Dario
Calimani,
anglista
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Non so perché e non so come,
ma la contestazione da parte di un mio quasi omonimo al mio ultimo Alef/Tav sui grandi della
letteratura che sono stati deplorevolmente antisemiti, o razzisti o
filonazisti, mi turba un po'. Mi turba non solo perché mette in crisi
una certa antica consonanza 'intellettuale' fra le due parti in
controversia, ma soprattutto perché mette di fronte a una china che va
diritta verso l'intolleranza. Perché se la fruizione di un testo si
deve occupare anche di giudicare le qualità umane dell'uomo che l'ha
scritto la strada che si intraprende è irta di pericoli. Significa che
possiamo/dobbiamo escludere da qualsiasi canone culturale/letterario
Céline e Pound, Eliot e Heidegger, dichiarandoli umanamente 'non
graditi'; significa, portando il discorso alle sue estreme conseguenze,
produrre un indice dei libri proibiti, come in altri tempi, tristissimi
e da noi sempre stigmatizzati. Ci creerebbe sicuramente un po' di
disagio. E significa anche, facendo un inevitabile passo logico in più,
che dovremmo considerare la vita di ogni autore per vedere se nel suo
privato egli non si sia macchiato di crimini o di colpe, piccole o
grandi; colpe contro la società o contro la famiglia, squallide
ipocrisie, malsane ingratitudini, disumane sevizie dell'anima.
Significa che dovremmo sospendere il giudizio su più di uno scrittore,
grande nell'arte e molto piccolo nella vita. Joyce, per dirne uno, era
grande, grandissimo nell'arte, e forse assai piccolo nella vita. Forse
anche Svevo lo era. Forse anche Saba lo era. Non erano antisemiti
(Saba, forse un po'), ma il problema ideale rimane lo stesso, perché la
soglia dell'accettabilità è difficilmente tracciabile; ed è un problema
di giudizio, quindi, come sempre in questi casi, un problema che lascia
ampio spazio alla soggettività. Un pubblico di lettori, allora,
potrebbe non riconoscere, per motivi sempre diversi, l'arte di Wilde o
di Pasolini, di Thomas Mann o di Gunter Grass, o, perché no, il Marlowe
dell'Ebreo di Malta o lo Shakespeare di Shylock. E non si dovrà più
leggere Voltaire. E nessuno dovrà più ascoltare il quinto concerto per
pianoforte di Beethoven suonato da un opportunista come Edwin Fischer e
da una figura controversa come Wilhelm Furtwängler. E il mio infuriato
quasi omonimo non dovrà magari più ascoltare il suo amato ma sospetto
Liszt. È terribile doverlo accettare, per chi sta parlando di
antisemitismo dopo la shoah, ma è così. Il discorso non accetta limiti.
Si può discutere - ma è davvero questione di lana caprina - se sia
l'uomo o il contenuto delle sue opere a dover essere messo in
discussione, e se sia il contenuto soltanto o anche la possibile
genialità della loro forma. Il problema rimane ugualmente
inestricabile. Morale ed estetica non sempre si sposano dopo essersi
innamorate l'una dell'altra. E a decidere l'inclusione di un testo e di
un autore nel canone culturale (e i canoni sono infiniti) non è il
singolo individuo, con tutta la furia, anche motivata, della sua
ribellione morale ed emotiva, ma la "comunità dei lettori" - come la
chiama qualche studioso di estetica della ricezione - che decide di
leggere e di apprezzare un testo. Questo può turbarci, ma il nostro
turbamento non serve a cambiare il valore del giudizio estetico. Ciò
che preme a chi scrive è affermare il principio del divieto di censura,
il che non significa disconoscere la meschinità là dove la si trova.
Significa solo accettare che essa esiste malgrado il nostro giudizio
morale estremamente negativo. Ciò garantisce un dialogo aperto e la
possibilità del confronto intellettuale, che affronta il pesante
problema e non lo tacita con crociate indignate né lo nasconde, ma in
linea con lo spirito ebraico lascia almeno aperto il discorso. E a
ciascuno la sua libera opinione.
