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16 gennaio 2012 - 21 Tevet 5772 | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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Anna Maria Caredio (1927-2012) |
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E'
mancata ieri nella sua casa di Sovicille (Siena), spegnendosi nel
sonno, Anna Maria Caredio. La sua storia è esemplare per la forza,
l'umanità, la passione per la giustizia, l'attaccamento ai valori
ebraici. Anna Maria discendeva da una famiglia di origini marrane, che
aveva conservato gelosamente e discretamente l'orgoglio e il segreto
delle sue origini. Dopo una parentesi migratoria in Sud America, la
famiglia era tornata in Italia e si era fermata in Toscana, dove Anna
Maria era nata (a Bagni di Lucca nel 1927). L'esordio letterario è con
un libro di poesie (Amo Israele), nel 1969. In quegli anni Anna Maria,
che vive a Siena, conclude il percorso di ghyur. Il suo impegno sociale
si manifesta presto con un libro-denuncia che lascerà un segno, Una
storia ingiusta, nella collana Il pane e le rose di Savelli, 1978; il
sottotitolo eloquente era "una testimonianza sulla emarginazione
proletaria e sottoproletaria in Italia". Di questa collana diventò la
responsabile, riuscendo tra l'altro a pubblicare un incredibile
documento, il diario anonimo e autentico di un brigatista rosso che
raccontava la sua vita clandestina; per l'epoca una novità eccezionale.
Nella stessa collana, nel 1982, un altro suo libro, La schiuma di Dio,
con sottotitolo "viaggio nel mondo religioso tra cercatori dello dello
spirito ed eros virgineo". Era un reportage su un incontro
interconfessionale (che all'epoca erano rari e significativi), di cui
descriveva con realismo i tormenti e le complessità psicologiche dei
partecipanti; un documento che ancora oggi desta qualche imbarazzo. Era
un segno del suo interesse per i fenomeni religiosi e la ricerca di
equilibrio e di onestà, senza retorica. Nel 2004 pubblicò Il ponte
delle catene, una grande biografia della sua famiglia, che è anche un
monumento ai luoghi della sua infanzia, un libro che ha meritatamente
vinto un premio letterario. Gli ultimi anni sono stati difficili per
Anna Maria, dopo la scomparsa del marito, di cui usava con orgoglio il
cognome Benayà. Lascia due figli, nipoti e pronipoti. In chi l'ha
conosciuta, un grande ricordo. La piccola (per numero) comunità di
Siena, ma anche tutto l'ebraismo italiano, perde con lei una tanto
discreta quanto grande protagonista. r.d.s |
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Qui Torino - Spunti di
crescita, spunti di lavoro |
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Sobrietà. Modestia.
Queste caratteristiche dovrebbe assumere l’identità ebraica italiana
secondo gli auspici dello storico Alberto Cavaglion e di David
Meghnagi, professore di psicologia all’Università di Roma Tre. E il
rabbino? Chi è il rabbino? A provare a rispondere è stato il rabbino
capo di Torino Eliyahu Birnbaum. Con una formula “matematica” di sei
elementi, più uno. Questi e molti altri gli spunti di riflessione del dialogo che si è dipanato tra i relatori della serata torinese dedicata a “Identità ebraiche, edot e rabbini: la storia di un melting pot all’italiana”, introdotta dal direttore del Dipartimento educazione e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane rav Roberto Della Rocca. Nella biblioteca Emanuele Artom, tanta gente della Comunità ha preso posto accanto all’ampia rappresentanza di leader ebraici italiani, insegnanti e professionisti delle realtà comunitarie, giovani, giunti nel capoluogo piemontese per il quarto appuntamento del corso organizzato dal Centro di formazione UCEI. L’identità ebraica si deve caratterizzare per la scelta di valori, secondo rav Roberto della Rocca. “Ricordiamoci di Mosè - ha invitato il direttore del Dec, dopo il benvenuto del presidente della Comunità di Torino Beppe Segre - che per tutta la vita mantenne il nome che gli aveva posto la figlia del faraone, per riconoscenza nei suoi confronti. Un valore che gli egiziani, che