se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai  click qui

  2 dicembre 2011 - 6 Kislev 5772
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
rav arbib Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano


Si dice spesso che ci sono varie interpretazioni del testo della Torà. È vero, i Chakhamìm dicono che ci sono almeno quattro metodi di interpretazione (letterale, allegorica, midrashica e mistica). Ma dicono anche che il testo non esce "dalla sua interpretazione letterale". Che cosa vuol dire? Questa affermazione può avere vari significati, vorrei proporne uno. Dobbiamo essere capaci di leggere un testo tentando di capire cosa ci vuol dire e non facendogli dire ciò che vogliamo che dica. Provo a spiegarlo attraverso un episodio. Una persona mi disse una volta che voleva permettere una cosa halakhicamente controversa sulla base di un'interpretazione attribuita a un noto rabbino contemporaneo. Gli risposi che poteva essere legittimo ma che doveva prima chiedere a questo rabbino se l'interpretazione delle sue parole era corretta. Questa domanda non è mai stata fatta perché si sapeva che il rabbino avrebbe risposto negativamente. Questo è un esempio di uso strumentale dell'interpretazione di un testo. Abbiamo bisogno per motivi ideologici o pratici che la Torà o la Halakhà dicano una certa cosa e troviamo le pezze d'appoggio per fargliela dire.

Laura Quercioli Mincer, slavista


laura mincer
Qualche giorno fa, come già rammentato su questo giornale, si è svolto a Venezia un incontro con Adam Michnik, uomo politico, scrittore e giornalista fra i più influenti della Polonia odierna. Michnik, che ha recentemente pubblicato un volume di tremila pagine sugli oppositori dell’antisemitismo in Polonia, racconta di aver chiesto una volta al poeta Czesław Miłosz, premio Nobel per la letteratura nel 1980, dove risiedessero secondo lui le motivazioni dell’antisemitismo. “Caro Adam – ebbe a rispondergli Miłosz – interrogarsi sui motivi dell’antisemitismo è già un modo per giustificarlo”.

torna su ˄
davar
Ambrogino d'oro, premiato l'impegno dei Figli della Shoah
“Ci chiediamo cosa accadrà alla Memoria della Shoah quando scomparirà anche l'ultimo sopravvissuto: i suoi Figli saranno qui per continuare a testimoniare”. Elie Wiesel sottolineava così, durante un’appassionata conferenza statunitense, la grande sfida di presidio memoriale assunta dalla costituenda Associazione Figli della Shoah. Sono passati tredici anni da quel giorno. Un lasso di tempo scandito da attivismo e forte impegno divulgativo che è oggi solennemente premiato dal Comune di Milano. In occasione dell’annuale conferimento degli Ambrogini d’oro, massima onorificenza del capoluogo lombardo attribuita come da tradizione a enti e personalità attive per il progresso collettivo, un attestato di civica benemerenza sarà infatti consegnato ai vertici dell’Associazione. La cerimonia si svolgerà mercoledì mattina al Teatro del Verme. Tra i premiati autorevoli rappresentanti del mondo istituzionale, culturale e sociale. Gran Medaglia d’Oro dell’edizione 2011 il cardinale Dionigi Tettamanzi.
L’attestato vuol essere un riconoscimento per le molte e significative campagne di sensibilizzazione portate avanti in questi anni e per la realizzazione di numerose mostre, conferenze e iniziative dedicate al tema della persecuzione. Un lavoro costante e appassionato che è rivolto sia ai giovani che agli adulti: l'Associazione, tra i soci fondatori della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano, è autrice delle mostre itineranti “Destinazione Auschwitz”, “Infanzia Rubata” e “Binario 21” ed ha inoltre prodotto due kit didattici multimediali che vengono distribuiti gratuitamente alle scuole e alle biblioteche interessate.