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L’appuntamento è per
domenica 2 settembre 2012. Appena tornati dalle vacanze estive, gli
abitanti di 28 paesi (quest’anno la novità è l’adesione della Turchia)
avranno come ogni autunno la possibilità di visitare i luoghi ebraici
delle proprie città, di assistere a conferenze, concerti, mostre, di
esplorare la cultura del Popolo del libro. Quest’anno partendo da uno
dei suoi tratti più apprezzati: il witz, la comicità, la capacità di
trovare una ragione per sorridere anche in situazioni difficili. In
altre parole, lo spirito dell’umorismo ebraico.
“Il mondo sa bene quanto gli ebrei siano bravi a lamentarsi di se
stessi quando si trovano a fronteggiare un momento complicato”, spiega
il sito dell’Aepj (European Association for the Preservation and
Promotion of Jewish Culture and Heritage), l’organizzazione che si
occupa di dare impulso all’iniziativa a livello centralizzato. “Ogni
anno chiediamo ai coordinatori di tutti i paesi di inviarci delle
proposte - spiega Annie Sacerdoti, membro del Consiglio direttivo
dell’Aepj e consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
con delega alla Giornata - Quest’anno ne abbiamo ricevute oltre una
sessantina, e l’umorismo in tutte le sue forme, ma soprattutto
l’autoironia ebraica, è un’idea arrivata da più parti. Penso che questa
scelta sarà molto apprezzata”. L’Aepj ha bandito anche un concorso per
il logo della manifestazione (scadenza 1 marzo 2012): le proposte
saranno valutate da una commissione in cui siederà un rappresentante
del Consiglio d’Europa, che sponsorizza l’iniziativa.
Nata nel 2002, ogni anno la Giornata europea della Cultura ebraica
coinvolge un numero maggiore di paesi, volontari, visitatori (nel 2011,
tema Ebraismo 2.0, dal Talmud a internet, sono stati circa 50 mila in
Italia e 180 mila in Europa).
“L’Italia, insieme alla Spagna, è il paese in cui la Giornata riscuote
maggiore successo - sottolinea Sacerdoti - L’anno scorso hanno
partecipato oltre sessanta località e molte hanno deciso di prolungare
gli eventi per diversi giorni. Ora si tratterà di scegliere quale sarà
la città capofila per il 2012”.
Rossella
Tercatin
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Obiettivi da raggiungere,
successi ottenuti, preoccupazioni per il futuro. A distanza di quattro
anni dalla sua creazione, l'Osservatorio sulle discriminazioni di
Mantova Articolo 3 traccia il resoconto del suo complesso quanto
delicato operato: monitorare la stampa, sensibilizzare i giornalisti e
l'opinione pubblica, combattere attivamente le manifestazioni
discriminatorie nei confronti delle minoranze presenti sul territorio.
Su questi punti si sono soffermati ieri collaboratori ed esperti
dell'Osservatorio assieme alle istituzioni in occasione della
presentazione ufficiale, a Palazzo della Ragione, del rapporto per
l'anno 2011. Luci ed ombre di un anno in cui, a iniziative politiche,
educative e giuridiche di grande valore sul fronte della lotta
all'antisemitismo, alla xenofobia e al razzismo hanno fatto da
contraltare aggressioni private così come istituzionali dirette a
violare il principio sancito dalla costituzione su cui si fonda
l'operato dell'Osservatorio. La necessità di allargare questa
esperienza e mantenere saldo l'impegno di Articolo 3 è stato uno degli
obiettivi ribaditi con forza dalle diverse voci intervenute: dai
rappresentanti della città e della Provincia di Mantova, della Regione
e del Parlamento, fino a coloro che, attraverso l'Osservatorio, si
confrontano quotidianamente con la sfida di rendere l'articolo 3 della
Costituzione una realtà. Un impegno di cui è stato un esempio
autorevole e coraggioso Fabio Norsa z.l, presidente recentemente
scomparso della Comunità ebraica mantovana. A lui, tra i pilastri di
Articolo 3, colleghi e amici dell'Osservatorio hanno voluto dedicare la
stesura di quest'ultimo e significativo rapporto.
