Inizia oggi la cerimonia di
assegnazione dei Premi Nobel 2011. Stoccolma e Oslo,
capitali mondiali della cultura e del progresso di questo ultimo
scorcio di autunno, sono pronte ormai da giorni ad accogliere e
celebrare alcune tra le menti più brillanti del pianeta. Domani mattina
a partire dalle 9 riflettori puntati sulla lectio magistralis
dell’accademico israeliano Dan Shechtman (nella foto), vincitore del
Nobel per la Chimica. La sua è una straordinaria storia di passione,
coraggio e perseveranza. Professore di scienze materiali al Technion
Institute of Technology e all’Iowa State University, Shechtman entra
nell’Olimpo della scienza con la scoperta dei quasicristalli, forme
strutturali individuate grazie a un lungo e meticoloso lavoro di
ricerca portato a termine nonostante le forti perplessità espresse a
suo tempo da non pochi ed eminenti colleghi. Il professore, si legge
nella lettera di motivazione del riconoscimento, ha “fondamentalmente
alterato il modo in cui la chimica considera la materia solida”. Il suo
merito? Aver intuito che gli atomi possono disporsi in una forma
ordinata non necessariamente periodica, rivelazione di rottura rispetto
a quanto universalmente sostenuto fino al completamento dei suoi studi.
Malgrado l’opposizione di buona parte della comunità scientifica alle
sue tesi, a volte accompagnate persino da interventi di scherno e
dileggio, Shechtman aveva tenacemente scelto di proseguire a testa alta
la sua battaglia di verità. Una battaglia oggi premiata dal tributo più
prestigioso che consegna a Israele il suo quarto premio Nobel in questo
affascinante e dinamico settore del sapere. Se il collegamento al video non funziona clicca qui
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Qui Milano - Un premio nel segno della Memoria |
Come
ogni 7 dicembre, anche oggi sono stai consegnati gli Ambrogini
d’oro, nome non ufficiale con cui vengono chiamate le
onorificenze conferite dal Comune di Milano. La cerimonia si è svolta
questa mattina in un Teatro dal Verme gremito di giornalisti, autorità,
e di un calorosissimo pubblico. I cui applausi quest’anno non sono
mancati anche per l’Associazione Figli della Shoah, che ha
ricevuto un Attestato di Civica Benemerenza. A ritirare il premio si
sono presentati il Presidente Marco Szulc e i sopravvissuti ai campi di
sterminio Liliana Segre e Aaron Tenembaum. Costituita nel
1998, l’Associazione si occupa di mantenere viva la memoria della
Shoah. In primo luogo attraverso le testimonianze dirette dei
sopravvissuti ai campi di sterminio, ma anche con un’incessante opera
di sensibilizzazione culturale, storica e civile, coinvolgendo le più
eminenti personalità della cultura italiana e internazionale. Ha
promosso e sostenuto con il Comune di Milano la realizzazione del
memoriale “Binario 21” alla Stazione Centrale e ha inoltre realizzato
decine di mostre offrendo quindi un contributo decisivo alla campagna
di sensibilizzazione per l’istituzione del Giorno della Memoria a
partire dal 2001. Oggi, al momento della consegna dell’Attestato,
l’Associazione è stata definita “un simbolo di impegno tenace per una
memoria consapevole e diffusa, contro ogni barbarie totalitaria e a
favore della democrazia e della pace”. “Dopo anni di lavoro
silenzioso, questo Ambrogino d’oro è per noi un riconoscimento molto
importante: mette in luce la nostra attività, che da sempre si rivolge
in modo particolare alle scuole e ai giovani” ha affermato dopo la
premiazione Daniela Dana Tedeschi, volontaria da alcuni anni presso
l’Associazione. La Tedeschi ha poi aggiunto: “Questo è un premio che va
anche più in generale al volontariato”. Una medaglia d’oro è
stata inoltre conferita a Vera Jarach Vigevani. Ebrea milanese emigrata
in Argentina dopo la promulgazione delle leggi razziste, ha lavorato
come giornalista a Buenos Aires raccontando il periodo della dittatura
militare. Dopo la scomparsa della figlia Franca, è stata una delle
prime donne ad aderire al movimento delle “madres de Plaza de Mayo”.
Vera non ha mai dimenticato la sua città d’origine: da molti anni tiene
incontri nelle università e nelle scuole milanesi sulla tragedia dei
desaparecidos italiani. Una Milano dunque attenta anche al mondo
ebraico, che collabora all’arricchimento nel campo della cultura e
della formazione che la città può offrire. Come ha detto il sindaco
Giuliano Pisapia nel suo discorso d’apertura della cerimonia,
interpretando anche il tema dei 150 anni di Unità d’Italia: “Unità è
volere il bene di tutti, anche di chi è diverso da noi, per esempio
perché professa un’altra religione. Milano deve essere solidale”.
Francesca Matalon
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Ebraico e democratico
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Il 49° numero della rivista
Justice, organo della International Association of Jewish Lawyers and
Jurists (Fall 2011), rappresenta un punto di riferimento
particolarmente rilevante per il dibattito sulla natura giuridica dello
Stato d’Israele, dal momento che offre ai lettori i testi delle
relazioni presentate in occasione del 14° Congresso internazionale
della IAJLJ, svoltosi sul Mar Morto dal 2 al 5 febbraio 2011, e
dedicato, appunto, al tema di “Israel as a Jewish an Democratic State”.
