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27dicembre 2011 - 1 Tevet 5772
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Roberto Della Rocca
Roberto
Della Rocca,
rabbino

Chanukkah, diversamente da altre ricorrenze che cadono quando la luna cresce (Rosh Hashanah, Kippùr, Shavuòt) o quando la luna è piena (Pesach, Sukkòt, Purìm), abbraccia differenti fasi dell’astro minore. Chanukkah inizia il 25, alla fine del mese di Kislew, con una luna calante, contiene un novilunio  con il suo Rosh Chodesh Tevèt, e termina al secondo giorno del nuovo mese con una luna protesa a crescere
Se la forza e lo splendore del sole cessano con il tramonto, la luna viceversa, pur se più piccola del sole, pur se meno luminosa, pur se invisibile ai nostro occhi abbagliati dalla luce solare, con  la sua rinascita che si ricompie oggi dopo la sua apparente scomparsa, ci rammenta che i vari e diversi tentativi di blackout della nostra cultura, da parte dei Greci di ieri e di oggi, non sono riusciti a spegnere otto fiammelle accese di fronte al buio e all’oscurità della coscienza.

Dario
 Calimani,
 anglista


Dario Calimani
Un amico di lunga data mi chiede, da Israele, perché l'ebraismo italiano  veda le cose israeliane in modo così monolitico, sempre sulla difensiva. La cosa non dà di Israele una visione oggettiva e non lo aiuta a riflettere su se stesso, anzi, lo lascia nel suo isolamento. Io gli  rispondo chiedendogli perché gli israeliani che la pensano 'diversamente' non ci aiutino a chiarirci le idee esponendo sulla nostra stampa la loro prospettiva, facendoci uscire dal nostro isolamento e dal nostro blocco emotivo. Israele, più che un riflesso della realtà esteriore, sta diventando sempre più, per noi, il prodotto di una realtà solipsistica, che esiste solo nella nostra mente.

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davar
Ciclismo - Ran, in sella per spiccare il volo
Ran Margaliot“È un sogno che diventa realtà, una gioia immensa che ripaga di molti sacrifici e che dedico a tutta Israele”. Ran Margaliot, 23 anni, ha appena firmato il primo contratto professionistico della sua giovane carriera con Saxo Bank, super team danese al servizio di Alberto Contador. Si tratta di un passaggio storico per il ciclismo israeliano; mai nessuno aveva pedalato a queste altezze.
Intervistiamo Ran al termine del ritiro autunnale organizzato da Saxo Bank in Galilea per gettare le basi di un 2012 ricco di trofei e soddisfazioni. Parla un italiano eccellente. Le sue motivazioni sono fortissime.

Ran, innanzitutto complimenti. Toglici una curiosità. Com’è che, in un paese di aspiranti calciatori e giocatori di pallacanestro, sei diventato ciclista?
È successo quasi per caso. Avevo 12 anni, ero grassoccio e volevo assolutamente perdere peso. La bicicletta era forse la soluzione più immediata. Pian piano c’ho preso gusto e la necessità è diventata una passione. Sembra uno scherzo, eppure è andata così.
Ai tempi della leva militare obbligatoria ti sei continuamente diviso tra caserma e allenamenti. Pensi di avere perso delle possibilità rispetto ai tuoi colleghi di altri paesi?
Non è stato facile, ma farne un dramma sarebbe eccessivo visto che ho goduto di non poche agevolazioni: dormire a casa, compiti non particolarmente gravosi, flessibilità negli orari. Per tre mesi l’anno mi è stata inoltre offerta l’opportunità di correre all’estero. Ho visto posti e facce nuove, ho respirato l’aria del mondo. Sarei un ingrato a lamentarmi.
Affacciarsi al professionismo indossando la divisa della Saxo Bank significa entrare nel mondo dei “grandi” dalla porta principale. Ti senti pronto per questa sfida?
Sì, sono pronto. L’occasione che mi si presenta è unica, cercherò di non tradire la fiducia di compagni e dirigenti.
Che corridore sei? Quali corse prediligi?
Partiamo col dire che non ho propriamente un fisico mostruoso. Sono piccoletto (60 kg distribuiti su 171 centimetri di altezza) e quindi più adatto alle tappe di montagne che agli sprint veloci. Il mio peso è però in continua evoluzione, capirò meglio strada facendo. 
Qual è il principale obiettivo che ti sei posto in carriera?
Voglio essere il primo israeliano a correre il Tour de France. Ad alcuni può sembrare una pretesa eccessiva ma è un sogno che ho da quando adolescente guardavo in televisione il gruppo sfrecciare sugli Champs-Elysees. Un giorno so che ce la farò. 
E in Italia invece quando ti vedremo?
Molto presto. Ho appena ricevuto da Bjarne Riis, il nostro direttore sportivo, la scaletta degli impegni per i primi sei mesi del 2012. Farò il mio esordio ad una grande classica: la corsa delle Strade Bianche. Su è giù per i sentieri del senese, scalando colline che hanno visto crescere alcuni mostri sacri di questa disciplina.
Il tuo italiano tra l’altro è quasi impeccabile.
Grazie, ma posso migliorare ancora. Adesso, per alcuni mesi l’anno, sarò di stanza a Lucca e dovrò farlo senz’altro se vorrò sopravvivere alle “c” aspirate dei toscani.
A Lucca ritroverai Liv Nibner, l’amico e connazionale con cui hai condiviso buona parte del percorso dalle giovanili al professionismo. Liv adesso corre per il team Amore e Vita. Tra voi sarà feeling o competizione?
È inevitabile che a legarci indissolubilmente siano esperienze e passioni comuni. Però siamo entrambi atleti, l’agonismo fa parte della nostra vita. Quindi, in corsa sarà senz’altro bagarre. Non può che far bene, a noi e alla crescita di tutto il movimento in Israele.
Il divario con l’Europa è ancora così significativo?
Sì, è un deficit soprattutto mentale. Pochi vedono nel ciclismo una professione. Magari un hobby, un piacevole passatempo, ma certo non un mestiere. E poi c’è la leva, ovviamente, che ti frena nel momento di massimo slancio. Spero che io e Liv saremo in grado di dare la giusta visibilità a questo sport meraviglioso.   
Magari una mano potrebbe arrivare dagli sponsor. Ha suscitato ad esempio molta curiosità la decisione presa dalla Saxo Bank di organizzare il ritiro autunnale in Galilea. Che ne pensi?
Sì, forse qualcosa sta cambiando. Superfluo dire che sono stati giorni indimenticabili. Allenamenti tra gruppi di folla entusiasta, incontri straordinari come quello col presidente Peres, iniziative nel sociale per aiutare giovani arabi ed ebrei. Ciliegina sulla torta una pedalata nelle strade della Città Vecchia di Gerusalemme. Cose mai viste da queste parti, segnali che forse c’è finalmente spazio per maggiore professionalità e partecipazione. Lo stesso Contador ha raccontato di essere stato impressionato da Israele. Era davvero colpito, ve lo posso assicurare.
Inevitabile a questo punto una domanda sul tuo futuro capitano. Com’è Contador nel quotidiano? Quali segreti speri di carpire pedalando al suo fianco?
Un fenomeno in tutti i sensi, formidabile sui pedali e allo stesso tempo umile nel privato. Ma parlare esclusivamente di Alberto sarebbe fare un torto agli altri compagni di squadra. Questo è un gruppo eccezionale e io non posso che essere orgoglioso di farne parte.

