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26
gennaio 2012 - 2 Shevat
5772 |
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Elia
Richetti,
presidente dell'Assemblea rabbinica italiana
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Insieme
alla prescrizione di ricordare ogni anno l'uscita dall'Egitto, la Torà
ci impone che ciò sia "come segno sulla tua mano e per memoria fra i
tuoi occhi, affinché l'insegnamento del Signore sia nella tua bocca".
Il riferimento alla mano e agli occhi costituisce la mitzwà dei
Tefillìn; ma la bocca che c'entra? La risposta può essere che oltre
all'azione (il braccio) e all'idea (la testa), deve entrare in gioco un
altro elemento: la parola. Si tratta di testimoniare anche con le
parole l'effetto della libertà dai condizionamenti dell'Egitto. Lo si
fa evitando la maldicenza, e affermando il punto di vista della
tradizione ebraica su questioni etiche e pratiche. Come ogni giorno
mettiamo i Tefillìn, ogni giorno dobbiamo essere pronti a manifestare e
glorificare l'Ebraismo attraverso l'uso che facciamo della bocca.
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Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme
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Venerdi 20 gennaio Sergio
Romano spiegava a un lettore perché è interesse di Israele "essere
considerato uno Stato come gli altri". L'Ambasciatore, nel riconoscere
la propria "scarsa neutralità" nei confronti dell'"attacco israeliano
contro il Libano", notava che "nella politica internazionale esistono
interessi comuni e interdipendenze che espongono ogni stato al giudizio
degli altri paesi", che Israele ha "una certa tendenza a giustificare
la propria politica con l'eccezionalità della sua storia", sconta le
"imprudenze e le imprevidenze della sua politica estera", e sfrutta
"l'amicizia e la complicità degli Stati Uniti". È evidente, nella
logica di questa analisi, che a parte Israele, tutti gli altri Stati
del mondo sono "Stati come gli altri". Israele è il solo che abbia mai
compiuto un "attacco" contro un altro Stato. Solo Israele è esposto "al
giudizio degli altri paesi". Solo la politica estera di Israele pecca
di "imprudenze e imprevidenze". Solo Israele gode della "complicità"
degli Stati Uniti, una parola, "complicità", tipicamente, associata
alla parola "reato". Solo Israele tende a giustificarsi "con
l'eccezionalità della propria storia", forse perché "uno Stato come gli
altri", per definizione, non può avere una storia eccezionale. Ma più
che alla storia, basta guardare al presente: nessuno "Stato come gli
altri" è minacciato di essere raso al suolo, come Israele in passato
dall'Iraq, e oggi dall'Iran. Nessuno "Stato come gli altri", solo
Israele, è oggetto dell'articolo 7 dello statuto di Hamas che dice:
"vieni Abdullah e uccidi l'ebreo che si nasconde dietro ogni albero e
ogni pietra". La verità: finché ci sono analisti come Sergio Romano,
mai Israele potrà essere considerato "uno Stato come gli altri".
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Qui Roma - Un percorso per denunciare i ghetti
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La
fase che precedette lo sterminio nei lager: la separazione totale dal
resto della popolazione, la negazione dei diritti elementari, il
disagio di un'esistenza spesa in spazi ristretti tra enormi angosce e
sofferenze. Si inaugura questo pomeriggio al complesso del Vittoriano
una straordinaria mostra inedita dedicata ai ghetti nazisti. Ne sono
curatori il direttore scientifico della Fondazione Museo della Shoah
Marcello Pezzetti, la storica Sara Berger e il giornalista Bruno Vespa
(la direzione e il coordinamento generale sono di Alessandro Nicosia).
