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  20 gennaio 2012 - 4 Tevet  5772
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Giuseppe Laras, presidente emerito dell'Assemblea rabbinica italiana


Quanto oggi accade in Israele è motivo di amarezza e preoccupazione, o dovrebbe esserlo. Alcune posizioni estreme assunte di recente da ambienti haredim ( nello specifico, mi riferisco, ma non solo, ai fatti di Beth Shemesh) sono lontane ed estranee da quella che noi consideriamo essere l'autentica anima etico-religiosa dell'ebraismo. E' vero che gli eccessi e le violenze compiute in quella circostanza (ignobili e oltraggiose, oltre che scioccamente autolesioniste, le casacche a righe riecheggianti Auschwitz!) sono state condannate da alcuni autorevoli rabbini israeliani; ma ciò, purtroppo, non è sufficiente a ricomporre l'insidiosa e drammatica distanza che da troppo tempo separa nella società israeliana i laici dai religiosi. Forse anche i Rabbinati della Diaspora avrebbero dovuto far maggiormente sentire la loro voce, sconfessando quei comportamenti. Ciò considerato, va detto che esiste, specularmente, anche se meno aggressivo e visibile, ma comunque sempre insidioso per le sorti del nostro popolo, un altro estremismo, quello fatto di derisione e poco rispetto verso la ritualità e le tradizioni religiose dell'ebraismo da parte degli ebrei cosiddetti laici. Spesso, va riconosciuto, si tratta, nella società israeliana, di atteggiamenti estremistici volti a reagire contro certe indebite pretese dei cosiddetti Haredim. Una tale ostentata critica alla tradizione alla fin fine non fa che incrementare le incomprensioni e scavare ulteriormente la frattura fra le due componenti. Occorre che si riscopra urgentemente il significato profondo e più autentico dell'amore e del rispetto verso i propri fratelli (Ahavat Achim), meta che, se raggiunta o anche solo maggiormente avvicinata, aiuterà a far crescere il sentimento di solidarietà e di corresponsabilità indispensabile per poter affrontare con minore affanno e pessimismo il tempo presente che, sotto questo profilo, soprattutto in Israele, è ancora troppo carico di ombre.

Laura Quercioli Mincer, slavista


laura mincer
Sono piombati i vagoni / che qui trasportano i nomi, / e dove poi questi andranno / e se mai scenderanno, / non chiedete, chissà, non lo so. // Il nome Natan picchia l’impiantito, / Il nome Isacco canta impazzito, / il nome Sara implora acqua per il nome / Aronne, che intanto di sete muore. […] Una nuvola d’uomini passava, / due gocce, una lacrima restava, /due gocce, una lacrima, arsura. / I binari vanno nella selva oscura. / Tu-tum, fa la ruota. Non c’è uscita. / Tu-tum. Corre il treno delle grida. Tu-tum. Destata nella notte sento / tu-tum, i colpi sordi del silenzio.
(Wisława Szymborsa, premio Nobel per la letteratura nel 1996, frammento della poesia Ancòra, traduzione di Pietro Marchesani)

