Israele,
la Memoria, l’immigrazione. L’impegno ebraico in politica si declina
per lo più su questi temi. O quanto meno diviene riconoscibile proprio
in questi ambiti. Ma esiste un modo ebraico di fare politica? C’è un
approccio specificamente ebraico anche su altre questioni,
dall’ambiente al sociale? Si è snodato su questi interrogativi,
proposti da Victor Magiar, consigliere e assessore alla Cultura UCEI,
il dibattito che questa mattina a Napoli ha riunito i partecipanti al
Moked dopo l’intensa lezione dedicata al rapporto tra etica e politica
di Shmuel Wygoda, uno dei massimi esperti del pensiero del filosofo
Levinas. Al tavolo dei relatori, Fiamma Nirenstein, parlamentare Pdl;
l’avvocato Daniela Dawan e Ruggero Gabbai, consigliere Pd del Comune di
Milano e appunto Magiar in veste di moderatore. “Il mio impegno
principale – ha sottolineato Fiamma Nirenstein – è rivolto a Israele
perché oggi il dibattito mondiale riguarda il suo stesso diritto a
esistere e a continuare ad essere una piccola democrazia nel cuore del
mondo islamico, perché è un paese seriamente minacciato”. “Ciò non
toglie - ha sottolineato - che il mio lavoro nelle istituzioni si sia
rivolto in questi anni anche a numerosi altri temi, legati al rispetto
dei diritti umani: dalla tutela dei minori alla difesa delle donne
senza dimenticare la politica estera”. Per Ruggero Gabbai l’impegno per
Israele va invece modulato in maniera diversa. “Il nostro compito
dovrebbe essere quello di fungere da tramite con gli intellettuali e i
politici italiani, senza ergerci noi a paladini ma portando nel nostro
Paese le voci di chi lavora per la pace, quali Gideon Levy o David
Grossman”. Quanto all’atteggiamento generale, ha sottolineato, è
difficile capire quanto pesi l’essere ebreo nelle cose della politica.
“E’ un aspetto così legato alla mia identità che mi riesce difficile
scinderlo. In ogni caso di ebraico in politica credo di portare
un’apertura dialettica, la capacità di ascolto, la volontà di
migliorare e arrivare a risultati concreti”.
Squisitamente politico,
anche se affrontato sotto una diversa angolatura, il tema della libertà
d’opinione analizzato da Daniela Dawan in relazione alla legge Mancino
e ad alcuni fatti di cronaca. “Il buonismo generalizzato diffusosi
nella nostra società ha avuto l’effetto di espungere dalla concezione
della vita l’odio e il pregiudizio indiscriminato. Ma il valore della
libertà d’opinione non risiede nell’illimitata possibilità di dire
tutto e il contrario di tutto”. Se non vi sono limiti viene però meno
lo stesso concetto dell’istigazione a delinquere, insieme ai
presupposti della legge Mancino che punisce l’odio razziale. Un
ribaltamento di prospettiva che spesso si fa sentire anche nelle aule
di giustizia dove, ha detto l’avvocato Dawan, la legge Mancino di
frequente rimane sostanzialmente inapplicata mentre chi combatte
l’antisemitismo e i pregiudizi razzisti si trova a vivere un profondo
sentimento di solitudine.
Daniela Gross
|
Qui
Napoli - Confrontarsi sull'etica
|
Chi si aspettava un
duello all’arma bianca forse sarà rimasto deluso. Niente tintinnar di
spade ma un confronto pacato sull’intreccio tra etica e politica
ebraica. Protagonisti, il vicepresidente UCEI Anselmo Calò e il
presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici. In
occasione del Moked autunnale, i due volti noti dell’ebraismo italiano,
intervistati dallo psicologo Daniel Segre, si sono confrontati su
tematiche sempre attuali come le politiche comunitarie, il rapporto tra
Unione e Comunità così come tra mondo ebraico e Stato. Un dibattito
iniziato un po’ in sordina ma che progressivamente ha acquistato quota
fino a giungere agli argomenti più caldi per il presente ebraico
italiano.