La mostra, visitabile fino al 4 marzo e ad ingresso gratuito, è
promossa e voluta da Roma Capitale sotto l’Alto Patronato del
presidente della Repubblica con il patrocinio del Comitato di
coordinamento per le celebrazioni in ricordo della Shoah e vede la
collaborazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della
Fondazione Museo della Shoah di Roma e dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane. L’organizzazione generale e la realizzazione sono di
Comunicare Organizzando. Un primo assaggio di questo lavoro di raccolta
documentale esteso e denso di significato si è avuto in tarda mattinata
con la presentazione in anteprima riservata alla stampa. Ad accogliere
i numerosi giornalisti accorsi, i curatori Pezzetti e Berger in
compagnia dello staff del nascituro Museo della Shoah (presente tra gli
altri il direttore della Fondazione Leone Paserman). Per tutti i
presenti l’occasione di compiere un approfondito tour all’interno delle
quattro sezioni che scandiscono la mostra e descrivono il tragico
percorso, dalla loro istituzione fino alla liquidazione, dei ghetti
nazisti in Polonia. Un capitolo poco conosciuto che, spiega Pezzetti,
merita di essere approfondito. “Non sono in molti a sapere che circa il
70 per cento delle vittime della Shoah passò dalla terribile esperienza
di un ghetto. È una drammatica pagina della Shoah – afferma rivolto al
nutrito gruppo di cronisti che lo circonda – dal punto di vista
concettuale il simbolo di tutte le forme di razzismo e segregazione,
sulla quale è fondamentale far luce”. Il materiale allestito, un vasto
campionario di manufatti, fotografie, documenti e filmati, proviene da
istituzioni pubbliche e private, musei e archivi internazionali tra i
più importanti al mondo. È tutto originale, sottolinea Pezzetti, e
conferisce quindi grande autorevolezza e prestigio alla mostra. Scene
di violenza e barbarie si susseguono una dopo l’altra. Immagini di
sevizie quotidiane, vessazioni e pogrom, la potenza della propaganda
nazista a partire dalla vergogna di Terezin. Ma c’è anche un altro,
insolito e documentatissimo, punto di osservazione. La mostra dà
infatti l’occasione di riflettere su come gli ebrei, pur trovandosi in
una situazione estrema, cercarono di condurre una vita normale,
organizzando mense collettive per i bisognosi, ospedali e scuole,
festeggiando matrimoni e mettendo al mondo bambini. Ci fu anche chi
provò a ribellarsi al giogo nazista smentendo così il clichè dell'ebreo
eterna vittima della storia. In chiusura l’omaggio è infatti per tutti
coloro che, imbracciando il fucile o dandosi al contrabbando di cibo,
persero la propria vita combattendo il nemico.
a.s.
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Qui Milano - La città
si raccoglie intorno al Memoriale
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Il rombo dei treni
non smette di risuonare. Le pareti tremano e il freddo punge. Sono in
tanti a notarlo tra il folto pubblico presente, mentre intirizziti si
stringono al collo il bavero della giacca. “Se noi oggi proviamo queste
sensazioni, chissà cosa devono aver provato loro…”. Non possono fare a
meno di notarlo anche gli oratori, che dal palco fanno il punto
sull’andamento dei lavori per il completamento del Memoriale della
Shoah di Milano, a due anni dalla posa della prima pietra. Un progetto
che sta che sta prendendo forma nella “pancia” della Stazione centrale,
al Binario 21, dove tra il 1943 e il 1944 partirono i treni con i
deportati diretti ai campi di sterminio, nell’indifferenza della città.
A presentare l’opera, ideata come una struttura viva, non semplicemente
museale, con una biblioteca, un laboratorio, spazi per mostre e un
auditorium, è stato il vicepresidente della Fondazione Memoriale, e
presidente della Comunità ebraica di Milano Roberto Jarach, che ha
ringraziato le autorità per l’impegno e per la presenza, facendo
appello anche al mondo dei grandi attori economici per reperire i fondi
necessari per il suo completamento. All’incontro introdotto da
Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera alla guida
della Fondazione Memoriale, sono intervenuti il sindaco Giuliano
Pisapia, il presidente della Provincia Guido Podestà, quello della
Regione Roberto Formigoni. Anche fra il pubblico tanti i politici
presenti, oltre ai giornalisti, agli esponenti del mondo della cultura,
semplici cittadini. A sottolineare come la città di Milano percepisca
l’importanza del progetto, come ha evidenziato il sindaco “È terribile
pensare a quello che accadde qui, ed è fondamentale che questo divenga
un luogo per tutti i cittadini, milanesi, italiani, stranieri: un
segnale per sempre”. E proprio perché il Memoriale deve essere per
tutti, Guido Podestà nel ribadire l’impegno della Provincia, ha
auspicato un migliore risultato nella raccolta di donazioni private.
