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16
febbraio
2012 - 23
Shevat
5772 |
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Elia
Richetti,
presidente dell'Assemblea rabbinica italiana
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La Torah
stabilisce che chi ruba un bovino dovrà pagare cinque volte il suo
valore, mentre chi ruba un ovino dovrà pagare solo quattro volte il suo
valore. I Maestri si sono interrogati sul perché di una regola così
strana: tutto sommato, il reato è il medesimo! Alcuni di essi ritengono
che il motivo vada cercato nel fatto che chi ruba un ovino deve
caricarselo sulle spalle (il bovino va tirato per la cavezza), e
quindi, siccome si sporca gli indumenti, in qualche modo ha già espiato
parte della punizione che gli spetta, tramite la diminuzione della sua
dignità personale. Anche i malfattori, dunque, devono essere rispettati
nella loro dignità.
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Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme
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In questi giorni il
giornalista del Foglio Giulio Meotti ha pubblicato una serie di
articoli molto intensi, direi quasi spiritati, sul conflitto iraniano,
in cui dà per scontato un imminente attacco da parte di Israele. Subito
dopo, il ministro israeliano Matàn Vilnaí (che appartiene alla corrente
ex-laburista Aztmaut del ministro della difesa Ehud Barak, cinque
deputati, di cui quattro ministri), si è dimesso ed è stato nominato
ambasciatore di Israele in Cina. La circostanza non sarebbe degna di
nota se non fosse che Vilnaí è il ministro per la Difesa su fronte
interno, ossia ha ricoperto finora la mansione più delicata se ci fosse
un conflitto con abbondanti lanci di missili sulle città israeliane.
Esistono allora tre possibili spiegazioni al cambiamento di ruolo di
Vilnaí. La prima è che Israele interpreta in senso lato il concetto di
difesa del territorio, e ha quindi deciso di estendere la barriera di
difesa antiterrorismo fino alla Muraglia cinese. La seconda spiegazione
è che Giulio Meotti sa delle cose che Matàn Vilnaí non sa. La terza
spiegazione è che Matàn Vilnaí sa delle cose che Giulio Meotti non sa.
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Qui Milano - Il mondo del calcio si inchina a Weisz
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“Lo stadio per noi vuole essere
una piazza in cui si scambiano dei messaggi, e queste locandine per
l’Inter rappresentano una sorta di giornale della squadra per
comunicare con i tifosi. Siamo particolarmente orgogliosi di poterli
raggiungere con un messaggio di tolleranza e di verità storica, in un
momento in cui troppo spesso questa realtà viene negata”. A parlare in
questo modo è Milly Moratti, moglie del patron dell’Inter Massimo,
commentando l’iniziativa per ricordare Arpad Weisz, sul volantino che
verrà distribuito a San Siro il 17 febbraio in occasione di
Inter-Bologna. D’altronde una promessa è una promessa: era il Giorno
della Memoria, 27 gennaio 2012, e il Comune di Milano, insieme
all’Inter, apponeva nel foyer della tribuna rossa dello stadio una
targa in ricordo dell’allenatore ebreo ungherese ucciso ad Auschwitz
con cui l’allora Ambrosiana vinse il primo titolo nazionale a girone
unico nel 1930. Alla proposta di rendere omaggio a Weisz anche durante
una partita insieme a tutti i tifosi, Milly Moratti aveva risposto con
entusiasmo. E quale opportunità migliore di Inter-Bologna, considerando
che i rossoblù allenati da Weisz vinsero addirittura due dei sette
scudetti della storia del club emiliano, oltre al Trofeo dell’Expo a
Parigi, antenato dell’odierna Champions League, come racconta il libro
“Dallo scudetto ad Auschwitz” del giornalista bolognese Matteo Marani,
che ebbe il merito di riscoprire la storia di Weisz?
“Ricordare Arpad Weisz per il Bologna FC ha un grande valore,
tanto che già un paio di anni fa apponemmo allo stadio Dall’Ara una
targa che lo commemora - ha spiegato il presidente della società
emiliana Albano Guaraldi - Weisz è stato un grandissimo allenatore, un
vincente, e noi non dimentichiamo che quando fu costretto a fuggire
dall’Italia sedeva proprio sulla nostra panchina. È difficile credere
che un personaggio del suo calibro, così pochi anni fa, abbia potuto
subire una fine del genere”.
