se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai  click qui

  9 dicembre 2011 - 13 Kislev 5772
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
rav arbib Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano


All'inizio della parashà di Vayishlàch Ya'akòv comunica a Esàv una notizia apparentemente banale, di aver cioè abitato con Lavàn ma secondo Rashì il verbo "gàrti" - ho abitato - nasconde due significati. Deriva dalla radice "gher" - straniero - e con questa parola Ya'akòv comunicherebbe a Esàv di essere rimasto uno straniero in casa di Lavàn e di non essere diventato una persona importante. "Gàrti" però ha anche il valore numerico di 613, corrispondente alle 613 mitzvòt che Ya'akòv è riuscito a osservare in condizioni estremamente difficili. Ya'akòv cioè comunicherebbe a Esàv di essere stato capace di lottare per mantenere la propria identità e di essere determinato a farlo anche in futuro. Le due spiegazioni di Rashì descrivono due atteggiamenti apparentemente contraddittori. Da una parte l'umiltà di chi dice "sono rimasto uno straniero", dall'altra la forza e l'orgoglio di chi lotta per mantenere la propria identità. Questi due atteggiamenti sono in realtà fondamentali nel nostro rapporto con l'ebraismo. Da una parte è assolutamente necessario l'atteggiamento umile di chi vuole essere "èved Hashèm" - servo di Dio. D'altra parte però osservare le mitzvòt richiede un grande sforzo per poter essere servi di Dio e non servi dei propri istinti e desideri o delle mode culturali della società circostante.

Laura Quercioli Mincer, slavista


laura mincer

In una calle di Venezia, fra lo sciabordio dell’acqua e la musica della parlata di un gondoliere, ho visto una scritta su di un muro: “La patria ci sarà solo quando saremo tutti stranieri”.
torna su ˄
davar
Qui Napoli - Una via ebraica alla politica
Israele, la Memoria, l’immigrazione. L’impegno ebraico in politica si declina per lo più su questi temi. O quanto meno diviene riconoscibile proprio in questi ambiti. Ma esiste un modo ebraico di fare politica? C’è un approccio specificamente ebraico anche su altre questioni, dall’ambiente al sociale? Si è snodato su questi interrogativi, proposti da Victor Magiar, consigliere e assessore alla Cultura UCEI, il dibattito che questa mattina a Napoli ha riunito i partecipanti al Moked dopo l’intensa lezione dedicata al rapporto tra etica e politica di Shmuel Wygoda, uno dei massimi esperti del pensiero del filosofo Levinas. Al tavolo dei relatori, Fiamma Nirenstein, parlamentare Pdl; l’avvocato Daniela Dawan e Ruggero Gabbai, consigliere Pd del Comune di Milano e appunto Magiar in veste di moderatore. “Il mio impegno principale – ha sottolineato Fiamma Nirenstein – è rivolto a Israele perché oggi il dibattito mondiale riguarda il suo stesso diritto a esistere e a continuare ad essere una piccola democrazia nel cuore del mondo islamico, perché è un paese seriamente minacciato”. “Ciò non toglie - ha sottolineato - che il mio lavoro nelle istituzioni si sia rivolto in questi anni anche a numerosi altri temi, legati al rispetto dei diritti umani: dalla tutela dei minori alla difesa delle donne senza dimenticare la politica estera”. Per Ruggero Gabbai l’impegno per Israele va invece modulato in maniera diversa. “Il nostro compito dovrebbe essere quello di fungere da tramite con gli intellettuali e i politici italiani, senza ergerci noi a paladini ma portando nel nostro Paese le voci di chi lavora per la pace, quali Gideon Levy o David Grossman”. Quanto all’atteggiamento generale, ha sottolineato, è difficile capire quanto pesi l’essere ebreo nelle cose della politica. “E’ un aspetto così legato alla mia identità che mi riesce difficile scinderlo. In ogni caso di ebraico in politica credo di portare un’apertura dialettica, la capacità di ascolto, la volontà di migliorare e arrivare a risultati concreti”.
Squisitamente politico, anche se affrontato sotto una diversa angolatura, il tema della libertà d’opinione analizzato da Daniela Dawan in relazione alla legge Mancino e ad alcuni fatti di cronaca. “Il buonismo generalizzato diffusosi nella nostra società ha avuto l’effetto di espungere dalla concezione della vita l’odio e il pregiudizio indiscriminato. Ma il valore della libertà d’opinione non risiede nell’illimitata possibilità di dire tutto e il contrario di tutto”. Se non vi sono limiti viene però meno lo stesso concetto dell’istigazione a delinquere, insieme ai presupposti della legge Mancino che punisce l’odio razziale. Un ribaltamento di prospettiva che spesso si fa sentire anche nelle aule di giustizia dove, ha detto l’avvocato Dawan, la legge Mancino di frequente rimane sostanzialmente inapplicata mentre chi combatte l’antisemitismo e i pregiudizi razzisti si trova a vivere un profondo sentimento di solitudine.