“Che questo sia un luogo a perenne memoria dell’orrore senza fine,
specialmente per le nuove generazioni” la speranza formulata dal
presidente della Regione Formigoni.
L’idea di trasformare il Binario 21 in un luogo di Memoria è partito da
lontano. Per anni dimenticato, la storica della Fondazione Centro di
documentazione ebraica contemporanea Liliana Picciotto ha raccontato
come, nel 1995, si recò nei sotterranei della stazione insieme a un
funzionario delle Ferrovie dello Stato per cercare il luogo da cui
partivano i treni, descritto da tanti sopravvissuti. “Oggi il Cdec
mette a disposizione del Memoriale un’ulteriore risorsa, un portale web
dedicato ai nomi della Shoah italiana - ha aggiunto poi Picciotto -
Ogni giorno scorreranno sulla home page del sito cento nomi di
deportati dall’Italia. Ci vogliono due mesi e mezzo prima di esaurirli
tutti”.
Dopo la posa della targa sul binario, l’incontro è proseguito con una
lettura pubblica: a prendere per prima la parola Liliana Segre, partita
verso Auschwitz il 30 gennaio 1944, a soli 12 anni. Una lettura per far
ascoltare ai presenti la voce di chi l’orrore di quei giorni lo ha
vissuto e lo testimonia.
Rossella
Tercatin
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Qui Milano
- La Memoria dei Giusti in scena al Parenti
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Nel museo di Yad
Vashem si trova una stanza praticamente vuota, immersa nella penombra e
nel silenzio. L’unico suono che lo spezza è la voce che scandisce con
un ritmo lento e solenne una lunghissima serie di nomi. Un elenco
particolarmente triste, perché si tratta dei bambini morti durante la
Shoah. Prima di entrare, viene richiesto a ciascun visitatore di
memorizzare un nome, uno soltanto, in modo tale che il suo piccolo
proprietario possa continuare a vivere nella nostra memoria.
Questo è un po’ anche l’obiettivo dello spettacolo “Il Memorioso”, in
scena al Teatro Franco Parenti di Milano fino al 29 gennaio: rievocare
e ricordare i nomi dei Giusti, ossia di quelle persone che hanno corso
dei rischi per aiutare un altro essere umano. Si tratta di quella che
viene definita l’”élite dell’umanità”. Nello specifico, in occasione
dell’imminente Giorno della Memoria, si raccontano le storie di uomini
e donne non ebrei che hanno aiutato o cercato di aiutare alcuni ebrei a
salvarsi dalla Shoah. Sul palco soltanto una cartina geografica
dell’Europa, una lavagna, un tavolino e tante scatole piene di oggetti,
muti testimoni delle vicende narrate dall’interprete Gabriele Nissim e
tratte dai suoi stessi libri Il Tribunale del Bene e La Bontà
insensata. Perché accanto alla lunga, tristemente nota schiera di
coloro che
eseguivano gli ordini, ci fu l’oscura, silenziosa, operosa schiera di
coloro che osarono “giudicare personalmente” e agirono di conseguenza.
È proprio vero che nessuno ci pensa, nessuno li ricorda. Qualche volta
nemmeno gli stessi fortunati che da loro sono stati strappati a morte
certa. Viene raccontata ad esempio la storia di un ebreo che, messo al
riparo nel retrobottega di un orologiaio ed espatriato alla fine della
guerra, si dimenticò totalmente del suo benefattore fino a quando non
ne incontrò casualmente la figlia. E fu allora, quarant’anni dopo, che
si rivolse a Gariwo, la foresta dei Giusti, associazione onlus nata a
Milano nel 2001 su iniziativa di Gabriele Nissim, ebreo, e Pietro
Kuciukian, armeno, che produce “Il Memorioso”, e che nacque proprio per
ricordare le figure esemplari di resistenza morale ai regimi totalitari
nella storia del Novecento. Il progetto della Foresta dei Giusti
prevede la costruzione di grandi giardini formati da alberi piantati
simbolicamente a nome di ognuno di questi eroi. Eroi nascosti,
sconosciuti, la cui ricerca va avanti meticolosa e incessante, perché
sono numerosissimi e ogni storia merita di essere raccontata e
ricordata.