Arrivando allo stadio domani i tifosi nerazzurri e rossoblu troveranno
dunque una sorpresa: sul volantino che da quest’anno in occasione di
ogni partita interna viene collocato su tutti i posti del Meazza, oltre
al calciatore interista della settimana (si cominciò all’inizio del
campionato con Dejan Stankovic e Giampaolo Pazzini, domani sarà il
turno del vicecapitano Ivan Ramiro Cordoba) troveranno la storia della
leggenda Weisz: “Milano - Il 27 gennaio 1945, vengono aperti i cancelli
del campo di concentramento di Auschwitz. Un anno prima, il 31 gennaio
1944, Arpad Weisz, si arrende alla finale di orrore che la vita gli ha
riservato. Ad Auschwitz muore, è l’ombra di quello che è stato, i suoi
due bambini, Clara e Roberto, e sua moglie Elena sono già stati uccisi
dalla follia nazista. Lui è l’allenatore con cui l’Inter, allora
Ambrosiana, ha vinto il primo campionato a girone unico della storia,
nel 1929-30, e con il Bologna ha poi conquistato due scudetti, nel
1935- 36 e nel 1936-37, e il trofeo dell’Expo a Parigi. La vita di
Arpad Weisz è la storia di un ungherese brillante, nato a Solt, il 16
aprile 1896, ebreo, buon calciatore e ottimo allenatore, un precursore
nell’attenzione scientifica che mette nella sua professione. Viaggia
molto, vince molto. Scopre lui Giuseppe Meazza, lo fa debuttare
adolescente all’Inter in Coppa Viola a Como. Nel ‘38, la famiglia Weisz
deve andarsene dall’Italia, il fascismo ha messo in vigore le leggi
razziste. Si trasferisce a Parigi, ma neppure qui si sente al sicuro.
Meglio l’Olanda. L’ultima tappa della sua carriera è Dordrecht, 50.000
abitanti e una squadra che è oggettivamente un passo indietro, ma ormai
la sua è una carriera già in fuga dal nazismo. Da qui, per i Weisz ci
sarà solo l’ultimo viaggio verso Auschwitz. F.C. Internazionale Milano
e Bologna F.C., insieme, ricordano Weisz, soprattutto non dimenticano.
Milano, 17 febbraio 2012”.
“Lo sport è un importante strumento, anche in termine di mezzi di
comunicazione, per divulgare messaggi positivi e di coesione sociale,
specialmente ai più giovani - ha commentato il consigliere dell’Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane con delega alle politiche under 18
Riccardo Hofmann - Quella di Weisz è un’importante storia di sport che
permette di guardare oltre, per arrivare a conoscere la storia di un
grande uomo e la sua tragica fine”.
Rossella
Tercatin
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Qui Roma - Bruciare le
persone, bruciare i libri
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Il 17 febbraio del 1600
l’ambasciatore francese si lamentò dell’odore di carne umana bruciata
che dalla vicina Piazza Campo de’ Fiori arrivava fin su le finestre
della sua sede a Piazza Farnese. Che un eretico fosse messo al rogo dal
Sant’Uffizio non era così grave, ma che almeno lo facessero un po’ più
lontano da casa sua! Se l’odore si percepiva, non si sentivano invece
le grida di Giordano Bruno, cui era stato messo un bavaglio sulla bocca
per paura che proferisse bestemmie e ingiurie. A ricordo del rogo, nel
1889 fu eretta nella piazza una statua di bronzo, suscitando forti
proteste da parte della Chiesa. Non c’è romano che non abbia visto
almeno una volta la statua di Giordano Bruno; non tutti però hanno
forse notato che sul piedistallo della statua sono affissi dei
medaglioni di bronzo con le effigi di otto altri personaggi condannati
per eresia (alcuni a morte): Michele Serveto, un medico e teologo
spagnolo, che fu perseguitato sia dai cattolici che dai protestanti per
le sue idee eretiche sul concetto di trinità e venne alla fine
processato e arso vivo nel 1553 dai calvinisti di Ginevra con i suoi
scritti appesi al collo; Tommaso Campanella, che passò ben 27 anni
della sua vita fra un carcere e l’altro, accusato d’eresia, pratiche
