfaccettatura particolare. Anche qui i temi del management hanno un forte rilievo, ma a coinvolgere sono soprattutto gli aspetti legati al rapporto con la Comunità, alla capacità di viverne le dinamiche e di interpretarne gli scenari della possibile evoluzione futura.
“Gli approfondimenti della sezione dedicata ai rabbanim si sono rivelati estremamente interessanti e attuali anche per la capacità dei docenti di gestire il confronto tra i partecipanti – spiega rav Adolfo Locci, rabbino capo di Padova –. Sono incontri importanti perché ci consentono di mettere a confronto i risultati delle nostre attività nelle Comunità, di allargare la prospettiva e valutare se certe metodologie sono efficaci o vanno in qualche modo corrette”.
In questa nuova rete di scambi sempre più si fa sentire la necessità di un vero e proprio network nazionale. “Il dialogo tra le diverse realtà è presente da tempo – sottolinea rav Locci – ma si basa essenzialmente sui rapporti che intercorrono tra le Comunità e rimane in ogni caso estemporaneo. L’auspicio è che possa venire strutturato in maniera più organizzata, con un momento di collegamento a livello nazionale, così da poter divenire più costante e produttivo”. E la medesima costanza dovrebbe, secondo rav Locci, contraddistinguere anche la formazione dei leader ebraici. In assenza di nuove progettualità, dice, rischiamo di rimanere fermi all’oggi e di non comprendere affatto verso quali orizzonti si stanno orientando le nostre Comunità.

Oltre il campanile

Emanuele Viterbo“Il progetto del Dec? Una novità assoluta, un passo avanti per uscire dall’immobilismo”. Emanuele Viterbo, dal 1988 segretario della Comunità ebraica di Firenze, non nasconde il suo entusiasmo per l’avvio del programma d’incontri e seminari. “Un’iniziativa di questo tipo è normale nel mondo del lavoro ma per noi rappresenta un qualcosa di eccezionale e mai fatto prima. Anche per questo l’ho valutata in molto positivo fin dagli esordi”.
All’indomani dei primi incontri non mancano però alcune perplessità e qualche suggerimento per sviluppare al meglio il programma. “Dal mio punto di vista questo progetto è una sorta di treno in corsa, l’auspicio è che ci si salga tutti.
Mi è spiaciuto invece vedere che la partecipazione dei miei colleghi e più in generale dei dipendenti delle Comunità è alquanto ridotto, almeno nella prima fase”.
Quanto all’impostazione, sottolinea, un progetto di questo tipo ha senso solo in un’ottica nazionale.
“Nel mondo della globalizzazione non ha più senso rimanere ancorati alla mentalità localistica e campanilistica che troppo spesso continua a contraddistinguere le nostre realtà. è su questo contesto che si deve intervenire per migliorare l’organizzazione delle Comunità, costruendo una visione innovativa complessiva”.
E dunque ben vengano gli strumenti per gestire al meglio la struttura, purché li si inquadri in un quadro più ampio. Un esempio concreto e molto attuale, dice Viterbo, è quello della Shechitah che potrà trovare una soluzione adeguata solo in una logica nazionale così come tanti altri aspetti organizzativi e gestionali.

Il coraggio di voltare pagina


Salonichio“È arrivato il momento di superare molte logiche usate finora, basate su schemi ormai sorpassati e su esperienze non più attuali e di disegnare nuovi approcci, adeguati alle esigenze comunitarie e alle sfide che ci attendono”. Alessandro Salonichio, presidente della Comunità di Trieste che ha ospitato il secondo modulo del progetto formativo, ha ben chiari gli obiettivi che attendono la realtà ebraica. “Bisogna avere il coraggio di cambiare e di mettersi al passo con i tempi, rendendo le nostre strutture più efficienti, moderne e funzionali: sia nel rapporto con gli iscritti sia in quello con l’esterno. è uno sforzo che deve essere condiviso al massimo per consentirci di superare le resistenze fondate sulla convinzione che, se fino ad oggi tutto è funzionato in quel modo, nulla deve essere cambiato”.
In questo senso il progetto di formazione rivolto alla leadership può fornire strumenti preziosi: in termini di maggiore professionalità, ma non solo. “La mia speranza è che opportunità d’incontro come queste ci offrano l’occasione di conoscerci meglio, di mettere a confronto le nostre pratiche e le nostre esperienze alla luce di una formazione al passo con i tempi.  Sono certo che questa preparazione ci aiuterà ad approfondire la nostra comprensione delle dinamiche comunitarie e a interpretare meglio gli scenari di cambiamento”.
La spinta al cambiamento porta con sé dei rischi, Alessandro Salonichio ne è ben consapevole. Idee diverse e innovative, dice possono mettere a rischio gli equilibri su cui una Comunità si è sempre retta. “L’auspicio è che il confronto con i colleghi di altre Comunità e con i docenti ci aiuti a individuare le vie per comprendere meglio le diverse sfaccettature dei problemi e a prendere decisioni responsabili e rispettose del mandato conferitoci dagli iscritti”. Anche in direzione di nuove sinergie e collaborazioni su scala più ampia. “Questi incontri rappresentano una chance unica per creare momenti di cooperazione tra le varie Comunità su progetti generali e specifici. Dobbiamo sfruttarla al massimo: siamo davanti a un’opportunità che possiamo e dobbiamo cogliere”.