In questo ambito si colloca anche un’altra iniziativa promossa da
Gariwo. In corso questa mattina l’incontro con Yolande Mukagasana,
sopravvissuta al genocidio in Rwanda, e la sua salvatrice Jacqueline
Mukansonera. Le due donne, insieme a Milano per la prima volta,
dialogano con i giovani presenti in sala e raccontano la loro storia di
gratitudine e speranza.
Un modo un po’ diverso, insomma, di vivere il Giorno della Memoria. Un
cambiamento di prospettiva, che ruota intorno all’interpretazione del
concetto di memoria. Perché è vero che è necessario ricordare sempre
gli orrori e le vittime: la memoria serve a non permettere che gli
errori del passato, una volta caduti nell’oblio, si ripetano. Però è
giusto anche ricordare coloro che hanno cercato di opporsi, nel loro
piccolo, a questi tragici eventi. Uomini che non hanno rovesciato le
sorti della Storia, ma hanno illuminato piccole storie. Dandoci anche
la spinta per continuare a credere nella bontà dell’Uomo. Una
concezione anche un po’ foscoliana di memoria come garanzia di
immortalità, che si compie proprio in virtù del fatto che i
comportamenti coraggiosi e altruisti si sedimentano nel ricordo
collettivo e, se trovano un terreno propizio, possono arricchire il
patrimonio morale dell’umanità.
In fondo, ricordare non richiede un grande sforzo. Non serve che
impariamo a memoria elenchi lunghissimi o che studiamo volumi
ponderosi. Un nome e un cognome, due piccolissime parole, sono
sufficienti, se ognuno di noi decide di applicarsi in questo semplice
esercizio. Zalman Lipchin: si chiamava così il bambino il cui nome ho
memorizzato a Yad Vashem. A distanza di anni me lo ricordo ancora e lui
vive nei miei pensieri.
Francesca
Matalon
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Qui Venezia - Voci
dall'inferno
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“Le testimonianze
per la storia e la memoria: voci dalla Shoah”. Questo il titolo del
primo dei tre incontri organizzati per la Memoria dall’Università Ca’
Foscari di Venezia all’auditorium Santa Margherita. A introdurre i
relatori della giornata Erilde Terenzoni, soprintendente archivistico
per il Veneto insieme a Ugo Soragni, direttore regionale del ministero
per i Beni Culturali.
Nel primo intervento Amos Luzzatto, presidente della Comunità ebraica
di Venezia, ha voluto presentare un excursus storico riguardante la
diffusione delle leggi razziste, promulgate da Hitler nel 1933, e
giunte in Italia solo cinque anni dopo, nel 1938. Luzzatto ha posto
particolare attenzione sulla contraddizione in termini rappresentata
dal dogmatismo scientifico proposto dalla propaganda nazista e
fascista: “Una dottrina - dice - che affermava in maniera assoluta
l’esistenza di razze diverse, senza nessuna reale argomentazione,
imponendo questa realtà come dogma”.
Memoria e modernità messe a confronto, con le criticità che si possono
rilevare, come la lenta e inesorabile scomparsa delle testimonianze
dirette, ma anche un’occasione per formulare un’analisi approfondita
delle fonti documentali riguardanti la Shoah e dei nuovi strumenti
messi a disposizione dai diversi soggetti coinvolti nella loro
preservazione e divulgazione.
In primis l’archivio dello USC Shoah Foundation Institute. Fondato nel
1994 da Steven Spielberg per raccogliere e custodire le testimonianze
dei sopravvissuti e di altri testimoni della Shoah , l’ USC mantiene
una delle più grandi biblioteche video-digitali del mondo: quasi 52
mila video testimonianze in 32 lingue provenienti da 56 paesi. Tale
archivio contiene 434 interviste con sopravvissuti e altri testimoni in
lingue italiana raccolte nelle comunità di tutta Italia. Dal 2005, la
Direzione Generale degli Archivi ha avviato un progetto per autorizzare
l’uso del sistema di indicizzazione dell’Istituto e utilizzarlo come
modello per la classificazione di altri materiali audiovisivi italiani.