Ma andiamo con ordine. Primo passo del confronto, lo sguardo al
passato: la lunga militanza nel Bnei Akiva per Pacifici, nell’Hashomer
Hatzair per Calò. Per entrambi, ma con accezioni diverse, un’esperienza
fondamentale nella formazione della propria identità ebraica e
nell’assunzione delle responsabilità verso se stessi e verso
l’ebraismo. Senza dimenticare l’importante impronta lasciata dagli anni
alla scuola ebraica di Roma. “Un privilegio averla potuta frequentare”
sottolineava Pacifici in riferimento alle tante Comunità sprovviste di
questa struttura.
Poi un salto al presente. “Qual è oggi la fisionomia dell’ebraismo
italiano?” domanda Segre. Qui la prima piccola divergenza tra gli
oratori. Il relativo ottimismo di Calò si scontra con il velato
pessimismo di Pacifici. Se per il primo gli ebrei italiani, nonostante
alcune previsioni, sono ancora attivi e presenti il che denota un
segnale positivo, il secondo si sofferma sulla mappatura dell’Italia
ebraica. Delle decine di realtà sorte nei secoli e sparse lungo la
Penisola sono rimaste le attuali ventuno Comunità. Le apprensioni del
presidente della Comunità di Roma si assottigliano quando parla di
“casa sua”: gli ebrei della capitale oggi possono contare su quindici
sinagoghe mentre non molto tempo fa le sinagoghe si contavano sule dita
di una mano.
I toni si fanno relativamente più accesi quando si passa al rapporto
Unione, Comunità, politica. C’è un difficoltà di rapporti tra Ucei e
comunità in merito all’offerta di servizi. “Spesso le comunità non
colgono o rifiutano iniziative perché pensano non siano per loro
necessarie – spiega Calò – e così queste attività rimangono ferme”.
“Non si possono fornire soluzioni dall’alto – replica Pacifici –
bisogna chiedere quali sono le necessità. Ad esempio dobbiamo puntare a
conquistare i giovani”.
Shechitah e milah. Il vento proibizionista olandese che soffia in
direzione sud (la Camera bassa dei Paesi Bassi ha approvato una legge
che di fatto vieta la macellazione rituale ebraica e islamica)
preoccupa Pacifici. Vietare la shechitah o la milah (altro dibattito in
seno a diverse realtà europee) sarebbe un colpo durissimo non solo per
l’ebraismo ma, in generale, per il diritto alla libertà religiosa.
Costituzione e Intesa mettono al sicuro, almeno in prima istanza, gli
ebrei italiani da eventuali ripercussioni. E in questi due pilastri
ripone la sua fiducia il vicepresidente UCEI: “I padri costituenti
furono lungimiranti e l’articolo 8 della Costituzione è un segno di
grande civiltà”.
Si è parlato anche del dibattito legato all’Ici – tema molto
discusso in questi giorni sui media italiani – e dell’eventuale
incidenza della tassa sul patrimonio delle comunità ebraiche italiane
ma per la complessità del tema non entriamo qui nel merito.
Come le istituzioni ebraiche devono rapportarsi con la politica
italiana? Basso profilo o grande visibilità? Calò predica maggiore
cautela ovvero l’opportunità di dosare questa visibilità ed evitare il
pericolo di sdoganare determinate posizioni politiche mentre il
presidente della Cer rivendica la necessità di far sentire la voce del
mondo ebraico: “È cambiata la prospettiva nel rapporto tra ebrei e
società italiana”
“Riccardo dice la verità ma le divergenze riguardano il come dobbiamo
valutare la realtà” spiegava Anselmo Calò, un po’ la sintesi di tutto
il confronto.