davar
La lussuria, la modestia e il Talmud
La rilevanza religiosa della modestia può essere disgiunta dal desiderio maschile di controllo sul corpo delle donne? Considerando i recenti avvenimenti, in Israele, sembrerebbe proprio di no.
Il mese scorso Naama Margolese, una innocente bambina di otto anni che vive a Beit Shemesh, vestita modestamente, ha descritto come alcuni estremisti religiosi – tutti uomini – l’abbiano umiliata e le abbiano sputato addosso perché ritenevano che non fosse vestita in maniera abbastanza modesta mentre camminava verso la scuola religiosa che frequenta. E capita sempre di più che gli autobus pubblici, in Israele, applichino una segregazione di genere imposta dai passeggeri ultraortodossi sia all’interno che in vicinanza delle zone da loro frequentate. E guai alle ragazze e alle donne che rifiutano di spostarsi nel retro dell’autobus.
Tutto ciò è rientra in una battaglia più ampia in corso in Israele fra gli ultraortodossi e il resto della società israeliana, che dibatte del ruolo delle donne nella società, del diritto stesso di essere una presenza visibile e di occupare un posto nella sfera pubblica.
Cosa c'è dietro a questi eventi destabilizzanti?
Ci viene raccontato che sono l’effetto della concezione religiosa della modestia, secondo la quale le donne devono essere coperte e tenute nascoste in modo che gli uomini non generino pensieri impuri. Da un principio religioso destinato a regolare gli impulsi sessuali maschili si arriverebbe poi ai maschi che hanno il controllo sul corpo delle donne.
Non è un problema esclusivamente ebraico, ma il Talmud, il fondamento della legge ebraica, ci propone una risposta forse sorprendente: la responsabilità di controllare i pensieri licenziosi degli uomini sulle donne ricade in maniera chiara sugli uomini.
Ancora più esplicitamente il Talmud dice: “E' un problema tuo, signore, non suo (di lei)”.
I maschi ultraortodossi in Israele che vorrebbero esercitare un controllo sulle donne sostengono che le stanno onorando. E dichiarano: “Non trattiamo le donne come oggetti sessuali come fate voi nella società occidentale. Le nostre donne sono più che corpi, e questo è il motivo per cui i loro corpi devono essere completamente coperti”.
In effetti, però, le loro azioni rendono le donne oggetti, ipersessualizzati. Pensateci: dicendo che tutte le donne devono nascondere il proprio corpo dicono che ogni donna è un oggetto che può scatenare gli impulsi sessuali di un uomo. Quindi, ogni donna che attraversa il loro campo visivo è vista a seconda di quanta parte del suo corpo è coperta. Non è vista come una persona nella sua interezza, solo come una potenziale tentazione a peccare.
Ovviamente quando si giudica un essere umano di sesso femminile solo attraverso l’immaginazione sessualizzata di un uomo è anche possibile trasformare una ragazzina modesta di otto anni in una seduttrice e una prostituta.
La realtà è che stiamo parlando di una mentalità che colpevolizza le vittime. Sposta la responsabilità di gestire gli impulsi sessuali maschili dall’uomo stesso a ogni donna che egli potrebbe incontrare. È una mentalità collegata con l’affermazione “Se l’è cercata”.
Così la responsabilità ricade sulle donne. Per proteggere gli uomini dai loro impulsi sessuali, le donne devono eliminare la femminilità dal loro aspetto pubblico, eliminando anche la più piccola prova evidente della propria identità sessuale.
E tutto questo viene compiuto in nome della Torah e della legge ebraica.
Si tratta in realtà di una totale perversione. Il Talmud, il fondamento della legge ebraica, riconosce che un uomo può essere sessualmente eccitato dalle donne ed effettivamente si preoccupa degli impulsi e delle attività sessuali al di fuori del matrimonio. Ma non dice alle donne che ricade su di loro la responsabilità dei desideri sessuali degli uomini. Si tratta piuttosto di una responsabilità che sia il Talmud che i Codici successivi di Leggi ebraiche attribuiscono agli uomini.
Il Talmud dice che ad un uomo è vietato guardare con intenzioni erotiche una donna, che sia bella o brutta, sposata o non sposata. Alcuni rabbini talmudici posteriori estendono questo divieto anche “al dito più piccolo” e “ai suoi vestiti colorati – anche se sono stesi ad asciugare”.
Per trasformare queste in affermazioni della responsabilità delle donne bisognerebbe chiedere alle donne ebree che si coprano anche le mani e che non facciano asciugare i vestiti in luoghi pubblici. Nessuno ha ancora affermato una cosa del genere. Non ancora, per lo meno.
Il Talmud in effetti dice al maschio religioso: Se hai un problema, gestiscilo. È lo sguardo maschile - il modo in cui gli uomini guardano le donne - che deve essere privato di implicazioni sessuali, non le donne stesse in pubblico. La certezza che gli uomini non vedano le donne come oggetto di gratificazione sessuale è esclusivamente sotto il controllo degli uomini.
La tradizione ebraica insegna agli uomini e alle donne, alla stessa maniera, che dovrebbero essere vestiti con modestia. Ma la modestia non viene definita, né tratta principalmente di quanta parte del corpo è coperta. Si tratta di comportamenti. Si tratta di riconoscere la necessità di non essere al centro dell’attenzione. Si tratta di impersonare il richiamo alla modestia del profeta Micah: impara a “Camminare umilmente con il tuo D.”
Naama, a otto anni, avrebbe alcune cose sulla modestia da insegnare, ai suoi aggressori.