Le molteplici questioni legate a tale peculiare “doppia natura” di
Israele (in quanto Stato ebraico e democratico), ai possibili punti di
attrito tra queste due qualità costitutive, come anche alla possibilità
e necessità che esse vadano invece a fecondarsi reciprocamente, sono
state sviscerate da molti punti di vista, attraverso una ricognizione
complessiva che ha preso in considerazione l’intera, intensa storia
della giovane democrazia, nei suoi momenti essenziali di costruzione e
consolidamento (dalla Dichiarazione d’Indipendenza al particolare
processo costituente “a tappe”, dalle Leggi Fondamentali del 1992 sulla
Libertà di Occupazione e la Libertà e la Dignità della Persona fino
alla più recente giurisprudenza della Corte Suprema). Una discussione
ricca, serrata, non priva di divergenze e contrapposizioni, di cui non
è possibile dare conto nel breve spazio di poche righe.
Mi permetto, semplicemente, di fare un paio di annotazioni riguardo a
tale fondamentale problema, così strettamente legato alla stessa ragion
d’essere – nazionale, storica, morale, spirituale – dello Stato d’Israele, alla
sua specifica collocazione nella famiglia delle nazioni.
Dovrebbe essere superfluo dire, innanzitutto, che chiunque abbia
davvero a cuore Israele dovrebbe difenderne, congiuntamente e
contemporaneamente, entrambe le caratteristiche costitutive. Israele è
un Paese ebraico e democratico, e tale dovrà restare. È un dato di
fatto che l’accettazione del carattere ‘ebraico’ dello Stato non appare
sempre condivisa dalla cospicua minoranza araba, e anche (sia pure in
misura molto marginale) da alcuni piccoli gruppi di opinione ebraici
(all’insegna del cd. “post-sionismo”). Ciò rappresenta, certamente, un
problema, ma ogni soluzione non potrà non essere ricercata e praticata
all’interno della cornice costituzionale dello Stato delineata dalla
Dichiarazione d’Indipendenza, che vuole Israele patria del popolo
ebraico, ma sempre attentissimo a garantire pienezza di diritti a tutte
le minoranze etniche e religiose, e piena facoltà di parola e di
dissenso a tutti i cittadini: anche a coloro che usano la libertà di
pensiero e di espressione per contestare le stesse fondamenta di quello
Stato che tale libertà assicura e garantisce. Solo una vigile e attenta
salvaguardia della qualità democratica della società israeliana, a mio
avviso, potrà fungere da efficace baluardo contro gli attacchi alla sua
natura di “Stato ebraico”.
D’altra parte, se occorre difendere la natura ebraica di Israele, anche
la sua natura di Stato democratico non può essere data per scontata,
come acquisita una volta per tutte. Sappiamo bene come, su tanti piani
(per esempio, la laicità dello Stato, i diritti dei non osservanti o
dei non credenti, la tutela delle minoranze ecc.), la società
israeliana presenti talora dei punti di criticità, che talvolta portano
diverse componenti della popolazione a dividersi e contrapporsi, in
modi anche aspri. E non c’è dubbio sul fatto che il perenne stato di
emergenza, se non di assedio, in cui versa il Paese metta sempre in
secondo piano una serie questioni essenziali che, in diverse
condizioni, emergerebbero con forza, probabilmente in forme non
indolori.
La difesa di Israele come Stato ebraico e democratico, insomma,
richiede un impegno quotidiano, un’attenzione continua. Ed esprimo
qualche perplessità rispetto a chi pare porre una gerarchia di priorità
tra i due elementi (per esempio, Fania Oz-Salzberger, in un acuto
saggio, pubblicato nel citato fascicolo di Justice, dal titolo,
dichiaratamente “provocative”: “Democratic first, Jewish second”). I
due termini, infatti (come la stessa studiosa riconosce), non possono
essere messi sullo stesso piano, in quanto il primo riguarda un
funzionamento civile e politico, il “dover essere” di una società,
mentre il secondo esprime semplicemente un dato di fatto, l’“essere”
della nazione ebraica. Ed è proprio sull’“essere” dell’ebraismo (non
sul “dover essere” della democrazia, che non esisteva nel mondo antico)
che si realizza la continuità tra l’Israele moderno e quello antico.
Due estrinsecazioni storiche della medesima, identica realtà: il popolo
ebraico, libero e sovrano nella sua terra.
Francesco
Lucrezi, storico
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Fischer: "L'economia
israeliana tiene"
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"L'economia israeliana, per quanto riguarda la situazione
microeconimica, è in buone condizioni. Questo è il risultato delle cose
positive fatte in questi anni dai governi che si sono avvicendati".
Secondo il governatore della Banca d'Israele Stanley Fischer, a fronte
della preoccupate crisi internazionale, ha ricordato che Israele,
nonostante sia riuscita ad evitare il peggio, deve tenere alta la
guardia. "Se non saremo in grado di agire in modo appropriato non
riusciremo a gestire con successo i pericoli a venire".
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