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14 dicembre
2011 - 18 Kislev 5772 |
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David Sciunnach,
rabbino
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“I suoi fratelli,
vedendo che loro padre amava lui più di tutti ...” (Bereshìth 37, 4).
Il
grande commentatore italiano Rabbì Ovadià Sforno commenta questo verso
dicendo: “Yakòv sbagliò facendo distinzione tra i suoi figli in modo
che i fratelli si accorsero dell’amore ch’egli aveva nel cuore”.
Riguardo a questo dicono i Maestri (Talmud Shabbath 10b): “Mai un uomo
deve avere preferenze per un suo figlio fra i figli perché a causa del
peso di trenta grammi di lana che Yakòv diede a Yosèf più che agli
altri suoi figli, i suoi fratelli ne furono gelosi e le cose andarono a
finire con la discesa dei nostri padri in Egitto”.
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Davide
Assael,
ricercatore
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Sempre più il termine
“speculatori” mi pare un capro espiatorio attraverso cui la politica
cerca di scaricare altrove proprie colpe. Un capro espiatorio che, come
ben sappiamo noi ebrei, può avere conseguenze pericolosissime. Trovo,
invece, il giudizio dei mercati un metodo profondamente democratico
attraverso cui i risparmiatori emettono un giudizio sui governi dei
singoli Paesi, che sempre più hanno agito in base a piccole logiche
elettorali. Non si vede il motivo per cui una persona (ma lo stesso
vale anche per i grandi istituti che amministrano fondi pensione o
risparmi di migliaia di individui) dovrebbe investire i propri soldi in
titoli di Paesi che non si sono rivelati affidabili. È da rivedere
questa proclamata dicotomia mercato/democrazia: ai cittadini è stato
dato un formidabile strumento per richiamare la politica ai propri
obblighi, pena il fallimento dello Stato e l’ignominia per i
responsabili. Anche in Italia, abbiamo visto come governi che si sono
interessati sempre di altro (ed uso un eufemismo) siano stati costretti
a celeri dimissioni.
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"Lotta
senza quartiere contro chi fomenta l'odio"
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Il Presidente
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha
dichiarato:
"Dal raid che ha distrutto il campo nomadi a
Torino alla caccia al senegalese a Firenze. Le cronache italiane degli
ultimi giorni segnano il ritorno dell'odio, del pregiudizio e della
xenofobia nelle nostre città. Si intensificano gli attacchi, sale
drammaticamente il numero delle vittime. A tutti deve essere
chiaro che non parliamo di episodi occasionali quanto di manifestazioni
di un malessere profondo che emerge giorno dopo giorno dall'ombra, da
un sottobosco di intolleranza che corre sulla rete e che si palesa
sempre più spesso nella violenza e nel sangue. Sottovalutare questo
fenomeno sarebbe un errore gravissimo così come non accorgerci della
portata europea di tale recrudescenza come dimostrano i recenti fatti
di Liegi, Parigi e Oslo. La risposta a questi attacchi deve essere una
vigilanza costante e una lotta senza quartiere contro chi fomenta
l'odio. Gli ebrei italiani faranno senz'altro la loro parte".
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Qui
Firenze - La città ferita
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Ho vissuto per quasi tre
anni in piazza del Mercato centrale a Firenze, uno dei punti nevralgici
del quartiere di San Lorenzo. Si tratta di una zona per molti versi
difficile, perennemente in lotta contro il degrado e poco amata dai
fiorentini. Pur con molti difetti, ha però un sapore di autenticità
raro. Le storie che vi si raccontano, ai tavolini di un bar o sotto un
porticato cadente, sono infatti le storie che i nostri antenati
emigrati raccontavano nelle taverne di Brooklyn e Buenos Aires. Parlano
di giovani uomini già responsabilizzati in età adolescenziale, che
partono dal proprio paese con una valigia carica di speranze e
illusioni. Molti di loro vengono dal Senegal. Li vedi in strada dal
primo mattino fino a tarda sera. Malgrado le preoccupazioni si sforzano
di essere sereni e di inventarsi una vita che valga la pena di essere
vissuta. Sorridono, si avvicinano per fare due chiacchiere e ti danno
il cinque in segno di amicizia. Sono quasi tutti clandestini.