Rav Dov Linzer

rav Dov Linzer è il rettore della Yeshivat Chovevei Torah Rabbinical School, Riverdale-Bronx (Usa). Nell'immagine il rav con il rav Shear Yashuv Cohen e il rav Avi Weiss.

(The New York Times - 20 gennaio 2012, versione italiana di Ada Treves)

Haddarat Nashim
Una delle espressioni più diffuse nei media israeliani riguardo alle recenti polemiche sorte sulla questione femminile è Haddaràt nashìm. Come è noto, l’ebraico si scrive comunemente senza vocali e altri segni fonetici. La prima volta che ho visto questa espressione è stata l’ultimo venerdì dell’anno civile, appena arrivato in Israele. L’ho letta sul giornale Haaretz, che in prima pagina dedicava ampio spazio alla faccenda (come tutti i quotidiani, ma gli altri in modo più strillato). Erroneamente, però, lì per lì ho letto hadràt nashìm, che vorrebbe dire “rispetto per le donne”, affine a hadràt kòdesh, rispetto per le cose sacre, che poco dopo avrei cantato nel Mizmor le-David durante la Kabbalat Shabbat. Ma dal contesto dell’articolo del giornale era chiaro che l’espressione non indicava affatto l’onore e il rispetto per le donne, bensì tutto l’opposto. Qualcosa quindi non tornava. Poi mi hanno spiegato che leggevo male: non si trattava di hadrat ma di haddarat. Il primo termine deriva dalla radice hadàr, che significa appunto onorare, abbellire. Il secondo deriva invece da nadàr, fare un voto, sottoporre a vincolo. Haddarat nashim significherebbe quindi esclusione e allontanamento delle donne. Hadrat e haddarat si scrivono con le stesse consonanti, la differenza sta solo nella punteggiatura e nella pronuncia. La lettera nun di nadar, cadendo durante la declinazione della parola, causa il raddoppiamento della dalet, indicato foneticamente dalla presenza del daghesh, il punto dentro la lettera. Per passare da haddarat nashim a hadrat nashim, dall’esclusione delle donne al loro rispetto, è dunque facilissimo: basta solo l’aggiunta (netta) di un puntino. Si toglie un punto da haddarat (il daghesh nella dalet) e si aggiungono due punti sotto la lettera he di hadrat (nella vocale shevà-patach al posto del kamatz). Sarebbe auspicabile che fosse altrettanto facile, nella realtà, passare dall’allontanamento all’onore delle donne. È pur vero che le offese alle donne cui abbiamo assistito sono un fenomeno minoritario anche all’interno del mondo charedì: ma la protesta, soprattutto dal mondo religioso, contro la degenerazione del concetto di tzeniùt, modestia (femminile ma non solo), è sicuramente doverosa. In una rubrica di parole e del loro corretto uso, non è fuori luogo parlare anche del loro mal uso. Nelle contro-manifestazioni, si sono visti cartelli e sentite esclamazioni in cui i charedim (non “gli haredim”) si rivolgevano con la parola “nazim” ai poliziotti, i quali stavano solo cercando di svolgere il loro dovere di mantenere l’ordine pubblico. Giustamente noi ci lamentiamo ogni qualvolta si equipara il comportamento di Israele nei confronti dei palestinesi a quanto fecero i nazisti contro gli ebrei. Ugualmente dovremmo protestare quando alcuni ebrei, spesso discendenti o parenti di coloro che furono perseguitati e sterminati nella Shoah (che bene dovrebbero conoscere cosa fecero i nazisti), si permettono di dare del nazista a un altro ebreo.