ridussero in schiavitù il popolo ebraico perché scordarono in fretta quanto Giuseppe aveva fatto per loro, non conoscevano. Per uscire dall’Egitto, dobbiamo uscire dall’Egitto nella nostra testa, decidendo a quali principi vogliamo improntare la nostra esistenza”. Attorno alla storia degli ebrei in Italia e al rapporto tra Unità ed emancipazione si è sviluppata la riflessione del professor Cavaglion. “Possiamo notare che quanto più l’ambiente esterno ha prodotto una rappresentazione diffamatoria del mondo ebraico, tanto più gli ebrei hanno sviluppato un’attitudine all’apologia di se stessi. Ma questo produce il rischio di distorcere l’autopercezione della propria realtà”. David Meghnagi ha poi messo in evidenza il nesso tra il processo di emancipazione delle comunità nei vari paesi e l’identità degli ebrei di quei luoghi. Invitando accoratamente le comunità italiane a non chiudere le porte, ad improntare all’apertura il proprio modo di essere. Con grande interesse è stata accolta la “formula del rabbino” proposta da rav Birnbaum. Il rabbino come ponte fra ebraismo ed ebrei, che per unire le due sponde deve tenere bene a mente chi sono le persone che ha davanti a sé. Filosofo, con il compito di tradurre per loro il significato dell’ebraismo nel linguaggio più appropriato. Sociologo che comprende le loro esigenze. Un demografo che tiene d’occhio le tendenze della propria comunità da questa particolare prospettiva. Codificatore di Halakhah, che cerca di trovare la migliore soluzione del ruolo di guida ortodossa di comunità nominalmente ortodosse, ma i cui esponenti vivono in massima parte lontani dall’osservanza religiosa. Il rabbino che deve essere poi profeta che guarda al futuro della propria gente, avendo davanti agli occhi la sua missione. E infine, ha tenuto a sottolineare il rabbino capo di Torino, “anche se può sembrare ovvio, il rabbino non è un prete. Nel senso che non è un sacerdote. È un leader spirituale. Ciò che è un compito ancora più difficile”. Con una fotografia delle organizzazioni ebraiche in Europa e nel mondo e dei loro rapporti con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane si sono riaperti in mattinata i lavori del corso di formazione. A discuterne con i partecipanti il vicepresidente UCEI Claudia De Benedetti. Partecipanti che poi si sono divisi nuovamente nei percorsi ad hoc, per leader, professionisti, insegnanti, giovani. “Panim significa faccia. Una parola che in ebraico vuole sempre la forma plurale. Intendendo forse che in ogni cosa, in ogni persona, coesistono necessariamente diverse facce, diverse sfaccettature”, aveva spiegato rav Della Rocca aprendo la sua riflessione sull’identità ebraica. E sicuramente tante sono state le facce dell’ebraismo italiano che si sono incontrate e confrontate nella due giorni torinese. Rossella Tercatin |
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Qui Roma - La scelta tra
passione e apatia |
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Si è aperta ieri la terza
edizione del master organizzato dall'Associazione culturale Hans Jonas
con lo scopo di formare nuovi giovani leader per le comunità ebraiche.
Numeroso e attivo il gruppo di quest'anno, composto per la maggior
parte da romani, ma con la significativa partecipazione di ragazzi
delle comunità di Milano, Venezia e Torino. Nella mattinata e nella
prima parte del pomeriggio sono stati affrontati i temi della
comunicazione e della leadership in compagnia dello psicologo Andrea
Mazzeo, ospite ormai abituale dell'Associazione. Una novità ha invece
caratterizzato la seconda fase dei lavori: un confronto dialettico tra
un rabbino e un intellettuale laico sul binomio passione-apatia.
Protagonisti il rav Benedetto Carucci Viterbi e il sociologo Luigi
Manconi, che hanno dato vita a un dibattito vivace il cui meccanismo si
ispirava, come ha evidenziato il presidente di Hans Jonas Tobia Zevi,
alla rubrica aleftav che apre ogni giorno il notiziario quotidiano
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Francesca Matalon |
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