Anna
Foa,
storica
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Ciò che è successo a Torino,
dopo che una ragazzina di sedici anni ha pensato bene di inventarsi uno
stupro per evitare di essere sgridata dai genitori, ha tutte le
caratteristiche di un pogrom: un gruppo di persone che assale con la
violenza un campo nomadi, lo dà alle fiamme, si assume il compito di
fare da sé ciò che a suo avviso le istituzioni statali non fanno o non
fanno abbastanza: proteggere la loro identità di gruppo dal diverso,
dallo straniero, da chi considera in blocco pericoloso. I pogroms della
storia contro gli ebrei, da quelli delle Crociate a quelli della Russia
di fine Ottocento e inizio Novecento, sia pur in contesti e con
motivazioni diversi, non hanno meccanismi molto diversi. Né molto
diversi sono i linciaggi che hanno caratterizzato nel Sud degli Stati
Uniti le azioni del Ku Klux Klan. Questo oggi non riguarda più noi
ebrei, dal momento che non ci sono più giudecche o ghetti da
assalire. L'antisemitismo è per ora virtuale, e si limita ad
aggressioni verbali, come nel caso Tuccio su cui richiamava
ieri la nostra attenzione Bidussa su questa rubrica. Ma la riflessione
sui meccanismi della violenza contro i gruppi portatori di una
diversità, sia essa religiosa, come nel caso delle minoranze cristiane
nei paesi islamici più fondamentalisti, o sociale ed etnica, come nel
caso dei campi nomadi in Occidente o come nei molti, troppi,
casi degli immigranti, ci riguarda credo moltissimo. E la situazione
economica è tale da favorire la crescita di questo clima di violenza e
di paura. Dobbiamo occuparcene, anche se riteniamo di essere, in quanto
ebrei, fuori dal guado.
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“Nella storia esistono
momenti fortunati in cui ebrei e cristiani possono incontrarsi in
pace”. Rav Jonathan Sacks, rabbino capo di Inghilterra e del
Commonwealth, tra le massime autorità morali dell’ebraismo mondiale,
riassume così il senso della sua presenza a Roma. La platea è quella
della sinagoga Beth El, scenario di una visita storica che la Comunità
ebraica capitolina accoglie con entusiasmo e calore. Ad introdurre rav
Sacks al pubblico, “anche se un personaggio di questa levatura non ha
certo bisogno di presentazioni”, è un emozionato rav Riccardo Di Segni,
rabbino capo di Roma e appassionato divulgatore del pensiero del
collega anglosassone nelle sue lezioni e derashot. L’ospite, con la ben
nota eloquenza, ironia e incisività, anticipa al pubblico alcuni temi
toccati questa mattina nell’udienza privata concessagli da papa
Benedetto XVI. Dall’importanza ineludibile del dialogo interreligioso
al contributo dato dall’ebraismo, inteso come sistema di valori, al
progresso della collettività. Tra gli esempi citati da rav Sacks, il
trattato sulla dignità dell’uomo di Pico della Mirandola. Una
riflessione paradigmatica del risveglio europeo rinascimentale e oggi
assurta a patrimonio del pensiero libero che, afferma, non potrebbe
essere stata scritta senza l’aiuto di un grande rabbino quale fu
l’influente rav Elia del Medigo. “La libertà parla con accento ebraico”
incalza rav Sacks, che spiega come questo sia un concetto di cui
ciascun ebreo deve farsi carico nelle società in cui è attore. Tre sono
quindi i messaggi che, a suo dire, gli ebrei sono chiamati a
condividere con il mondo: la centralità della famiglia e del
matrimonio, l’attribuzione di un giusto valore alle cose (concetto su
cui si fonda lo Shabbat) e un approccio etico agli affari. Sollecitato
infine da rav Di Segni su quali siano oggi le priorità per le comunità
ebraiche e su quali canali indirizzare capacità, competenze e risorse
in tempi non certo semplici come quelli che vive l'ebraismo italiano,
rav Sacks sostiene che la risposta sta in una frase di rav
Nachman di Breslav: “La vita è un ponte molto stretto pieno di
pericoli. L’importante è non avere mai paura”. Poi, prima di congedarsi
tessendo le lodi del collega romano (“un degno prosecutore, col suo
duplice impegno di rabbino e medico, dell’opera di Maimonide”), rav
Sacks entra nel caso concreto e chiude con un appello: “Ci sono delle
scuole ebraiche in Italia? Bene, apritene altre e altre ancora.
L’educazione e i giovani devono essere le nostre priorità”.
Adam Smulevich
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Lee Korzits, il cuore oltre l'ostacolo
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Una
carriera segnata dalla sofferenza, da molti e terribili infortuni che
hanno più volte fatto temere il peggio per la sua incolumità fisica.
“Dopo questa botta sarà già un miracolo se riuscirà a camminare” diceva
chi l’aveva avuta in cura. Previsione fortunatamente errata: la grinta
felina, il desiderio di rialzarsi in piedi, una inesauribile voglia di
primeggiare hanno infatti permesso alla surfista israeliana Lee Korzits
di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Nelle acque agitate di Perth
l’atleta è riuscita in un’impresa straordinaria: aggiudicarsi
nuovamente, a distanza di otto anni dal primo acuto, il titolo di
campionessa del mondo nella categoria RSX. L'alloro, arrivato al
termine di un duello emozionante e all’ultimo punto con la polacca
Zofia Noceti-Klepacka, ha dell’incredibile non tanto per la vittoria in
sé quanto in considerazione dei drammatici bollettini ospedalieri che,
fino a non molto tempo fa, sembravano condannarla a un'esistenza sulla
sedia a rotelle. La notizia del suo trionfo ha così entusiasmato
Israele contagiando appassionati della disciplina e profani. I giornali
parlano di "premio alla tenacia" e di "storia di sport che commuove e
unisce". Tra i primi a complimentarsi pubblicamente il premier Benjamin
Netanyahu e il capo di Stato Shimon Peres: entrambi si sono augurati di
vedere Lee in lizza ai prossimi Giochi Olimpici di Londra. Lei dal
canto suo ancora non si capacita di quanto accaduto: “È il momento più
bello della mia vita, non riesco a crederci”.