rav Gianfranco Di Segni Collegio Rabbinico Italiano
(Pagine Ebraiche, febbraio 2012) 

Qui Roma - Resistenza, il nostro contributo
Un libro che ha il merito di mettere ordine a cose che noi ebrei già sapevamo, un’opera di valore che è arrivata ai lettori nel momento giusto, quello dei festeggiamenti per i 150 anni di Unità nazionale cui molti ebrei italiani portarono un contributo decisivo”. Victor Magiar, assessore alla cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, presenta con queste parole Ebrei nella Resistenza in Piemonte 1943-1945, volume in cui Giorgio Secchi e Gloria Arbib, riprendendo il lavoro di ricerca svolto da quest’ultima per la sua tesi di laurea, ricostruiscono la grande storia, talvolta sottovalutata dalla comunità degli storici, della partecipazione ebraica alla lotta partigiana tra le valli e tra i monti del Nord Italia. Un fenomeno importante nei numeri e intenso nell’eroica adesione dei suoi protagonisti che è stato al centro dell’incontro che ha aperto ieri pomeriggio la nuova stagione di appuntamenti culturali al Centro Bibliografico UCEI. Hanno preso parte al dibattito, in compagnia degli autori e introdotti dall’assessore Magiar, anche il vicepresidente UCEI Anselmo Calò, lo storico Guri Schwarz, l’ex presidente della Comunità ebraica di Torino Tullio Levi e Francesco Momberti, regista di Emanuele Artom il ragazzo di via Sacchi, pellicola in cui si rende omaggio a una tra le figure di combattente più illuminanti in questo senso e la cui proiezione ha concluso la serata. Tra i temi toccati in precedenza nella tavola rotonda, oltre a un approfondimento del coinvolgimento ebraico nella liberazione del paese dal giogo nazifascista, anche la dolorosa necessità di fare i conti con una pagina meno entusiasmante della propria storia e cioè l’adesione entusiastica che non pochi ebrei italiani diedero in un primo momento al fascismo.


Qui Torino - Il fumetto secondo Spiegelman
La tragica vicenda di Auschwitz raccontata sotto forma di fumetto. Ieri sera al Circolo dei Lettori di Torino si è tenuta una conferenza con ospite Art Spiegelman, autore del celeberrimo Maus. Racconto di un sopravvissuto. In quest’opera che ha commosso milioni di lettori in tutto il mondo Spiegelman, attraverso la forma espressiva del fumetto, racconta la storia di suo padre Vladek, ebreo sopravvissuto ad Auschwitz, descrivendo carnefici e vittime in un modo inconsueto e di rottura: i deportati diventano infatti topi e i nazisti sono impersonificati da gatti. Un lavoro, com’è noto, che segna l’inizio di un nuovo rapporto tra graphic novel e memoria; in particolare la memoria della Shoah.
Attraverso una breve carrellata sulla storia del fumetto, da mezzo di comunicazione di massa alla fine degli anni Quaranta a vera e propria forma d’arte, l'autore svela alcune peculiarità di questo genere: si sofferma in particolare sull’importanza della struttura visiva delle strisce, che richiama quella di una serie di finestre a nastro in cui ogni finestra rappresenta un attimo sulla struttura del tempo. “Il fumetto – spiega – è una coreografia del tempo nello spazio. E il passato sovrasta il mio futuro perciò si ritrova nel fumetto, dove passato, presente e futuro possono condividere la stessa pagina”. Si parla poi di perché, a detta del padre di Maus, sia più adatta a descrivere l’anima del fumetto la dicitura “Co-mix” rispetto al termine “Comic”. Spiegelman dice di preferire il primo termine perché racchiude in sé il significato di “mescolare”: il fumetto, quindi, inteso come un cocktail tra parole e immagini.
Nel corso dell'incontro l'autore, seguito da un pubblico colto e attento, ha poi modo di introdurre Meta Maus, il grande archivio di testi e immagini che ripercorre la genesi della sua opera più amata nel venticinquesimo anniversario della prima pubblicazione. Un corpus documentale vastissimo e articolato, uscito da alcune settimane in lingua inglese, che Pagine Ebraiche aveva presentato in anteprima ai suoi lettori nel numero di novembre.