Ieri la comunità senegalese, San Lorenzo e piazza Dalmazia sono state
mortalmente colpite da un mostro imbevuto di odio. La notizia ha
gettato nelle sconforto una città che si scopre violata nel suo intimo
e che da sempre si fa paladina di valori di apertura, inclusione e
tolleranza. Oggi è lutto cittadino. Fa male sapere che queste cose
possono accadere anche a Firenze, fa male leggere sui giornali un nome
conosciuto tra coloro che lottano in queste ore in ospedale tra la vita
e la morte.
Adam Smulevich
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Qui
Firenze - I loro nomi
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“ e io darò nella mia casa e
nelle mie mura forza e rinomanza, meglio di figli e di figlie; darò a
ciascuno una rinomanza eterna (un memoriale e un nome) che non perirà”
(Isaia, Cap. 56, verso 5)
Amb Modou 40 anni e Diop Mor 54 anni sono morti a Firenze uccisi
dall’odio, dalla rabbia di chi si sente in diritto di disporre della
vita altrui in nome della propria. Con loro in piazza Dalmazia è stato
colpito un altro senegalese, Moustapha Dieng, 34 anni, Sougou Mor 32
anni, e Mbenghe Cheike, 42 anni, tutti colpiti da Gianluca Casseri, che
poi si è tolto la vita. Gran parte deli notiziari continuano in queste
ore a parlare di due senegalesi uccisi e altri feriti. Altri, anche in
nome della solidarietà parlano di “due fratelli uccisi”. Nessuna di
queste due procedure mi piace e non la trovo né condivisibile, né
accettabile. Certo nessuno usa termini ambigui, ma è importante
ripetere i loro nomi, fissarli nella memoria. È importante dare alle persone
un nome. Dare un nome significa riconoscere loro non solo il diritto al
ricordo, ma anche che hanno avuto una vita, che questa per quanto
stentata, difficile, forse anche malinconica era fatta di scelte, di
storie, di amori, di rinunce, di tristezze. In breve di emozioni e di
sensazioni, di ricordi, di relazioni.
Se si afferma il principio quantitiativo del numero, anziché imporsi il
criterio del nome, allora il primo passaggio verso la svalutazione
della vita degli altri è già compiuto e il viaggio verso l’indifferenza
è già iniziato. Molti forse potranno ritenere che sia un passaggio
privo di significato, che importante sia indignarsi. In linea astratta
forse quello del nome può apparire un dettaglio, ma concretamente
nominare una persona significa riconoscergli una personalità e
chiedersi quale sia la sua storia.
Amb Modou e Diop Mor sono morti oggi a Firenze. Moustapha Dieng, Sougou
Mor, e Mbenghe Cheike sono stati feriti. Non sono dei nomi facili da
scrivere. E sicuramente io ho fatto molti errori scrivendoli. E ancora
meno lo sono da ricordare. Ma non importa. Ricordare è un atto che
implica uno sforzo, che include una decisione, che richiede una
decisione.
Certamente sono più difficili e suonano meno famigliari di “Gianluca”.
Ma è importante fissarli nella memoria. E sforzarsi di farlo.
David
Bidussa, (L'Inkiesta)
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Dichiarazione del rav Giuseppe Laras
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Il Presidente
emerito dell'Assemblea rabbinica italiana rav Giuseppe Laras ha
dichiarato:
"In merito alle notizie circolanti in internet relative a Haim Fabrizio
Cipriani, Rabbino della Comunità Lev Chadash di Milano, desidero
precisare, senza intento polemico alcuno, che il suddetto ha
partecipato ad alcuni corsi attivati nel Kolel da me istituito,
nell'ambito del Collegio Rabbinico di Milano da me fondato, presso la
sede di via Guastalla negli anni 2002-2004, senza, però, aver
conseguito in quel contesto alcun titolo rabbinico".
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"Un Nobel
per Gilad Shalit"
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Gilad Shalit Nobel per la
pace. La proposta di assegnare il riconoscimento al militare israeliano
prigioniero per cinque anni delle milizie di Hamas è stata lanciata nel
corso della missione in Israele del presidente della Comunità ebraica
di Roma Riccardo Pacifici e del sindaco della Capitale Gianni Alemanno,
che hanno reso visita al giovane nella sua abitazione.