Daniela Gross

Qui Napoli - Confrontarsi sull'etica
Chi si aspettava un duello all’arma bianca forse sarà rimasto deluso. Niente tintinnar di spade ma un confronto pacato sull’intreccio tra etica e politica ebraica. Protagonisti, il vicepresidente UCEI Anselmo Calò e il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici. In occasione del Moked autunnale, i due volti noti dell’ebraismo italiano, intervistati dallo psicologo Daniel Segre, si sono confrontati su tematiche sempre attuali come le politiche comunitarie, il rapporto tra Unione e Comunità così come tra mondo ebraico e Stato. Un dibattito iniziato un po’ in sordina ma che progressivamente ha acquistato quota fino a giungere agli argomenti più caldi per il presente ebraico italiano.
Ma andiamo con ordine. Primo passo del confronto, lo sguardo al passato: la lunga militanza nel Bnei Akiva per Pacifici, nell’Hashomer Hatzair per Calò. Per entrambi, ma con accezioni diverse, un’esperienza fondamentale nella formazione della propria identità ebraica e nell’assunzione delle responsabilità verso se stessi e verso l’ebraismo. Senza dimenticare l’importante impronta lasciata dagli anni alla scuola ebraica di Roma. “Un privilegio averla potuta frequentare” sottolineava Pacifici in riferimento alle tante Comunità sprovviste di questa struttura.
Poi un salto al presente. “Qual è oggi la fisionomia dell’ebraismo italiano?” domanda Segre. Qui la prima piccola divergenza tra gli oratori. Il relativo ottimismo di Calò si scontra con il velato pessimismo di Pacifici. Se per il primo gli ebrei italiani, nonostante alcune previsioni, sono ancora attivi e presenti il che denota un segnale positivo, il secondo si sofferma sulla mappatura dell’Italia ebraica. Delle decine di realtà sorte nei secoli e sparse lungo la Penisola sono rimaste le attuali ventuno Comunità. Le apprensioni del presidente della Comunità di Roma si assottigliano quando parla di “casa sua”: gli ebrei della capitale oggi possono contare su quindici sinagoghe mentre non molto tempo fa le sinagoghe si contavano sule dita di una mano.
I toni si fanno relativamente più accesi quando si passa al rapporto Unione, Comunità, politica. C’è un difficoltà di rapporti tra Ucei e comunità in merito all’offerta di servizi. “Spesso le comunità non colgono o rifiutano iniziative perché pensano non siano per loro necessarie – spiega Calò – e così queste attività rimangono ferme”. “Non si possono fornire soluzioni dall’alto – replica Pacifici – bisogna chiedere quali sono le necessità. Ad esempio dobbiamo puntare a conquistare i giovani”.
Shechitah e milah. Il vento proibizionista olandese che soffia in direzione sud (la Camera bassa dei Paesi Bassi ha approvato una legge che di fatto vieta la macellazione rituale ebraica e islamica) preoccupa Pacifici. Vietare la shechitah o la milah (altro dibattito in seno a diverse realtà europee) sarebbe un colpo durissimo non solo per l’ebraismo ma, in generale, per il diritto alla libertà religiosa. Costituzione e Intesa mettono al sicuro, almeno in prima istanza, gli ebrei italiani da eventuali ripercussioni. E in questi due pilastri ripone la sua fiducia il vicepresidente UCEI: “I padri costituenti furono lungimiranti e l’articolo 8 della Costituzione è un segno di grande civiltà”.
Si è parlato anche del dibattito legato all’Ici –  tema molto discusso in questi giorni sui media italiani – e dell’eventuale incidenza della tassa sul patrimonio delle comunità ebraiche italiane ma per la complessità del tema non entriamo qui nel merito.
Come le istituzioni ebraiche devono rapportarsi con la politica italiana? Basso profilo o grande visibilità? Calò predica maggiore cautela ovvero l’opportunità di dosare questa visibilità ed evitare il pericolo di sdoganare determinate posizioni politiche mentre il presidente della Cer rivendica la necessità di far sentire la voce del mondo ebraico: “È cambiata la prospettiva nel rapporto tra ebrei e società italiana”
“Riccardo dice la verità ma le divergenze riguardano il come dobbiamo valutare la realtà” spiegava Anselmo Calò, un po’ la sintesi di tutto il confronto.

