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12 dicembre 2011 - 16 Kislev 5772
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rav Jonathan saks Jonathan
Sacks,
rabbino capo
del Commonwealth


Gli antisemiti sono pazzi. Credono che gli ebrei controllino la finanza e l'informazione e non si rendono conto che spesso non riusciamo a controllare nemmeno una semplice assemblea comunitaria.

Anna
Foa,
storica

   
anna foa
Ciò che è successo a Torino, dopo che una ragazzina di sedici anni ha pensato bene di inventarsi uno stupro per evitare di essere sgridata dai genitori, ha tutte le caratteristiche di un pogrom: un gruppo di persone che assale con la violenza un campo nomadi, lo dà alle fiamme, si assume il compito di fare da sé ciò che a suo avviso le istituzioni statali non fanno o non fanno abbastanza: proteggere la loro identità di gruppo dal diverso, dallo straniero, da chi considera in blocco pericoloso. I pogroms della storia contro gli ebrei, da quelli delle Crociate a quelli della Russia di fine Ottocento e inizio Novecento, sia pur in contesti e con motivazioni diversi, non hanno meccanismi molto diversi. Né molto diversi sono i linciaggi che hanno caratterizzato nel Sud degli Stati Uniti le azioni del Ku Klux Klan. Questo oggi non riguarda più noi ebrei, dal momento che  non ci sono più giudecche o ghetti da assalire. L'antisemitismo è per ora virtuale, e si limita ad aggressioni verbali,  come nel caso Tuccio su cui richiamava ieri la nostra attenzione Bidussa su questa rubrica. Ma la riflessione sui meccanismi della violenza contro i gruppi portatori di una diversità, sia essa religiosa, come nel caso delle minoranze cristiane nei paesi islamici più fondamentalisti, o sociale ed etnica, come nel caso dei campi nomadi in Occidente o come nei molti, troppi,  casi degli immigranti, ci riguarda credo moltissimo. E la situazione economica è tale da favorire la crescita di questo clima di violenza e di paura. Dobbiamo occuparcene, anche se riteniamo di essere, in quanto ebrei, fuori dal guado.

davar
Qui Roma - Rav Sacks: "Siate ambasciatori dei valori ebraici"
“Nella storia esistono momenti fortunati in cui ebrei e cristiani possono incontrarsi in pace”. Rav Jonathan Sacks, rabbino capo di Inghilterra e del Commonwealth, tra le massime autorità morali dell’ebraismo mondiale, riassume così il senso della sua presenza a Roma. La platea è quella della sinagoga Beth El, scenario di una visita storica che la Comunità ebraica capitolina accoglie con entusiasmo e calore. Ad introdurre rav Sacks al pubblico, “anche se un personaggio di questa levatura non ha certo bisogno di presentazioni”, è un emozionato rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma e appassionato divulgatore del pensiero del collega anglosassone nelle sue lezioni e derashot. L’ospite, con la ben nota eloquenza, ironia e incisività, anticipa al pubblico alcuni temi toccati questa mattina nell’udienza privata concessagli da papa Benedetto XVI. Dall’importanza ineludibile del dialogo interreligioso al contributo dato dall’ebraismo, inteso come sistema di valori, al progresso della collettività. Tra gli esempi citati da rav Sacks, il trattato sulla dignità dell’uomo di Pico della Mirandola. Una riflessione paradigmatica del risveglio europeo rinascimentale e oggi assurta a patrimonio del pensiero libero che, afferma, non potrebbe essere stata scritta senza l’aiuto di un grande rabbino quale fu l’influente rav Elia del Medigo. “La libertà parla con accento ebraico” incalza rav Sacks, che spiega come questo sia un concetto di cui ciascun ebreo deve farsi carico nelle società in cui è attore. Tre sono quindi i messaggi che, a suo dire, gli ebrei sono chiamati a condividere con il mondo: la centralità della famiglia e del matrimonio, l’attribuzione di un giusto valore alle cose (concetto su cui si fonda lo Shabbat) e un approccio etico agli affari. Sollecitato infine da rav Di Segni su quali siano oggi le priorità per le comunità ebraiche e su quali canali indirizzare capacità, competenze e risorse in tempi non certo semplici come quelli che vive l'ebraismo italiano, rav Sacks sostiene che la risposta sta in una frase di rav Nachman di Breslav: “La vita è un ponte molto stretto pieno di pericoli. L’importante è non avere mai paura”. Poi, prima di congedarsi tessendo le lodi del collega romano (“un degno prosecutore, col suo duplice impegno di rabbino e medico, dell’opera di Maimonide”), rav Sacks entra nel caso concreto e chiude con un appello: “Ci sono delle scuole ebraiche in Italia? Bene, apritene altre e altre ancora. L’educazione e i giovani devono essere le nostre priorità”.