“Abbiamo portato con noi – ha dichiarato il Presidente Pacifici
riguardo al recente incontro con Gilad Shalit - i disegni e le firme
degli studenti delle scuole ebraiche romane che hanno apposto sul
manifesto che per anni abbiamo posto all’ingresso della sinagoga
Maggiore. Disegni che si aggiungono a quelli che il papà di Gilad,
Noam, aveva già ricevuto dai ragazzi delle scuole della provincia di
Roma e che erano stati consegnati del presidente Zingaretti. Abbiamo
anche portato un video anche di tutte le iniziative che sono state
realizzate a Roma per la liberazione di Gilad, realizzate grazie
all’aiuto di tante autorità. E’ stato un incontro molto commovente. Per
me e per molti altri questo incontro è stato un sogno, e a volte i
sogni si possono realizzare”.
Il sindaco di Roma Alemanno, che accompagnava Pacifici nel viaggio, è
stato il primo politico non israeliano ad incontrare il giovane
militare liberato delle milizie di Hamas dopo la lunga prigionia durata
cinque anni.
L’incontro è avvenuto a Mitzpe Hila, nella casa della famiglia Shalit.
Il sindaco Alemanno ha dichiarato fra l'altro che si è trattato di un
colloquio di profonda amicizia. "Un momento di affetto da parte nostra
nei confronti di Gilad. Si comprende quanto ha sofferto in questi
cinque anni, ma anche il temperamento che lo aiuterà a superare gli
effetti di questa lunga prigionia. La nostra speranza è che questa
liberazione possa essere un segnale di pace e speranza tra Israele e
Palestina, ma anche un atto di accusa nei confronti di chi ha rapito
questo ragazzo che non aveva fatto nulla e che non era impegnato in una
azione di guerra. Shalit è simbolo di due cose: la condanna del
fondamentalismo e dell’oppressione dei diritti umani che viene dal
terrorismo, ma anche il simbolo della speranza di pace sul base della
giustizia e dei diritti di tutti i popoli, a cominciare dal diritto di
Israele ad esistere. Per questo aderisco alla proposta lanciata dal
presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, di
candidare Gilad Shalit al premio Nobel per la pace, proprio per queste
due ragioni: un no assoluto al fondamentalismo; un sì assoluto alla
coesistenza pacifica tra popoli che si rispettano pacificamente”.
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Etica e politica |
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Dell’intensità dei lavori
dell’ultimo Moked annuale organizzato dall’UCEI, svoltosi a Napoli
dall’8 al 10 dicembre, così come della ricchezza dei contenuti emersi
dal dibattito congressuale, della vastità degli argomenti affrontati,
della profondità e dell’importanza degli stimoli e delle sollecitazioni
raccolte, è stata data ampia testimonianza negli ultimi numeri della
Newsletter. Aggiungiamo un sincero sentimento di ammirazione per
l’efficienza dell’organizzazione e la cordialità e il calore
dell’accoglienza – merito di tutti gli organizzatori, a cominciare dal
Direttore del Dipartimento Educazione e Cultura dell’Unione, rav
Roberto Della Rocca, e poi del presidente dell’UCEI, Renzo Gattegna,
del responsabile del Progetto Meridione, rav Gadi Piperno, del rabbino
capo di Napoli e dell’Italia meridionale, Scialom Bahbout e del
presidente della Comunità ebraica di Napoli, Pierluigi Campagnano -,
che hanno permesso a tutti i numerosi partecipanti di vivere
un’esperienza davvero particolare, sul piano culturale, spirituale e
umano.
A conclusione dei lavori, la mia personale impressione è che il
rapporto tra etica e politica, dal punto di vista ebraico, al giorno
d’oggi, può essere valutato su tre piani distinti.
Il primo livello è quello della vita delle diverse Comunità e della
conservazione e trasmissione, attraverso le generazioni, dell’identità
e dei valori ebraici. Un compito, nel momento attuale, reso difficile
da molti, noti problemi – secolarizzazione, esiguità numerica, completa
integrazione nella società dei gentili ecc. -, ma la cui importanza
appare, tuttavia, particolarmente sentita, proprio per la capacità
dimostrata dalle Comunità Ebraiche di rappresentare – anche per molti
non ebrei – un punto di riferimento etico, un piccolo, prezioso scoglio
fermo in un mare di dubbi e incertezze. Una forza di attrazione e di
richiamo che si traduce, da una parte, in un sensibile aumento del
numero di ‘ghiurìm’ in corso, ma anche in una crescente attenzione da
parte di molti ‘goyìm’, desiderosi non di ‘entrare’ nell’ebraismo, ma
semplicemente di conoscerlo.