Daniel Reichel

Qui Napoli - Lavorare per l'unità
Esiste un modello ebraico di politica? Quale contributo può dare l'etica ebraica alla vita politica? E ancora, si può essere allo stesso tempo impegnati nella politica comunitaria e nell'amministrazione della cosa pubblica? Domande suggestive e di strettissima attualità che tengono in questi giorni banco al Moked autunnale, tradizionale appuntamento di confronto e dibattito degli ebrei italiani che ha vissuto ieri la sua giornata inaugurale nel suggestivo scenario del Golfo di Napoli. Ad aprire i lavori, che prendevano idealmente il testimone dal terzo modulo del corso di formazione conclusosi in mattinata, un saluto del rav Roberto Della Rocca, che ha ricordato l'importanza di "servire" e non di "servirsi" della Comunità, e gli interventi del presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna e del presidente della Comunità ebraica di Napoli Pierluigi Campagnano. Quest’ultimo, orgoglioso padrone di casa, ha sottolineato l’attivismo della Comunità partenopea nel costante e appassionato lavoro di risveglio ebraico nelle regioni dell'Italia meridionale. Un impegno che è stato ulteriormente rafforzato dall'Unione con il lancio del Progetto Meridione e che stimola la Comunità di Napoli, dice il suo leader, "ad essere un punto di riferimento per tutto il Sud".
Tornando all'interrogativo centrale del Moked ("Esiste un modo ebraico di fare politica?") il presidente Gattegna ha affermato che, per avvicinarsi ad una risposta, è necessario analizzare la particolare esperienza storica degli ebrei, il loro rapporto con la tradizione e con le altre componenti delle società in cui si sono trovati nei secoli a vivere in un percorso talvolta pacifico ma assai più spesso difficoltoso e tormentato. Tra le figure esemplari per una decodificazione in questo senso il filosofo e biblista Itzchak Abravanel. Al grande pensatore di origine portoghese il rav Giuseppe Laras, presidente emerito dell'Assemblea Rabbinica Italiana, ha dedicato una densa lectio magistralis che ha ricostruito alcuni tra i passaggi più significativi della sua riflessione politica. Dalla narrazione del rav Laras emerge la figura di un attento e fine osservatore dei suoi tempi che, vittima consapevole della sanguinosa espulsione degli ebrei dalla penisola iberica, profonde e immortali parole spese a difesa dei diritti dell'individuo e in opposizione a qualsiasi forma di totalitarismo. A seguire, moderati dal giornalista Guido Vitale, tre protagonisti dell’attuale vita comunitaria - il presidente della Comunità ebraica di Milano Roberto Jarach, il suo omologo livornese Samuele Zarrough e il rabbino capo di Trieste rav Itzhak David Margalit - hanno riportato il dibattito ai giorni nostri. I tre si sono soffermati sulle sfide e sulle problematiche affrontate quotidianamente in Comunità convenendo su molti punti comuni e ribadendo la necessità di tutelare il confronto e la circolazione delle idee come pilastro essenziale sul quale edificare il futuro dell’ebraismo italiano. Dai relatori è quindi giunto l’appello ad abbandonare polemiche futili e strumentalità per concentrarsi sugli aspetti che uniscono piuttosto che su quelli che dividono.