Ti racconto la storia: Voci dalla Shoah è il risultato, visitabile sul
sito dell’Archivio di Centrale di Stato, di questa partnership, uno
strumento che mette a disposizione degli utenti registrati la
collezione italiana dello Shoah Foundation Institute.
Micaela Procaccia, Soprintendente archivistico per il Piemonte e la
Valle d’Aosta, ha esplorato insieme al pubblico in sala i diversi usi
di questo portale della memoria: l’elemento più interessante è la
presenza di un Thesaurus, una collezione di termini e parole chiave
attraverso cui approfondire la ricerca e visualizzare le interviste che
le contengono e il minuto dell'intervista in cui l'argomento oggetto
della ricerca è trattato.
A seguire l’intervento di Doris Felsen Escojido, referente per l’Italia
dello USC Shoah Foundation Institute for Visual History and Education,
relativo all’archivio americano della fondazione e all'uso delle
testimonianze nella didattica.
In chiusura della mattinata, proprio in merito alla didattica sulla
Shoah, Michela Zanon, responsabile del Museo Ebraico di Venezia, ha
presentato le esperienze di laboratorio didattico mediante l’utilizzo
di archivio digitalizzato promosse nell’ambito delle attività museali.
Nel pomeriggio la seconda sessione della giornata, moderata da Giovanni
Vian del Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali Comparati, con
gli interventi di Eugenio Tonetti, Maria Volpato, Gadi Luzzatto
Voghera, Giuliano Pisani e Giorgio Busetto dedicati alle fonti
documentarie del Veneto, trattando, nello specifico, dei documenti
dell’Archivio di Stato di Padova e dell’archivio storico della Comunità
ebraica di Venezia.
Gli incontri organizzati da Ca’ Foscari sono proseguiti ieri con
“Ancora la Shoah? Sì perché non vogliamo, non possiamo dimenticarla” in
collaborazione con l’Alliance française di Venezia e il Centro
Veneziano di Studi Ebraici Internazionali e oggi con
“Auschwitz-Italia”, lectio magistralis di Robert Gordon, italianista e
storico culturale inglese, uno dei massimi specialisti di Primo Levi.
Michael
Calimani
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Qui Trieste - Guardare
al passato per costruire il futuro
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La
scelta è quella di guardare al passato per costruire il futuro. Con
quest’obiettivo la Comunità ebraica di Trieste ha scelto quest’anno, in
occasione del Giorno della Memoria, di aprire un momento di dialogo e
di scambio sul tema dell’identità chiamando in causa due personalità
d’eccezione: Anna Maria Habermann, autrice de Il labirinto di carta
(Proedi edizioni), che a soli 43 anni scoprì la sua appartenenza
ebraica e la storia drammatica vissuta dalla sua famiglia al tempo
della Shoah e Alexian Santino Spinelli, musicista compositore,
cantautore, insegnante, poeta, saggista, uno dei massimi interpreti
della cultura rom in Italia, che delineerà invece le caratteristiche
del Porrajmos, lo sterminio degli zingari d’Europa e le modalità della
sua memoria. “E’ una delle prime volte in Italia – spiega Mauro Tabor,
assessore alla Cultura della Comunità ebraica di Trieste – che una
Comunità ebraica italiana si confronta con l’esperienza di persecuzione
vissuta dal popolo rom con il desiderio di conoscere e di preservare
quella Memoria che finora si è prevalentemente trasmessa per via orale”.
“Attraverso
il racconto di Anna Maria Habermann – continua – avremo la possibilità
di comprendere cosa significa scoprire un aspetto diverso e inaspettato
della propria identità e fare i conti con quest’appartenenza, in un
percorso che al tempo delle persecuzioni nazifasciste accomunò tanti
ebrei europei che avevano scelto di integrarsi nella società
maggioritaria anche attraverso la cancellazione del loro ebraismo.
L’intervento di Santino Spinelli sarà invece l’occasione di
confrontarsi con un’identità che, seppure con motivazioni diverse,
ancor oggi è troppo spesso discriminata e oggetto di pregiudizio”.