Il pogrom dei rom a Torino, l’uccisione di due senegalesi per mano di
un neofascista a Firenze, il professore torinese che minaccia di fare
strage di ebrei in sinagoga. Sono tre delle decine, centinaia di
manifestazioni razziste e xenofobe che si sono registrate in Italia nel
2011. Un segnale pericoloso di una tensione crescente all’interno della
nostra società, che la crisi economica non ha fatto che acuire. E di
fronte a questo cupo panorama non può che assumere un valore ancor più
significativo il grande lavoro portato avanti da Articolo 3,
l’Osservatorio sulle discriminazioni di Mantova. Un progetto nato il 27
gennaio di quattro anni fa attorno alla Rassegna stampa Lombardia del
Portale dell’ebraismo italiano www.moked.it con lo scopo di monitorare
episodi di discriminazione sui media italiani. Da un’idea è nato un
gruppo di lavoro che con il tempo si è consolidato ed è diventato un
punto di riferimento per la città lombarda e non solo. L’UCEI, la
Comunità ebraica di Mantova, l’associazione Sucar Drom, l’Istituto
mantovano di storia contemporanea, l’Istituto di Cultura Sinta e il
comitato provinciale ArciGay la Salamandra, affiancati dal Comune e
dalla Provincia di Mantova, hanno collaborato insieme per dare vita ad
Articolo 3.
Il 27 gennaio è il momento di tirare le fila con la presentazione in
pubblico del rapporto annuale, di riguardare al lavoro passato e
mettere a punto le iniziative per il futuro. Un futuro a cui purtroppo
non può più partecipare Fabio Norsa z.l., presidente della Comunità
ebraica di Mantova nonché uno dei pilastri dell’Osservatorio, scomparso
il 7 gennaio. Determinato, sicuro, ironico, Norsa è stato un esempio
per tutti con la sua caparbietà nel portare avanti la battaglia contro
ogni forma di discriminazione. Incarnava alla perfezione lo spirito di
Articolo 3, o forse è quest’ultimo che si è plasmato a sua immagine.
Nell’ultimo rapporto annuale compare una breve riflessione sulla
situazione italiana e sul valore dell’impegno delle persone che
collaborano all’Osservatorio. Un’analisi preoccupata alla luce del
crescere di fenomeni discriminatori nel Belpaese, sintomo di una
società che continua, nonostante il Giorno della Memoria e iniziative
simili, ad individuare nell’altro il responsabile delle proprie
difficoltà. “La tutela dei diritti e la diffusione della corretta
informazione sembrano sottoposti ad una dura prova – sottolineava Norsa
– ma la sensazione che ogni giorno si respira nella sede di Articolo 3,
dove vi invito a entrare, è di forza: quella che caratterizza donne e
uomini animati da un sincero spirito di servizio, motivati perché
colpiti in prima persona o perché spinti dal desiderio di essere vera
società che accoglie”.
In questi anni la redazione si è consolidata e nel 2011 sono monitorati
migliaia di articoli apparsi nella regione Lombardia grazie alla
collaborazione, attraverso l’UCEI, con l’agenzia Data Stampa. Il
servizio ha permesso di focalizzarsi sulle notizie legate alla
discriminazione delle minoranze religiose e culturali con particolare
attenzione alle modalità di costruzione della notizia, al linguaggio
utilizzato, alla fedeltà ai fatti realmente accaduti.
Altro elemento chiave, la realizzazione delle newsletter settimanali
(43 nell’arco dello scorso anno), strumento che nel tempo si è andato
affinando e soprattutto ha visto una forte crescita di utenti. Per
rafforzare la presenza sul territorio è stato istituito nel 2009 lo
sportello antidiscriminazioni, strumento di ascolto e consulenza
legale, a disposizione dei cittadini italiani o immigrati, vittime o
testimoni di forme discriminatorie. Nel 2011 lo sportello ha trattato
24 casi, in particolare conseguendo un risultato positivo rispetto ad
un esposto all’Ordine dei giornalisti della Lombardia. Prende quota il
progetto europeo In Other Words (Web Observatory and Review for
Discrimination alerts and Stereotypes deconstruction), volto a ricreare
in Spagna, Portogallo, Francia, Romania ed Estonia l’esperienza di
Articolo 3, con la realizzazione di redazioni costituite da persone
appartenenti alle minoranze presenti nei vari Paesi. Ennesima
dimostrazione nonché riconoscimento del valore dell’iniziativa
mantovana.