Adam Smulevich

Lee Korzits, il cuore oltre l'ostacolo 
Una carriera segnata dalla sofferenza, da molti e terribili infortuni che hanno più volte fatto temere il peggio per la sua incolumità fisica. “Dopo questa botta sarà già un miracolo se riuscirà a camminare” diceva chi l’aveva avuta in cura. Previsione fortunatamente errata: la grinta felina, il desiderio di rialzarsi in piedi, una inesauribile voglia di primeggiare hanno infatti permesso alla surfista israeliana Lee Korzits di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Nelle acque agitate di Perth l’atleta è riuscita in un’impresa straordinaria: aggiudicarsi nuovamente, a distanza di otto anni dal primo acuto, il titolo di campionessa del mondo nella categoria RSX. L'alloro, arrivato al termine di un duello emozionante e all’ultimo punto con la polacca Zofia Noceti-Klepacka, ha dell’incredibile non tanto per la vittoria in sé quanto in considerazione dei drammatici bollettini ospedalieri che, fino a non molto tempo fa, sembravano condannarla a un'esistenza sulla sedia a rotelle. La notizia del suo trionfo ha così entusiasmato Israele contagiando appassionati della disciplina e profani. I giornali parlano di "premio alla tenacia" e di "storia di sport che commuove e unisce". Tra i primi a complimentarsi pubblicamente il premier Benjamin Netanyahu e il capo di Stato Shimon Peres: entrambi si sono augurati di vedere Lee in lizza ai prossimi Giochi Olimpici di Londra. Lei dal canto suo ancora non si capacita di quanto accaduto: “È il momento più bello della mia vita, non riesco a crederci”.

pilpul
In cornice - Gli impressionisti e Dreyfus
daniele liberanomeGli impressionisti sono più che famosi (il Brera di Milano ora ospita una mostra di Cezanne e Gauguin e il Vittoriano di Roma aveva chiuso a giugno un'altra su Monet), ma pochi sanno che la definitiva frattura fra loro fu dovuta all'affare Dreyfus. Si schierarono a favore del colonnello francese ingiustamente accusato, Pissarro - ebreo e socialista -, Monet - firmatario convinto dell'appello di Zola - e Signac. Dall'altra parte, Cezanne - ma era quasi indifferente -, Renoir - che pur mantenne rapporto con conoscenti ebrei -, Degas - antisemita convinto. La posizione dei vari artisti pro e contro Dreyfus non andrebbe trattata come mera curiosità, ma come chiave di lettura della loro arte. Non nel senso di scegliere pittori “buoni” e “cattivi”, quanto per leggere meglio le loro opere e la loro evoluzione, come si fa quando si studia, ad esempio, Botticelli (e il neoplatonismo) o David (e l'illuminismo). E' un detonatore delle differenze latenti fra i più (Renoir, Degas) e i meno abbienti (Monet)? Spiega perché alcuni si concentrano su vedute non cittadine (Monet, ma anche Gauguin) e altri su quelle mondane (Renoir e Degas)? Potrei andare avanti, ma il tema richiede un'analisi approfondita; per una volta, l'antisemitismo può servire a qualcosa.

Daniele Liberanome, critico d'arte

Tea for two - Glee
rachel silveraDa due anni e mezzo il fenomeno Glee è scoppiato e non ha ancora mostrato i primo segni di cedimento. Adorato dai ragazzi di mezzo mondo e non disdegnato dai critici (Aldo Grasso compreso), è diventato il 'teen drama' per eccellenza. Il punto forte? Esattamente quando il 'drama' raggiunge l'acme, i protagonisti iniziano a cantare. E non sto parlando di un musical che fa arricciare il naso a coloro che considerano Grease una tortura in stile Arancia meccanica. Perché gli ideatori mischiano sapientemente le hit del momento con canzoni dimenticate di meteore e apportano modifiche che deliziano anche i palati più raffinati. Ma il secondo segreto vincente è la scelta dei personaggi. Non ci troviamo di fronte a belloni californiani con i denti smaglianti o a esili ragazze inguainate in abito haute couture. Anzi sono per lo più dei losers, dei perdenti che vengono bistrattati e ricevono granite ghiacciate in faccia. Ma che voce! I temi trattati vengono scanditi a suon di musica: da gravidanze a quindici anni (Papa don't preach di Madonna) a padri in ospedale (I wanna hold your hand, The Beatles ma anche Losing my religion dei R.E.M.). Tra personaggi latino-americani, aspiranti Beyoncé, geni asiatici, non può mancare la presenza ebraica. Ovviamente alla glee's way! Rachel Berry, leader del gruppo e fan adorante di Barbara Streisand. Ma anche l'adone Noah Puckerman che, oltre a sedurre donne mature, per un periodo voleva fidanzarsi con Rachel spinto dalla madre che lo voleva accasato con una brava ragazza ebrea. Il personaggio più divertente però non è parte del gruppo e fa qualche comparsata: Jacob Ben Israel. Jacob si occupa dei gossip che circolano nella scuola più canterina dell'Ohio. Segni particolari: ossessionato da Rachel Berry. Accompagnato dalla sua fedele telecamera e dal microfono decorato con la stella di David, riesce a mettere in crisi i protagonisti con domande al vetriolo. Insomma, Glee è un antidoto perfetto per le fredde e piovose giornate di dicembre. Rachel Berry concorderebbe con me ( e poi canterebbe qualche canzone di Wicked).

Rachel Silvera, studentessa

notizie flash   rassegna stampa
Israele - "Gilad Shalit Nobel per la pace"
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Gilad Shalit premio Nobel per la pace. La proposta, portata avanti dalla Comunità ebraica di Roma, è stata rilanciata oggi dal sindaco della Capitale Gianni Alemanno dopo l'incontro con il giovane caporale israeliano, liberato lo scorso 18 ottobre dopo 5 anni di prigionia nelle mani dei terroristi di Hamas. Accompagnato in Israele da una delegazione a cui ha preso parte, fra gli altri, il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici, Alemanno ha auspicato che Gilad diventi "il simbolo della speranza di poter trovare un processo di pace basato sulla giustizia e sul riconoscimento per tutti i popoli, a cominciare da Israele, del diritto di esistere e di non vedere messo in discussione il proprio futuro".




 
 
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