Adam Smulevich (Pagine Ebraiche, gennaio 2012)

Qui Firenze - Le luci della nostra Unità
Firenze Gnora LunaChanukkah all'insegna del sorriso per la Comunità ebraica di Firenze che, al termine della messa in scena della commedia La Gnora Luna di Bené Kedem al Teatro Rifredi (regia di Beatrice Visibelli e Nicola Zavaglia con la Compagnia Teatri d'Imbarco e brani musicali eseguiti dal vivo a cura di Enrico Fink), ha celebrato la ricorrenza nel foyer del teatro accendendo i lumi della Chanukkiah e offrendo al folto pubblico accorso le amatissime sufgnaniot. L'evento era inserito nel programma fiorentino dei festeggiamenti per il Centocinquantenario dell'Unità d’Italia e dell’emancipazione degli ebrei. Ad introdurre lo spettacolo gli interventi del professor Francesco Margiotta Broglio, tra i padri delle Intese che regolano i rapporti tra Stato Italiano e comunità ebraiche, e dell'antropologo Ugo Caffaz.
La Gnora Luna (un sorta di Acqua cheta versione ebraica) è una commedia “ghettaiola” in dialetto giudaico-fiorentino, ambientata nella Firenze della metà dell’Ottocento, che mette in scena la storia vivace e leggera di due giovani sposi alle prese con truffe e quotidiani contrasti. Il testo è in realtà frutto di un lavoro a più mani compiuto negli anni ‘30 da un gruppo di studiosi di rango della comunità ebraica fiorentina, sul filo di memorie non sopite, di personaggi e caratteri vernacolari, in un linguaggio che mischia vecchi termini fiorentini e “fiorentinizza” parole ebraiche: c’è lo “jodio” (il giudeo), la ragazza “impachadita” (da pachad, paura in ebraico), e si sente il “dabberare” (parlare) del venditore di fragranti ”schiccheri” (coccoli). Uno spettacolo garbato e ironico che disegna con umorismo tipie figure, in un bozzetto teatrale che rende omaggio alla pittura dei Macchiaioli e alle musiche della tradizione ebraica.