A livello nazionale, inoltre, l’Osservatorio è diventato nodo
territoriale dell’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni
razziali (Dipartimento per le Pari opportunità presso la Presidenza del
Consiglio dei Ministri). Mentre Articolo 3 amplia i suoi orizzonti
facendo ben sperare, la realtà italiana non può dirsi altrettanto
positiva. Dal resoconto annuale emerge un preoccupante quadro con la
crescita di fenomeni discriminatori (anche a livello istituzionale),
violenze, soprusi e maltrattamenti. I casi citati in apertura sono
alcuni dei più eclatanti ma ulteriori difficoltà sono emerse ad esempio
per le persone disabili, con il taglio delle ore di sostegno per alunni
con handicap. Autorità nazionali e locali come altre istituzioni non
prestano la necessaria attenzione, e la concreta applicazione dei
diritti sanciti in Costituzione, come le pari opportunità, per i
disabili sono ancora lontani dal realizzarsi. Altra voce che trova
spazio all’interno di Articolo 3, spesso vittima di discriminazioni è
la comunità Lgbt (Lesbica, gay, bisex, trans): le violenze per omofobia
sono purtroppo ancora frequenti e forte scoramento ha causato la
decisione del Parlamento lo scorso luglio di bocciare l’introduzione
dell’aggravante di omofobia nei reati penali. Cinque bambini morti a
Roma e un ragazzo ucciso a fucilate a Brescia, oltre ai pogrom di
Napoli e Torino. Un bilancio che mette in luce quanto sia attualmente
alto il pericolo per le comunità sinti e rom in Italia. Liste
antisemite e professori negazionisti che incitano all’odio contro gli
ebrei hanno fatto capolino nelle cronache dei giornali nazionali del
2011. E ancora l’islamofobia continua a trovare sostenitori. Il
monitoraggio e la controinformazione portata avanti da Articolo 3 sono
il segnale tangibile della possibilità di oltrepassare le barriere
culturali e lavorare coesi per la piena integrazione delle minoranze
all’interno della società. Quanto questo sia concretamente
realizzabile, almeno parlando dell’immediato futuro, è tutto da
dimostrare e lo scetticismo è lecito. D’altra parte se non si prova
nemmeno la piena applicazione dell’articolo 3 rimarrà un miraggio.
Daniel
Reichel
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Kiryat Shmona, il
Chievo di Israele che sogna la normalità
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Qualche
volta le cosiddette 'piccole' ti fregano. Le guardi con infinita
tenerezza e simpatia e quelle, troppa grazia ricevuta, stravolgono gli
equilibri, ti fanno marameo e si prendono il posto che per palmares e
milioni di euro investiti ti spetterebbe nell'Europa dei grandi.
Accadde qualche anno fa in Italia col Chievo, da vittima sacrificale a
quarta forza del campionato con annessi preliminari di Champions
League. Sta per accadere in Israele. Hapoel Ironi Kiryat Shmona,
la squadra dei miracoli: nomi semisconosciuti in campo (tra questi
David Solari, fratello del più celebre ex interista Santiago), stadio
da neanche 5mila posti, l'instabile confine col Libano a pochi
chilometri. Una precarietà esistenziale e tecnico-agonistica che sembra
però non influire: è di una settimana fa, infatti, la vittoria ai
rigori nella Coppa nazionale ai danni del più quotato Hapoel Tel Aviv.
