se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai  click qui

29 dicembre 2011 - 3 Tevet 5772
linea
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
alef/tav
linea
elia richetti Elia
Richetti,
presidente dell'Assemblea rabbinica italiana
 
È scritto nella Torà che al momento della discesa in Egitto Ha-Qadòsh Barùkh Hu, apparso in sogno a Ya'aqòv, gli dice "Non temere di scendere in Egitto .... Io scenderò con te in Egitto, ed Io te ne farò certamente risalire". Il problema è che non è scritto da nessuna parte che Ya'aqòv avesse paura! I commentatori affermano che il suo timore, che non poteva esprimere perché non sapeva dargli un nome, era che i suoi discendenti restassero affascinati dalle bellezze dell'Egitto e vi si assimilassero. La risposta di Ha-Qadòsh Barùkh Hu è stata che se si continua ad avere come punto di riferimento la vicinanza con D., si ha la forza di risalire e di non perdersi dietro gli allettamenti del mondo circostante.

Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme


Sergio Della Pergola
Anche quest'anno si svolge in Inghilterra (nel campus dell'Università di Warwick requisito in occasione delle vacanze natalizie) il Limmud, il grande incontro della cultura ebraica a cui partecipano almeno duemilacinquecento persone di tutte le età e di tutti i paesi (compresa un'isolata provenienza dall'Italia). Limmud si articola in oltre ottocento conferenze, tavole rotonde, eventi musicali e di danza, cinema, gruppetti di studio talmudico, scambi di ricette, e quant'altro possa contenere la parola "ebraico". È un segno di vitalità per l'ebraismo europeo che di questi tempi deve affrontare molti e non semplici problemi, ma che è certo ancora in grado di esprimere ricchi e diversi contenuti originali. Quello che più conta è l'opportunità offerta alle persone più differenti per orientamenti e interessi ebraici di incontrarsi e di confrontarsi apertamente e senza tensioni su tutta la piattaforma possibile dei valori e delle esperienze dell'ebraismo nel passato, presente e futuro. Limmud dimostra che la cultura e l'identità ebraica sono ben vive nella società e nella comunità contemporanea se e quando esistono la capacità di mobilitazione e la disponibilità ad ascoltare.

torna su ˄
davar
Studiare e lavorare all’estero. I protagonisti raccontano
Un periodo di studi all’estero, per darsi una preparazione adeguata alle sfide del mondo contemporaneo e confrontarsi con gli stimoli che vengono dal vivere in una cultura e in una società diverse dalla nostra, un argomento importante cui il numero di Pagine Ebraiche di gennaio, attualmente in distribuzione, dedica un ampio dossier realizzato da Daniela Gross e Daniel Reichel. Un viaggio che attraverso il racconto dell’esperienza di chi ha vissuto in prima persona, in qualità di docente o di studente, uno o più anni di studio all’estero aiuta a capire un’esperienza complessa e talvolta difficile che segna però sempre una pietra miliare nel proprio percorso di vita.  La scelta di puntare su un’università straniera (se non per conseguire la laurea per seguire un corso o un ciclo di approfondimento) è sempre stata una tradizione piuttosto diffusa nel mondo ebraico italiano, i cui figli spesso parlano fin dall’infanzia più di una lingua. E il desiderio di fare i conti con le radici identitarie, di realizzare un’idealità sionista e di vivere una vita pienamente ebraica ha di frequente indirizzato i ragazzi verso Israele o, in Europa e negli Stati Uniti, verso realtà capaci di coniugare un buon livello accademico all’ebraismo. Oggi, alla luce della crisi economica che percorre l’Occidente, un progetto di studi di caratura internazionale appare uno strumento quanto mai prezioso per costruire il proprio futuro. “Da qui – spiega Claudia De Benedetti, vicepresidente dell’Unione delle Comunità ebraiche Italiane - la decisione dell’UCEI di dare vita a un portale, on line da metà gennaio, che proponga tutte le possibili informazioni e i contatti delle università israeliane così da facilitare i ragazzi che intendono fare questo passo”. In parallelo, lo sviluppo di ulteriori attività strategiche per rendere percorribili, anche dal punto di vista burocratico, gli studi in Israele. Senza perciò trascurare i contatti e le collaborazioni tra gli atenei italiani e quelli israeliani.