(Daniela Gross, Pagine Ebraiche dicembre 2011)

Qui Roma - Una Cultura in tante Culture
Una cultura in tante culture“Ho capito che se vogliamo possiamo credere in una società migliore” racconta un liceale fiorentino. La possibilità di aprirsi, stringere nuove amicizie, confrontarsi con realtà diverse attraverso il teatro, la danza, il gioco. Il senso del progetto Una Cultura in tante Culture, promosso dall’Adei Wizo e presentato ieri al Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II di Roma, è quello di creare relazioni durature tra ragazzi di scuole ed età diverse, permettere il superamento di eventuali barriere culturali o religiose e formare gli insegnanti su temi didattici e metodologici come la mediazione dei conflitti. Nata cinque anni fa, l’iniziativa ha coinvolto diverse scuole italiane e in questi giorni verrà portata avanti con gli insegnanti del Convitto nazionale.
Dopo i saluti inaugurali del rettore dell’istituto Emilio Fatovic e l'intervento, fra gli altri, di Ruth Dureghello, assessore alle scuole della Comunità ebraica di Roma, si è entrati nel vivo del progetto con la presentazione delle attività da parte di Ziva Fischer, responsabile del progetto per l’Adei Wizo, e di Angelica Calò Livne, docente del seminario Una Cultura in tante Culture nonché fondatrice di Beresheet La Shalom, organizzazione che promuove il dialogo in Israele tra ragazzi di diverse religioni.
“L’Adei Wizo – ha spiegato la Fischer agli alunni e agli insegnanti presenti – è l’associazione di riferimento per le donne ebree italiane e, fra le diverse attività che portiamo avanti, molte iniziative sono dedicate ai giovani, il futuro di questa società. È in quest'ottica che è stato realizzato il progetto”. Sulle finalità del seminario si è soffermata Calò Livne: “Gli obbiettivi sono molti, creare un’atmosfera di accoglienza e di comunicazione positiva all’interno della classe affinché i ragazzi siano in grado di esprimersi e studiare con curiosità, rispetto e fiducia verso ogni compagno sviluppando e consolidando la propria identità”.

Qui Venezia - Michael Calimani, giornalista professionista
Michael CalimaniAnche Michael Calimani (Venezia), il quinto giovane ebreo italiano ad aver compiuto il praticantato giornalistico, ha felicemente superato l'esame di Stato per l'abilitazione professionale ed è ora iscritto all'albo professionisti dell'Ordine dei giornalisti. Per la redazione del Portale dell'ebraismo italiano giunge a compimento un significativo ciclo di lavoro che ha consentito la formazione e l'esito positivo dell'esame da parte di giovani provenienti da città diverse, tutti portatori di un grande slancio professionale. L'auspicio è che si possa rinnovare presto questa esperienza, continuando a formare giornalisti professionisti capaci di vedere il giornalismo da un punto di vista ebraico, più che l'ebraismo da un punto di vista giornalistico.
Un grande Mazal Tov a Michael da tutti i colleghi della redazione.

pilpul
Cittadini del mondo, un po' preoccupati...
Giovedì prossimo l’associazione di cultura ebraica Hans Jonas, in collaborazione con il Pitigliani e la casa editrice Giuntina, presenta il rapporto sui giovani ebrei italiani curato da Saul Meghnagi. Un evento particolare, però, perché a ragionare della ricerca non ci saranno rabbini e dirigenti delle comunità - come pure è già accaduto e continuerà ad accadere - ma esponenti politici e di categoria.
Nicola Zingaretti (presidente della Provincia di Roma), Giorgia Meloni (già ministro della Gioventù), Jacopo Morelli (presidente dei Giovani industriali), Ilaria Lani (responsabile dei giovani Cgil) si confronteranno, moderati dai giornalisti David Parenzo e Fabio Perugia, in un dibattito dal titolo «L’Italia non è un paese per giovani?». Una questione fondamentale per il futuro dell’Italia. La questione è: perché un’associazione ebraica organizza un talk show di questo tipo?
Essenzialmente per due ragioni. Abbiamo fondato la nostra associazione per essere, nel nostro piccolo, una cerniera tra la comunità ebraica e il mondo circostante. Un luogo dove discutere degli ebrei italiani all’interno della società, ragionando sulle differenze ma anche sui punti di contatto. Da questo punto di vista i risultati della ricerca sono decisamente interessanti: le preoccupazioni dei giovani ebrei coincidono in massima parte con quelle dei loro coetanei, com’è ovvio, ma presentano anche divergenze significative.
Il ruolo delle comunità e delle associazioni, di ciò che viene chiamato «società civile», appare ogni giorno più decisivo. Viviamo un’epoca senza luoghi di confronto e discussione, dove manca il tempo della riflessione e dell’elaborazione. La sintesi in passato favorita dai partiti, dai sindacati, dalle categorie, risulta oggi un obiettivo complesso. Il compito di una comunità diventa fornire spazi di incontro, cioè evitare di chiudersi in un guscio e pensare solo a se stessi. Un’associazione ebraica rappresenta certamente un punto di vista particolare, ma non deve dimenticarsi dei temi di interesse generale e del bene comune.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas


notizie flash   rassegna stampa
Egitto - Terzi: "Basta violenza"
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“L’Italia rispetta il processo politico in atto ma si attende che sia improntato al pieno rispetto dei diritti umani e delle legittime aspettative democratiche del popolo egiziano”. È la richiesta del neoministro degli Esteri Giulio Terzi, che ha espresso in una nota ufficiale forte preoccupazione per gli sviluppi della situazione egiziana. Il titolare della Farnesina, impegnato oggi a Kuwait City per un forum tra i Paesi del G8 e quelli della Lega Araba, si è rivolto “a tutte le parti affinché cessi ogni violenza”.
 

Non ci sono quasi oggi sui giornali della rassegna notizie che riguardino direttamente il mondo ebraico e Israele. I temi principali sono la rinnovata rivolta egiziana, questa volta contro la giunta militare e le sanzioni all'Iran da parte degli Usa.

Ugo Volli












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