La
manifestazione, organizzata con il patrocinio del Comune di Trieste, si
apre al teatro Miela con la proiezione di “Train de vie”, il film del
regista Radu Mihaileanu (1998, 103’), che ripercorre tra ironia e
momenti grotteschi la drammatica vicenda della deportazione nell’Est
Europa. Introduce la proiezione del film il presidente della Comunità
ebraica di Trieste Alessandro Salonichio.
A seguire l’incontro con
Anna Maria Habermann e Alexian Santino Spinelli. La signora Habermann
ripercorrerà la vicenda che la portò a scoprire che il padre era ebreo,
che era scampato per miracolo alle persecuzioni naziste, e che lei,
Anna, aveva un fratello, Tamas, assassinato nei lager nazisti. A Busto
Arsizio molto conoscevano quella storia ma avevano rispettato il
segreto di Habermann, medico come la figlia, che durante la guerra
aveva nascosto tanti perseguitati dalle leggi razziali.
Al termine
concerto dell’Original Klezmer Ensemble di Davide Casali e dell’Alexian
Group Musica Rom realizzato nell’ambito della rassegna Erev Laila in
collaborazione con Musica libera.
Le manifestazioni realizzate
dalla Comunità ebraica di Trieste per il Giorno della Memoria si
concludono martedì (31/1). In programma alle 21 al teatro Miela il
concerto di Die Goldene Pave. Sul palco Angelica Dettori (voce leader e
percussioni) da Firenze, Luviona Hasani (violino e voce) da Tirana,
Eriola Gripshi (viola e voce) da Durazzo, Cecilia Salmè (violoncello e
voce) da Torino e Valentina Verna (pianoforte e voce) da Torino che
propongono musica klezmer rigorosamente strumentale, canti yiddish,
musica ebraico-yemenita, canti sefarditi in ladino, musica nata in
Israele.
Il concerto ha un’impostazione semi-teatrale: cinque
ragazze si alternano nel presentare e contestualizzare il brano che
stanno per eseguire.
d.g.
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Qui Belluno - Quelle
note che scuotono l'anima
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Nella splendida
cornice delle Alpi venete è stata inaugurata ieri la mostra
documentaria promossa dall’Archivio di Stato di Belluno, “Giorno della
memoria 2012: Documenti, musica, testimonianze” che rimarrà aperta fino
alla fine di febbraio. L’Archivio di Stato è situato in uno dei più bei
palazzi del centro cittadino, un edifico che fu per secoli la sede
della Scuola dei Flagellanti di Santa Maria dei Battuti adiacente alla
chiesa omonima.
Davanti a una sala gremita di pubblico sono intervenuti il prefetto di
Belluno, Maria Laura Simonetti, il sindaco di Belluno, Antonio Prade, e
la curatrice della mostra Claudia Salmini, direttore dell’Archivio di
Stato, lasciando poi la parola all’ospite della giornata, il presidente
della Comunità ebraica di Venezia, Amos Luzzatto, che ha tenuto una
lezione sul significato del Giorno della Memoria e sul dovere di
attualizzare il ricordo confrontando le esperienze del passato con la
società odierna: “I provvedimenti che un tempo hanno colpito ebrei,
rom, omosessuali, disabili e malati mentali – ha affermato – potrebbero
in futuro tornare a colpire altri gruppi in difficoltà, come coloro che
oggi giungono sui barconi alla ricerca di condizioni migliori per
continuare a vivere. Le strade sono due, ben delineate: la prima è
quella dell’odio e dell’emarginazione, la seconda dell’accoglienza,
della comprensione accettando la contaminazione secondo un’ottica
ottimistica: come l’intreccio e il dialogo tra culture diverse”.
La mostra offre l’occasione per conoscere carte e atti d’archivio
relativi alle persecuzioni contro gli ebrei e i militari italiani, di
ogni orientamento politico, che furono deportati nei campi nazisti.