demoniche e cospirazione, salvandosi dalla pena capitale solo perché si
finse pazzo; Pietro Ramo, assassinato da un sicario cattolico a Parigi
nella tragica notte di S. Bartolomeo nel 1572; Aonio Paleario,
condannato dal tribunale dell’inquisizione come eretico, impiccato nel
1570 (il suo cadavere fu bruciato davanti a ponte Sant'Angelo, sul
Lungotevere di Roma); Lucilio (Giulio Cesare) Vanini, arso sul rogo a
Tolosa nel 1619 per ateismo e bestemmie, dopo essergli stata tagliata
la lingua ed essere stato strangolato; Paolo Sarpi, morto a Venezia nel
1623, denunciato più volte al tribunale del Sant’Uffizio (fra l’altro
anche per sospetti legami con ebrei veneziani), subendo diversi
attentati; il ceco Jan Hus, arso sul rogo nel 1415 a Costanza
(Germania) per eresia contro la chiesa cattolica; e infine John
Wycliffe, teologo inglese dissidente, morto nel 1384 e dichiarato
eretico dal Consiglio di Costanza nel 1415, il che portò nel 1428
all’esumazione del cadavere e al rogo dei suoi resti (e dei suoi libri).
Poco lontano dalla statua di Giordano Bruno, sul lastricato della
piazza, da qualche mese è presente una lapide che ricorda un altro
rogo, quello del Talmud messo in atto il 9 settembre 1553. Bruciare un
uomo è certamente più grave che bruciare un libro. Nel Talmud stesso è
scritto che, quando i romani misero al rogo Rabbi Chaninà ben Teradion
avvolto nella pergamena del Sefer Torah, il libro bruciava (insieme al
corpo del rabbino), ma le lettere salivano inalterate in alto. E
infatti sono arrivate fino a noi. Anche lo studio del Talmud,
nonostante i roghi in tutta Europa, è più vivo che mai, tanto vivo che
una sua traduzione (in qualsiasi lingua, italiano incluso) non è
affatto inutile né impossibile.
rav
Gianfranco Di Segni, Collegio rabbinico italiano
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Bellezza e perdono
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Il Tizio della Sera è
ipnotizzato davanti alla televisione. C’è una rivolta ad Atene. In cima
alla folla, proprio davanti alla polizia, un vegliardo. E’ Manolis
Glezos, il partigiano. Ha più di novantanni. Nel ‘41 si arrampicò
sull'Acropoli per togliere da lassù la bandiera nazista. E la tolse. In
una prima fila, c’è Theodorakis, il musicista. 87 anni, capelli folti,
i baffi densi, canuto per sbaglio. Scrisse gran canzoni, lo torturò la
polizia dei colonnelli. Theodorakis dice che la colpa della crisi è di
certi ebrei ricchi in cima al mondo. E va bene, pensa il Tizio, non
tutto è perfetto. E perdona Thedorakis, e gli dà un buffetto.
Gli dice: Mikis Thedorakis, piantala di fare il cretino. Facci ballare
un altro sirtakì. Eroi fermi corrono intorno a un vaso con la
loro lancia alzata. Sono Achille ed Ettore, dipinti di
nero. Il Tizio ama Grecia la disperata, madre del mondo.
Il
Tizio della Sera
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notizieflash |
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rassegna
stampa |
Elie
Wiesel : " Battesimi postumi,
Mitt Romney parli alla sua Chiesa"
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Leggi la rassegna |
Mitt
Romney "dovrebbe
parlare alla sua Chiesa e dire di smettere di esibire battesimi postumi
di ebrei e vittime della Shoah". Così il Premio Nobel per la
Letteratura Elie Wiesel in un messaggio rivolto al candidato alle
primarie repubblicane per le presidenziali negli Stati Uniti.
L'abitudine mormone di
battezzare vittime della Shoah, tornata in questi giorni
d'attualità sulla stampa internazionale era talmente diffusa
che nel '95 fu necessario un vero e proprio atto legale, firmato dalle
gerarchie ecclesiali dello Utah, per mettere fine a quella pratica,
dettata dalla volontà di "salvare le loro anime".
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