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In cornice - Gli
impressionisti e Dreyfus
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Gli impressionisti sono più
che famosi (il Brera di Milano ora ospita una mostra di Cezanne e
Gauguin e il Vittoriano di Roma aveva chiuso a giugno un'altra su
Monet), ma pochi sanno che la definitiva frattura fra loro fu dovuta
all'affare Dreyfus. Si schierarono a favore del colonnello francese
ingiustamente accusato, Pissarro - ebreo e socialista -, Monet -
firmatario convinto dell'appello di Zola - e Signac. Dall'altra parte,
Cezanne - ma era quasi indifferente -, Renoir - che pur mantenne
rapporto con conoscenti ebrei -, Degas - antisemita convinto. La
posizione dei vari artisti pro e contro Dreyfus non andrebbe trattata
come mera curiosità, ma come chiave di lettura della loro arte. Non nel
senso di scegliere pittori “buoni” e “cattivi”, quanto per leggere
meglio le loro opere e la loro evoluzione, come si fa quando si studia,
ad esempio, Botticelli (e il neoplatonismo) o David (e l'illuminismo).
E' un detonatore delle differenze latenti fra i più (Renoir, Degas) e i
meno abbienti (Monet)? Spiega perché alcuni si concentrano su vedute
non cittadine (Monet, ma anche Gauguin) e altri su quelle mondane
(Renoir e Degas)? Potrei andare avanti, ma il tema richiede un'analisi
approfondita; per una volta, l'antisemitismo può servire a qualcosa.
Daniele
Liberanome, critico d'arte
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Tea for two - Glee |
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Da due anni e mezzo il
fenomeno Glee è scoppiato e non ha ancora mostrato i primo segni di
cedimento. Adorato dai ragazzi di mezzo mondo e non disdegnato dai
critici (Aldo Grasso compreso), è diventato il 'teen drama' per
eccellenza. Il punto forte? Esattamente quando il 'drama' raggiunge
l'acme, i protagonisti iniziano a cantare. E non sto parlando di un
musical che fa arricciare il naso a coloro che considerano Grease una
tortura in stile Arancia meccanica. Perché gli ideatori mischiano
sapientemente le hit del momento con canzoni dimenticate di meteore e
apportano modifiche che deliziano anche i palati più raffinati. Ma il
secondo segreto vincente è la scelta dei personaggi. Non ci troviamo di
fronte a belloni californiani con i denti smaglianti o a esili ragazze
inguainate in abito haute couture. Anzi sono per lo più dei losers, dei
perdenti che vengono bistrattati e ricevono granite ghiacciate in
faccia. Ma che voce! I temi trattati vengono scanditi a suon di musica:
da gravidanze a quindici anni (Papa don't preach di Madonna) a padri in
ospedale (I wanna hold your hand, The Beatles ma anche Losing my
religion dei R.E.M.). Tra personaggi latino-americani, aspiranti
Beyoncé, geni asiatici, non può mancare la presenza ebraica. Ovviamente
alla glee's way! Rachel Berry, leader del gruppo e fan adorante di
Barbara Streisand. Ma anche l'adone Noah Puckerman che, oltre a sedurre
donne mature, per un periodo voleva fidanzarsi con Rachel spinto dalla
madre che lo voleva accasato con una brava ragazza ebrea. Il
personaggio più divertente però non è parte del gruppo e fa qualche
comparsata: Jacob Ben Israel. Jacob si occupa dei gossip che circolano
nella scuola più canterina dell'Ohio. Segni particolari: ossessionato
da Rachel Berry. Accompagnato dalla sua fedele telecamera e dal
microfono decorato con la stella di David, riesce a mettere in crisi i
protagonisti con domande al vetriolo. Insomma, Glee è un antidoto
perfetto per le fredde e piovose giornate di dicembre. Rachel Berry
concorderebbe con me ( e poi canterebbe qualche canzone di Wicked).
Rachel
Silvera, studentessa
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notizie
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rassegna
stampa |
Israele - "Gilad Shalit Nobel per la pace"
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Leggi la rassegna |
Gilad Shalit premio Nobel
per la pace. La proposta, portata avanti dalla Comunità ebraica di
Roma, è stata rilanciata oggi dal sindaco della Capitale Gianni
Alemanno dopo l'incontro con il giovane caporale israeliano, liberato
lo scorso 18 ottobre dopo 5 anni di prigionia nelle mani dei terroristi
di Hamas. Accompagnato in Israele da una delegazione a cui ha preso
parte, fra gli altri, il presidente della Comunità ebraica di Roma
Riccardo Pacifici, Alemanno ha auspicato che Gilad diventi "il simbolo
della speranza di poter trovare un processo di pace basato sulla
giustizia e sul riconoscimento per tutti i popoli, a cominciare da
Israele, del diritto di esistere e di non vedere messo in discussione
il proprio futuro".
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è
il giornale dell'ebraismo
italiano |
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