Adam Smulevich

torna su ˄
pilpul
Il valore dell’insegnamento
Anna SegreSiamo proprio una categoria professionale di pazzi autolesionisti, pensavo qualche giorno fa sentendo una collega che mi ringraziava calorosamente perché avevo accettato di cederle la prima ora di lezione, facendola così entrare alle 8 anziché alle 9; anche io qualche anno fa mi ero fatta supplicare non poco prima di accettare di accompagnare gli allievi a sciare invece di passare una mattina a spiegare Dante o Lucrezio. Questi comportamenti (che forse stupiranno chi si è fatto condizionare dalle campagne mediatiche sugli insegnanti fannulloni) non sono l’eccezione ma la regola, almeno in tutte le scuole in cui mi è capitato di lavorare, come dimostra il linguaggio normalmente usato: tra insegnanti si parla sempre, infatti, di ore “regalate” e “rubate”, dove chi “regala” appioppa un’ora di lavoro non retribuita e chi “ruba” lavora un’ora in più gratis al posto del “derubato”. In teoria è un nobile esempio di dedizione generalizzata al proprio lavoro, ma a volte mi domando se non sia in qualche misura controproducente, finendo per sminuirne il valore: cosa pensano gli allievi dell’insegnante che fa di tutto per avere un’ora di lezione in più? Che non ha di meglio da fare nella sua vita? Che sta inventando di tutto per opprimerli? Difficile, nella società di oggi, che si attribuisca grande valore a un servizio che viene svolto gratuitamente con tanta facilità. Occorre dunque adottare strategie che mettano in evidenza il valore delle proprie lezioni, anche quando sono pagate poco o nulla.
E nel mondo ebraico? Per fortuna abbiamo una tradizione abbastanza solida che sottolinea l’importanza dell’insegnamento, anche quando è impartito gratuitamente, le nostre comunità si reggono in parte sul volontariato e quindi siamo meno portati a usare il costo in denaro come criterio di misurazione del valore di ciò che ci viene offerto (lezioni di Torà, corsi di ebraismo, conferenze, ecc.). Forse, però, in qualche caso il problema esiste anche da noi, per esempio nelle scuole ebraiche, dove è importante far capire che le lezioni di ebraico ed ebraismo non hanno meno valore delle altre (ho l’impressione comunque che oggi ci si riesca molto di più che in passato). Oppure quando si inseguono i “lontani” (cosa peraltro assolutamente meritoria): chi è ricercato con insistenza può essere indotto erroneamente a pensare che gli si voglia offrire una merce scadente; anche in questo caso è importante studiare strategie per far capire che chi propone lezioni di ebraismo non sta chiedendo il favore di essere ascoltato, ma sta offrendo un preziosissimo regalo.