Dalle carte del Gabinetto di Prefettura, ad esempio, si attesta, nella
fredda quotidianità burocratica, il progressivo effetto delle leggi
razziste nella vita di chi risiedeva nel territorio bellunese:
prescrizioni, circolari, telegrammi, richieste ai funzionari pubblici
di eseguire accertamenti, elenchi di uomini, donne e bambini, documenti
dell’Archivio del Provveditorato agli Studi che testimoniano il
capillare controllo sugli insegnanti, sul personale delle scuole, sugli
studenti e le famiglie.
A questa mostra si affianca il contributo di un piccolo gruppo di
volontari, l’Associazione nazionale alpini - gruppo di Vallada
Agordina, che ha messo a disposizione dell’Archivio i risultati di una
ricerca tra le fotografie, le lettere, le testimonianze dei numerosi
soldati che hanno conosciuto la prigionia come internati militari. Tra
i documenti esposti nella mostra anche gli elenchi di coloro che la
prefettura di Belluno ha insignito in questi ultimi anni della Medaglia
d’onore ai deportati o internati nei campi nazisti.
Nella parte finale della giornata si è dedicato uno spazio all’arte con
la lettura di poesie sul tema della Shoah, scritte e interpretate da
Laura Luzzatto Voghera e con l’esecuzione di composizioni novecentesche
per flauto e pianoforte di due autori aventi in comune la matrice
ebraica, ma con percorsi esistenziali ed estetici molto diversi. Si
tratta del boemo Erwin Schulhoff e dello svizzero naturalizzato
statunitense Ernest Bloch eseguiti magistralmente da Federica Lotti al
flauto e Federico Lovato al pianoforte.
Nella mitologia greca le muse erano figlie di Mnemosine, divinità della
memoria. La musica, come il resto delle arti, è figlia del rimembrare,
si costituisce della stessa materia del tempo. Rende possibile la
scoperta del non detto, di ciò che è dimenticato, dell’invisibile. Le
composizioni di Schulhoff e Bloch risentono di un forte influsso
proveniente dalla tradizione ebraica, come d’altronde ne risentono le
opere di musica concentrazionale, che non rappresentano soltanto un
atto di resistenza e d’espressione personale, ma acquisiscono
i connotati di luoghi immateriali della memoria, tumulti di note che
scuotono l’animo e la coscienza di una società irrimediabilmente sopita.
m.c.
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Il valore delle parole
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“E Io porrò distinzione tra il
mio popolo e il tuo popolo. Domani avverrà questo prodigio."
(Esodo 8, 19). Ben Ish Chay (Yosef Chayym di Bagdad 1832-1909) nota che
la parola “Machar” (domani) è anche l’anagramma di “Rachem”
(amore-misericordia) e, io aggiungo, di “Cherem”
(scomunica-interdizione). Il valore numerico è di queste parole 248,
quanto le mitzwoth positive, quanto le parole che compongono lo Shemà,
quanto le membra che costituiscono l’individuo. L’invito che può
sortire da questi simboli è che la distinzione e il ”Machar-futuro”
(che è già domani) del popolo ebraico, sono determinati non solo
dall’adempimento delle mitzwoth ma anche dalla consapevolezza che esse
esprimono la nostra essenza. L’azione pratica deve essere riempita
dall’amore verso il proprio fratello perché senza questo amore (Rachem)
si diventa interdetti (Cherem).
rav
Adolfo Locci, rabbino capo di Padova
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Tendenze della Memoria
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E'
ragguardevole il numero di quelli che hanno salvato gli ebrei nel corso
della Seconda guerra mondiale. In Italia il numero dei salvatori
auto-certificati di ebrei ha raggiunto i 270 milioni. Ormai si pensa di
aprire una sede ufficiale a Collodi.