Il mio sogno Usa

Puoi combattere per i tuoi sogni. Puoi fare pressione, puoi pregare, puoi dare il massimo. Ma puoi solo immaginare cosa significhi vederli avverarsi, dopo tanti anni di lotte, così, davanti ai tuoi occhi. È in questo modo che mi sono sentito nell’istante in cui ho messo piede fuori dal Logan Airport di Boston, Massachusetts; avevo programmato quel momento per giorni, settimane, mesi. Me l’ero figurato in tutti i modi, ma – mentre spingevo il mio carrello con le valigie e respiravo l’aria fresca dopo un lungo volo – riuscì comunque a sorprendermi.
Vengo da Torino, dove per anni mi sono ostinato a mettere colori su una tela che non era in grado di assorbirli, così ad un certo punto mi sono arreso e ho deciso di spiccare il volo. Ed eccomi a un passo da una nuova vita, Boston, negli Stati Uniti – il sogno che condivido con innumerevoli altri coetanei italiani. Io e il mio carrello.
Pieno di eccitazione, impaziente di andare avanti e non guardarmi più indietro, ma allo stesso tempo esitante, delicato; meglio non bere tutto insieme, meglio sorseggiare. Inutile dire che mi è stato impossibile: una volta prese le mie enormi valigie e lasciato lì il carrello – che per qualche minuto mi aveva tenuto stretto al limbo che rappresentano gli aeroporti – mi sono tuffato in un turbinio tutto nuovo di colori, voci, risate. Un turbinio di vita.
Ad aspettarmi, in questa grande avventura, c’era la Maimonides School, una delle più prestigiose istituzioni scolastiche classificate Modern Orthodox nel Massachusetts, fondata nel 1937 dal rav dott. Soloveitchik, z.l. Qui le lezioni di chol (studi secolari) e kodesh (studi religiosi) si susseguono sparse nell’orario settimanale, non c’è una vera e propria distinzione: sono solo diverse facce dello stesso stile di vita. Inoltre, ragazze e ragazzi frequentano i corsi insieme e non esiste nessun tipo di studio o materia ai quali le prime non siano ammesse.
Si legge Shakespeare, si approfondisce la storia americana ma anche quella ebraica; si studiano matematica e fisica, ci s’immerge nelle discussioni talmudiche e nei commenti al Tanakh; si seguono corsi sui profeti, sulle tradizioni e i significati che impregnano le tefilloth, e soprattutto si impara l’ebraico moderno.
La tipica mentalità americana, così frenetica e competitiva, si amalgama con quella ebraica, più pacifica e propensa ad avere come obiettivo l’imparare e non il vincere, per un risultato eccezionalmente variegato. Gli studenti italiani, che danno ormai da cinque anni un tocco internazionale alla scuola, sono trattati come beniamini con cui scoprire una nuova cultura e allo stesso tempo dare sfoggio della propria: la Maimonides ha finora ospitato soprattutto studenti da Roma, ma anche da Milano e Torino. Quest’anno, inoltre, sono almeno cinque i giovani iscritti a Comunità ebraiche italiane che stanno trascorrendo un anno, o solo qualche mese, in licei americani: tra questi, oltre la Maimonides di Boston, ci sono la S.A.R. di Riverdale (New York), celebre per essere una scuola “senza muri” e la Northwest Yeshiva High School di Seattle. Io vivo a Newton, a venti minuti di macchina dalla scuola. Qui la vita sociale è attivissima e ruota intorno alla comunità ebraica Shaarei Tefillà, che si mostra accogliente e dinamica in tutti i suoi aspetti – a partire dall’architettura della sinagoga, per non parlare delle numerose attività che si svolgono durante la settimana. Tra nascite, bar mitzvah e matrimoni, quasi ogni Shabbat la tefillah della mattina viene trasformata in una grande festa. Dietro l’angolo, si trova l’ufficio dell’NCSY, la storica organizzazione dell’Orthodox Union dedicata ai giovani. Attraversata la strada, c’è Beth El, l’altro tempio più frequentato, che offre il Teen Minyan, la funzione del sabato gestita interamente dai ragazzi. E questo è solo un assaggio: il piatto forte arriva con Brookline e la sua Harvard Street, l’area ebraica con librerie, gelaterie, ristoranti, centri sociali e macellerie. Mi sono trovato nel giro di poche settimane a far parte di un mondo completamente diverso. Un mondo in cui l’ebraismo non è la religione che selezioniamo sul nostro profilo di Facebook, bensì uno stile di vita in costante movimento.
Entri nei negozi e condividi la tua storia, pronto ad ascoltare quella degli altri: c’è chi viene dalla Russia, chi dal Messico, chi da Israele alla ricerca di una realtà più “occidentale”. Tutti conservano con gelosia il loro passato, ma allo stesso tempo sarebbero pronti a tirare fuori le unghie per difendere questo nuovo mondo che, in parte, si sono costruiti pure loro con le loro mani, rafforzate dalla potenza della loro stessa volontà.
Poi, inevitabile, lo scontro con una società completamente diversa, alla quale sai già in partenza di dover cedere. Io, abituato alla mentalità italiana, la filosofia del “c’è tempo, c’è tempo”, sono rimasto piuttosto stupito dagli studenti americani, che a sedici anni danno gli esami SAT – i quali disegnano l’intera carriera universitaria e professionale di una vita; a diciassette si iscrivono ai college che vorrebbero frequentare; a diciotto si diplomano e partono per un anno in Israele, durante il quale alcuni studiano in Yeshivah, altri svolgono servizio civile, altri ancora si iscrivono a corsi universitari; e infine, a diciannove, si lasciano alle spalle la casa di mamma e papà e la teenage- hood che ha segnato gli anni del liceo alla volta dell’università. Io certo non mi sono lasciato intimidire. Nel giro di poche settimane sono entrato nella redazione del giornale d’istituto Spectrum, sono diventato parte dei collaboratori del dietro le quinte nello spettacolo di fine anno, ma soprattutto ho dato vita al nuovo programma di JewBox, la web radio dei giovani ebrei milanesi. Il mio spazio è intitolato Boston Tea Party ed è una sorta di diario radiofonico condito dalla musica pop tipicamente yankee. Le cicatrici restano, i dubbi pure, le domande sul futuro: restare o non restare? Eppure, sarò sincero, non c’è il tempo per crearsi troppi problemi. Il mio carrello è probabilmente ancora lì, nell’aeroporto, ma sono fiero di poter dire che l’ho lasciato a nuove mani, nuove storie. Nella mia nuova vita non c'è spazio per l'esitazione. Ora che sono il vero protagonista non lascerei il posto a nessun altro; il palco è mio e lo gestisco a modo mio – lanciandomi.

