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  3 febbraio 2012 - 10 Shevat 5772
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
rav arbib Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano


I Chakhamìm legano l'attacco di Amalèk che troviamo alla fine della parashah di Beshallàch con il verso che lo precede in cui il popolo ebraico si chiede se Dio è in mezzo a noi. Questa domanda può essere vista come una mancanza di fede ma anche con una riflessione filosofica sull'immanenza e la trascendenza di Dio. Se è così, cosa c'è di male? Secondo rav Shlomo Wolbe una domanda di questo tipo, anche se perfettamente legittima, testimonia un rapporto distante e freddo con  Dio che può essere distruttivo. La vita ebraica non può diventare puro esercizio intellettuale.

Laura Quercioli Mincer, slavista


laura mincer
La Biblioteca universitaria centrale intitolata allo scrittore positivista Boleslaw Prus si trova di fronte all’Università di Varsavia, su splendidi viali, oggi isola pedonale. Nella sezione di Judaica i suoi affollatissimi scaffali ultimamente ospitano, uno accanto all’altro,  volumi della nuova scuola polacca di studi ebraici e antichi o meno antichi testi antisemiti. Ogni richiesta di delimitarne il proliferare viene accolta dai commessi, apparentemente ignari della questione, con stupore e sguardi bovini. Se ne è indignata la mia amica Alina, professoressa di letteratura polacca all’Università di Varsavia; la sua email, inviata ai colleghi della capitale, studiosi ed esperti di cose ebraiche, ha suscitato una marea di riflessioni e proposte diverse: dal richiedere formalmente la creazione di un settore di “letteratura  antisemita”, a un picchettaggio della libreria, al coinvolgimento del massimo quotidiano polacco e via discorrendo. La vicenda è complessa, e difficile trovarne una soluzione. Ma è bello che l’appello della mia amica abbia suscitato tanta passione e, che, nella sola capitale, abbia trovato oltre sessanta interlocutori.

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davar
Qui Roma- L'arte ricorda le vittime delle Fosse Ardeatine
Due opere dell’artista Georges De Canino sono state collocate oggi a Roma presso il mausoleo delle Fosse Ardeatine nella sala che già ospita opere di Corrado Cagli, Carlo Levi e Renato Guttuso.
Le tele dedicate dall’artista ai 26 adolescenti e a giovani martiri trucidati alle Fosse Ardeatine costituiscono un altro passo nell’omaggio che la città di Roma tributa alla memoria delle vittime del nazifascismo.
Nel corso della cerimonia un commosso Georges De Canino ha illustrato il percorso personale che lo ha condotto alla elaborazione e alla realizzazione delle tele; molto interessanti le motivazioni che lo hanno indotto a voler ricordare delle persone che non hanno avuto il tempo di scrivere la loro storia ma sono rimasti iscritti, loro malgrado nella grande storia: le opere contribuiranno anche a rendere loro una dignità calpestata. Nel corso della cerimonia hanno preso la parola, tra gli altri, Rosetta Stame, Presidente dell’Anfim, Dino Gasperini, assessore alle politiche culturali e centro storico, Claudio Procaccia, direttore del Dipartimento per i beni e le attività culturali della Comunità ebraica di Roma.

Sira Fatucci

Roberto Bassi, il dottore del Centro di documentazione
Già primario dermatologo dell’Ospedale Civile di Venezia e docente di Dermatologia psicosomatica a Ferrara, prestigioso professionista, consigliere della Federazione Giovanile Ebrei d’Italia (Fgei), presidente della Comunità ebraica di Venezia, consigliere e poi vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, ideatore e primo realizzatore del Centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec), Roberto Bassi (Roby per gli amici) ha compiuto quest’anno ottant’anni. Sembrerà forse sorprendente anche a lui che quella prima energia creatrice di 57 anni fa abbia fruttificato e fatto scaturire dal nulla un istituto storico tanto importante quanto è il Cdec oggi per la comunità ebraica d’Italia e per la cultura italiana, con decine di metri di scaffali di documenti, una biblioteca di migliaia di volumi, decine di migliaia di fotografie di tema ebraico, testi di storia scritti al suo interno. Si era agli inizi degli Anni Cinquanta, erano anni di travagli ideali per la gioventù ebraica italiana. Mentre i padri e le famiglie guardavano fermamente in avanti, si lambivano le ferite, tentavano di ricostruire, lavorare, dimenticare, i giovani si interrogavano sul senso di ciò che era accaduto con la Shoah, sul significato per ciascuno di loro della creazione dello Stato di Israele, sulla valenza dell’ebraismo nelle loro vite. Fermenti accompagnati da un forte senso antifascista e progressista. Dei giovani ebrei di allora era tipica la pulsione alla discussione continua e alla gestione collettiva delle questioni, nuovi esercizi alla democrazia da poco conquistata. Da questo ambiente nacque l’idea di creare un archivio storico per la raccolta di materiale documentario relativo alle persecuzioni e per lo studio del contributo ebraico alla Resistenza disposto dal Congresso della Fgei di Genova del 1952 e riaffermato nel Congresso di Venezia del 1953, in aperta polemica con l’ebraismo ufficiale, giudicato troppo conservatore, poco coraggioso nelle sue espressioni pubbliche, attaccato ai vecchi modi di pensare della dirigenza ebraica dell’anteguerra. Fu Roby Bassi, allora studente a Venezia, a raccogliere la sfida nel dicembre del 1954 cercando di superare le polemiche istituzionali. Iniziò una straordinaria epopea di raccolta di documenti, di studio, di pubblicazioni cui Roby dette anima e corpo. Nell’aprile del 1955, ricevette l’incarico dalla Fgei di fondare a Venezia il Centro di documentazione ebraica contemporanea. Il primo ufficio fu la sua stanzetta di studente, la sua prima scrivania un tavolino sgangherato, il primo “scaffale” il pavimento sotto al letto. Là cominciarono ad affluire i primi libri e i primi documenti raccolti da una rete di giovani collaboratori sparsi in tutta Italia che Roby seppe stimolare alla partecipazione, un metodo inusuale per allora, ma ricco di buoni frutti. Fu attivata l’iniziativa, prima di molte altre, del censimento, con apposite schede, dei partigiani ebrei in Italia. Si voleva dimostrare che non tutti gli ebrei erano andati passivamente verso la loro distruzione, ma molti vi si erano attivamente opposti. Da parte sua, il Consiglio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane nel novembre del 1955 approvò, con apposita delibera, la creazione del Cdec con consiglio di amministrazione autonomo e con l’assicurazione di un modesto contributo finanziario. I primi consiglieri furono Roberto Bassi (responsabile), Elio D’Angeli, Guido Di Veroli, Enzo Levy, Aldo Luzzatto. L’Unione, che pose il CDEC sotto la propria egida, era rappresentata dal Colonnello Massimo Adolfo Vitale, animatore del Comitato ricerche deportati ebrei sorto a Roma all’indomani della liberazione i cui documenti furono in seguito versati al nuovo ente.  Nel dicembre del 1955, in occasione dell’annuale Congresso della Fgei, ebbe luogo la prima riunione dei collaboratori/corrispondenti del Cdec, sparsi in tutta Italia. Nel 1956, finalmente, la Comunità ebraica di Venezia concesse una sede e furono attivate le relazioni con Yad Vashem di Gerusalemme, con il Centre de Documentation Juive Contemporaine di Parigi, con Lohamei Haghettatot. Nel 1958 fu prodotto il primo catalogo dei documenti raccolti. Quell’anno coincise anche con le dimissioni di Roby Bassi, non più studente universitario, ma giovane medico avviato alla carriera. Lasciava un piccolo ufficio storico ebraico, dalle gracili risorse finanziarie, ma impostato con tanta cura e intelligenza da essere sopravvissuto fino ad oggi nella sua sede milanese, dove fu trasferito da Venezia nel 1960 e quivi rimasto.