Daniel
Reichel
|
|
Qui
Napoli - Lavorare per l'unità
|
Esiste
un modello ebraico di politica? Quale contributo può dare l'etica
ebraica alla vita politica? E ancora, si può essere allo stesso tempo
impegnati nella politica comunitaria e nell'amministrazione della cosa
pubblica? Domande suggestive e di strettissima attualità che tengono in
questi giorni banco al Moked autunnale, tradizionale appuntamento di
confronto e dibattito degli ebrei italiani che ha vissuto ieri la sua
giornata inaugurale nel suggestivo scenario del Golfo di Napoli. Ad
aprire i lavori, che prendevano idealmente il testimone dal terzo
modulo del corso di formazione conclusosi in mattinata, un saluto del
rav Roberto Della Rocca, che ha ricordato l'importanza di "servire" e
non di "servirsi" della Comunità, e gli interventi del presidente
dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna e del
presidente della Comunità ebraica di Napoli Pierluigi Campagnano.
Quest’ultimo, orgoglioso padrone di casa, ha sottolineato l’attivismo
della Comunità partenopea nel costante e appassionato lavoro di
risveglio ebraico nelle regioni dell'Italia meridionale. Un impegno che
è stato ulteriormente rafforzato dall'Unione con il lancio del Progetto
Meridione e che stimola la Comunità di Napoli, dice il suo leader, "ad
essere un punto di riferimento per tutto il Sud".
Tornando
all'interrogativo centrale del Moked ("Esiste un modo ebraico di fare
politica?") il presidente Gattegna ha affermato che, per avvicinarsi ad
una risposta, è necessario analizzare la particolare esperienza storica
degli ebrei, il loro rapporto con la tradizione e con le altre
componenti delle società in cui si sono trovati nei secoli a vivere in
un percorso talvolta pacifico ma assai più spesso difficoltoso e
tormentato. Tra le figure esemplari per una decodificazione in questo
senso il filosofo e biblista Itzchak Abravanel. Al grande pensatore di
origine portoghese il rav Giuseppe Laras, presidente emerito
dell'Assemblea Rabbinica Italiana, ha dedicato una densa lectio
magistralis che ha ricostruito alcuni tra i passaggi più significativi
della sua riflessione politica. Dalla narrazione del rav Laras emerge
la figura di un attento e fine osservatore dei suoi tempi che, vittima
consapevole della sanguinosa espulsione degli ebrei dalla penisola
iberica, profonde e immortali parole spese a difesa dei diritti
dell'individuo e in opposizione a qualsiasi forma di totalitarismo. A
seguire, moderati dal giornalista Guido Vitale, tre protagonisti
dell’attuale vita comunitaria - il presidente della Comunità ebraica di
Milano Roberto Jarach, il suo omologo livornese Samuele Zarrough e il
rabbino capo di Trieste rav Itzhak David Margalit - hanno riportato il
dibattito ai giorni nostri. I tre si sono soffermati sulle sfide e
sulle problematiche affrontate quotidianamente in Comunità convenendo
su molti punti comuni e ribadendo la necessità di tutelare il confronto
e la circolazione delle idee come pilastro essenziale sul quale
edificare il futuro dell’ebraismo italiano. Dai relatori è quindi
giunto l’appello ad abbandonare polemiche futili e strumentalità per
concentrarsi sugli aspetti che uniscono piuttosto che su quelli che
dividono.