Il Tizio della Sera
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La Memoria nel ricordo dei giovani
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Sempre
più alte si levano le voci di coloro che denunciano le crescenti
difficoltà nel consegnare alle nuove generazioni l’esile filo della
memoria legata alle persecuzioni razziali e alla Shoah. Sarà pur vero
se la trasmissione viene tentata attraverso cerimonie ingessate,
discorsi retorici, incontri ripetitivi rivolti a giovani che aprono
sempre meno i libri di storia. L’operazione memoria riesce però
magnificamente quando si mette in pratica la semplice idea di Anna
Orvieto e Giordana Menasci, neo consigliere del Centro Ebraico Italiano
Il Pitigliani: affidare agli stessi giovani la trasmissione delle
memorie di famiglia. Così domenica, davanti ad una platea
affollatissima, un gruppo di adolescenti ha raccontato la storia degli
anziani di casa sotto la guida di Nando Tagliacozzo, che con mano
leggera ma senza nascondere una certa commozione ha legato insieme i
vari interventi, complice anche l’accompagnamento alla chitarra
di Emanuele Levi Mortera. Con Aliza Coen è emerso l’amore patrio del
prozio Giorgio Liuzzi, espulso dall’esercito, che si è accomiatato dai
suoi artiglieri con una lettera di grande intensità. Aliza
Fiorentino ha trasmesso invece i ricordi straordinari di suo nonno Gino
quando era studente dell’università clandestina. La lettura di una
pagina del “Diario di Anna Frank” da parte di Clivia Lachkar si è
saldata perfettamente con la storia letta da Giulia Isman tratta da
“Mio figlio mia ha sempre chiamata zia” di Laura Isman, con il racconto
del figlio bambino di Caia Finzi Isman affidato ad un prete nel
nascondiglio di Macugnaga, che non aveva mai dimenticato di
chiamare zia sua madre ogni volta che la incontrava, proprio come gli
era stato raccomandato. Ancora fughe e peripezie nel racconto di
Vittoria Bublil a ricordo della nonna Rosa Piperno, mentre Tamar Fiano
ha attinto dal quaderno del prozio Attilio Fatucci i ricordi di
catture, prigionia, deportazioni e l’eccidio delle Fosse Ardeatine.
Chiara Sed e Francesca Piazza o Sed hanno letto alcune poesie da
"Judenrampe" di Anna Segre e Gloria Pavoncello che sono riuscite a
mettere in versi le testimonianze di alcuni sopravvissuti ai campi di
sterminio. La cattura della piccola Ada Tagliacozzo, sorpresa in
casa della bisnonna Eleonora e dal prozio Arnaldo dove era andata a
dormire il 15 ottobre ’43, è stato la lettura che Sara Debenedictis ha
tratto dal libro “Anni spezzati” scritto da sua madre, dal quale ha
letto anche una pagina intensa basata sulla difficoltà di trasmettere
ai più giovani ricordi così dolorosi. Jacopo e Yuri Tagliacozzo hanno
rievocato la storia della loro indomita bisnonna Tosca, traendola dalle
pagine del suo diario in cui essa aveva descritto la cattura insieme al
marito, la deportazione ad Auschwitz, il rientro a Roma e infine il
ricongiungimento con i quattro figli che nel frattempo erano stati
portati nell’allora Palestina. Introdotto nel corso delle letture
l’intervento di Giulio Piperno che ha voluto ricordare il prozio Piero,
mentre la conclusione è stata affidata a Jonathan Limentani, che ha
letto una pagina intensa di “Gli anni rubati” della prozia Settimia
Spizzichino, che dopo il ritorno da Auschwitz ha dedicato il resto
della sua vita alla trasmissione della memoria della Shoah a scapito
della sua vita privata. Una bella scoperta per il pubblico accorso al
Pitigliani è stato Frédéric Lachkar, sensibile ebreo di origine
algerina che è direttore del Teatro Saint Louis dei
Francesi; accompagnato da chitarra e percussioni, è stato lui ad
introdurre le letture interpretando magnificamente “Gelem, Gelem”
individuato come inno ufficiale dei Rom, e “Comme toi” di Jean-Jacques
Goldman che trae spunto dalla Shoah.
Pupa Garribba
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Piero
Fassino a Gattegna e Segre:
"La Memoria, impegno quotidiano"
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Non solo momento per ricordare l'orrore della Shoah ma anche
riaffermazione di un impegno quotidiano e costante a contrastare ogni
rigurgito di xenofobia e razzismo. Questo per il sindaco di Torino
Piero Fassino il senso più autentico del Giorno della Memoria. La
riflessione del primo cittadino del capoluogo piemontese è al centro di
un messaggio congiunto inviato al presidente dell'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane Renzo Gattegna e al presidente della Comunità ebraica
di Torino Beppe Segre.
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