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29 novembre 2011 - 3 Kislev 5772
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Roberto Della Rocca
Roberto
Della Rocca,
rabbino

In una derasha sulla Parasha di Toledot il Rav Jonathan Sacks si chiede perché Rivka ha detto a Yacov di ingannare suo padre Itzchak  al fine di prendersi la benedizione al posto di Esav? Le sue istruzioni sono chiare e perentorie. Il suo piano era dettagliato e completo. Senza esitazioni o dubbi.
Le spiegazioni sono molteplici ma tutte riconducibili a un dilemma fondamentale. Perché Rivka non ha condiviso con Itzchak le sue preoccupazioni e  i suoi progetti? Seguendo alcuni commenti del Netziv (cfr. Bereshit, 24; 65) la relazione di Itzchak e Rivka è caratterizzata dalla distanza e non è uguale a quella tra Sara e Avraham o Rachel e Yacov che non hanno paura di discutere e condividere i problemi. Itzchak è fisicamente lontano quando Rivka lo vede per la prima volta. Lui è anche mentalmente distante: meditabondo, immerso in pensieri profondi e nella preghiera. Rivka impone la sua distanza coprendosi con un velo e non puo stupirci quindi  che Rivka non riesca a parlare con lui. E' l'incapacità di comunicare che ha  portato all'inganno, che ha, di conseguenza, creato una serie di tragedie. La Torah ci sta dicendo che la comunicazione è vitale, seppur difficile. Rivka agisce sempre spinta da motivi più alti. E' il Midrash a guidarla. Cerca di non creare preoccupazioni a Itzchak. Non vuole disilluderlo su Esav, il figlio da lui  amato. Non vuole creargli preoccupazioni e dirgli che i due ragazzi lotteranno per tutta la vita. Ma l'inganno portato avanti è molto peggio. Scrive rav Sacks che questa storia ci parla della tragedia delle buone intenzioni. L'onestà e la trasparenza sono il cuore delle relazioni forti. Quali siano le nostre paure e trepidazioni è meglio parlare e dire la verità che praticare anche il più nobile degli inganni.

Dario
 Calimani,
 anglista


Dario Calimani
Una mozione dell’ultimo Congresso UCEI, un anno fa, chiedeva all’Assemblea rabbinica di considerare la possibilità di istituire in Italia la figura di un dayan (giudice) unico, e ciò per favorire una applicazione più coerente e unitaria della halakhah, con riferimento a conversioni, divorzi, kasheruth e, magari, anche a rapporti con altre più o meno nuove entità ebraiche. Poiché il rinnovo del Consiglio si sta avvicinando a grandi passi, e il problema in questione è di una certa gravità per le comunità ebraiche italiane, sarebbe assai utile sapere se l’Assemblea rabbinica sia stata in grado di affrontare l’argomento e stia elaborando un progetto o, quanto meno, una risposta all'esigenza manifestata dal Congresso. Se poi la figura del dayan unico non fosse reputata ‘utile’ al rabbinato italiano, ci si chiede se si stia cercando di proporre una azione alternativa per contrastare la grave crisi aggregativa in cui si dibattono le nostre comunità? È vero che noi uomini non facciamo miracoli, ma qualche volta possiamo cercare di fare la nostra parte.

davar
Qui Ancona - Rav Laras: "Gli anni della mia formazione"
Il rav Giuseppe Laras, rabbino capo di Ancona e presidente emerito dell'Assemblea Rabbinica Italiana, ha rilasciato al quotidiano Il Resto del Carlino la seguente intervista.

Rav Giuseppe Laras"Quello con Ancona - così inizia l'intervista - è stato un ritorno. Arrivai qui giovane, avevo 23 o 24 anni, e questa fu la mia prima comunità come rabbino. Studiavo legge a Torino e per non interrompere l’università decisi di proseguire nella vicina Macerata, dove allora insegnava Stefano Rodotà, giovanissimo e brillante professore, di cui serbo un ottimo ricordo. Ho ancora in mente il tragitto che facevo, passando per Osimo e Treia. Ad Ancona non avevo collaboratori ed inizialmente fui aiutato dal buono e anziano officiante della sinagoga, che disgraziatamente morì poco dopo il mio arrivo. Tutto ricadde così sulle mie spalle. Ricordo che fui intimorito dall’incarico, anche perché la gente marchigiana all’inizio è un po' chiusa: nel tempo, tuttavia, le cose sono andate bene e la comunità si è aperta. A trattenermi fu soprattutto il pensiero della grande fiducia che queste persone avevano riposto in me. Qui ho fatto esperienze importanti, mi sono impratichito, ho scoperto una città molto bella e ricca di storia".
Lei è un figlio della Shoah: non teme che il Giorno della memoria rischi oggi di sprofondare nella retorica o di servire a qualcuno per far acquisire una sorta di presentabilità, magari col rischio di ottenere risultati contrari aquelli per i quali fu pensato?
Il problema esiste, il Giorno della memoria sta purtroppo diventando una sorta di liturgia ripetitiva. Ma è bene evitare di farlo abolire come qualcuno ritiene. Bisogna cercare invece di dargli sempre più un contenuto attraverso testimonianze e riflessioni, con finalità educative affinché non accada mai più. Oggi, per ragioni anagrafiche, i testimoni diretti stanno scomparendo come pure i figli della Shoah. Il pericolo di una rimozione collettiva è quindi incombente. Aggiungo che da parte della comunità ebraica c’è un forte interesse a che non aumenti l’antisemitismo, che cova ancora sotto la cenere, e che nella società, come nella politica, non emerga e non si rafforzi una tendenza all’intolleranza verso le minoranze. Si inizia così e si finisce come nel 1938 (...)
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Cristiano Bendin (Il Resto del Carlino)