Ma, naturalmente, gli ebrei sono chiamati ad agire non solo all’interno
delle loro Comunità di appartenenza, ma anche, e soprattutto, come
cittadini, nella società intera, nel mondo. Qui, naturalmente, sorge la
delicata questione di come tradurre le basi etiche dell’ebraismo in
scelte politiche che le rispecchino o, almeno, non le contraddicano
palesemente. Si tratta, evidentemente, di valutazioni soggettive, che
inducono gli ebrei italiani a differenziarsi nelle specifiche opzioni.
Il problema che sorge, qualsiasi scelta si sia fatta, è fino a che
punto sia possibile esercitate l’arte del compromesso e
dell’accettazione del “male minore”, senza tradire i cosiddetti “valori
irrinunciabili”. Perché, com’è noto, in qualsiasi schieramento politico
un ebreo italiano sarà costretto a fare i conti con delle realtà non
gradevoli: a destra la presenza di neofascisti non pentiti, e il
periodico riaffiorare di umori antisemiti “vecchio stile”; a sinistra,
la diffusa antipatia, o peggio, verso lo Stato d’Israele; al centro, il
generale appiattimento sulle posizioni del Vaticano. E rifiutare “in
toto” la politica, per preservare la ‘purezza’ di una presunta “etica
ebraica”, sarebbe, in ogni caso, sbagliato.
Ma c’è anche un terzo livello di confronto, che è quello, difficile e
doloroso, della difesa, del contrasto contro l’altrui malevolenza. In
che modo, attraverso quali mezzi è lecito - anzi, doveroso -, sul piano
etico, difendere l’ebraismo stesso dal mondo esterno, nel momento in
cui questo mondo appare ostile, minaccioso, nemico? Questo problema,
com’è noto, si è posto sempre, nei secoli, nell’ebraismo della
diaspora, nei ghetti e negli shtetl, in tutte le epoche delle
persecuzioni e delle discriminazioni. Oggi, per fortuna, questi tempi
paiono, in gran parte, superati, ma alcuni fenomeni – come, per
esempio, l’impressionante dilagare dei siti razzisti e antisemiti –
continuano a rappresentare un preoccupante segnale d’allarme, che
appare ampiamente sottovalutato dalle pubbliche autorità. E, com’è
noto, nubi oscure paiono addensarsi sui cieli della risorta patria
ebraica. È possibile, dopo la Shoah, credere di nuovo in un rapporto
tra etica e politica che sia condiviso tra ebrei e gentili? Esiste,
alla base del dialogo con il mondo, una lingua comune, un comune
orizzonte di senso e di princìpi? O si tratta, come nella biblica
torre, di un dialogo tra sordi, di un mero sovrapporsi di lingue
diverse? Della mera illusione, come ebbe pessimisticamente a notare
Gerschom Scholem, di un “amore impossibile, e a senso unico”?
È questa, a mio avviso, la domanda principale posta dal nostro tempo.
Francesco
Lucrezi, storico
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notizieflash |
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rassegna
stampa |
Militia: per il magistrato inquirente
preparavano ordigni contro Pacifici
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Per fare propaganda
dell'associazione Militia, "esaltando i principi, fatti e metodi del
fascismo", usavano la rivista bimestrale denominata 'Insurrezione',
nonché con volantini, scritte, striscioni, manifesti e attraverso l'uso
della palestra Primo Carnera. Ad affermarlo il gip Simonetta
D'Alessandro nel provvedimento di custodia cautelare nei confronti di
Maurizio Boccacci, Stefano Schiavulli, Giuseppe Pieristè, Massimiliano
De Simone e Daniele Gambetti.
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Fiamma Nirenstein firma oggi un
articolo che descrive, con molta attenzione, quanto sta succedendo in
tutti i paesi che vanno dalla Tunisia fino alla Turchia di Gul ed
Erdogan; nessuno, a parte Fiamma, ricorda che, mentre a Vienna Gul
rifiuta sia la foto di gruppo che la partecipazione alla cena
conclusiva dei rappresentanti di tanti paesi riuniti per discutere
delle recenti decisioni economico-poltiche dell’Europa, [...]
Emanuel
Segre Amar
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è il giornale dell'ebraismo
italiano |
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 |
Dafdaf
è il giornale ebraico per bambini |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
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