Alice Fubini


pilpul
Alberi, Giusti e un partigiano
Anna SegreI capitoli iniziali dell’Esodo ci parlano di persecuzione, schiavitù e progetti di genocidio, ma contemporaneamente ci propongono esempi positivi, di non adesione a quei progetti, di compassione e solidarietà, da parte delle levatrici e della figlia del Faraone. Nello stesso periodo dell’anno, intorno al 10 di Tevet e al 27 gennaio, le testimonianze e le riflessioni sulla Shoah si accompagnano al ricordo e quando possibile a pubblici riconoscimenti per tutti coloro che hanno nascosto, protetto e salvato ebrei durante le persecuzioni. In tale ambito è interessante il progetto presentato in questi giorni che prevede di piantare a Torino, 36 alberi (come i Giusti che secondo la tradizione ebraica sono presenti in ciascuna generazione) che andranno a formare il Giardino dei Giusti, in memoria dei quasi seicento piemontesi che a rischio della propria vita hanno salvato centinaia di ebrei durante le persecuzioni nazifasciste. L’iniziativa (promossa dal Gruppo di Studi Ebraici, da Comunitattiva e dal KKL, con il patrocinio della Comunità Ebraica di Torino), non è la prima di questo genere, ma presenta due caratteristiche interessanti: prima di tutto il coinvolgimento nel finanziamento del maggior numero possibile di persone, attraverso il sito internet retedeldono.it. Inoltre è particolarmente significativo il luogo in cui i 36 alberi saranno piantati: il Parco Colonnetti, nei pressi della via dedicata al partigiano Emanuele Artom, personaggio di fondamentale importanza nella storia dell’ebraismo torinese e non solo. Situata nella periferia sud della città, non lontano dalla Fiat Mirafiori, via Artom è stata considerata per molto tempo quasi un sinonimo di zona malfamata, al punto da causare talvolta qualche buffo equivoco quando raccontavo di aver studiato o insegnato alla scuola media ebraica torinese, intitolata anch’essa a Emanuele Artom. Negli ultimi anni, però, la zona ha acquistato una nuova identità, grazie a numerosi interventi di riqualificazione, nel cui ambito si inserisce l’iniziativa del Giardino dei Giusti, che sorgerà nelle vicinanze della casa della cultura, punto di formazione e aggregazione per il quartiere. Una zona della città che rinasce a nuova vita è certo il luogo più appropriato per ricordare tutti quelli che con il loro comportamento hanno acceso una luce di speranza nel buio delle persecuzioni. E non c’è dubbio che gli alberi siano particolarmente adatti a rappresentare la rinascita, la speranza, l’apertura al futuro. Del resto - come è stato ricordato - il Salmo 92 afferma che “il giusto fiorirà come la palma”.

Anna Segre, insegnante

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Israele - Benjamin Natanyahu
in visita ufficiale a Cipro
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Prima visita ufficiale del premier Benjamin Netanyahu sull'Isola di Cipro il 16 Febbraio. Netanyahu spera di aumentare la cooperazione con Cipro relativamente all'estrazione sottomarina di gas naturale e alla questione della "sicurezza" nel Mediterraneo orientale, vacillante a causa delle tensioni con la Turchia e l'instabilità determinata dalla vicina Siria. Nei giorni scorsi, i media ciprioti hanno parlato di un accordo di cooperazione riguardante la protezione dei giacimenti di gas e l'istallazione di basi aeree sull'Isola. Il governo di Cipro non ha ancora confermato e probabilmente la proposta verrà esaminata durante la visita di Netanyahu.


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Si approssima il Giorno della Memoria, oramai il dodicesimo, e come di prassi si intensificano le iniziative da parte degli enti locali, delle Regioni così come delle autorità pubbliche ma anche delle scuole e dell’ampio mondo della pubblicistica. Si vedano, al riguardo, gli articoli di Ida Palisi su il Mattino, di Francesca Nunberg per il Messaggero ma anche il Secolo XIX.

Claudio Vercelli







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