Adam
Smulevich
|
|
torna su ˄
|
|
Il
valore dell’insegnamento
|
Siamo
proprio una categoria professionale di pazzi autolesionisti, pensavo
qualche giorno fa sentendo una collega che mi ringraziava calorosamente
perché avevo accettato di cederle la prima ora di lezione, facendola
così entrare alle 8 anziché alle 9; anche io qualche anno fa mi ero
fatta supplicare non poco prima di accettare di accompagnare gli
allievi a sciare invece di passare una mattina a spiegare Dante o
Lucrezio. Questi comportamenti (che forse stupiranno chi si è fatto
condizionare dalle campagne mediatiche sugli insegnanti fannulloni) non
sono l’eccezione ma la regola, almeno in tutte le scuole in cui mi è
capitato di lavorare, come dimostra il linguaggio normalmente usato:
tra insegnanti si parla sempre, infatti, di ore “regalate” e “rubate”,
dove chi “regala” appioppa un’ora di lavoro non retribuita e chi “ruba”
lavora un’ora in più gratis al posto del “derubato”. In teoria è un
nobile esempio di dedizione generalizzata al proprio lavoro, ma a volte
mi domando se non sia in qualche misura controproducente, finendo per
sminuirne il valore: cosa pensano gli allievi dell’insegnante che fa di
tutto per avere un’ora di lezione in più? Che non ha di meglio da fare
nella sua vita? Che sta inventando di tutto per opprimerli? Difficile,
nella società di oggi, che si attribuisca grande valore a un servizio
che viene svolto gratuitamente con tanta facilità. Occorre dunque
adottare strategie che mettano in evidenza il valore delle proprie
lezioni, anche quando sono pagate poco o nulla.
E nel mondo ebraico?
Per fortuna abbiamo una tradizione abbastanza solida che sottolinea
l’importanza dell’insegnamento, anche quando è impartito gratuitamente,
le nostre comunità si reggono in parte sul volontariato e quindi siamo
meno portati a usare il costo in denaro come criterio di misurazione
del valore di ciò che ci viene offerto (lezioni di Torà, corsi di
ebraismo, conferenze, ecc.). Forse, però, in qualche caso il problema
esiste anche da noi, per esempio nelle scuole ebraiche, dove è
importante far capire che le lezioni di ebraico ed ebraismo non hanno
meno valore delle altre (ho l’impressione comunque che oggi ci si
riesca molto di più che in passato). Oppure quando si inseguono i
“lontani” (cosa peraltro assolutamente meritoria): chi è ricercato con
insistenza può essere indotto erroneamente a pensare che gli si voglia
offrire una merce scadente; anche in questo caso è importante studiare
strategie per far capire che chi propone lezioni di ebraismo non sta
chiedendo il favore di essere ascoltato, ma sta offrendo un
preziosissimo regalo.
Anna
Segre, insegnante
|
Punizione collettiva
|
È già stato scritto
da più parti che il giorno di ieri, con l'entrata dell'ex presidente
d'Israele entro le mura del carcere Maasiyahu, è stato buono e cattivo
insieme. Buono perché è stata dimostrata l'indipendenza esemplare del
sistema giudiziario israeliano, cattivo perché dimostra quanto in basso
può arrivare il costume politico di un sistema democratico occidentale
quale quello israeliano. Perciò non voglio qui ripetere le stesse cose,
ma mettere il dito su un altro punto: come può succedere che il
Parlamento di un paese così culturalmente e socialmente avanzato possa
eleggere a presidente della repubblica un parlamentare quasi anonimo, e
lo scelga rinunciando all'altro candidato, Shimon Peres, in molti sensi
uno dei "padri della patria".
Le previsioni che si potevano leggere su quasi tutti i giornali di quel
giorno erano completamente sbilanciate a favore di Peres: l'uomo che
aveva contribuito in modo decisivo alla potenza militare d'Israele
negli anni '50 e '60, che aveva avuto un ruolo decisivo nella fornitura
degli aerei Mirage dalla Francia (che furono poi decisivi per la
vittoria della guerra dei sei giorni), il motore dei colloqui di Madrid
(poi silurati dal primo ministro Shamir), il protagonista degli accordi
di Oslo, Premio Nobel per la Pace, si trovò quel giorno di fine luglio
del 2000 a contendere l'elezione a presidente della repubblica con un
parlamentare di serie B, più giovane di trent'anni, poco noto e poco
attivo ma ben esperto nel piccolo cabotaggio del gioco politico di
partito. Katzav "si era fatto le ossa" come uno dei giovani del Herut
all'ombra di Begin, insieme a David Levi e altri nuovi approdati alla
politica, di origine orientale, con una carriera meteorica che lo aveva
portato anche alla carica di sindaco di Kiriat Malachi, una cittadina
della periferia del sud.