Qui Roma - Quale futuro per i giovani italiani
Specchio di una generazione che guarda sempre più oltre confine, la maggioranza dei giovani ebrei italiani confessa di voler lasciare l’Italia. L’ascensore sociale è fermo al piano terra, le opportunità di trovare un lavoro, che non squalifichi la propria formazione, sono poche e la fiducia in un cambio di rotta è minima. Inevitabile dunque interrogarsi se l’Italia sia o meno un paese per giovani. Dai risultati della ricerca realizzata dall’associazione Hans Jonas (poi tradotti nel libro curato dal pedagogista Saul Meghnagi Cittadini del mondo, un po’ preoccupati. Una ricerca sui giovani ebrei italiani, ed. Giuntina) gran parte dei ragazzi ebrei pensa di lasciare il Belpaese. Una statistica, seppur in riferimento a una realtà piccola come quella ebraica, che riflette il desiderio di una più ampia fascia di giovani italiani. Uno spunto per una riflessione sul futuro delle giovani generazioni rilanciato ieri sera al centro Pitigliani dal convegno, organizzato dall’associazione Hans Jonas, dall’emblematico titolo “L’Italia non è un Paese per giovani?”. Sul palco, a confrontarsi su questa delicata domanda, Giorgia Meloni, ministro della Gioventù dell'ultimo governo Berlusconi, il segretario nazionale giovani della Cgil Ilaria Lani, Jacopo Morelli, presidente dei giovani imprenditori di Confindustria, il presidente Ugei Daniele Regard e Nicola Zingaretti, presidente della provincia di Roma. A dirigere l’orchestra degli interventi i giornalisti David Parenzo e Fabio Perugia.
Dopo i saluti inaugurali di Ugo Limentani del Centro Pitigliani e del presidenti di Hans Jonas Tobia Zevi, il confronto è entrato nel vivo: primo punto le carenze della politica. Aspettando le risposte del nuovo governo Monti, per la cronaca il più “anziano” dal dopo guerra ad oggi (64 anni l’età media dell’esecutivo), Meloni e Zingaretti, con tonalità diverse, hanno espresso lo stesso giudizio: manca la necessaria attenzione alle politiche giovanili e l’Italia deve su questo fronte cambiare mentalità. Ridare dignità alle nuove generazioni, ricostruire la società su scale meritocratiche e prestare maggiore alle fasce più deboli, a coloro che hanno bisogno. Discorsi analoghi, ma da prospettive diverse, per Ilaria Lani e Jacopo Morelli. Per la segretaria dei giovani Cgil i giovani devono tornare protagonisti anche dal punto di vista della contrattazione. Per l’imprenditore Morelli è necessario diminuire la pressione fiscale sulle aziende e prende come esempio Israele, dove giovani e imprese start up sono favorite da una politica economica di sostegno.
Mentre la fiducia verso le istituzioni sembra sfaldarsi, il fenomeno dell’associazionismo tra giovani è invece in crescita. E nuovamente esemplificativo è il mondo ebraico, come sottolinea Daniele Regard, con una grande partecipazione alle iniziative Ugei, ultimo il Congresso di Torino di novembre.
Tema, infine, di stringente attualità è la questione della riforma del diritto di cittadinanza, posto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Ius soli e non più ius sanguinis per permettere ai figli di stranieri di diventare cittadini italiani. Una questione su cui pone l’accento Saul Meghnagi che parla di “rischio di un conflitto intragenerazionale” e della necessità di ricostruire la fiducia dei giovani al loro stesso interno. 

Daniel Reichel

torna su ˄
pilpul
Dipendenti di se stessi
Anna SegreFa piacere capitare per caso alla scuola ebraica dopo aver trascorso tra quelle mura molti anni prima come allieva e poi come insegnante: scritte in ebraico da tutte le parti, il calendario delle feste, disegni e foto relativi a Israele o alla vita ebraica e molto altro. Ci si sente a casa, e in effetti è così, perché la scuola appartiene a tutti gli ebrei della comunità. A pensarci bene, però, era proprio questa sensazione di appartenenza a rendere faticosa la vita lavorativa: quando si è a casa propria ci si sente responsabili di tutto, non si sta a guardare l’orologio ma si lavora finché serve; a casa d’altri ci si sente forse un po’ più a disagio ma si sta più tranquilli. È vero che anche una scuola pubblica appartiene a tutti i cittadini (e infatti anche lì si finisce per lavorare molto più di quanto sia teoricamente richiesto), ma in una comunità ebraica, soprattutto se media o piccola, il legame tra i singoli ebrei e le loro istituzioni è molto più immediato, e più forte la sensazione di essere dipendenti di se stessi, un padrone attento ed esigente contro cui si fatica a sindacalizzarsi.
È giusto affermare che nelle nostre comunità bisogna distinguere meglio il ruolo dei professionali da quello dei politici, ma spesso le cose si complicano perché alcuni professionali sono in una certa misura anche politici: non solo votano per eleggere i propri superiori, ma talvolta sono membri dei gruppi che si candidano a guidare le comunità, partecipano alla stesura dei programmi, intervengono nelle assemblee comunitarie e in quelle dei gruppi a cui appartengono, scrivono sui giornali ebraici. Ciascun ebreo che lavora per una comunità ebraica o per l’Unione deve fare attenzione a distinguere la propria parte professionale da quella politica, e ogni tanto, anche se non è facile, deve mettere a tacere il politico per dare al professionale un po’ di fiato. Si può anche entrare in casa propria e decidere che questa volta non tocca a noi mettere in ordine.

Anna Segre, insegnante

notizieflash   rassegna stampa
Cresce l'antisemitismo in Spagna
  Leggi la rassegna

Il presidente delle Comunità ebraiche in Spagna, Isaac Querub, durante il IV Seminario internazionale sull'Antisemitismo, in corso a Madrid, ha dichiarato che la Spagna è fra i cinque Paesi più antisemiti della Ue, a fronte di una popolazione di religione ebraica inferiore allo 0,2 per cento del totale e tuttavia il fenomeno è ignorato dai media. Gli esperti hanno analizzato la nascita di un nuovo sentimento antiebraico basato su stereotipi, che pone in questione la legittimità dello Stato di Israele.


 


L’Iran torna di scena (per la verità non era mai del tutto scomparso) con l’attacco spintaneo (pardon, spontaneo) all’ambasciata britannica e le prevedibili, oltre che inevitabili, reazioni diplomatiche. Così gli articoli di Beda Romano su il Sole 24 Ore [...]

Claudio Vercelli











torna su ˄
Pagine Ebraiche 
è il giornale dell'ebraismo italiano
pagine ebraiche
Dafdaf
Dafdaf
  è il giornale ebraico per bambini
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo mailto:mailto:desk@ucei.it  Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: mailto:mailto:desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI - Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.