Simone Somekh, Pagine Ebraiche, gennaio 2011

David Cassuto,  il nostro nonno, e Gnora Luna
La commediola La Gnora Luna, andata in scena recetemente a Firenze e di cui si riferiva negli scorsi giorni su l'Unione informa,  è stata scritta dai figli di Moshe David Cassuto (Bene` Kedem). Con l'aiuto del loro padre, l'insigne Maestro Umberto Moshe David Cassuto. Questa notizia è sicurissima perche ci fu raccontata dal "Maestro" stesso nostro nonno a noi nipoti quando eravamo piccoli.
Cassuto era un notissimo storico dell'ebraismo Italiano e in piu un dotatissimo filologo sia della lingua italiana che della lingua ebraica e ancor piu` del dialetto Bagitto usato dagli ebrei toscani.
Nostro nonno probabilmente temeva che la memoria della realtà del Ghetto vissuta e sofferta da generazioni di ebrei fiorentini per secoli dovesse scomparire.
Proprio per questo il nonno Umberto incitò I figli: Milka, Nathan, Lea e Hulda a scrivere o meglio ricreare questa commediola (che già esisteva nella memoria popolare fiorentina come testo antisemita) mirata a risvegliare l'interesse degli ebrei fiorentini alla loro storia al loro passato e al loro gergo che rischiava di sparire.

Susanna e David Cassuto

torna su ˄
pilpul
L'appetito c'è
La stampa riferisce di ricorrenti episodi israeliani di integralismo religioso nei confronti di abbigliamenti femminili ritenuti poco decenti, o di abitudini considerate assimilate. Ci si meraviglia che una testata politicamente schierata a sinistra assimili tali comportamenti intolleranti a quelli dei talebani, che per fare un esempio in Afganistan aprirono il fuoco sulle statue di Buddha e le distrussero in quanto estranee alla fede islamica. È vero che esiste un pregiudizio anti-ebraico di natura anti-israeliana, ma per quanto il fanatismo sia estraneo al pensiero e allo spirito ebraico, è difficile esser certi che in Israele non esista una società religiosa capace di intolleranza. Alcuni decenni fa, a Gerusalemme erano quasi una tradizione le sassaiole contro le ambulanze che passavano di Shabbat, e bisognerà ammetterlo senza far finta che i hassidim siano tutti violinisti sui tetti. Posto che ebraismo e islamismo più che divisi tra loro sono tra loro remoti, oggi ci sono fatti espliciti che rendono assimilabili certi comportamenti di due remote società, dato che fra gli uomini l'intolleranza è una tragica parentela. Nell'Occidente permeato di anallfabetismo di ritorno, le religioni non sanno approfittare dell'assenza di una visione laica e intellettuale di come stare al mondo - al contrario le religioni sono spesso motori di divisione tra emisfero ed emisfero, popolo e popolo, quartiere e quartiere, caseggiato e caseggiato - Persona e Persona. Pare che a unire il mondo sia rimasta la paura e la certezza che Dio sia solo il proprio dio, e il dio degli altri un penoso errore. Se le religioni smarriranno la domanda universale che le ha generate e le rigenera a ogni generazione, il fatto di vedere l'umanità come progenie, famiglia di famiglie, segno della moltepèlicità divina e di un progetto misterioso che ci interroga - se questo svanirà, rimarrà il cannibalismo. Buon appetito.

Il Tizio della Sera

linee
ucei
linee
torna su ˄
notizieflash   rassegna stampa
Israele - Memorial day
per il genocidio armeno 

  Leggi la rassegna

Seguendo la linea francese, il parlamento israeliano, sta avanzando una proposta di legge per l'istituzione di una giornata in memoria del genocidio degli armeni da parte dell'Impero Ottomano, durante la Prima Guerra Mondiale. Il dibattito è stato promosso da due deputati dell'opposizione. Il Parlamento di Tel Aviv aveva già bocciato una proposta simile nel 2007, quando i rapporti di amicizia con la Turchia erano molto stretti.

 
torna su ˄
linee
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it  Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI - Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.