Anna Segre, insegnante

Punizione collettiva
È già stato scritto da più parti che il giorno di ieri, con l'entrata dell'ex presidente d'Israele entro le mura del carcere Maasiyahu, è stato buono e cattivo insieme. Buono perché è stata dimostrata l'indipendenza esemplare del sistema giudiziario israeliano, cattivo perché dimostra quanto in basso può arrivare il costume politico di un sistema democratico occidentale quale quello israeliano. Perciò non voglio qui ripetere le stesse cose, ma mettere il dito su un altro punto: come può succedere che il Parlamento di un paese così culturalmente e socialmente avanzato possa eleggere a presidente della repubblica un parlamentare quasi anonimo, e lo scelga rinunciando all'altro candidato, Shimon Peres, in molti sensi uno dei "padri della patria".
Le previsioni che si potevano leggere su quasi tutti i giornali di quel giorno erano completamente sbilanciate a favore di Peres: l'uomo che aveva contribuito in modo decisivo alla potenza militare d'Israele negli anni '50 e '60, che aveva avuto un ruolo decisivo nella fornitura degli aerei Mirage dalla Francia (che furono poi decisivi per la vittoria della guerra dei sei giorni), il motore dei colloqui di Madrid (poi silurati dal primo ministro Shamir), il protagonista degli accordi di Oslo, Premio Nobel per la Pace, si trovò quel giorno di fine luglio del 2000 a contendere l'elezione a presidente della repubblica con un parlamentare di serie B, più giovane di trent'anni, poco noto e poco attivo ma ben esperto nel piccolo cabotaggio del gioco politico di partito. Katzav "si era fatto le ossa" come uno dei giovani del Herut all'ombra di Begin, insieme a David Levi e altri nuovi approdati alla politica, di origine orientale, con una carriera meteorica che lo aveva portato anche alla carica di sindaco di Kiriat Malachi, una cittadina della periferia del sud.
Detto questo, si capisce come fu generale e profonda la sorpresa quando il presidente della Keneset Avraham Burg dette voce al risultato della votazione.
La spiegazione è semplice e la si può riassumere in poche parole: due grandi blocchi si cimentarono quel giorno, e la differenza numerica fra loro era esigua ma determinante a favore di Katzav (63 contro 57 al secondo giro). Intorno a lui si erano messi d'accordo i parlamentari della destra e dei partiti religiosi, mentre Peres godeva dell'appoggio della sinistra, del centro e anche di alcuni parlamentari di destra, ma evidentemente non abbastanza per una vittoria che sembrava scontata, se non altro a causa dei suoi meriti passati. Ma l'errore di Peres fu proprio quello di fidarsi troppo delle corone del passato, mentre Katzav in quei giorni passò la maggior parte del suo tempo a contattare i parlamentari di tutte le tendenze e a "ricamare" la sua elezione con un lavoro capillare di convincimento. La piccola politica di coalizione ebbe la meglio sulla grande logica del buonsenso, e così fu che per i sei anni successivi la figura che rappresentò Israele di fronte a se stesso e alle nazioni fu una persona che si è poi rivelata essere un delinquente comune. Stento a credere, ma ha ragione Sergio Della Pergola quando scrive su Unione Informa che ieri gli Israeliani hanno avuto la loro punizione collettiva.

Daniel Haviv, alchimista

La pena, i valori
Mercoledì è entrato in prigione l'ex presidente dello Stato d'Israele per scontare la pena di sette anni inflittagli per stupro. Un momento triste per Israele, un momento per far riflettere che nessuno è al di sopra della legge in Israele.  I commenti sulla stampa israeliana vertono anche sul fatto che Moshè Katzav entra in carcere senza aver capito di aver infranto la legge, senza pentimento. Vi è una cesura tra chi ha condannato e il condannato: non sembra condividano lo stesso bagaglio culturale e gli stessi valori. Non tanto una vittoria delle donne, quanto una vittoria del diritto: si infligge la pena imponendo dei valori anche a chi non li condivide. Sono difesi la donna e la sua integrità: questo dice Israele.

Joe Shammah

notizieflash   rassegna stampa
Fratelli Musulmani: "Vogliamo rivedere l'accordo con Israele"
  Leggi la rassegna

Rivedere l'accordo tra Egitto e Israele. Freschi delle notizie dalle elezioni, con la vittoria nella prima tornata post Hosni Mubarak, i Fratelli Musulmani chiedono a gran voce la revisione in parlamento dell'accordo bilaterale tra Israele e Egitto. "E' trascorso molto tempo da quando sono stati firmati gli accordi di Camp David e come gli altri accordi necessitano di essere rivisti. E questo spetta al Parlamento'' ha affermato il segretario generale dei Fratelli Musulmani Mahmoud Hussein. Affermazioni che non possono che preoccupare Israele. 


 
torna su ˄
Pagine Ebraiche 
è il giornale dell'ebraismo italiano
pagine ebraiche
Dafdaf
Dafdaf
  è il giornale ebraico per bambini
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo mailto:mailto:desk@ucei.it  Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: mailto:mailto:desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI - Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.