Qui Milano - Nuovo Consiglio per il CDEC
Consiglio CDECSi è svolta negli scorsi giorni la riunione di insediamento del nuovo Consiglio di Amministrazione della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea CDEC onlus, largamente rinnovato e composto da Anselmo Calò, Ruggero Gabbai, Samy Gattegno, Micaela Goren, Leone Hassan, Piergaetano Marchetti, Raffaella Mortara, Leone Paserman, Giorgio Sacerdoti, Gionata Tedeschi, Lea Voghera. Il Consiglio ha confermato presidente Giorgio Sacerdoti e vicepresidenti Micaela Goren e Raffaella Mortara. Nel corso della riunione sono stati esaminati e approvati il bilancio preventivo e il programma di attività per il 2012, che comprende tra l’altro le indagini sull’antisemitismo contemporaneo, le ricerche su diversi aspetti della Shoah e della storia degli ebrei nell’età contemporanea, i progetti speciali di acquisizione e catalogazione della musica e delle fotografie degli ebrei italiani, la pubblicazione di due fascicoli della rivista digitale di storia “Quest” e numerose altre attività. Per il prossimo Giorno della Memoria il CDEC pubblicherà sul web tutti i nomi degli ebrei vittime della Shoah in Italia; il progetto sarà successivamente implementato con la pubblicazione delle loro fotografie. Per realizzare queste attività il nuovo Consiglio si è impegnato nella ricerca di nuovi contributi da parte di privati e istituzioni.
 
Qui Venezia - Vitalità e riscoperta dell'ebraismo polacco
Giornata studi VeneziaSi è svolta domenica la consueta Giornata di studio della Comunità ebraica di Venezia, giunta alla sua trentaseiesima edizione, un evento che ogni anno riunisce nelle sale comunitarie studiosi e semplici curiosi interessati a conoscere più a fondo le molteplici sfaccettature della cultura ebraica. Tema filo conduttore di quest’anno è “La città degli ebrei: ghetti, quartieri, shtetl fra passato e presente”. Un interessante percorso storico-architettonico che ha posto per l’appunto l’attenzione sul tema degli insediamenti ebraici nei secoli. A introdurre la giornata un breve discorso del presidente della Comunità ebraica di Venezia, Amos Luzzatto, che ha espresso la sua soddisfazione per la prosecuzione di una tradizione così importante per la Comunità lagunare, una realtà che da sempre ha accolto le diverse correnti dell’ebraismo ortodosso e che quest’anno ha voluto guardare al di là dei propri confini. La Giornata di studio è stata infatti l’evento conclusivo del Festival della cultura ebraica polacca organizzato a Venezia dal 20 al 29 novembre e che ha assunto particolare significato proprio per la posizione geografica e storica della Comunità locale, in costante rapporto con la Polonia: dagli stampatori ebrei a Venezia che dopo il rogo dei Talmud del 1553, passarono il testimone agli stampatori di Cracovia, ai rapporti familiari tra i rabbini del Veneto e quelli polacchi. Il festival è stato organizzato dall’Istituto Polacco di Roma, dalla Comunità ebraica di Venezia e dall’Associazione per i 500 anni del Ghetto di Venezia in collaborazione con il Centro Veneziano di Studi Ebraici Internazionali, la Biblioteca Archivio “Renato Maestro”, l’Associazione Amici del Conservatorio, il Museo Ebraico di Venezia e la Casa del Cinema che per l’occasione ha dedicato una rassegna cinematografica allo sguardo del grande regista polacco Andrej Wajda sul rapporto fra ebrei e Polonia. “Un’occasione - ha sottolineato Amos Luzzatto - per inaugurare una serie di iniziative che ci condurranno alle celebrazioni per i 500 anni del Ghetto di Venezia e l’opportunità di vedere coinvolti, sia nell’organizzazione del festival che nella moderazione della Giornata di studio, giovani intellettuali della Comunità ebraica di Venezia, come Gabriele Mancuso e Shaul Bassi. Un simbolico passaggio di consegne sul piano culturale”. L’intervento di apertura di Donatella Calabi, docente dell’Università IUAV di Venezia, ha posto l’attenzione sulla nascita di insediamenti ebraici dall’Italia all’Europa centrale e dell’Est, proprio in quelle città dove era preesistente un modello di cosmopolitismo consolidato. Si pensi all’esempio di Venezia, città che da sempre ha ospitato i mercanti da Oriente ad Occidente, nei famosi “Fonteghi”. Molti mercanti stranieri, che si recavano a Venezia per condurre i loro affari, avevano dei "luoghi di scambio e alloggio" a loro dedicati: in arabo Funduq (dimora modesta, locanda). A dispetto del nome questi luoghi erano estremamente sfarzosi e si affacciavano sul Canal Grande per avere una facile via di accesso per le navi di medie dimensioni. Queste ambasciate commerciali ante litteram non chiudevano neanche in caso di ostilità con il paese ospitato: un esempio emblematico è rappresentato dal Fontego dei Turchi che restò sempre in attività nonostante i conflitti tra Venezia e l’Impero turco-ottomano. Nel secondo intervento della giornata, di Giuseppe Bonaccorso dell’Università di Roma Tor Vergata, si è parlato invece dei quartieri ebraici in Moravia, regione orientale della Repubblica Ceca identificando diversi modelli di insediamento: dai ghetti aperti inseriti all’interno delle città, e quindi veri e propri quartieri indipendenti, ma integrati, a quartieri chiusi, circoscritti entro barriere architettoniche o naturali. Degli ebrei a Dubrovnik, a Spalato e a Sarajevo e del formarsi di un triangolo cosmopolita ha parlato Jasenka Gudeli dell’Università di Zagabria, seguita nel pomeriggio dagli interventi del rabbino capo di Padova, rav Adolfo Locci, relativo alla figura di Moshè ben Israel Isserles e al suo commento allo Shulchan ‘Aruch di Yossef Caro, e della giornalista Ruth Ellen Gruber, su Kamizierz e l’evoluzione dello spazio ebraico. In chiusura, la proiezione del film di Yael Bartana “…and Europe Will Be Stunned”. Il progetto, presentato nel padiglione polacco alla 54esima Biennale di Venezia, è composto da una trilogia di film sull’attività del Jewish Renaissance Movement (Movimento per la Rinascita Ebraica) in Polonia, mostrato dall’artista come un movimento politico che chiamava gli ebrei a emigrare verso la cattolica Polonia.