E anche in campionato, entrati nell'ultima parte di gare, sembra non
esserci più trippa per gatti visto che l'Hapoel Ironi veleggia
tranquillo in prima posizione con 52 punti (frutto di 15 vittorie, 7
pareggi e una sola sconfitta) e alle spalle ha lasciato un vuoto quasi
incolmabile: l'Hapoel Tel Aviv segue a dieci misure di distanza, il
'grande' Maccabi Haifa si piazza invece malinconicamente in settima
posizione a quota 34. Radar quindi ormai puntati, in casa Hapoel,
sulla volata finale. Volata che potrebbe portare a un inaspettato
regalo: il titolo e la prima conseguente partecipazione alla Champions
League. “Deve essere un sogno, rido e piango di gioia allo stesso
tempo” raccontava un supporter interpellato negli scorsi giorni dal New
York Times. L'euforia, proseguiva il tifoso, è duplice: il brivido di
sedere almeno una volta nel salotto buono del pallone e quello di
portare il nome di Kyriat Shmona sui media per vicende non legate
esclusivamente al conflitto mediorientale e ai ripetuti lanci di
missili dal vicino Libano che affliggono questa cittadina del nord di
Israele da molti anni. Perché il grande sogno di Kiryat Shmona, ancor
prima di ospitare il Barcellona o il Manchester United, è proprio la
normalità.
Adam Smulevich
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Naufragi, parole |
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Come commentare la prima
pagina de «Il Giornale» di venerdì, col pezzo a firma del direttore «A
noi Schettino a voi Auschwitz»? Affermando che si tratta di un titolo
scandaloso, tanto più scandaloso nel Giorno della Memoria, aggressivo
in modo sconcertante nei confronti dei tedeschi? I quali tedeschi –
obietterebbe qualcuno – dovrebbero stigmatizzare una rubrica molto
antipatica di di «Der Spiegel», dove gli italiani venivano tutti
assimilati al comandante della Concordia. Potrebbe bastare questo.
Oppure possiamo ragionare schiettamente sull’inflazione che il
linguaggio della Shoah ha subito negli ultimi anni: i Centri di
identificazione ed espulsione (CIE) definiti «lager», la stella gialla
sul bavero di Marco Pannella in campagna elettorale, l’attuale
presidente dell’europarlamento appellato «kapo» in una sessione
divenuta celebre su youtube. La lingua, non solo il lessico della
Shoah, è una spia importante della scarsa qualità della nostra
democrazia; basti pensare a Silvio Berlusconi, che alcuni mesi fa
parlava tranquillamente di «dittatura dei giudici» e di «zingaropoli
islamica» (intendendo con ciò la Milano di Pisapia), o la terribile
abitudine a trasformare fenomeni ritenuti problematici in masse
tumorali: i magistrati o la corruzione «cancri della democrazia», Ilda
Boccassini addirittura «metastasi della democrazia».
Ora, questo scadimento è dovuto a vari fattori, fra cui certamente
l’uso distorto dei new media. Ma ci illudiamo pensando che la Shoah
possa salvarsi da questo gorgo. O saremo capaci di gestirne e dosarne
la memoria in modo saggio, evitando la moltiplicazione degli eventi e
l’abbassamento della qualità, oppure nessuno potrà impedire che termini
come «Shoah» e «Memoria» si trasformino in vocaboli di uso comune,
disponibili quando, per vis polemica, serve un’immagine forte. Possiamo
ripetere e spiegare all’infinito l’unicità della Shoah: il cervello
umano pensa parlando, e quando una parola viene sempre in mente, in
tutti i contesti, alla borsa della lingua vale già poco.
Tobia
Zevi, Associazione Hans Jonas
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notizie
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rassegna
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"Un albero a ricordo del Giusto mons. Schivo"
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"Abbiamo appreso - ha dichiarato il presidente della Comunità ebraica
di Roma Riccardo Pacifici - della scomparsa di monsignor Beniamino
Schivo, "Giusto tra le Nazioni" la massima onorificenza che conferisce
lo Stato d'Israele a coloro che, a rischio della loro vita, salvarono
ebrei durante l'ultimo conflitto mondiale dalla furia nazifascista.
Monsignor Schivo infatti salvò una famiglia ebraica di origine tedesca,
i Korn, che transitando per l'Italia come tante altre, trovò in
lui conforto e speranza.
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Non
vi sono oggi sui giornali notizie significative su Israele e il mondo
ebraico nella rassegna stampa dell'Ucei. Si parla molto della Siria, ma
più in termini ipotetici che informativi. Su questo punto vale la pena
di sottolineare che sta emergendo in diversi giornali un punto di vista
scettico sul cambio di regime e comprensivo, se non proprio vicino
rispetto alle posizioni russe.
Ugo
Volli
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono
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