Detto questo, si capisce come fu generale e profonda la sorpresa quando
il presidente della Keneset Avraham Burg dette voce al risultato della
votazione.
La spiegazione è semplice e la si può riassumere in poche parole: due
grandi blocchi si cimentarono quel giorno, e la differenza numerica fra
loro era esigua ma determinante a favore di Katzav (63 contro 57 al
secondo giro). Intorno a lui si erano messi d'accordo i parlamentari
della destra e dei partiti religiosi, mentre Peres godeva dell'appoggio
della sinistra, del centro e anche di alcuni parlamentari di destra, ma
evidentemente non abbastanza per una vittoria che sembrava scontata, se
non altro a causa dei suoi meriti passati. Ma l'errore di Peres fu
proprio quello di fidarsi troppo delle corone del passato, mentre
Katzav in quei giorni passò la maggior parte del suo tempo a contattare
i parlamentari di tutte le tendenze e a "ricamare" la sua elezione con
un lavoro capillare di convincimento. La piccola politica di coalizione
ebbe la meglio sulla grande logica del buonsenso, e così fu che per i
sei anni successivi la figura che rappresentò Israele di fronte a se
stesso e alle nazioni fu una persona che si è poi rivelata essere un
delinquente comune. Stento a credere, ma ha ragione Sergio Della
Pergola quando scrive su Unione Informa che ieri gli
Israeliani hanno
avuto la loro punizione collettiva.
Daniel
Haviv, alchimista
|
La pena, i valori
|
Mercoledì è entrato
in prigione l'ex presidente dello Stato d'Israele per scontare la pena
di sette anni inflittagli per stupro. Un momento
triste per Israele, un momento per far riflettere che nessuno è al di
sopra della legge in Israele. I commenti sulla stampa
israeliana vertono anche sul fatto che Moshè Katzav entra in carcere
senza aver capito di aver infranto la legge, senza pentimento. Vi è una
cesura tra chi ha condannato e il condannato: non sembra condividano lo
stesso bagaglio culturale e gli stessi valori. Non tanto una vittoria
delle donne, quanto una vittoria del diritto: si infligge la pena
imponendo dei valori anche a chi non li condivide. Sono difesi la donna
e la sua integrità: questo dice Israele.
Joe
Shammah
|
notizieflash |
|
rassegna
stampa |
Fratelli
Musulmani: "Vogliamo rivedere l'accordo con Israele"
|
|
Leggi la rassegna |
Rivedere
l'accordo tra Egitto e Israele. Freschi delle notizie dalle elezioni,
con la vittoria nella prima tornata post Hosni Mubarak, i Fratelli
Musulmani chiedono a gran voce la revisione in parlamento dell'accordo
bilaterale tra Israele e Egitto. "E' trascorso molto tempo da quando
sono stati firmati gli accordi di Camp David e come gli altri accordi
necessitano di essere rivisti. E questo spetta al Parlamento'' ha
affermato il segretario generale dei Fratelli Musulmani Mahmoud
Hussein. Affermazioni che non possono che preoccupare Israele.
|
|
|
|
|
torna su ˄
|
è il giornale dell'ebraismo
italiano |
 |
|
 |
Dafdaf
è il giornale ebraico
per bambini |
|
L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono
rivolgersi all'indirizzo mailto:mailto:desk@ucei.it
Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: mailto:mailto:desk@ucei.it
indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI -
Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo
aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione
informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale
di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.
|
|
|
|
|
|