Michael Calimani

pilpul
Nascere in Italia
Un paese è ingiusto se impedisce a chi nasce sul suo territorio di essere un cittadino. È il caso dell’Italia, che fonda la sua legislazione sullo ius sanguinis e non sullo ius soli: privilegia cioè i discendenti degli emigranti rispetto agli immigrati. Col risultato assurdo che i miei cugini israeliani, i cui nonni già sono nati in Israele, hanno il passaporto italiano, mentre chi lavora e paga le tasse come noi non può neanche scegliere il proprio sindaco.
Per ovviare a questa contraddizione inaccettabile la Cgil sta promuovendo una campagna in grande stile dal titolo «L’Italia sono anch’io», con l’ambizione di sostenere due leggi di iniziativa popolare per il riconoscimento dello ius soli e per la concessione del voto amministrativo agli stranieri. Questo sforzo di sensibilizzazione è stato recentemente sottolineato e apprezzato anche dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
La mia idea è che su questo tema si debba essere realisti e disposti alla mediazione. La legge attuale è sbagliata, farraginosa e arbitraria, visto che la cittadinanza, anche in presenza dei requisiti richiesti, è comunque concessa discrezionalmente dal Ministro. Siccome però quando si parla di immigrazione si toccano paure profonde, proviamo a formulare, o a recepire (negli anni si sono succedute varie proposte), un compromesso onorevole.
Chi nasce qui deve essere cittadino se i genitori sono residenti da vari anni (cinque?) e comunque se ha compiuto il ciclo di studi; la cittadinanza, in assenza di ostacoli espliciti, deve essere automatica dopo cinque anni di residenza in presenza di un reddito sufficiente e di una formazione minima necessaria (linguistica e civica); gli immigrati residenti devono accedere all’elettorato attivo amministrativo. Il governo Monti ha di rimettere in moto l’Italia. La questione della cittadinanza, una questione di elementare giustizia, va affrontata con urgenza.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas


notizie flash   rassegna stampa
Basket Nba - Kobe Bryant si allena
al Centro ebraico di Irvine (California)
  Leggi la rassegna

Un gruppo di fortunati e increduli spettatori della comunità ebraica di Irvine (California) ha potuto assistere la scorsa sera a un allenamento decisamente particolare. Sul parquet del campo da basket, a provare tiri liberi e scatti, c’era infatti la stella della Nba Kobe Bryant. La guardia dei Lakers, complice il lockout che sta mettendo a rischio la stagione, ha chiesto ospitalità alla comunità californiana per svolgere un training personalizzato.


 

Sono solo due le notizie importanti di oggi che si dividono lo spazio della nostra rassegna: le elezioni in Egitto e la repressione in Siria. Sul primo fatto non si sanno i risultati (quelli definitivi verranno a marzo) ma solo che l'afflusso alle urne è stato alto (il che è una sconfitta per i rivoltosi di Piazza Tahir: Meringolo sul Riformista) e che "i più professionali" e i più presenti erano gli islamici (Sarzina sul Corriere, Ranieri sul Foglio).

Ugo Volli

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