pilpul
Ciao Wicky
Conobbi Wicky Hassan alcuni anni fa. Si entrava nella sua splendida casa romana e si provava una certa fibrillazione. Quadri meravigliosi, panorami mozzafiato oltre i vetri, ma lui non c’era. Arrivava dopo un po’, preso da mille cose, ed era il massimo dell’informalità; ti invitava a sintetizzare, a non parlarti addosso. Era il leitmotiv di quelle riunioni: non perdiamo tempo, stiamo sugli argomenti concreti.
La sua genialità andava sempre di corsa. Detestava ciò che gli appariva fumoso. L’associazione Hans Jonas nacque praticamente nel suo soggiorno, ma poi ci lasciò intendere che i nostri obiettivi erano troppo vaghi per il suo temperamento. E proprio pochi giorni fa, ignorando la malattia, gli avevo scritto per andarlo a trovare e informarlo dei nostri passi in avanti.
Era generosissimo, come sanno bene i leader comunitari. Ma era anche straordinariamente determinato e pugnace. Quando si parla di identità multiple – Wicky avrebbe forse giudicato questa formula eccessivamente retorica – a me viene in mente lui. Era orgoglioso di ebreo, gay, tripolino, padre, di essere un imprenditore di successo, di essere di destra. Tutti questi ingredienti facevano parte di lui, e quando entravano in conflitto tra loro era la sua creatività proverbiale a osare mediazioni imprevedibili.
Wicky era un insider eterodosso, e per questo l’ammiravo. Criticò coraggiosamente atteggiamenti omofobi all’interno della comunità ebraica, ma lo fece da ebreo iscritto alla comunità che voleva avere figli ebrei iscritti alla comunità; scrisse un vero e proprio j’accuse a «Libero» in cui, come lettore e come elettore del centrodestra, condannava la trivialità delle posizioni antigay espresse da quella testata e dal suo pubblico.
In questo atteggiamento c’è, secondo me, un grande insegnamento. Una vocazione minoritaria anche in presenza di un grande successo, e una concezione del progresso come conquista quotidiana, passo dopo passo, battaglia su battaglia, diritto per diritto. Ciao Wicky, ci mancherai.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas 


Gli artisti e le epoche
Sono ormai immersa da tutta la vita nella storia dell'arte italiana così come nella storia dell'arte ebraica e l'esperienza mi ha insegnato che è necessario sempre storicizzare i fenomeni e considerarli in un quadro specifico e comparativo. Mi fermo solo su un punto toccato da Daniele Liberanome, sebbene da profana avrei da dire molto anche sugli altri. Immagino che le chanukkiot a cui si riferisce siano quelle in bronzo situabili stilisticamente tra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo, molte delle quali attribuite erroneamente alla famiglia de Levis. Premesso che alcune di quelle presenti nei musei e nelle collezioni sono repliche, per non usare la parola 'falsi', è necessario aggiungere poche osservazioni. Esistevano in quegli anni repertori di modelli, per la maggior parte stampati in Germania e in Francia, da cui tutti gli artefici indistintamente attingevano temi figurativi e decorativi, sia che li utilizzassero per chanukkiot, dove, in ambito ebraico, era permessa una maggiore libertà espressiva, sia in campo profano, dove elementi analoghi erano utilizzati per decorazioni di mobili, di portoni, di fontane ecc. Ugualmente facevano le ricamatrici, questa volta ebree, le quali non si distinguevano dalle colleghe per i caratteri stilistici adottati, avendo di fronte i numerosi libri di modelli pubblicati sul finire del Rinascimento. Poiché gli artisti erano in quelle epoche solamente cristiani, componevano gli oggetti in base al gusto del momento e ai limiti imposti dal committente. Inoltre gli stessi oggetti potevano essere replicati all'infinito, come si può dedurre dall'affievolirsi dei particolari e dalla minore definizione delle superfici dovuto alla consunzione degli stampi, fenomeno che si ripeteva in altri paesi (vedi Olanda), anche perché i repertori erano spesso i medesimi.
Diversa è la situazione nell'Ottocento e nel  Novecento, quando artisti ebrei, autori materiali degli arredi, li interpretavano in base ad una propria interna sensibilità e con una maggiore consapevolezza. Bernard Berenson espresse questi concetti molto più efficacemente di quanto io possa fare.

Dora Liscia Bemporad


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notizie flash   rassegna stampa

  Leggi la rassegna

Qui Moncalvo - Un nuovo accordo per la manutenzione del cimitero ebraico
Il Comune di Moncalvo e la Comunità ebraica di Casale Monferrato firmeranno a giorni un nuovo accordo. Il documento prevede l'impegno dell'amministrazione comunale a compiere l'ordinaria manutenzione del cimitero israelitico. Il Comune taglierà l'erba ogni 4 mesi, manterrà pulite le tombe, ristrutturerà la casa del custode e curerà le siepi che delimitano il giardino all'italiana. 

Qui Milano - I Consiglieri d'opposizione
sulle dimissioni del vicepresidente Foà
Sette Consiglieri della Comunità ebraica di Milano che non si riconoscono nell'attuale maggioranza di governo hanno emesso una nota, pubblicata dalla newsletter comunitaria, riguardo alle dimissioni annunciate negli scorsi giorni dal vicepresidente della Comunità Alberto Foà (...)
continua >> 
 

Solo due notizie che riguardano Israele oggi in rassegna stampa. Una è la storia di una bimba di otto anni di Beit Shemesh, che ha fatto scandalo raccontando in televisione di aver paura a fare i trecento metri da casa sua a scuola, perché viene insultata e disturbata da haredim che giudicano “immodesto” il suo abbigliamento(...)

Ugo Volli













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