Liliana Picciotto, Pagine Ebraiche febbraio 2012

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pilpul
Tregua della memoria
Anna SegreQuest’anno le iniziative per la Giornata della Memoria sembrano essersi  moltiplicate in modo esponenziale, come ha dimostrato nelle ultime o due  tre settimane l’inconsueto affollamento su questa newsletter di notizie  riferite a manifestazioni, mostre, concerti, conferenze, convegni,  libri, film e molto altro. A Torino (e credo anche in altre città) ogni giorno c’era un evento, spesso più di uno, anche in contemporanea. Su l’Unione informa e su Pagine ebraiche si è discusso molto di questo fenomeno, che nel complesso è stato valutato positivamente. Sicuramente è importante che la Giornata sia diventata con il tempo un’occasione di studio e approfondimento non limitato alla ritualità di una cerimonia.  Per noi ebrei, però, il mese di gennaio rischia di diventare una vera e propria maratona, fisicamente faticosa e pesante psicologicamente, soprattutto per chi, come per esempio gli insegnanti o i giornalisti, deve occuparsi della Giornata della Memoria anche in ambito lavorativo. Naturalmente non possiamo e non dobbiamo negare la nostra partecipazione a tutte le iniziative che si svolgono fuori dall’ambiente ebraico, ma spesso le Comunità stesse tendono a organizzare nel mese di gennaio  attività connesse con la memoria della Shoah. A volte si approfitta della presenza di qualche ospite illustre, ma nella maggior parte dei casi non c’è un motivo specifico: sembra quasi che le istituzioni ebraiche si sentano in dovere di dedicare il mese di gennaio alla memoria. Perché? Abbiamo il 10 di Tevet, abbiamo Yom HaShoah, e in fin dei conti nessuno ci impedisce di invitare un testimone o di presentare un libro in qualunque momento dell’anno. Non sarebbe meglio se le Comunità ebraiche proclamassero ogni gennaio una sorta di “tregua della memoria”, per permettere ai propri iscritti di partecipare con più  facilità alle attività “esterne”? Una tale tregua porterebbe a parlare di più di Shoah negli altri undici mesi? Non lo credo: ci sono comunque occasioni in cui è doveroso parlarne o è semplicemente impossibile non farlo, e tali occasioni si possono presentare in qualunque momento  dell’anno; non c’è motivo di concentrarle a gennaio; sta poi a noi fare in modo che la vita culturale delle Comunità non si limiti a quelle, a gennaio come negli altri undici mesi.

Anna Segre, insegnante

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Iran, Khamenei minaccia Israele
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L'ayatollah Khamenei, guida suprema dell'Iran, ha lanciato una nuova minaccia contro lo Stato di Israele durante il sermone del venerdì: l'Iran "sosterrà e aiuterà qualunque gruppo o Paese che combatta contro il regime sionista" ha dichiarato.
 "Minacciare l'Iran e attaccarlo nuocerà all'America", ha avvertito Khamenei nel discorso trasmesso in tv, tornando a ribadire che l'embargo varato contro Teheran "non avrà alcun effetto sulla nostra determinazione a proseguire il programma nucleare". "In risposta alle minacce di embargo petrolifero e guerra, al momento giusto imporremo le nostre minacce", ha concluso l'ayatollah.




 
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